Concorso di persone nel reato: irrilevante la mera vicinanza ambientale senza un apporto causale concreto (Cass. Pen. n. 29372/25)
- Avvocato Del Giudice
- 15 ago
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Con la sentenza 5 agosto 2025, n. 29372, la Sezione feriale della Corte di cassazione torna a presidiare i confini applicativi dell’art. 110 c.p., riaffermando un principio di garanzia: la responsabilità concorsuale presuppone un contributo causale — materiale o morale — effettivo, consapevole e volontario, dotato di un’incidenza apprezzabile nella realizzazione del fatto tipico.
La Suprema Corte scandisce con nettezza la distinzione tra:
partecipazione materiale, che implica lo svolgimento di condotte tipiche o atipiche ma idonee, in termini di nesso causale, a concorrere alla produzione dell’evento;
contributo morale, riconducibile all’istigazione o al rafforzamento del proposito criminoso, la cui rilevanza penale è subordinata alla dimostrazione della sua efficacia concreta nel determinare o agevolare il reato.
Viene così sconfessata ogni impostazione che pretenda di fondare la responsabilità sulla sola contiguità ambientale o sulla mera conoscenza dell’azione criminosa.
Tali elementi, per quanto suggestivi in chiave indiziaria, non assurgono a prova dell’apporto concorsuale se non corroborati da evidenze che ne attestino la funzionalità rispetto alla sequenza causale dell’illecito.
Il dictum appare di pregnante rilievo, specie nei procedimenti caratterizzati da pluralità di agenti e condotte frammentarie, nei quali il rischio di una dilatazione indebita della tipicità concorsuale impone un rigoroso presidio probatorio.
In tal senso, l’arresto ribadisce che l’onere della prova grava in capo all’accusa, la quale deve dimostrare non solo il coefficiente soggettivo del dolo, ma anche la concreta incidenza della condotta nel processo di produzione dell’evento.
Principio di diritto
La responsabilità a titolo di concorso di persone nel reato, ex art. 110 c.p., esige la dimostrazione di un contributo causale, materiale o morale, consapevole e volontario, che si inserisca in modo apprezzabile nella realizzazione del fatto tipico. Non è sufficiente la mera vicinanza ambientale, la conoscenza o la condivisione dell’azione criminosa, in assenza di un apporto concreto alla sua esecuzione.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. fer., 05/08/2025, (ud. 05/08/2025, dep. 08/08/2025), n.29372
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 novembre 2024, la Corte d'Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa in data 10 marzo 2023 dal Tribunale di Genova, appellata, per quanto qui di interesse, da Za.Vi. Va.Au., La.Iu. e La.Co. pronunciava sentenza di proscioglimento, per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione, nei confronti di: a) Za.Vi. in ordine ai reati di cui ai capi B) e D), limitatamente, quanto a quest'ultimo, ai fatti di cui ai n. 8), 14), 15), 16), 17), 18), 19), 20), 23), 24), 26), 27), 29), 30), 31), 32), 33) e 34); b) La.Iu. in ordine al reato di cui al capo J), limitatamente ai fatti di cui ai n. 3), 7), 10), 11) e 12). Su concorde richiesta di Za.Vi. e del Procuratore Generale, concessa l'attenuante di cui all'art. 648-ter.l, comma terzo, cod. pen., in relazione al reato di cui al capo e) della rubrica, rideterminava la pena inflitta all'imputato, per i restanti reati, in anni quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa, revocando le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e dell'interdizione legale inflittegli. Dichiarava inammissibile l'appello proposto da Za.Vi. in relazione ai restanti motivi oggetto di rinuncia. Rideterminava la pena inflitta a La.Iu. in anni tre e mesi uno di reclusione, revocando la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici inflittale. Confermava, nel resto, la sentenza impugnata, condannando La.Co. e Va.Au. al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso la predetta sentenza Za.Vi. Va.Au. La.Iu. e La.Co. hanno proposto separati ricorsi per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo nove motivi, di seguito enunciati ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3. Ricorso Vittorio Za.Vi. (avv. Iavicoli), con cui si articolano cinque motivi.
3.1. Deduce, con il primo ed il secondo motivo - che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza, meritano congiunta illustrazione -, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 11, D.Lgs. n. 74 del 2000 e 578-bis, cod. proc. pen. quanto alla disposta confisca, e correlato vizio di motivazione, in relazione al delitto di cui al capo b) della rubrica.
