Riparazione per ingiusta detenzione: la Cassazione richiama il rispetto del giudicato assolutorio (Cass. pen. n. 17515/2025)
- Avvocato Del Giudice
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Il principio di diritto
Nel giudizio di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice non può rivalutare gli stessi elementi già scrutinati e ritenuti inidonei dal giudice della cognizione, né può attribuire valenza ostativa a comportamenti di terzi in assenza di un effettivo nesso causale con la detenzione subita (Cass. pen., sez. IV, 6 maggio 2025, n. 17515).
1. Premessa: la funzione del giudizio riparatorio e l’equivoco dell’autonomia assoluta
Il giudizio di riparazione per ingiusta detenzione, disciplinato dall’art. 314 c.p.p., è sovente il terreno in cui si misurano, in equilibrio precario, due piani di accertamento paralleli: la ricostruzione processuale di un fatto-reato e la valutazione ex ante della legittimità della custodia cautelare alla luce della condotta dell’interessato.
La sentenza in commento affronta con rigore un nodo giurisprudenziale cruciale: il rapporto tra l'esito assolutorio del giudizio di merito e la possibilità, in sede di riparazione, di valorizzare gli stessi elementi indiziari per negare l’indennizzo.
2. I fatti processuali rilevanti: assoluzione e rigetto della domanda riparatoria
La Corte d’Appello di Roma aveva rigettato la richiesta di riparazione proposta da Mo.Do., detenuto cautelarmente per un solo giorno in relazione al reato di intestazione fittizia di quote societarie (capo 5) e per un periodo maggiore in relazione all’intestazione fittizia di immobili (capo 11). In entrambi i casi, Mo.Do. era stato assolto: per insussistenza del fatto in un caso e per non averlo commesso nell’altro.
Ciononostante, il giudice della riparazione aveva ritenuto che, pur a fronte di una pronuncia assolutoria, gli elementi indiziari posti a fondamento del titolo cautelare non fossero stati “smentiti”, e che vi fosse un comportamento colposo o doloso del ricorrente tale da ostare al riconoscimento dell’indennizzo.
3. Il principio di diritto: il limite della discrezionalità valutativa del giudice della riparazione
La Corte di Cassazione annulla l’ordinanza impugnata, riaffermando un principio fondamentale: il giudice della riparazione non può valorizzare, ai fini del rigetto della domanda, elementi fattuali che il giudice della cognizione abbia ritenuto irrilevanti, neutralizzati o addirittura contraddetti nell’economia del giudizio assolutorio.
In altri termini, l’autonomia del giudizio riparatorio non si traduce in una sovranità interpretativa assoluta, ma resta vincolata ai limiti dell’accertamento fattuale già consolidato nel processo di merito. La Corte richiama ampia giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 11150/2014, Patanella; Sez. 4, n. 46469/2018, Colandrea) ribadendo che la concausalità tra la condotta dell’imputato e l’emissione della misura cautelare deve essere effettiva e verificabile, non meramente ipotetica o surrettiziamente ricostruita a posteriori.
4. La ratio decidendi: contraddizione logica e travisamento delle fonti probatorie
La Cassazione rileva che la Corte territoriale:
ha omesso di verificare il nesso eziologico tra gli elementi indiziari valorizzati e l’effettivo contenuto del provvedimento cautelare;
ha rivalutato autonomamente il fatto, assegnando agli stessi elementi una valenza dimostrativa già esclusa dal giudice dell’assoluzione;
ha attribuito rilievo a condotte di terzi (ad es. la falsità delle buste paga presentate dal fratello del ricorrente), senza alcun accertamento circa il contributo causale del ricorrente stesso.
