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La convivenza saltuaria non basta per i maltrattamenti: va sempre chiarito il contesto relazionale (Cass. Pen. n.20129/25)

La convivenza saltuaria non basta per i maltrattamenti

1. Premessa

Con la sentenza in argomento, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la condanna per maltrattamenti inflitta a un imputato accusato di condotte violente e vessatorie nei confronti della ex compagna, invitando la Corte territoriale a distinguere con precisione tra relazioni di convivenza effettiva e situazioni parafamiliari legate alla genitorialità.


2. Il caso: due periodi di convivenza saltuaria e condotte violente dopo la separazione

L’imputato era stato condannato per maltrattamenti, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale.

La difesa aveva da tempo sollevato l’erroneità della qualificazione giuridica come maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), sostenendo che le condotte contestate erano avvenute in massima parte dopo la cessazione della convivenza, in un contesto di rapporti limitati alla gestione condivisa dei figli.


3. La giurisprudenza di riferimento: nozione ristretta di "convivenza"

La Corte aderisce all’orientamento maggioritario secondo cui, in ossequio al principio di legalità e al divieto di analogia in malam partem, le nozioni di “famiglia” e “convivenza” di cui all’art. 572 c.p. devono essere interpretate in senso restrittivo:

“Comunità connotata da una relazione affettiva stabile e da una duratura comunanza di vita, che implichi reciproche aspettative di solidarietà e assistenza”

(Cass., sez. VI, n. 31390/2023; Corte cost. n. 98/2021).

Di conseguenza, quando la relazione affettiva è ormai cessata e le condotte moleste si inseriscono in un contesto meramente genitoriale o parafamiliare, il reato configurabile è quello di atti persecutori, anche nella forma aggravata.


4. Le carenze della motivazione della Corte di appello

La sentenza impugnata è stata censurata per difetto di motivazione:

  • non ha chiarito se i comportamenti violenti siano avvenuti durante o dopo la convivenza;

  • ha richiamato genericamente le dichiarazioni della madre e degli zii della vittima, senza una chiara ricostruzione del contesto;

  • ha trascurato di verificare il requisito dell’abitualità della condotta, essenziale per integrare i maltrattamenti.

Il Collegio ha sottolineato che la convivenza, per essere giuridicamente rilevante, non può consistere in periodi saltuari e non strutturati.

Le testimonianze indirette e il materiale probatorio (tra cui una registrazione audio e messaggi WhatsApp) non sono stati valutati in modo coerente rispetto alla qualificazione giuridica.


5. Il principio affermato: netta distinzione tra reati familiari e post-relazione

La Corte richiama il monito del Giudice delle leggi a non estendere surrettiziamente la portata dell’art. 572 c.p., anche a tutela del principio di tassatività.

Una relazione connotata dalla sola continuità genitoriale non può integrare, di per sé, la nozione di “convivenza”, né può fondare la configurazione del reato di maltrattamenti.


6. Conclusioni

La sentenza impugnata è stata annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per una nuova valutazione del fatto e della sua qualificazione giuridica, con verifica del contesto temporale, della natura e dell’abitualità delle condotte contestate.


Per approfondire il tema va qui.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 22/05/2025, (ud. 22/05/2025, dep. 29/05/2025), n.20129

RILEVATO IN FATTO


1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la condanna di Ch.An. alla pena di anni quattro di reclusione per i reati di maltrattamenti e lesioni personali in danno della compagna Fo.Fe. e per il reato di cui all'art. 336 cod. pen. Con la medesima sentenza di primo grado l'imputato è stato condannato anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile ed è stato dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni.


2. Ch.An. ricorre per cassazione deducendo con un unico motivo i vizi di violazione di legge e di contraddittorietà della motivazione con riferimento alla erronea qualificazione giuridica della condotta come maltrattamenti anziché, come sollecitato dalla difesa sin dal primo grado, come atti persecutori aggravati. Sotto il primo profilo, richiamando la più recente giurisprudenza di questa Corte e la sentenza della Corte cost. n. 98 del 2021, si rileva che tutte le condotte ascritte al ricorrente sono state commesse dopo la cessazione della convivenza, definita, peraltro, dalla stessa vittima come saltuaria (dal marzo al giugno 2021 e da gennaio 2022 a marzo 2022). Si rileva, inoltre, la contraddittorietà della motivazione laddove, da un lato, ritiene configurabile il reato di maltrattamenti anche in caso di cessazione della convivenza, allorché permanga un vincolo connesso, come nel caso in esame, all'esercizio della genitorialità condivisa, e dall'altro lato, richiama la recente definizione restrittiva della nozione di "convivenza" adottata da Sez. 6, n. 38336 del 2022.


