
Con la sentenza n. 8633/2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha ribadito il seguente principio in materia di sospensione condizionale della pena e prestazione di attività non retribuita a favore della collettività: la durata massima di tale attività non può superare i sei mesi, salvo che la pena sospesa sia inferiore a tale limite.
La decisione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Lecce del 29 aprile 2024, che aveva subordinato la sospensione della pena alla prestazione di nove mesi di attività non retribuita, in contrasto con il limite stabilito dalla normativa e dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite.
Il caso: applicazione errata della durata della prestazione di attività non retribuita
L’imputato era stato condannato per reati di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio (art. 73, comma 5, DPR 309/1990), resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.), con una pena complessiva di un anno, cinque mesi e dieci giorni di reclusione.
Il Tribunale di Lecce, in accoglimento di un concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.), aveva concesso la sospensione condizionale della pena, subordinandola alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per la durata di nove mesi.
La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, per i seguenti motivi:
Durata della prestazione eccedente il limite massimo di sei mesi
La Corte d’Appello aveva erroneamente stabilito una durata di nove mesi, mentre le Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 23400/2022) hanno chiarito che il limite massimo è di sei mesi.
Violazione dell’art. 165, comma 1, c.p. e delle disposizioni di coordinamento transitorie
Il provvedimento non teneva conto del combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. c.p. e 54, comma 2, D.Lgs. 274/2000, che fissano il limite massimo a sei mesi o alla durata della pena sospesa, se inferiore.
La decisione della Corte
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che:
La durata dell’attività non retribuita per la sospensione condizionale della pena non può superare i sei mesi
Le Sezioni Unite (sent. n. 23400/2022) hanno chiarito che tale attività è soggetta a un limite massimo di sei mesi, salvo che la pena sospesa sia inferiore.
Il provvedimento impugnato, imponendo nove mesi, violava questo principio e doveva essere corretto.
La Cassazione può rideterminare direttamente la durata della prestazione senza rinvio
Ai sensi dell’art. 620, lett. l), c.p.p., la Cassazione può provvedere direttamente alla correzione della durata della prestazione, senza necessità di rinvio alla Corte d’Appello.
La durata della prestazione è stata quindi ridotta da nove a sei mesi.
In conclusione, la sentenza ha affermato in tema di sospensione condizionale della pena:
I giudici di merito devono rispettare il limite massimo di sei mesi per l'attività non retribuita a favore della collettività.
Non è possibile stabilire una durata maggiore, nemmeno in base a criteri discrezionali del giudice di merito.
La Cassazione può correggere direttamente la durata della prestazione, evitando rinvii inutili e garantendo uniformità di applicazione del diritto.
Le difese devono sempre verificare il rispetto di questo limite quando la sospensione condizionale è subordinata a obblighi di prestazione lavorativa.