L'intero impianto motivazionale è stato pertanto ritenuto affetto da vizio di manifesta illogicità, in quanto fondato su un travisamento del significato probatorio degli atti e su una indebita estensione del potere valutativo del giudice della riparazione.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. IV, 06/05/2025, (ud. 06/05/2025, dep. 09/05/2025), n.17515
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Roma ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen., presentata nell'interesse di Mo.Do., con riferimento alla custodia cautelare da costui subita in un procedimento, nel quale egli era stato chiamato a rispondere dei reati di concorso in intestazione fittizia di quote societarie in capo alla moglie (capo 5) dell'imputazione) e di alcuni immobili in capo al fratello Mo.Pa. (capo 11)), ritenuti viceversa riconducibili all'interessato, soggetto già condannato per associazione per delinquere di tipo mafioso e sottoposto a misura di prevenzione, condotte che sarebbero state poste in essere al fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione. Il titolo cautelare, originariamente negato dal GIP quanto al capo 5) ed emesso per il solo capo 11), era stato applicato anche per il residuo reato in sede di appello cautelare promosso dal pubblico ministero. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale aveva assolto il Mo.Do. dal capo 11) per insussistenza del fatto e dal capo 5) per non averlo commesso, avendo quel giudice ritenuto, secondo quanto riportato nell'ordinanza impugnata, con riferimento alla intestazione delle quote societarie in capo alla moglie, che Mo.Do. non aveva alcuna delega a operare sui conti societari, siccome subordinato al vero dominus di fatto (Omissis), anche quest'ultimo assolto, all'esito del giudizio di appello. La Corte della riparazione, rispetto a tale contestazione, ha intanto ritenuto che le pronunce assolutorie non avevano descritto una insussistenza dei fatti accertati, procedendo a una loro ricostruzione alla stregua dell'ordinanza applicativa con la quale era stato accolto l'appello del pubblico ministero. E, a tal fine, ha richiamato le dichiarazioni dello stesso Mo.Do. in sede di interrogatorio di garanzia, ritenendole sostanzialmente ammissive del suo ruolo di vero e proprio gestore della società, egli avendo affermato che, in seno all'ente nessuno era il "padrone", tutti dandosi da fare, quanto alla intestazione delle quote avendo anche ammesso che la decisione poteva esser stata presa per il semplice fatto di essere un sorvegliato, condizione che poteva creargli più difficoltà a firmare atti o quant'altro, senza autorizzazione da parte del magistrato.
In definitiva, la Corte capitolina ha ritenuto che la miusra disposta in sede di appello cautelare poggiasse su circostanze non smentite in sede di giudizio di cognizione, l'assoluzione essendo conseguita a quella che ha definito una fisiologica, diversa interpretazione giuridica dei fatti, con specifico riferimento
al grado del coinvolgimento gestorio del Mo.Do. nella EUROFIORI Srl, in conclusione osservando, peraltro, che costui, per tale titolo, aveva patito solo un giorno di custodia, la misura essendo stata eseguita il giorno prima della revoca disposta dal GIP.
Quanto, invece, al capo 11) della imputazione, inerente all'acquisto di due immobili intestati al fratello Mo.Pa., la misura era stata applicata orginariamente dal GIP, essendo stata eseguita a oltre un mese di distanza per lo stato di latitanza del ricorrente, essendosi ritenuto che costui, procuratore generale del fratello, che versava in precarie condizioni di salute, doveva considerarsi il vero proprietario dei beni: in particolare, quanto all'appartamento, egli ne aveva avuto la piena disponibilità, essendogli stata ivi recapitata della posta e avendovi anche ospitato persone (come era risultato da un servizio di OCP rispetto alla permanenza di St.Gi.") ed era delegato a operare sul conto, ove era confluita la somma utilizzata per l'acquisto dell'immobile sul quale le uniche operazioni erano riferibili al pagamento dei ratei del mutuo e al corrispondente accredito delle somme provenienti da un conto cointestato al fratello e alla madre dei due germani per far fronte all'esposizione debitoria. Quanto a uno dei due locali commerciali, invece, la fittizietà era stata ricavata dalla circostanza che il conduttore dell'immobile, tale Ab.Os.. aveva affermato che il proprietario era Mo.Do. Domenico Antonio, il quale si era anche occupato dei lavori di ristrutturazione e delle pratiche per la variazione della destinazione a uso commerciale. Era stato sempre il citato Mo.Do. a interloquire con le maestranze, i fornitori e i locatari, incassando anche il relativo canone di locazione. Inoltre, la Corte ha richiamato la circostanza che Mo.Pa., per ottenere i mutui destinati all'acquisto dei beni immobili, aveva falsamente attestato di svolgere attività lavorativa subordinata, egli percependo all'epoca solo una pensione INPS d'invalidità, altresì richiamando la circostanza che il richiedente si era reso latitante. La Corte della riparazione ha dato atto che secondo il Tribunale, giudice dell'assoluzione, non poteva escludersi che le iniziative del Mo.Do. fossero espressione della necessità di aiutare il fratello invalido, del quale il primo era procuratore generale, laddove il giudice dell'appello aveva riconosciuto che gli elementi dedotti dal pubblico ministero appellante costituivano sì un indizio, ma che la capacità economica del fratello destituiva di fondamento l'ipotesi dell'intestazione fittizia dei beni.