In sintesi, premesso che al ricorrente è contestata la violazione dell'articolo 11, D.Lgs. n. 74 del 2000, relativamente al trasferimento, ritenuto simulato, dell'immobile sito in Omissis, Galleria Omissis, di cui lo stesso ha mantenuto il diritto di abitazione, sostiene la difesa che il trasferimento dell'immobile a favore della moglie è intervenuto in sede di separazione tra i coniugi, omologata dal Tribunale di Genova il 20 luglio 2012 con trascrizione avvenuta il 2 agosto 2012. Trattandosi di reato a consumazione istantanea, non rileverebbe a tal fine che l'accordo di separazione sia stato confermato nel ricorso congiunto di divorzio a cui era seguita la sentenza emessa il 29 giugno 2016. Richiamata a tal fine giurisprudenza di legittimità, sostiene la difesa che la prescrizione sarebbe intervenuta ampiamente già nel giudizio di primo grado, conclusosi con sentenza del Tribunale di Genova del 10 marzo 2023, trattandosi dunque di condotta che non poteva essere fatta oggetto di sanzione penale fin dal primo grado. Ne conseguirebbe che il provvedimento di confisca disposto dal giudice d'appello sarebbe stato adottato in violazione di legge trattandosi di prescrizione maturata prima della sentenza di primo grado. Conseguentemente, la sentenza deve essere annullata sul punto trattandosi di condotta in relazione alla quale è maturata la prescrizione prima della sentenza di primo grado, così come la conseguente pronuncia sulla confisca. Quanto alla disposta confisca, in particolare, viene richiamata la sentenza delle Sezioni Unite emessa il 29 marzo 2022 che consente l'applicazione del provvedimento ablatorio nelle sole ipotesi in cui emesso per fatti commessi successivamente alla entrata in vigore dell'articolo 578-bis cod. proc. pen., ossia dopo il 1 marzo 2018. Ne conseguirebbe, dunque, che non è applicabile la confisca per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore della predetta norma processuale.
3.2. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 578-bis, cod. proc. pen. quanto alla confisca disposta per il fatto-reato di cui al capo d) della rubrica.
In sintesi, si duole la difesa del fatto che la confisca dei veicoli di cui l'imputato manteneva il diritto d'uso, oggetto del proscioglimento per prescrizione in grado d'appello per i reati di cui al capo d) della rubrica, non avrebbe potuto essere disposta trattandosi di reati commessi anteriormente all'introduzione dell'articolo 578-bis cod. proc. pen., norma di natura sostanziale ed afflittiva come affermato dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza del 29 marzo 2022.
3.3. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'omessa declaratoria di proscioglimento per prescrizione ex art. 129, cod. proc. pen., quanto ai fatti-reato di cui al capo d), nn.ri 25 e 26, e correlato vizio di motivazione.
In sintesi, sostiene la difesa che i giudici di appello avrebbero omesso di dichiarare l'intervenuta prescrizione in ordine ai fatti contestati ai punti nn.ri 25 e 28 del capo d), prescrizione maturata il 2 ottobre 2024 per il fatto di cui al n. 25, ed in data 16 novembre 2024, per il fatto di cui al punto n. 28. La sanzione penale sarebbe stata pertanto erroneamente pronunciata in quanto i reati sono estinti per prescrizione, con la conseguenza che dovrebbe essere esclusa ed essendo, inoltre, necessaria la rideterminazione della pena. Anche il provvedimento di confisca deve essere revocato trattandosi di fatti commessi anteriormente al 1 marzo 2018, data in cui è entrato in vigore il disposto dell'articolo 578-bis cod. proc. pen.
3.4. Deduce, con il quinto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 11 (rectius, 5: n.d.r.), D.Lgs. n. 74 del 2000 e 157, cod. pen., quanto al capo a) della rubrica, limitatamente all'annualità 2013, e correlato vizio di motivazione sul punto.
In sintesi, premette la difesa del ricorrente che al capo a) è contestata la violazione continuata del delitto di omessa dichiarazione dei redditi relativamente alle annualità dal 2013 al 2017. Limitatamente alla prima annualità, sarebbe intervenuta la prescrizione prima del giudizio di appello, esattamente in data 18 novembre 2024, e, in quanto tale, avrebbe dovuto essere esclusa la relativa sanzione determinata in continuazione con i fatti allo stesso contestati al capo a) con i restanti capi di imputazione.
4. Ricorso Va.Au. (avv. Bosio), con cui si articola, un unico motivo.
4.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 110, cod. pen., in relazione agli artt. 43, cod. pen. e correlato vizio di motivazione quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato.