3. Il Procuratore Generale, nel concludere per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ha sottolineato la necessità che in sede di rinvio si accerti la sussistenza, l'intensità e l'abitualità delle condotte maltrattanti durante la convivenza, segnalando la genericità delle dichiarazioni rese dalla madre della persona offesa che ha riferito del "continuo comportamento aggressivo dell'imputato" che induceva la figlia, di lì a poco, a cessare la convivenza.


4. La parte civile, nel rassegnare le sue conclusioni, ha rilevato l'erroneità della tesi difensiva in quanto dall'esame del racconto della persona offesa emerge che le condotte maltrattanti sono iniziate durante la convivenza e sono proseguite dopo la sua cessazione materiale, allorché permaneva, comunque, un legame di tipo familiare o parafamiliare correlato alla genitorialità.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.


2. Secondo l'indirizzo ermeneutico maggioritario, cui il Collegio intende aderire, in tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di "famiglia" e di "convivenza" di cui all'art. 572 cod. pen. nell'accezione più ristretta, quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continuativa, sicché è configurabile l'ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all'art. 612-bis, comma secondo, cod. pen., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall'imputato dopo la cessazione della convivenza "more uxorio" con la persona offesa (Sez. 6, n. 31390 del 30/03/2023, Rv. 285087; Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436; Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, Rv. 282398 Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, Rv. 282254).


2.2. Tale soluzione appare fedele al monito della Corte costituzionale in merito all'esigenza di evitare che una interpretazione eccessivamente ampia della nozione di convivenza, pur determinata dall'intento di assicurare una più intensa tutela penale a persone particolarmente vulnerabili, possa comportare la violazione del divieto di applicazione analogica delle norme incriminatrici (Corte cost. n. 98 del 2021). Il Giudice delle Leggi, infatti, considerando l'indirizzo minoritario, condiviso dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata, che ravvisa il delitto di maltrattamenti anche in caso di cessazione della convivenza, ove permanga tra le parti una relazione legata all'esercizio congiunto della genitorialità (cfr. Sez. 6, n. 7259 del 26/11/2021, dep. 2022, Rv. 283047), ha invitato l'interprete a confrontarsi sulla compatibilità di siffatta interpretazione teleologica della fattispecie con i significati letterali dei requisiti alternativi "persona della famiglia" e "persona comunque (...) convivente" con l'autore del reato; requisiti che, ha sottolineato la Corte costituzionale, circoscrivono l'ambito delle relazioni nelle quali le condotte debbono avere luogo, per poter essere considerate penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 572 cod. pen.


3. Il tema della qualificazione giuridica della condotta, secondo i criteri sopra indicati, è stato posto dall'imputato con la memoria depositata all'udienza di discussione, ma è stato completamente ignorato dalla Corte di appello, che ha confermato il giudizio di responsabilità in ordine al reato di maltrattamenti sulla base di una non chiara ricostruzione del contesto temporale in cui sono state commesse le condotte ascritte all'imputato, se durante i due brevi periodi di convivenza o successivamente alla sua cessazione. La sentenza impugnata, infatti, premessa l'attendibilità del racconto della persona offesa (che non viene ricostruito dalla Corte territoriale), richiama genericamente le dichiarazioni rese dalla madre e dagli zii in merito al comportamento aggressivo dell'imputato, nonché il contenuto di una registrazione audio e di un messaggio whatsapp relativi a fatti successivi alla cessazione della convivenza. Tale lacuna argomentativa non può essere colmata dalla motivazione della sentenza di primo grado che, sulla base del racconto della persona offesa, ha descritto specificamente gli episodi avvenuti dopo la cessazione della convivenza, limitandosi a rinviare alla lettura dei verbali contenenti le sommarie informazioni rese dalla madre della persona offesa e da terzi, senza alcuna ulteriore indicazione in merito alle circostanze riferite dai testi.


Tali scarne indicazioni non forniscono elementi sufficienti per procedere d'ufficio ad una riqualificazione della condotta tenuta dall'imputato, essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sulla base del compendio probatorio agli atti, in merito al contesto temporale in cui si collocano le condotte tenute dall'imputato, se durante la convivenza -- nel qual caso occorrerà verificare se il numero, la qualità ed intensità degli atti vessatori sia tale da poter ravvisare il requisito dell'abitualità della condotta - ovvero solo (o anche) successivamente alla sua cessazione, configurando, in tal caso, il diverso reato di atti persecutori aggravati.


4. Alla luce di quanto sopra esposto, si impone, dunque, un annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio sulla qualificazione giuridica della condotta ascritta all'imputato.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.


Dispone, a norma dell'art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.


Così deciso in Roma, il 22 maggio 2025.


Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2025.


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