
Con la sentenza n. 6303/2025, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto in materia di riparazione per ingiusta detenzione (art. 314 c.p.p.): il ritardo con cui l’imputato fornisce la prova d’alibi non può automaticamente costituire colpa grave e precludere l’accesso alla riparazione per ingiusta detenzione.
La decisione ha annullato il rigetto dell’istanza di riparazione avanzata da M., assolto dall’accusa di tentato omicidio dopo aver trascorso 350 giorni in detenzione preventiva, tra carcere e arresti domiciliari.
Il caso: detenzione ingiusta per tentato omicidio e diniego di riparazione
L’imputato era stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio (artt. 56 e 575 c.p.) per l’aggressione, avvenuta il 3 agosto 2014, ai danni di A., colpito ripetutamente al capo con un bastone.
Nel 2015, il Tribunale di Foggia aveva assolto L. con la formula “per non aver commesso il fatto”, sulla base della prova d’alibi fornita dalla testimonianza dell’avvocato G., il quale aveva confermato che la sera dell’aggressione l’imputato si trovava con lui in pizzeria.
Tuttavia, nel 2024, la Corte d’Appello di Bari aveva rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, sostenendo che L. avrebbe colposamente ritardato la presentazione dell’alibi, attendendo cinque mesi prima di dichiararlo ufficialmente.
La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, contestando il concetto di colpa grave utilizzato dai giudici d’appello e sostenendo che:
L’alibi era stato dichiarato fin dal primo interrogatorio
La Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che l’alibi fosse stato fornito in ritardo, quando in realtà era già stato dichiarato ai Carabinieri nell’immediatezza dell’arresto.
La detenzione ingiusta derivava da un errore giudiziario e non da una condotta negligente dell’imputato
L’errore nell’accertamento degli orari della serata del 3 agosto era da imputare all’autorità giudiziaria, non a una condotta colpevole di L.
Il diritto al silenzio non può tradursi in una penalizzazione per l’imputato
La Corte d’Appello aveva violato il diritto dell’imputato a non rispondere, ritenendo la sua mancata difesa attiva come un comportamento negligente.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che:
Il ritardo nella prova d’alibi non costituisce automaticamente colpa grave
L’imputato aveva dichiarato il proprio alibi fin dal primo interrogatorio, e quindi non vi era alcun comportamento colposo.
Anche se l’alibi fosse stato fornito con ritardo, ciò non sarebbe di per sé sufficiente a escludere il diritto alla riparazione.
Il diritto al silenzio non può essere usato contro l’imputato
La Cassazione ha ribadito che l’imputato ha diritto a non rispondere senza che questo possa costituire un elemento di colpa (Sez. 4, n. 849/2021).
Non può essere negata la riparazione per ingiusta detenzione solo perché l’imputato non ha attivamente collaborato alle indagini.
La valutazione della colpa grave deve essere basata su un’analisi oggettiva dei fatti
Non vi erano elementi oggettivi per sostenere che il ritardo nell’alibi avesse influito sulla durata della detenzione, che era invece dovuta a una valutazione errata degli indizi da parte del giudice cautelare.
L’errore giudiziario non può essere imputato all’imputato, a meno che vi sia stata una sua condotta dolosa o gravemente negligente, che nel caso in esame non sussisteva.
In conclusione, la sentenza afferma in tema di riparazione per ingiusta detenzione:
Il ritardo nella presentazione della prova d’alibi non è sufficiente per escludere la riparazione, se l’imputato ha fornito l’informazione prima della condanna.
Il diritto al silenzio è assoluto e non può essere interpretato come una condotta negligente.
L’errore giudiziario deve essere imputabile all’imputato per escludere il risarcimento, mentre in questo caso era una valutazione errata dell’autorità giudiziaria.
La colpa grave deve essere valutata su basi oggettive e non su semplici ipotesi di comportamento poco collaborativo.