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Calunnia: non sussiste in caso di dubbio sull'innocenza dell'incolpato


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

In tema di calunnia, la consapevolezza del denunciante in merito all'innocenza dell'accusato è esclusa qualora la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Cassazione penale , sez. VI , 18/02/2020 , n. 12209).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 18/02/2020 , n. 12209

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la condanna di A.G. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 372 e 368 c.p., commessi il (OMISSIS). L'imputato, sentito come teste nel procedimento penale a carico di Ac.Ma. ed altri aveva negato, contrariamente a quanto affermato in sede di indagini preliminari dinanzi alla Guardia di Finanza nel verbale del 9 luglio 2007, di avere effettuato una operazione di cambio assegni ad una persona, di cui non ricordava il nome, accompagnata dal maresciallo L. ed aveva incolpato falsamente gli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano redatto il verbale del 9 luglio del reato di falso affermando di non avere reso, nei termini in cui erano state documentate, le sommarie informazioni e di avere reso dichiarazioni diverse rispetto a quelle verbalizzate che non aveva riletto.


2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., il difensore denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dei reati in presenza della causa esimente speciale di cui all'art. 384 c.p., comma 2. Deduce, in particolare, che l' A. avrebbe dovuto essere escusso ai sensi dell'art. 210 c.p.p., e non come testimone, non essendo estraneo ad ipotesi criminose concorsuali o collegate, che imponevano al giudice di assumerne le dichiarazioni con le modalità di cui agli artt. 63,64 e 210 c.p.p. ed è irrilevante che al momento della escussione egli non rivestisse la qualità di indagato in concorso con il maresciallo L. dovendosi avere riguardo alla posizione sostanziale quale emergeva dalle dichiarazioni rese, sull'operazione di cambio assegno, e dalla circostanza che l'assegno era di natura illecita perchè sequestrato dal pubblico ministero. L'operatività della scriminante, trattandosi di ipotesi che, nella falsa deposizione testimoniale, comprende anche una falsa incolpazione, è idonea a travolgere non solo il giudizio di colpevolezza del delitto di cui all'art. 372 c.p. ma anche di quello di calunnia non essendo conclamata la palese falsità delle accuse che non sono consistite nella prospettazione di un condizionamento dichiarativo o di suggestivi spunti ricostruttivi indirettamente attribuiti agli operanti;


2.1. violazione di legge, in relazione agli artt. 207 e 533 c.p.p., poichè, nonostante la richiesta di trasmissione del verbale delle dichiarazioni all'esito della escussione dell' A. e della riserva del Tribunale, non si rinviene agli atti traccia della trasmissione sicchè deve ritenersi che il Pubblico Ministero abbia, di sua iniziativa, esercitato l'azione penale nei riguardi del testimone;


2.2.violazione di legge, in relazione agli artt. 376 e 207 c.p.p. poichè dal combinato disposto delle norme, si deduce che solo all'esito del dibattimento può essere esercitata l'azione penale per il reato di falsa testimonianza, potendo il dichiarante ritrattare la propria versione fino al termine del dibattimento;


2.3. violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza del reato di falsa testimonianza poichè non è accertata la rilevanza e pertinenza delle dichiarazioni con riferimento alla situazione processuale esistente al momento in cui il reato era stato consumato;


2.4. violazione di legge, in relazione agli artt. 129 e 368 c.p., poichè il reato ascritto ai verbalizzanti, commesso il (OMISSIS), era prescritto al momento della escussione in dibattimento e, quindi, le accuse erano inidonee, anche in astratto, a determinare l'inizio dell'azione penale a carico dei verbalizzanti.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.


