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Il porto di un'arma in un locale commerciale non è scriminato dal rapporto pertinenziale con l’abitazione (Cass. Pen. n. 7228/2025)

machete

Con la sentenza n. 7228/2025, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affrontato una questione giuridica di particolare rilievo in materia di porto d’armi e pertinenza dell’abitazione.

Il principio stabilito è chiaro: un locale commerciale non può essere considerato pertinenza dell’abitazione ai fini dell’art. 4 della legge n. 110/1975, e quindi il porto di un'arma in quel luogo integra il reato.

La pronuncia conferma una rigorosa interpretazione della norma, chiarendo che il concetto di “pertinenza” dell’abitazione deve essere valutato in base alla destinazione oggettiva dell’immobile e non alla sua vicinanza fisica all’abitazione principale.


Il caso: il machete custodito nella tabaccheria

Il ricorrente era stato condannato per il porto illegale di arma impropria (art. 4, legge n. 110/1975) a seguito del ritrovamento di un machete dietro la cassa della tabaccheria da lui gestita, adiacente alla propria abitazione.

La difesa aveva sostenuto che il locale commerciale dovesse considerarsi pertinenza dell’abitazione, escludendo così il reato, in quanto:

  • l’attività commerciale era a soli 1,5 metri dall’abitazione principale.

  • non vi era un bagno nel locale, per cui il ricorrente utilizzava quello dell’abitazione.

  • il machete non era destinato alla vendita, ma era stato ricevuto nel locale direttamente dal corriere.


Il principio di diritto

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, ribadendo che un locale commerciale non può essere considerato pertinenza dell’abitazione ai fini della normativa sul porto d’armi.

Il concetto di pertinenza non si basa sulla mera vicinanza fisica:

  • un bene può essere considerato pertinenza solo se è oggettivamente destinato al servizio dell’abitazione, e non viceversa;

  • nel caso di specie, il locale aveva una destinazione commerciale autonoma, per cui non poteva essere considerato pertinenza.

L’elemento soggettivo del reato è integrato anche in caso di errore sulla pertinenza:

  • nei reati contravvenzionali, l’errore del soggetto agente sulla liceità del fatto non è idoneo ad escludere la responsabilità, a meno che non sia stato indotto da un comportamento dell'autorità amministrativa;

  • il fatto che il ricorrente fosse convinto che il locale rientrasse tra le pertinenze non esclude la sua colpevolezza.

Il machete non era destinato alla vendita, ma questo è irrilevante:

  • la destinazione dell’arma non incide sulla configurabilità del reato, che si consuma con il semplice porto fuori dall’abitazione;

  • non è applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). Sul punto, la Corte ha ritenuto che l’assenza di specifica richiesta nei gradi di merito escludesse l'obbligo del giudice di pronunciarsi d’ufficio sulla tenuità del fatto.

Rigettata anche l’eccezione sulla prescrizione: Il reato è stato accertato nel 2021, e non nel 2010, come sostenuto dalla difesa.

Nei reati di porto illegale di armi, la consumazione dura finché l’arma viene detenuta fuori dall’abitazione, rendendo irrilevante la data di acquisto.


Conclusioni

La pronuncia ha importanti ricadute pratiche in materia di porto d’armi e concetto di pertinenza:

  • chiarisce il concetto di "appartenenza" dell’abitazione ai fini della normativa sulle armi, escludendo qualsiasi interpretazione estensiva;

  • conferma che un’attività commerciale non può essere considerata pertinenza della casa solo perché vicina o utilizzata dal proprietario per esigenze personali;

  • ribadisce il principio per cui l’errore sulla liceità del comportamento non esclude la colpa nei reati contravvenzionali.

In conclusione, chi custodisce armi in un locale commerciale non può invocare il rapporto pertinenziale con l’abitazione per giustificare il porto dell’arma fuori da casa.


La sentenza integrale



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