Da ciò la Corte della riparazione ha inferito che l'assoluzione, a prescindere dalla formula utilizzata, si era basata sulla impossibilità giuridica di ritenere Mo.Pa. intestatario solo fittizio dei beni, gli elementi
fattuali non essendo stati ritenuti insussistenti e neppure esclusi dai giudici della cognizione che si sarebbero limitati a offrire di essi una diversa lettura, nonostante una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, idonei a trarre in inganno l'autorità procedente in ordine alla posizione uti dominus del Mo.Do. Domenico Antonio rispetto all'appartamento, utilizzato per ricevere la posta e ospitare gli amici e rispetto ai due locali commerciali, dei quali aveva curato la trasformazione urbanistica, gestendo i lavori di ristrutturazione, reperendo i locatori e riscuotendo i canoni. In ultimo, ha richiamato le affermazioni dello stesso Mo.Do., quanto alla intestazione delle quote societarie, dalle quali ha trattao una vera e propria ammissione della circostanza che la intestazione alla moglie era stata decisa per aggirare i problemi derivanti dalla sua condizione di sorvegliato, elemento valuabile, in termini sinergici rispetto alla privazione della libertà, anche per quanto riguarda l'intetazione dei beni immobili.
2. La difesa del Mo.Do. ha proposto ricorso per cassazione, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 314, cod. proc. pen., nonché vizio di manifesta illogicità della motivazione, quanto alla valutazione del comportamento ostativo alla insorgenza del diritto azionato, procedendo a un esame inerente ai due, distinti capi d'imputazione. Così, per quanto riguarda il capo 11), ha rilevato che la Corte della riparazione avrebbe considerato a tal fine elementi neutralizzati dalla decisione assolutoria. Quanto alla delega a operare sul conto corrente del fratello, le uniche operazioni erano relative al mutuo acceso per l'acquisto immobiliare, la cui provvista proveniva anche dalla madre dei due germani, di talché la fittizietà della intestazione era rimasta dubbia, come riconosciuto anche dal GIP che aveva rigettato la richiesta cautelare per tale reato, da ciò inferendo la difesa che tale elemento era già stato valutato dal GIP che non era stato dunque tratto in errore. Anche il dato della ospitalità a St.Gi. presso l'appartamento intestato al fratello era stato valutato dal GIP che lo aveva ritenuto spiegabile alla stregua dei rapporti del soggetto con la famiglia Mo.Do.. Quanto, invece, alla ricezione della posta presso tale immobile, il deducente ha rilevato che tale circostanza non era stata considerata nell'ordinanza genetica, cosicché essa doveva ritenersi neutra in ordine alla privazione della libertà del soggetto, il giudice dell'assoluzione avendo ritenuto la circostanza non dimostrata. Inoltre, quanto alle dichiarazioni di Ab.Os.. affittuario di un locale commerciale, costui aveva smentito di averle rilasciate alla polizia, il Tribunale non avendone consentito l'utilizzo neppure ai fini delle
contestazioni, cosicché esse sarebbero parimenti inutilizzabili in sede di riparazione. Anche quanto all'intervento in favore del fratello nel disbrigo delle pratiche inerenti agli immobili, il giudice della riparazione, pur dando atto della qualità di procuratore generale del ricorrente, non ne avrebbe poi tenuto conto nel valutare il disbrigo delle pratiche inerenti agli immobili di costui, sebbene il giudice dell'assoluzione avesse ritenuto rilevante quanto emerso dalle intercettazioni, nel corso delle quali il Mo.Do. aveva affermato che l'immobile era di suo fratello, elemento a disposizione degli inquirenti ancor prima dell'emissione del titolo. Infine, quanto alle buste paga false prodotte dal richiedente il mutuo immobiliare (cioè il fratello Mo.Pa.), si tratterebbe di un elemento non valutabile ai fini d'interesse, siccome ascrivibile a terzi, anche le dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori valendo a conforto della ricostruzione alternativa rivelatasi poi rispondente alla realtà riconosciuta nelle sentenze assolutorie.