In sintesi, premette la difesa che la Corte d'Appello ha ritenuto integrato l'elemento psicologico in capo al concorrente extraneus sul presupposto della conoscenza da parte dell'intestatario fittizio del bene della finalità dell'interponente di sottrarre il bene alle pretese esecutive dell'Erario. Dopo aver osservato che, con riferimento al concorso dell'estraneo nel reato in esame, ne è stata pacificamente riconosciuta la configurabilità (posto che la natura di reato proprio del delitto di sottrazione fraudolenta non esclude la configurabilità del concorso dell'estraneo), sostiene tuttavia la difesa che la Corte d'Appello, attraverso un ragionamento deduttivo, avrebbe erroneamente ritenuto che la semplice circostanza dell'intestazione fittizia delle autovetture contenesse in sé la prova della consapevolezza circa lo status di debitore dell'Erario da parte dell'imputato principale, ossia lo Za.Vi. La Corte territoriale non avrebbe indagato e non avrebbe motivato adeguatamente sul tema relativo alla consapevolezza da parte del ricorrente della situazione debitoria nei confronti dell'Erario da parte dello Za.Vi. dando per scontato ciò che non lo è, e cioè che la semplice intestazione dei beni costituisca indice, ossia prova di consapevolezza, tale da far scattare il concorso dell'exfraneus nel reato. I giudici d'appello insisterebbero molto sulla scontata consapevolezza dell'intestatario fittizio deducendola dal fatto storico della stessa intestazione, senza tuttavia argomentare in punto di individuazione degli elementi sintomatici della consapevolezza sullo status di debitore dell'Erario dello Za.Vi. Inoltre, si osserva, la Corte d'Appello avrebbe svalutato un altro elemento, che indebolisce, fino ad annullarlo, l'effetto integratore della fattispecie, costituito dall'elemento psicologico. Secondo la difesa, infatti, la rappresentazione, consapevolezza e volontà, si estenderebbero anche a un altro elemento conoscitivo, e cioè la consapevolezza circa la capienza del patrimonio dell'interponente. In definitiva, il concorrente extraneus, affinché possa essere ritenuto integrato l'elemento psicologico, deve rappresentarsi anche una situazione di incapienza da parte del debitore dell'Erario, tale da vanificare la pretesa di riscossione.
5. Ricorsi La.Iu. e La.Co. (avv. Sciacchitano), con cui si articolano tre motivi, di cui due personali della ricorrente ed uno comune ad entrambi.
5.1. Deduce la difesa, con un primo motivo, il vizio di violazione della legge processuale, in relazione agli artt. 178,420-ter e 523, comma 5, cod. proc. pen., relativamente alla posizione processuale della ricorrente La.Iu.
In sintesi, premette la difesa che la ricorrente La.Iu. paziente oncologica, era stata sottoposta a trapianto di fegato il 12 gennaio 2023 e dimessa il successivo 24 gennaio. Al fine di consentire un costante monitoraggio del decorso post-operatorio aveva soggiornato in un appartamento messo a disposizione della struttura ospedaliera sino al 24 febbraio 2023. La difesa aveva depositato il 7 marzo 2023 un'istanza di rinvio con allegata certificazione redatta da un medico legale attestante l'assoluta impossibilità della ricorrente a comparire all'udienza del 10 marzo 2023. All'udienza, il pubblico ministero non si era opposto ed aveva chiesto che fosse disposta una visita fiscale. Diversamente, il Tribunale aveva resPi.Ca. la richiesta di rinvio con ordinanza con la quale aveva osservato che nel certificato non vi era alcuna indicazione circa l'attualità e la natura del presupposto medico accertato e posto a fondamento della dichiarazione di impossibilità di presenziare in udienza, escludendo pertanto la sussistenza di un impedimento legittimo, ed aggiungendo che la circostanza che tale certificato promanasse da un medico legale costituiva elemento che rendeva evidente la non possibilità da parte del certificatore di indicare una situazione dell'imputata che giustificasse l'asserita impossibilità. La Corte territoriale aveva poi rigettato la doglianza proposta in sede d'appello rilevando che, dal tenore del certificato, non poteva ritenersi integrata un'assoluta impossibilità dell'imputata a partecipare all'udienza, aggiungendo che l'attestatore si era limitato genericamente a ricondurre la sua asserita impossibilità presenziare all'udienza a "sue" condizioni fisiche e psichiche, senza peraltro attestare la necessità di riposo assoluto e senza indicare la natura e la portata dell'attività della condizione impeditiva, sicché non risultava che la ricorrente non potesse presentarsi in Tribunale se non esponendosi ad un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute. Secondo la difesa si tratterebbe di una motivazione censurabile, non confrontandosi minimamente con la gravità della patologia oncologica né con la delicatezza dell'intervento chirurgico a cui si era sottoposta l'imputata e, soprattutto, laddove aveva evitato un'adeguata valutazione del referto, avrebbe fatto malgoverno degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità e, segnatamente, di quanto affermato dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Omissis e dalla giurisprudenza successiva. Sostiene la difesa che la natura e la portata della serietà della condizione impeditiva risultavano chiaramente dal certificato medico depositato, ed erano comunque già note al Tribunale, apparendo singolare ritenere che l'imputata, dimessa da due settimane dopo un trapianto di fegato, potesse ragionevolmente superare tale impedimento e partecipare attivamente all'udienza. La circostanza evidenziata, secondo cui l'udienza del 10 marzo 2023 era stata disposta solo per eventuali repliche, cui le parti in realtà avevano poi rinunciato, non sembrerebbe a giudizio della difesa avere alcun pregio, poiché la ricorrente non poteva sapere ex ante se il PM avrebbe replicato o meno, fermo restando che la stessa aveva comunque diritto a chiedere l'ultima parola prima della lettura del dispositivo e che la produzione della certificazione medica attestante l'impedimento presupponeva la volontà della ricorrente di partecipare all'udienza per essere messa nelle condizioni di poter esercitare le facoltà riconosciute all'imputata dal codice di rito. Inoltre, si legge nella motivazione della sentenza, all'udienza d'appello, l'imputata personalmente comparsa non aveva inteso intervenire né aveva precisato quali dichiarazioni avrebbe voluto rilasciare al Tribunale alla detta udienza. Anche tale argomentazione meriterebbe censura poiché l'imputato deve avere la parola per ultimo se la domanda, e tale diritto sarebbe stato irrimediabilmente leso, sicché la mancata precisazione circa le dichiarazioni che avrebbe inteso rendere, a cui fa riferimento la Corte d'Appello, non potrebbe inquadrarsi in alcuna delle categorie delle sanatorie generali delle nullità. Richiamando, in particolare, una sentenza di questa stessa sezione (il riferimento è alla sentenza n. 30757/2023), sostiene la difesa che il diritto dell'imputato a partecipare all'udienza, indipendentemente dal fatto che in essa intende esercitare facoltà e diritti riconosciutigli dal sistema processuale, non può essere in alcun modo compresso.
