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L’archiviazione del reato per calunnia non può essere impugnata per vizio di motivazione (Cass. Pen. n. 8640/2025

Con la sentenza n. 8640/2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio in materia di archiviazione del procedimento penale e impugnabilità dell’ordinanza del GIP: l’ordinanza di archiviazione non può essere impugnata per vizio di motivazione, salvo i casi espressamente previsti dall’art. 410-bis c.p.p..

La decisione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Mauro Pieroni, che contestava l’archiviazione del procedimento per calunnia nei confronti di T., A.,D., accusati di aver presentato false denunce a suo carico.


Il caso: archiviazione della denuncia per calunnia e ricorso per Cassazione

Il ricorrente aveva denunciato T.i, ex consigliere comunale e successivamente sindaco, ritenendo che quest’ultimo avesse presentato false accuse nei suoi confronti, portandolo a subire un processo per abuso d’ufficio, dal quale era stato assolto in appello.

Il GIP del Tribunale di Fermo, con ordinanza del 29 settembre 2024, aveva archiviato il procedimento per calunnia ritenendo che:

Il reato fosse già prescritto, poiché le comunicazioni ritenute calunniose erano state trasmesse tra il 2014 e il 2015.

Non fosse configurabile il dolo, in quanto la questione giuridica sottostante era controversa e quindi gli indagati non potevano essere ritenuti consapevoli della falsità delle accuse.

Pieroni ha quindi presentato ricorso per Cassazione, contestando:

  • Nullità dell’ordinanza per difetto di motivazione

Secondo la difesa, la motivazione era manoscritta e parzialmente illeggibile, rendendo impossibile comprendere le ragioni della decisione.

Inoltre, l’ordinanza sarebbe stata apodittica, avendo escluso il dolo senza interrogare gli indagati.

  • Errata dichiarazione di prescrizione del reato

La difesa sosteneva che la calunnia si fosse rinnovata nel 2024, quando T., nelle conclusioni difensive dell’appello contro P., aveva reiterato le false accuse.

Inoltre, la decisione non aveva considerato eventuali aggravanti ex art. 61 c.p., che avrebbero potuto estendere i termini di prescrizione.


La decisione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, stabilendo che:

  • L’ordinanza di archiviazione può essere impugnata solo nei casi previsti dall’art. 410-bis c.p.p.

Non è ammesso ricorso per Cassazione per contestare la motivazione dell’archiviazione.

L’unica impugnazione possibile è il reclamo al Tribunale monocratico, ma la sua decisione è non impugnabile.

  • L’eventuale nullità dell’ordinanza non è impugnabile in Cassazione

Le nullità dell’ordinanza possono essere fatte valere solo tramite il reclamo previsto dall’art. 410-bis c.p.p.

L’eventuale vizio di motivazione non incide sulla validità dell’ordinanza, se il provvedimento è comunque intellegibile.

  • La dichiarazione di prescrizione non può essere contestata in sede di legittimità

La Corte d’Appello non ha l’obbligo di verificare d’ufficio eventuali aggravanti se non espressamente dedotte nel corso del procedimento.

La Cassazione ha confermato che il termine di prescrizione decorre dalla prima comunicazione calunniosa e non può essere rinnovato da atti difensivi successivi.

Condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione

Considerata l’inammissibilità manifesta del ricorso, la Cassazione ha condannato P.a pagare una multa di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende.

In conclusione, la sentenza ha affermato in tema di archiviazione dei procedimenti penali:

  1. L’ordinanza di archiviazione non può essere impugnata per vizio di motivazione, salvo casi eccezionali previsti dall’art. 410-bis c.p.p.

  2. L’eventuale nullità deve essere contestata con il reclamo al Tribunale monocratico, e non in Cassazione.

  3. La prescrizione del reato non può essere contestata in sede di legittimità, se il giudice di merito ha correttamente applicato i termini previsti dalla legge.

  4. Gli atti difensivi successivi non possono far ripartire il termine di prescrizione della calunnia.

  5. Chi propone ricorsi manifestamente inammissibili rischia la condanna alle spese e al pagamento di una sanzione economica.

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