Infine, la difesa ha contestato la valorizzazione dello stato di latitanza che potrebbe rilevare ai fini in esame solo ove correlato ad altri elementi, nella specie risultati o già valutati dalla autorità giudiziaria per escludere la gravità indiziaria, o inutilizzabili o neutrallizzati dal giudizio assolutorio o non tradottisi in condotte del richiedente l'indennizzo.
Quanto, invece, al capo 5), la difesa, pur dando atto della circostanza che rispetto a esso la custodia era stata pari a un solo giorno, ha comunque contestato un comportamento del richiedente tale da poter indurre in errore il giudice della misura, essendosi trattato del comportamento di un dipendente dell'azienda della moglie.
3.Il Procuratore generale, in persona del sostituto Aldo Esposito, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
4.L'Avvocatura generale dello Stato per il Ministero resistente ha depositato memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
5. La difesa del Mo.Do. ha depositato memoria, con la quale ha insistito per l'accoglimento del ricorso con ogni conseguente provvedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va accolto parzialmente, nei termini che si vanno a esporre.
2. La Corte territoriale ha svolto la sua valutazione, muovendo dall'assunto che le sentenze assolutorie non avessero attestato l'insussistenza di alcuni elementi fattuali, dai quali ha poi inferito la ricorrenza della condizione ostativa di cui all'art. 314, co. 1, cod. proc. pen.
Tali elementi, secondo quanto esposto nell'ordinanza impugnata, sono stati indicati separatamente in ordine alle due distinte ipotesi di reato, muovendo da quella che aveva avuto a oggetto l'intestazione delle quote di EUROFIORI Srl (segnatamente: gestione dell'ente e estraneità a essa, invece, delle formali titolari, tra le quali la moglie del Mo.Do. e la convivente del (Omissis); contenuto delle conversazioni intercettate, dalle quali era emerso l'impegno continuo, tra gli altri, anche del Mo.Do., nella conduzione della società; riconoscimento come uno dei fornitori calabresi da parte dei fiorai ambulanti di Prima Porta; dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia, sostanzialmente ammissive della gestione dell'ente da parte sua e della scelta di intestarlo alla moglie in un periodo nel quale lo stesso era sottoposto a misura di prevenzione). Quanto, invece, al capo 11), inerente agli immobili intestati al fratello, gli elementi posti a fondamento del ritenuto comportamento ostativo da parte del richiedente sono costituiti dal suo stato di latitanza, dalla circostanza di aver ospitato St.Gi. presso l'immobile del fratello, dalle dichiarazioni di uno degli affittuari dei locali commerciali, dal disbrigo delle pratiche relative alla ristrutturazione degli immobili e al cambio di destinazione urbanistica, dalla riscossione dei relativi canoni, infine dalla falsità della busta paga allegata dal fratello per la concessione del mutuo immobiliare.