5.2. Deduce la difesa, con un secondo motivo, il vizio di motivazione mancante e contraddittoria quanto al punto della sentenza che ha affermato la responsabilità dei due ricorrenti.
In sintesi, premette la difesa che la Corte d'Appello ha ritenuto che le dichiarazioni dei due ricorrenti circa la non fittizietà delle intestazioni dei veicoli a loro favore non sarebbero credibili. Secondo i giudici d'appello non avrebbe pregio la tesi difensiva secondo cui l'effettiva intestazione delle autovetture in favore della ricorrente avrebbe risposto alla suo volontà di costituire una dote a tutela del figlio essendo lo Za.Vi. la persona che si occupava in via esclusiva della gestione della manutenzione delle autovetture intestate alla convivente, e come la formale intestazione delle stesse all'imputato forse del tutto priva di motivate giustificazioni, posto che nel caso di prematura scomparsa dello Za.Vi. tale titolarità sarebbe stata inutile, stante l'applicabilità della disciplina della successione necessaria in favore del figlio erede legittimario. Si tratterebbe di motivazione censurabile in quanto il fatto che fosse lo Za.Vi. ad effettuare la manutenzione su autovetture, pezzi unici da collezione, non sarebbe indice di fittizietà ma si spiegherebbe coerentemente con la volontà di mantenere, e se possibile accrescere, il valore dei beni. Inoltre, la necessità di tutelare le aspettative del figlio trovava ragion d'essere nella nota volubilità dello Za.Vi., e ciò giustificherebbe la volontà da parte della convivente e madre del bambino di far intestare parte di detti beni a sé od a membri stretti della sua famiglia. La natura volubile dello Za.Vi. nei suoi rapporti sentimentali, a prescindere dall'esame reso dalla ricorrente, sarebbe emersa pacificamente nel corso del processo, atteso che, nel caso in cui lo Za.Vi. avesse rotto la relazione con la compagna, poche garanzie ne avrebbe avuto il figlio. I giudici d'appello avrebbero poi stigmatizzato le dichiarazioni rese in sede di esame dalla ricorrente ritenendole confuse e contraddittorie e, pertanto, del tutto inattendibili. Si censura tale argomentazione ritenendola illogica. Pur ammettendo effettivamente che la ricorrente nell'esposizione fu confusa, si osserva come la Corte avrebbe disatteso la tesi della ricorrente in maniera illogica quantomeno sotto tre profili. Anzitutto, laddove la Corte afferma che il figlio della ricorrente sarebbe stato garantito dalla disciplina codicistica della successione necessaria, affermazione che mal si concilia con quanto riferito dalla ricorrente circa il fatto che la garanzia in favore del figlio con cessione/donazione di auto storiche di valore alla stessa avrebbe operato in caso di abbandono del tetto coniugale da parte dello Za.Vi.; andrebbe aggiunto comunque che la volubilità di quest'ultimo non avrebbe garantito il mantenimento dell'integrità del suo patrimonio in caso di sua scomparsa e, in questo senso, l'intestazione vera delle autovetture alla madre del bambino avrebbe tutelato maggiormente l'aspettativa di quest'ultimo. In secondo luogo, si censura l'affermazione della Corte secondo cui la tesi della ricorrente sarebbe inconciliabile con il fatto della cessione di alcune vetture. Si sostiene che la cessione al Va.Au. avvenne proprio per valorizzare i cespiti in vista di una loro commercializzazione futura all'estero poiché l'immatricolazione dei veicoli presso il Principato di Monaco rende gli stessi più appetibili sul mercato internazionale. In terzo luogo, si censura la motivazione della sentenza con riferimento a quanto dichiarato dalla teste Pi.Ca. la quale aveva riferito che nel corso di una cena a casa dello Za.Vi., lo stesso le avrebbe riferito, mostrandole un modellino, di aver regalato la vettura autentica alla compagna. La Corte ha aggiunto che la Pi.Ca. riferiva quanto le era stato detto dallo Za.Vi., e poiché quest'ultimo aveva mentito, quanto riferito dalla teste sarebbe irrilevante. Si tratterebbe anche qui di argomentazione censurabile in quanto al di là di quel che aveva riferito lo Za.Vi. ciò che rileva è quanto riferito dallo stesso alla presenza della La.Iu. a terzi, che certamente avrebbe rafforzato e confermato l'affidamento della donna circa l'effettività delle intestazioni a suo favore. Aggiunge la difesa, inoltre, che la teste Pi.Ca.. nella sua testimonianza, aveva riscontrato quanto affermato dalla ricorrente in sede di esame, a sostegno dell'effettività delle infestazioni a suo favore, affermando che, in sostanza, la ricorrente aveva paura di ritrovarsi nella stessa situazione in cui si era trovata la teste, con un bambino e senza nessun tipo di cautela economica ed anche solo di una casa essendo molto intimorita dal fatto di rimanere così come era rimasta la teste. In sostanza, la motivazione della Corte in merito alla natura simulata delle intestazioni in capo alla La.Iu. degli autoveicoli storici e, comunque, in