2.Sono indeducibili i motivi di ricorso che concernono le modalità di acquisizione della notitia criminis che ha determinato l'avvio del procedimento per falsa testimonianza e calunnia a carico dell' A., sub 2.1 e 2.2 del Ritenuto in fatto, e il primo motivo di ricorso con il quale, avuto riguardo all'erronea veste processuale di A.G. al momento della escussione in dibattimento, il ricorrente denuncia la mancata applicazione dell'esimente di cui all'art. 384 c.p.. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, A.G. avrebbe dovuto essere assunto, nel processo a carico di Ac.Ma. ed altri, non come testimone ma ai sensi dell'art. 210 c.p.p., a prescindere dalla mancata formale qualità di indagato in procedimento connesso o collegato.


Si tratta, invero, della denuncia di vizi di violazione di legge che non sono stati dedotti con i motivi di appello e, quanto alla mancata applicazione della esimente, di un motivo di impugnazione che prèsuppone una questione, quella della inutilizzabilità delle dichiarazioni rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo - formulata in termini astratti anche con l'odierno ricorso.


Questa Corte ha affermato che il giudice, ai fini della verifica della qualità di testimone o di indagato di reato connesso, e della conseguente valutazione di utilizzabilità delle dichiarazioni rese, deve tenere conto di eventuali cause di giustificazione, ove queste siano di evidente ed immediata applicazione senza la necessità di particolari indagini o verifiche (Sez. 1, n. 40832 del 08/06/2017 - dep. 24/09/2018, M, Rv. 27396901), situazione, questa, che non emerge ictu oculi dalle prospettazioni difensive svolte con i motivi di ricorso ove viene richiamata la natura illecita dell'assegno sol perchè oggetto di sequestro, misura che, dalla ricostruzione compiuta nella sentenza di primo grado, risulta essere stata adottata successivamente al pagamento del titolo.


Rileva, inoltre, il Collegio che la trasmissione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice del dibattimento perchè proceda nei confronti del testimone sospettato di falsità o reticenza e del testimone renitente, non costituisce una condizione di procedibilità dell'azione penale per il reato di falsa testimonianza (Sez. 6, Sentenza n. 23478 del 19/04/2011, De Caro, Rv. 250097) di talchè anche ove non vi fosse stata tale trasmissione, come ipotizzato dal ricorrente, neppure si è in presenza di una questione di inutilizzabilità, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del processo.


3. I motivi di ricorso che concernono la responsabilità sono generici e manifestamente infondati.


4.La Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, ha esaminato e ritenuto infondate le deduzioni difensive, sulla insussistenza dell'elemento psicologico dei reati di falsa testimonianza e calunnia, evidenziando che la preoccupazione dell'imputato dell'eventuale apertura di un procedimento penale per il cambio dell'assegno, era relativa ad un motivo dell'agire irrilevante ai fini della esclusione del dolo.


La sintetica motivazione della Corte territoriale va esaminata alla luce dei motivi di impugnazione proposti in sede di appello ed incentrati sul dubbio che l' A., avendo sollevato personali incongruenze sull'operato dei finanzieri, avesse coscienza e volontà di incolpare taluno del reato di falso pur sapendoli innocente.... essendo più che probabile, invece, che A.G. avesse mutato la propria versione in quanto preoccupato di un ipotetico procedimento a suo carico come responsabile per il cambio assegno. Si tratta di un'argomentazione, connotata da evidenti tratti di specificità anche rispetto alla ricostruzione compiuta nella sentenza di primo grado, che correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto riconducibili a motivi dell'agire irrilevanti ai fini della esclusione del dolo dei reati contestati e, soprattutto, di quello di calunnia, argomentazione che neppure con il ricorso è stata oggetto di pertinenti riferimenti a situazioni oggettive e, pertanto, suscettibili di positivo apprezzamento.


