Reati contro la PA
Con la sentenza n.33468/23, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un concessionario di una ricevitoria del lotto, condannato per peculato ai sensi dell’art. 314 c.p. in relazione all’appropriazione di somme dovute all’Amministrazione Monopoli dello Stato.
Nel giudizio sono emerse rilevanti questioni in merito alla distinzione tra il reato di peculato e l’illecito amministrativo di ritardato versamento, con particolare riferimento all’applicazione della L. n. 85 del 1990, art. 8.
Il ricorrente, nella sua qualità di concessionario di una ricevitoria del lotto, era stato condannato per essersi appropriato della somma di 23.981,66 euro, provento delle giocate del lotto, che avrebbe dovuto versare all’Amministrazione Monopoli dello Stato. Tale versamento era avvenuto solo a dicembre 2014, sebbene fosse dovuto entro giugno dello stesso anno.
Il ricorrente ha avanzato vari motivi di ricorso, principalmente incentrati su:
Violazione di legge: Sosteneva che la fattispecie dovesse essere ricondotta all’illecito amministrativo di ritardato versamento previsto dalla L. n. 85 del 1990, art. 8, norma speciale rispetto all'art. 314 c.p.
Vizio di motivazione: La difesa richiedeva la riqualificazione del fatto come "peculato d’uso", affermando che l’appropriazione fosse temporanea e che il denaro fosse stato successivamente restituito.
Qualifica di incaricato di pubblico servizio: Contestava la conferma del suo ruolo di incaricato di pubblico servizio, sostenendo che tale qualifica non fosse applicabile alla sua attività di concessionario del lotto.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati o inammissibili tutti i motivi sollevati dalla difesa.
La difesa sosteneva che il ritardo nel versamento dovesse essere sanzionato come un illecito amministrativo ai sensi dell’art. 8 della L. n. 85 del 1990, il quale prevede una sanzione pecuniaria per il mancato rispetto dei termini di versamento. Tuttavia, la Corte ha chiarito che tale norma punisce la mera omissione di un obbligo amministrativo, mentre il peculato, disciplinato dall’art. 314 c.p., richiede una condotta appropriativa, ossia una "interversio possessionis". Il peculato si configura quando l’agente si comporta uti dominus, come proprietario del denaro, e non come semplice ritardatario.
La Corte ha respinto l’argomentazione del ricorrente che invocava una riqualificazione del reato come peculato d’uso. Questo, infatti, presuppone un utilizzo temporaneo e restituzione del denaro appropriato, ma nel caso in esame, il comportamento del ricorrente ha dimostrato un chiaro intento appropriativo, essendosi trattenuto le somme per un lungo periodo senza alcuna giustificazione valida.
Infine, la Cassazione ha confermato che il ricorrente, in quanto concessionario del gioco del lotto, era da considerarsi incaricato di pubblico servizio. Tale qualifica si applica a chi, pur non essendo dipendente pubblico, svolge funzioni di rilevanza pubblica, come la raccolta di proventi per conto dello Stato.
La pronuncia conferma un consolidato principio in materia di peculato: la responsabilità penale sussiste quando è evidente un intento appropriativo, dimostrato dal comportamento dell’agente. La Corte ha ribadito che non basta il mero mancato rispetto di un termine amministrativo per configurare il reato di peculato, ma è necessaria la presenza di elementi fattuali che dimostrino che l’agente si sia comportato come proprietario del denaro.
Inoltre, la sentenza fornisce chiarimenti importanti sulla distinzione tra l’illecito amministrativo di cui all’art. 8 L. n. 85 del 1990 e il reato di peculato, specificando che quest’ultimo non può essere assorbito dalla disciplina amministrativa, essendo caratterizzato da un grado di offensività superiore.