In caso di peculato è giustificata l’adozione di misure interdittive per evitare la reiterazione del reato (Cass. Pen. n. 10076/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 18 mar
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Con la sentenza n. 10076/2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di F.F., appuntato scelto dei Carabinieri, confermando la misura cautelare della sospensione per 12 mesi dall’esercizio di pubblici uffici, disposta dal Tribunale di Roma per i reati di peculato (art. 314 c.p.) e falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.).
La decisione ribadisce il principio secondo cui il peculato costituisce una grave violazione del dovere di lealtà e imparzialità, giustificando l’adozione di misure interdittive per evitare la reiterazione del reato.
Il caso: appropriazione di denaro sequestrato durante un controllo stradale
F.F., in concorso con un altro carabiniere, era accusato di essersi appropriato di una somma tra 600 e 700 euro dopo aver effettuato un controllo stradale nei confronti di M.F., conducente di un’autovettura Smart.
Il denaro sarebbe stato sottratto senza redigere alcun verbale di perquisizione.
Per coprire l’illecito, F.F. avrebbe falsificato l’ordine di servizio, omettendo di indicare l’avvenuta perquisizione e l’ammanco del denaro.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva inizialmente rigettato la richiesta di misura cautelare, ritenendo insufficienti gli indizi di colpevolezza.
Il Tribunale di Roma, su appello del Pubblico Ministero, aveva invece disposto la sospensione per 12 mesi dall’esercizio del pubblico servizio.
F.F. ha presentato ricorso per Cassazione, contestando:
L’assenza di gravi indizi di colpevolezza
La difesa sosteneva che la presunta vittima, M.F., non aveva mai dichiarato di aver visto i carabinieri appropriarsi del denaro.
La denuncia era stata presentata non dal diretto interessato, ma dallo zio, quattro giorni dopo i fatti.
Il denunciante non era stato in grado di quantificare con certezza l’importo sottratto.
L’insussistenza del pericolo di reiterazione del reato
La difesa riteneva non attuale e concreto il rischio di recidiva, basandosi sull’assenza di precedenti specifici e sulla lunga carriera senza macchie dell’indagato.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto tutte le censure, dichiarando il ricorso inammissibile e condannando F.F. al pagamento delle spese processuali.
1. Gli indizi di colpevolezza erano gravi e convergenti
Il Tribunale ha ricostruito con precisione la dinamica dei fatti, confermando l’attendibilità della vittima e la mancanza di qualsiasi giustificazione per la scomparsa del denaro.
Le dichiarazioni della persona offesa erano coerenti e prive di elementi di inquinamento.
L’omessa redazione di un verbale di perquisizione e la falsificazione dell’ordine di servizio costituivano un chiaro tentativo di occultamento del reato.
L’ipotesi difensiva secondo cui M.F. avrebbe accusato i carabinieri per coprire una sottrazione interna tra soci d’affari non era plausibile e mancava di riscontri.
2. Il pericolo di reiterazione del reato è stato valutato correttamente
Il Tribunale ha evidenziato la particolare gravità della condotta, che denotava una spregiudicatezza incompatibile con il mantenimento del pubblico servizio.
L’interdizione per 12 mesi era necessaria per impedire il ripetersi di episodi analoghi, tenuto conto del ruolo ricoperto dall’indagato.
Il Tribunale ha correttamente escluso che l’assenza di precedenti specifici fosse sufficiente a garantire che l’indagato non commettesse ulteriori illeciti.
3. La Cassazione non può rivalutare gli elementi probatori
Il controllo di legittimità della Cassazione è limitato alla verifica della correttezza della motivazione della decisione impugnata (Cass. Sez. F, n. 47748/2014, Contarini).
Non è compito della Corte rivedere il merito della ricostruzione fattuale, ma solo accertare che la decisione del Tribunale non sia affetta da vizi logici o giuridici.
Nel caso in esame, il Tribunale ha fornito una motivazione completa e coerente, escludendo qualsiasi violazione di legge.
Conclusioni
La sentenza ha affermato in materia di misure cautelari interdittive per pubblici ufficiali:
Il peculato si configura quando un pubblico ufficiale si appropria di denaro ricevuto in ragione del proprio ufficio, senza necessità di una contestazione immediata da parte della vittima.
L’omessa redazione di verbali e la falsificazione di atti ufficiali costituiscono elementi gravi che giustificano la misura cautelare interdittiva.
Il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto dalla gravità della condotta e dalla funzione ricoperta dall’indagato, anche in assenza di precedenti specifici.