merito alla percezione che la stessa ebbe circa la natura delle prestazioni apparirebbe carente e contraddittoria. Si censura poi l'argomentazione della Corte d'Appello in punto di elemento soggettivo secondo cui la ricorrente ed il fratello avrebbero avuto la consapevolezza della finalità illecita perseguita dallo Za.Vi. di sottrarre alle risorse finanziarie derivanti dalla compravendita delle vetture di lusso alla procedura di riscossione promossa dall'Erario. Secondo la Corte, la La.Iu. era certamente a conoscenza della finalità fraudolenta dello Za.Vi. di impedire l'apprensione da parte dell'Erario dei veicoli in questione e del ricavato del loro commercio. A tal fine la Corte di appello avrebbe richiamato l'insegnamento della pacifica giurisprudenza in tema di concorso nel delitto con dolo specifico, giurisprudenza correttamente richiamata nella sentenza di primo grado. In sostanza, secondo la Corte, la consapevolezza della La.Iu. dell'intestazione fittizia delle autovetture e l'intenzione decettiva delle stesse dovrebbe inferirsi dalla abitualità del ricorso da parte dello Za.Vi. ad operazioni dì intestazione e dal fatto che gli atti simulati erano idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva promossa dall'Agenzia delle entrate. Si tratterebbe di motivazione censurabile, in quanto il principio pacifico in tema di prova di sussistenza in capo al concorrente del dolo specifico del reato in questione, non consentirebbe di superare il problema relativo alla prova circa la consapevolezza in capo alla ricorrente e in capo al fratello circa le illecite intenzioni di Za.Vi. consapevolezza che è distinta da quella della finalità perseguita, oggetto del dolo generico rispetto a quanto richiesto per la configurabilità del dolo specifico. Di quanto sopra ne sarebbe consapevole la Corte d'Appello laddove afferma a pagina 20 che la ricorrenza di un tenore di vita elevata insieme allo Za.Vi. rendeva evidente in capo alla La.Iu. il fatto di essere perfettamente a conoscenza del fatto che lo Za.Vi. non avesse mai destinato alcuna somma di denaro al pagamento delle imposte. Sempre la Corte, apoditticamente, aggiungerebbe che il numero dei provvedimenti emessi dall'Agenzia delle entrate contro lo Za.Vi. i ripetuti contatti di quest'ultimo con avvocati per la presentazione dei ricorsi, dei compensi da versare a questi ultimi per l'attività professionale con rischio di grandi pregiudizi a seguito della definitività delle procedure di riscossione dell'Agenzia delle entrate costituirebbero circostanze indicative della consapevolezza in capo alla ricorrente del fatto di agevolare l'intestazione fittizia a quest'ultima sia di conti correnti che di veicoli. Sostiene la difesa che, tuttavia, tali elementi non consentono di ritenere provata, con riferimento alla posizione degli attuali ricorrenti, la sussistenza dell'elemento psicologico. Non sussisterebbero nella motivazione alcun elemento né argomentazioni logiche che consentano di ritenere che costoro fossero a conoscenza della pendenza con l'Agenzia delle entrate e pertanto, i ricorrenti ben potevano ritenere o, meglio, gli elementi indicati dalla Corte d'Appello sarebbero compatibili con la percezione da parte dei ricorrenti che le intestazioni fossero vere, o comunque animate da altri propositi leciti. I giudici non si sarebbero dunque confrontati con la questione della sussistenza dell'elemento psicologico, mancando la prova della consapevolezza in capo alla ricorrente, e a maggior ragione in capo al di lei fratello, del fatto che lo Za.Vi. doveva pagare delle cartelle esattoriali, avendo invece fatto ricorso alla prova per presunzioni. La Corte territoriale, inoltre, avrebbe elevato a prova della conoscenza da parte della ricorrente delle finalità fraudolente del compagno il fatto che questa fosse stata la sua convivente dal 2009, registrandosi un rapporto continuativo stretto e pienamente condiviso nella gestione e nella competenza dei costosi veicoli: in cosa fosse consistito questo rapporto condiviso tra i due e come da ciò possa dedursi la volontà illecita pure in capo al fratello della ricorrente, la Corte non avrebbe tuttavia fornito alcuna motivazione. Quanto al fratello, la circostanza relativa alla comunicazione riferita alla Porsche Boxster di cui al capo J.7 inviata dallo Za.Vi. ad una compagnia di assicurazioni milanese non risulterebbe essere stata condivisa con il ricorrente, e comunque non sarebbe dimostrativa della consapevolezza della esistenza della simulazione, ma solo indicativa del fatto che la finalità era quella di pagare un premio assicurativo minore, simulazione soggettiva dunque priva di connotazioni criminali. Né sarebbe corretto inferire da un pregresso rapporto di conoscenza e stima tra lo Za.Vi. e il fratello della compagna una prova del concorso; ancora una volta la Corte sarebbe ricorso a presunzioni per soccorrere una evidente vacuità probatoria.