Secondo i principi enunciati da questa Corte in materia di accertamento della sussistenza dell'elemento psicologico del reato di calunnia, la consapevolezza del denunciante in merito all'innocenza della persona accusata può escludersi solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà, e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6, n. 46205, del 06/11/2009, Demattè, Rv. 245541; Sez. 6, n. 27846, del 10/06/2009, Giglio, Rv. 244421). La giurisprudenza di legittimità ha chiaramente tracciato una linea di discrimine, stabilendo che se l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia, l'omissione di tale verifica o rappresentazione viene a connotare effettivamente in senso doloso la formulazione di un'accusa espressa in termini perentori. Di contro, solo quando l'erroneo convincimento riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sè non descritta in termini difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità potrebbe apparire dominata da una pregnante inferenza soggettiva, come tale inidonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di calunnia. Ne discende che l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto del quale non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato.


Nel caso in esame, il contenuto del verbale del 7 luglio 2007 è stato espressamente contestato dall'imputato sostenendo che erano state verbalizzate, in un atto che aveva sottoscritto senza rilettura, dichiarazioni diverse da quelle effettivamente rese, affermazioni che non sono il risultato di valutazioni o deduzioni soggettive ma incentrate su un dato fattuale ovvero un accadimento storico (la verbalizzazione di cose diverse da quelle dichiarate e la mancata rilettura), frutto, secondo la lettura dei giudici del merito, di un'artata descrizione tanto più evidente ove si rifletta che nel corso dell'esame il ricorrente aveva negato circostanze di fatto (l'operazione di cambio assegni) verificate attraverso gli atti del processo. Le dichiarazioni rese all' A. si sono pertanto concretizzate in accuse specifiche, ovvero la redazione di un verbale di sommarie informazioni ideologicamente e materialmente falso, e come tali idonee e sufficienti a determinare la possibilità dell'inizio di un'indagine penale nei confronti dei verbalizzanti.


Nè rileva che le affermazioni del'imputato non sono state accompagnate dalla indicazione di ulteriori elementi, quali la prospettazione di un condizionamento dichiarativo o di veri e spunti ricostruttivi indirettamente attribuiti agli operanti, precisazioni, queste che, se riferite, avrebbero certamente arricchito la piattaforma delle accuse rivolte ai verbalizzanti ma che non sono rilevanti al fine di ritenere integrata l'accusa di falso in atto pubblico, già perfetta in tutti i suoi elementi costitutivi.


5. Il diniego della descritta operazione di cambio dell'assegno verso denaro contante integra la condotta di falsa testimonianza poichè l'operazione di cambio assegni, processualmente accertata, e le sue concrete modalità costituivano oggetto della deposizione; erano pertinenti alla causa e suscettibili di avere efficacia probatoria ai fini della formazione del convincimento del giudice in ordine sulla concreta partecipazione all'operazione ed al ruolo che vi aveva avuto il maresciallo L. non essendo, viceversa, necessario che, in concreto, il mendacio abbia avuto concreta influenza sulla decisione giudiziaria (cfr. Sez. 6, n. 51032 del 05/12/2013, Mevoli, Rv. 258507).


6. Manifestamente infondato risulta il motivo di ricorso sub 2.4. alla stregua della pacifica affermazione della giurisprudenza di legittimità secondo la quale il delitto di calunnia è realizzato anche quando il reato attribuito all'innocente è estinto per prescrizione al momento della denuncia, dal momento che l'accertamento dell'estinzione del reato presuppone comunque un'attività di verifica della configurabilità dell'ipotesi criminosa e della decorrenza del termine prescrizionale, la quale risulta in sè idonea a realizzare lo sviamento dell'amministrazione della giustizia, in quanto posta in essere sviluppando dati non veritieri (ex multis, Sez.6, n. 27081 del 26/05/2015, Ruggieri, Rv. 263935).


7.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed, essendogli imputabile la colpa nella proposizione di siffatto ricorso, al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000.00 in favore della Cassa delle Ammende.


Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Giordano Emilia Anna, viene sottoscritto dal solo Consigliere anziano del Collegio per impedimento del Presidente del Collegio, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).


Così deciso in Roma, il 7 aprile 2020.


Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2020

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