Rispetto all'affermazione preliminare, la Corte d'Appello ha ritenuto di dover richiamare le sentenze assolutorie, nelle quali l'insieme di tali elementi era stato valutato in ragione della posizione che il Mo.Do. ricopriva rispetto al fratello, cosicché l'assunzione di tali inziative gestorie poteva essere giustificata proprio dalla necessità di adiuvare il proprio germano. Si tratta di un insieme di elementi che la Corte d'Appello, nel rigettare il gravame della parte pubblica avverso il verdetto assolutorio, aveva considerato come un indizio, resistito tuttavia dall'accertata capacità economica del fratello che aveva tolto fondamento all'ipotesi della fittizietà dell'intestazione dei beni.
Orbene, rispetto a tale incedere argomentativo da parte dei giudici della cognizione, la Corte della riparazione ha ritenuto di poter valutare diversamente gli stessi elementi, siccome non smentiti storicamente, affermandone la valenza di indizi gravi, precisi e concordanti, idonei a indurre in errore l'autorità procedente circa il ruolo svolto dal Mo.Do., il quale aveva pure ammesso di avere optato per la intestazione delle quote societarie
alla moglie, proprio perché era sorvegliato, ragionamento che quel giudice ha ritenuto rilevante anche in riferimento alla intestazione dei beni immobili.
3. Il motivo è fondato.
Tenuto conto del tenore dei rilievi difensivi, devono operarsi alcune premesse in diritto.
In linea generale, deve ribadirsi che il giudice della riparazione per l'ingiusta detenzione, per stabilire se chi l'ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082 - 01). Infatti, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo alla insorgenza del diritto azionato ai sensi dell'art. 314 cod. proc. pen., non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell'esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell'errore dell'autorità procedente, un grave quadro indiziario a suo carico, ma ciò deve avvenire previo esame di tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, sempre che la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808 - 01). Ciò al fine di apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che - se adeguata e congrua - è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, Hosni, Rv. 276458 -01). A tali fini, peraltro, possono essere valorizzati anche elementi esterni alla incolpazione, purché abbiano contribuito a delineare il quadro indiziario posto a fondamento del titolo cautelare erroneamente emesso dall'A.G. (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, Denaro, Rv. 282565 - 01, in cui il principio è stato affermato con riferimento alle "frequentazioni ambigue").
Pertanto, può costituire condotta colposa ostativa al riconoscimento dell'indennizzo anche quella che, pur non sufficiente da sola a determinare la decisione cautelare, abbia comunque concorso a dar causa all'instaurazione dello stato privativo della libertà (Sez. 3, n. 39362 del 08/09/2021, Quarta,
Rv. 282161 - 01, in fattispecie relativa ad affermazioni autoindizianti fatte nel corso di un colloquio registrato da un soggetto all'insaputa del propalante, che, pur non avendo costituito l'elemento decisivo per l'emissione, nei confronti di quest'ultimo, della misura cautelare, aveva comunque fornito riscontro alle dichiarazioni accusatorie rese dall'autore della registrazione).
Inoltre, va ribadito che il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest'ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, Patanella, Rv. 262957 - 01) e neppure di attribuire importanza decisiva a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate dal giudice della cognizione (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, Colandrea, Rv. 274350 - 01, in fattispecie nella quale la Corte ha censurato l'ordinanza con cui la Corte d'Appello aveva ritenuto ostativa una condotta nella quale il giudice della cognizione aveva escluso che potesse rinvenirsi non soltanto una precisa responsabilità penale ma finanche un comportamento "anomalo"; n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039 - 01; n. 4952 del 24/01/2023, Ietto, n.m., in motivazione).
Infine, giova ricordare che è pur sempre necessario che emerga una concausalità degli elementi rispetto all'adozione, nei confronti dell'interessato, del provvedimento applicativo della custodia cautelare.
4. Tale verifica, nella specie, è stata condotta dalla Corte territoriale in maniera non coerente con i principi sopra richiamati.
Dalla sentenza assolutoria emergono, nei termini riportati nella stessa ordinanza impugnata, elementi in stridente contraddizione con le rassegnate conclusioni, tali da fondare il vizio di manifesta illogicità denunciato, sia quanto alla intestazione delle quote societarie, che avuto riguardo agli acquisti immobiliari.