5.3. Deduce la difesa, con un terzo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla disposta confisca ex art. 578-bis, cod. proc. pen., limitatamente al capo j), nn.ri, 3, 7, 10, 11 e 12 per cui è intervenuta sentenza di proscioglimento per prescrizione.
In sintesi, sostiene la difesa quanto alla ricorrente La eh e che la Corte d'Appello ha dichiarato l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione di 5 episodi aventi ad oggetto intestazioni fittizie di autovetture di cui al capo J). In merito alla disposta confisca se ne chiede la revoca stante l'impossibilità di mantenerla nel caso di declaratoria di estinzione del reato intervenuta nel giudizio di appello, trattandosi di reati commessi anteriormente all'introduzione della norma processuale, che ha natura sostanziale ed afflittiva, come affermato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite del 29 marzo 2022.
6. In data 14 luglio 2025 è pervenuta requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte, con cui chiede: a) annullare con rinvio la sentenza impugnata da Za.Vi., limitatamente al termine di decorrenza della prescrizione del reato di cui al capo B) e agli effetti sulla confisca; b) rigettare il ricorso proposto da La.Iu. e La.Co.; c) dichiarare inammissibile il ricorso proposto da Va.Au.
In particolare, quanto al ricorrente Za.Vi.: il primo motivo è per il PG parzialmente fondato. Invero, occorre precisare come, per la fattispecie di reato di cui al capo B), come per i fatti di reato di cui al capo D) della rubrica, nr. 8), 14), 15), 16), 17), 18), 19), 20), 23), 24), 26), 27), 30), 31), 32), 33) e 34), per cui tutti è stata riconosciuta la prescrizione, sia intervenuta rinuncia ai motivi di gravame a seguito di concordato ex art. 599 bis c.p.p. Ciò non di meno, rispetto al solo capo B), nei motivi di appello era stata dedotta la prescrizione con termini di decorrenza differenti da quelli riconosciuti dal giudice di appello e non risulta che tale tema di gravame sia stato oggetto di espressa rinuncia ai sensi dell'art. 157 co. 7 c.p. Tanto premesso sulla ammissibilità del motivo, devono essere ricordate le coordinate ermeneutiche volte a definire i termini prescrizionali del reato per cui si procede, e segnatamente il principio secondo cui: "Il delitto previsto dall'art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato di pericolo, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare - secondo un giudizio "ex ante" - l'attività recuperatola della amministrazione finanziaria; ne consegue che per individuarne il momento di consumazione può farsi riferimento al primo momento di realizzazione della condotta finalizzata ad eludere le pretese del fisco" (Sez. 3 n. 35853 del 11/05/2016, rv. 267648; "Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte si consuma nel momento e nel luogo in cui venga posto in essere qualsiasi atto che possa mettere in pericolo l'adempimento di un'obbligazione tributaria Sez. 3 n. 23986 del 05/05/2011, rv. 250646; "Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) si consuma con il perfezionamento dell'alienazione simulata o dell'operazione fraudolenta sui propri o sugli altrui beni, essendo irrilevante la realizzazione del fine programmato dal debitore o il successivo pagamento dell'imposta"-. Sez. 3 n. 40561 del 04/04/2012, Rv. 253400). Nel caso in esame, l'atto simulato - posto in essere in ipotesi di accusa da Za.Vi. al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e delle sanzioni amministrative relativi a dette imposte - coincide con l'intestazione di un bene (da individuarsi nell'abitazione famigliare) alla coimputata Ia.Fr., avvenuta già in sede di separazione con l'atto di cessione dell'immobile, dovendosi per l'effetto fare risalire a tale epoca la condotta contestata del trasferimento effettivo del bene a terzi per rappresentare all'Erario una fittizia riduzione del proprio patrimonio in realtà non avvenuta. Né può dubitarsi che la cessione si sia perfezionata primariamente in sede di separazione, tanto da venire trascritto il relativo atto di cessione il 2.8.2012, costituendo il successivo divorzio una definizione del rapporto coniugale tra le partì in sé ininfluente rispetto al trasferimento immobiliare già realizzato. La Corte territoriale, d'altro canto, pur dando conto del concordato, ha omesso di precisare se vi sia stata rinuncia al tema della prescrizione, non rispondendo allo specifico motivo sui termini di decorrenza della stessa e, in ogni caso, non configurandola correttamente, in violazione di legge. Quanto poi alla confisca, la difesa ha lamentato violazione dell'art. 578 bis c.p.p., in quanto norma entrata in vigore solo il 1.3.2018, ossia in epoca successiva ai fatti per cui si procede.
