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Reati contro la PA

Attività intramoenia e peculato: quando si configura il reato? Commento alla sentenza Cassazione penale n. 24717/2024

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Attività intramoenia e peculato

L'attività intramoenia rappresenta una forma di esercizio libero-professionale dei medici all'interno di strutture pubbliche, disciplinata da normative specifiche che mirano a garantire una gestione trasparente delle prestazioni sanitarie e dei relativi compensi. Tuttavia, in alcuni casi, la gestione dei proventi derivanti da tali attività può configurare fattispecie penalmente rilevanti, come il reato di peculato.

La recente sentenza della Corte di Cassazione penale, Sez. VI, n. 24717 del 2024, ha fornito chiarimenti importanti sulla configurabilità del delitto di peculato in relazione al medico operante in regime di attività intramoenia allargata, evidenziando i limiti e le condizioni entro cui può essere considerata reato l'appropriazione di somme dovute all'ente ospedaliero.

La vicenda giudiziaria

La Corte d’Appello di Catania confermava la condanna di una dirigente medico accusata di peculato continuato. In particolare, la professionista era stata riconosciuta colpevole di essersi appropriata di somme di denaro ricevute dai pazienti per prestazioni intramoenia, senza versare all'ente ospedaliero la quota spettante prevista dalla legge.

Nel caso specifico, le prestazioni professionali erano state svolte in regime di intramoenia allargata presso lo studio privato della dottoressa. La somma non versata all'ospedale risultava modesta, pari a 81,60 euro, corrispondente al 17% degli importi complessivi ricevuti, ma sufficiente per giustificare l'accusa di peculato.

Il reato di peculato: cosa dice il codice penale?

Il peculato è un reato previsto dall'art. 314 del codice penale e si configura quando un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, avendo la disponibilità di denaro o beni per ragioni del proprio ufficio, se ne appropria indebitamente.

Nell'ambito dell'attività intramoenia, il medico dipendente di una struttura pubblica assume la veste di pubblico ufficiale, e quindi è soggetto a una gestione vincolata delle somme ricevute per le prestazioni sanitarie.

Secondo la normativa vigente, i medici autorizzati all'attività intramoenia devono rilasciare ricevute per le prestazioni erogate e versare una parte delle somme ricevute all'ente pubblico di appartenenza. Il mancato rispetto di questi obblighi, come nel caso in esame, può configurare il reato di peculato, qualora si dimostri che il medico si sia appropriato delle somme indebitamente

La difesa dell'imputata

L’imputata, tramite il proprio difensore, presentava ricorso in Cassazione, sostenendo l'insussistenza del dolo di peculato. In particolare, si sottolineava che la somma trattenuta era irrisoria e che il comportamento della dottoressa poteva essere qualificato come negligenza, non offensiva del bene giuridico tutelato.

Inoltre, la difesa contestava la quantificazione della somma non versata, sostenendo che, secondo gli accordi convenzionali, l'importo dovuto all'ente pubblico non era il 50% come indicato in sentenza, ma solo il 17% del compenso ricevuto dai pazienti.

La decisione della Corte di cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputata, annullando la sentenza impugnata e rinviando il caso per un nuovo giudizio presso un'altra sezione della Corte d’Appello di Catania.

Nel motivare la decisione, la Suprema Corte ha chiarito che, affinché si configuri il reato di peculato, è necessario che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio disponga del denaro in ragione della sua funzione. Il medico, infatti, può trattenere una parte delle somme riscosse per le prestazioni, ma deve versare all'ente ospedaliero la quota spettante. Se il denaro viene trattenuto per ragioni personali, senza rispettare tali obblighi, il medico si appropria indebitamente di fondi pubblici.

Tuttavia, la Cassazione ha osservato che la sentenza di merito non aveva chiarito se i pazienti si fossero rivolti alla dottoressa nell'ambito del regime intramoenia allargato, ovvero se le prestazioni fossero state effettuate al di fuori di tale contesto. Se si fosse verificata la seconda ipotesi, non si sarebbe potuto configurare il reato di peculato, poiché le somme ricevute non sarebbero state legate all'esercizio delle funzioni pubbliche.



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