
Con la sentenza n. 7525/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto in materia di misure di prevenzione (art. 4 D.Lgs. 159/2011): la pericolosità sociale attuale di un soggetto indiziato di reati di mafia non può essere presunta in modo automatico, ma deve essere valutata alla luce di tutti gli elementi concreti, inclusi quelli successivi alla condanna.
La decisione ha annullato con rinvio il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro, che aveva confermato l’applicazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nei confronti di E.Q., ritenuto vicino alla criminalità organizzata calabrese.
Il caso: misura di prevenzione applicata senza una valutazione dell’attualità della pericolosità
L’imputato era stato condannato in via definitiva a otto anni di reclusione per associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), con l’accusa di aver messo a disposizione la propria azienda per gli incontri di un clan locale.
Successivamente, la Corte d’Appello di Catanzaro, accogliendo l’appello del Procuratore della Repubblica, aveva riformato la decisione del Tribunale di primo grado, disponendo la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, ritenendo che Quattromani fosse ancora pericoloso, in quanto non erano stati acquisiti elementi positivi che provassero il venir meno dei legami con l’organizzazione criminale.
La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che:
Mancata valutazione del comportamento post-condanna
Dopo la sua scarcerazione, Q.i non aveva più avuto frequentazioni con soggetti mafiosi, si era dedicato al lavoro e non risultava coinvolto in nuovi procedimenti.
La Corte d’Appello non aveva tenuto conto di questi elementi nel valutare la sua pericolosità.
Erronea applicazione del principio della presunzione di pericolosità
Secondo la giurisprudenza, la pericolosità sociale non può essere presunta automaticamente sulla base di una condanna per mafia, ma deve essere verificata con elementi concreti.
Violazione del principio di proporzionalità
La misura applicata risultava eccessiva e ingiustificata, poiché non erano emersi nuovi elementi a carico del soggetto dal momento della sua scarcerazione.
La decisione della Corte
La Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato il provvedimento, stabilendo che:
L’attualità della pericolosità sociale deve essere accertata sulla base di elementi concreti
Non è sufficiente la condanna per mafia per applicare automaticamente una misura di prevenzione.
Il giudice deve valutare se, dopo la condanna e la scarcerazione, il soggetto ha mantenuto legami con il contesto criminale o se ha intrapreso un percorso di reinserimento sociale.
L’onere della prova della pericolosità grava sull’accusa, non sull’indagato
Non può essere richiesto al soggetto di dimostrare di non essere più pericoloso.
Spetta invece all’accusa fornire prove aggiornate e concrete della persistenza del rischio di recidiva.
La presunzione di stabilità del vincolo mafioso è relativa e deve essere superata da elementi di fatto
La giurisprudenza ha chiarito che, pur essendo legittima una presunzione relativa di pericolosità sociale per i soggetti condannati per mafia, tale presunzione può essere superata se emergono dati che dimostrano un mutamento della condotta.
Le decisioni di prevenzione devono essere motivate in modo rafforzato
La Corte d’Appello aveva applicato la misura senza esaminare adeguatamente gli elementi dedotti dalla difesa, limitandosi a confermare la pericolosità sulla base di considerazioni generiche.
Un tale deficit di motivazione rende il provvedimento illegittimo.
Conclusioni
La sentenza afferma in materia di misure di prevenzione:
La pericolosità sociale non può essere presunta automaticamente sulla base di una condanna per mafia, ma deve essere valutata alla luce di elementi concreti e aggiornati.
La misura di prevenzione deve essere applicata solo se vi è una motivazione rafforzata che dimostri il pericolo attuale di recidiva.
L’onere della prova grava sull’accusa, che deve dimostrare la persistenza della pericolosità sociale.
La riabilitazione sociale del soggetto deve essere tenuta in considerazione, e non può essere ignorata nella valutazione del pericolo di recidiva.
La Cassazione può annullare i provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione se la motivazione è carente o se il giudice ha omesso di valutare elementi essenziali.