Sotto tale profilo, il motivo è aspecifico, in quanto se è vero che l'art. 578 bis c.p.p. - che consente di mantenere ferma la confisca in caso di pronuncia in grado di appello - non può trovare un'applicazione retroattiva, ciò non vale in caso di confisca obbligatoria e diretta, come quella per cui si procede ex artt. 240 c.p. e 12 bis D.Lgs. 74/2000, avente ad oggetto beni costituenti corpo dei reati per cui si procede (Sez. 2 n. 17354 del 08/03/2023, rv. 284529). Ciò non di meno, nel caso in esame la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione è sì intervenuta con la sentenza impugnata, ma la prescrizione era maturata prima dell'accertamento della responsabilità dell'imputato con la sentenza di primo grado, il che comporta la necessità di una nuova valutazione sulla possibilità del suo mantenimento nella medesima situazione processuale sopra enunciata di confisca obbligatoria ex art. 240 c.p. e art. 12 bis D.Lgs. 74/2000. Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca disposta per i fatti di reato rientranti negli episodi di cui al capo D), nr. 8), 14), 15), 16), 17), 18), 19), 20), 23), 24), 26), 27), 30), 31), 32), 33) e 34), per cui è intervenuta sentenza di proscioglimento per prescrizione, con doglianza inammissibile a fronte della rinuncia ad ogni motivo di appello riguardante tale ipotesi di reato, non afferente neppure alla prescrizione. Si lamenta poi l'intervenuta prescrizione per i fatti dì cui ai nr. 25) e 28) del capo D), con doglianza infondata avendo la Corte territoriale tenuto conto dei periodi di sospensione della prescrizione e avendola esplicitamente calcolata per tutti gli episodi di cui al citato capo di incolpazione. Quanto al quinto motivo, si lamenta l'intervenuta prescrizione per l'annualità relativa all'anno 2013 rientrante nella contestazione di cui al capo A) per violazione continuata dell'art. 5 D.Lgs. 74/2000 per omessa dichiarazione dei redditi relativi agli anni 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017. Il motivo è inammissibile, giusto il principio per cui: "In tema di concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., è inammissibile il ricorso per cassazione volto a contestare l'omessa declaratoria di estinzione di alcuni dei reati ascritti in continuazione, quando ciò non abbia inciso sulla legalità complessiva della pena concordata, in quanto conforme alla volontà delle parti e non esorbitante i limiti edittali previsti per i reati in relazione ai quali non è decorso il termine di prescrizione alla data della pronuncia impugnata. (In motivazione, la Corte ha altresì evidenziato che le uniche doglianze proponibili contro una sentenza emanata all'esito del concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. sono quelle relative ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all'applicazione della pena illegale)"-. Sez. 5 n. 4709 del 20/09/2019, rv. 278142).
Quanto al ricorrente Va.Au.: secondo il PG, la difesa propone un motivo generico, certamente ripetitivo delle doglianze presentate in sede di appello e affrontate dalla Corte territoriale con argomenti completi e scevri dei lamentati vizi di illogicità, a cui la difesa nulla oppone, se non ribadendo un principio giurisprudenziale già stigmatizzato dalla stessa Corte come inconferente, in quanto concernente il requisito della conoscenza della incapienza del patrimonio dell'interponente applicabile nella specie al solo Za.Vi. e non al Va.Au., nei cui confronti rileva la sola consapevolezza della finalità elusiva perseguita dall'autore della condotta sanzionata dalla norma ("Il reato previsto dall'art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 è un reato di pericolo che richiede il compimento di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, che siano in concreto idonei - in base ad un giudizio "ex ante" che valuti la sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in rapporto alla pretesa dell'Erario - a rendere inefficace, in tutto o in parte, l'attività recuperatoria dell'Amministrazione finanziaria, a prescindere dalla sussistenza di un'esecuzione esattoriale in atto": Sez. 3 n. 13233 del 24/02/2016, rv. 266771). Né la difesa oppone alcuna censura al ragionamento giuridico sotteso alla formazione del convincimento sull'esistenza dell'elemento psicologico, basato su evenienze di fatto inconfutabili (quali la superfluità da parte di Va.Au. di procedere all'intestazione dei veicoli di pregio per potere procedere alla loro promozione alla vendita, la circostanza per cui tutte le vetture in realtà non erano neppure originariamente intestate a Za.Vi. ma a soggetti terzi, il rilascio di un mandato a vendere le macchine a favore di Za.Vi. il rapporto di fiducia necessariamente esistente tra i due e altro).