Quanto a questi ultimi, in particolare, i giudici della assoluzione hanno letto gli elementi probatori alla luce di un dirimente elemento fattuale: il Mo.Do. era procuratore generale del proprio fratello, a sua volta dotato di capacità economica tale da giustificare gli acquisti dei quali si tratta. E, alla luce di tale elemento, hanno poi attributo valore sostanzialmente neutro alle comprovate ingerenze gestorie del Mo.Do., addirittura valutando come unico indizio ciò che la Corte della riparazione, in termini del tutto incoerenti
rispetto ai principi sopra richiamati, ha definito come un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti (il che fonderebbe addirittura la prova della penale responsabilità esclusa dai giudici del merito), idonei a giustificare la ritenuta condizione negativa.
Nel far ciò, hanno peraltro omesso di operare una fondamentale verifica, se il GIP, cioè, avesse tenuto conto di tali elementi ai fini della gravità indiziaria, accertamento indispensabile per valutarne il collegamento eziologico con l'emissione del titolo.
Ciò si pone in palese contrasto con il protocollo che il giudice della riparazione deve seguire allorquando verifichi l'esistenza di una condotta dell'istante idonea ad atteggiarsi come comportamento ostativo all'insorgenza del diritto azionato. Infatti, solo da un effettivo raffronto tra il provvedimento cautelare e l'esito processuale di merito è possibile ricavare elementi di valutazione che, utilizzati nella prima fase, siano rimasti confermati, nella loro storicità, nella seconda, salva restando la diversità dei fini dei rispettivi scrutini. L'autonomia dei due giudizi, infatti, va intesa nel senso che essi hanno un diverso oggetto, senza che ciò implichi che il giudice della riparazione possa operare, in chiave di critico dissenso rispetto al sindacato del giudice di merito, una rivisitazione della valenza dimostrativa degli elementi probatori in ordine a un determinato fatto storico, la cui ricostruzione resta quella operata dai giudici della cognizione.
Inoltre, non possono essere valutati in termini di causa sinergica rispetto alla detenzione ingiustamente subita da un soggetto, comportamenti di terzi, come ha fatto la Corte territoriale assegnando rilievo sic et simpliciter alla non veridicità di dati allegati da Mo.Pa. per ottenere il mutuo immobiliare, senza spiegare però in che modo tale condotta fosse collegata ad accertati iniziative o interventi posti in essere dall'interessato.
Allo stesso modo, quanto all'intestazione delle quote societarie di EUROFIORI Srl, sebbene il giudice dell'assoluzione avesse escluso la fittizietà della intestazione alla luce del fatto che ogni iniziativa assunta dal Mo.Do. in quel contesto societario era da inquadrarsi in un rapporto di subordinazione/dipendenza rispetto a terzi, la Corte della riparazione ha ritenuto di richiamare gli elementi valorizzati dal giudice della cautela (in quel caso il Tribunale del riesame che aveva accolto l'appello del pubblico ministero avverso il rigetto della domanda cautelare da parte del GIP), affermando che essi non erano stati smentiti in sede di giudizio, l'esito assolutorio essendo dipeso da una fisiologica, diversa interpretazione giuridica degli stessi elementi.
Anche in questo caso è evidente il vizio motivazionale, nella parte in cui la Corte ha ritenuto di assegnare agli stessi elementi scrutinati dal giudice della cognizione una valenza dimostrativa di una gestio uti dominus dell'ente che quest'ultimo aveva, invece, escluso.
5. In conclusione, l'ordinanza deve essere annullata, quanto alla valutazione della sussistenza di un comportamento dell'interessato, ostativo all'insorgenza del diritto azionato, con rinvio per un rinnovato giudizio - che tenga conto dei rilievi formulati e dei principi di diritto enunciati - alla Corte d'Appello di Roma, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità. Deve disporsi l'oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma, cui demanda la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 6 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2025