Quanto, infine, ai ricorrenti La.Iu. e La.Co.: il primo motivo della La.Iu. pone per il PG doglianze manifestamente infondate ed aspecifiche, in quanto meramente volte ad insistere sulla natura assoluta dell'impedimento che avrebbe giustificato la fondatezza della richiesta a fronte della gravità della patologia della prevenuta (per essere stata sottoposta la La.Iu. in data 12.1.2023 ad un trapianto di fegato), già foriera di un primo rinvio dell'udienza del 13.1.2023, ma senza una precisa specificazione - secondo il giudicante - nel certificato medico, delle attuali difficoltà di deambulazione dell'imputata. Si richiede, pertanto, sostanzialmente, una mera differente lettura di detto certificato, con doglianza priva di pregio. Quanto al secondo motivo a favore di entrambi i ricorrenti, è manifestamente infondato per genericità, in quanto esplicitamente volto a mettere in discussione i criteri valutativi di natura logica proposti dal giudicante per analizzare la genuinità e coerenza intrinseca ed estrinseca del narrato dell'imputata, semplicemente confutandoli nel merito e proponendone di alternativi, sostenendo segnatamente la linea difensiva di una intestazione avvenuta, a dire della ricorrente, per tutelare la posizione del figlio in caso di morte prematura di Za.Vi. contraddetta nel ragionamento logico della Corte - obliterato dal richiedente - con l'evenienza fattuale per cui la La.Iu. non avrebbe mai ricevuto alcunché dal correo come conseguenza della vendita delle vetture di lusso a lei intestate, a riprova dell'esistenza di sole finalità elusive ai danni dell'Erario da parte del convivente. Né vengono offerte doglianze specifiche per confutare il ragionamento probatorio volto a riconoscere l'elemento soggettivo del reato, se non che proponendo questioni di merito (sulla mancata cognizione da parte di La.Iu. degli avvisi di accertamento notificati dall'Agenzia delle Entrate e del complesso di vicende tributarie affrontate da Za.Vi. durante la convivenza con la compagna), ampiamente disattese dal giudicante con verifiche sulle dichiarazioni dell'imputata (che non avrebbe lei stessa affermato di non essere stata a conoscenza delle azioni legali promosse dagli uffici finanziari nei confronti di Za.Vi.) e sulle condizioni di fatto in cui avveniva la vendita dei veicoli di lusso intestati all'imputata, stante operazioni di vendita con accrediti su conti correnti intestati alla La.Iu. ma nella disponibilità di Za.Vi. che operava in via esclusiva sugli stessi, nonché la piena condivisione degli interessi economici e di vita tra i due correi. La precisazione sulla ripetitività e sul numero di operazioni di intestazioni fittizie a favore dei congiunti dell'imputata (nei confronti dei fratelli La.Co. e La.Ge. o della madre La.Co., necessitante un certo consapevole coordinamento tra la La.Iu. (e gli altri soggetti interposti) e Za.Vi., rappresenta poi un'altra valida prova logica a carico dei ricorrenti sulla loro consapevolezza delle finalità frodatone delle operazioni, con cui la difesa in effetti non si confronta. La difesa invoca poi l'annullamento della confisca delle autovetture oggetto delle imputazioni di cui al capo J), n. 3), 7), 10), 11) e 12) per cui è intervenuta sentenza di estinzione del reato per prescrizione, invocando l'erronea applicazione dell'art. 578 bis c.p.p. che, in quanto norma di natura sostanziale, non potrebbe trovare applicazione prima dell'entrata in vigore della legge ("La disposizione di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall'art. 6, comma 4, D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore" (Sez. Un. n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, rv. 284209). Tuttavia, il motivo è aspecifico, in quanto se è vero che l'art. 578 bis c.p.p. non può avere un'applicazione retroattiva, ciò non vale in caso di confisca obbligatoria e diretta, ex artt. 240 c.p. e 12 bis D.Lgs. 74/2000, avente ad oggetto beni costituenti corpo dei reati per cui si è proceduto ("In tema di confisca "per equivalente", trova applicazione, per la natura di diritto sostanziale dell'istituto, il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli al reo, sicché risulta preclusa l'applicabilità della previsione dell'art. 578-bis cod. proc. pen., relativa alla confisca in caso di estinzione del reato per prescrizione. (In motivazione, la Corte ha precisato che la natura "per equivalente" della confisca deve essere accertata rigorosamente, posto che la confisca "diretta" è qualificabile come misura di sicurezza e può, pertanto, essere applicata anche in caso di prescrizione del reato, nel caso in cui vi sia stata condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria)": Sez. 2 n. 17354 del 08/03/2023, rv. 284529).
7. In data 25 luglio 2025 è stata depositata telematicamente memoria con conclusioni scritte a firma dell'Avv. Giuseppe Sciacchitano nell'interesse dei ricorrenti La.Iu. e La.Co., con cui, in replica alle conclusioni del Procuratore Generale, si insiste nell'accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi trattati cartolarmente senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610, comma 5 e 611, comma 1-bis e ss., cod. proc. pen. Sono inammissibili, salvo ai primi due motivi proposti dalla difesa Za.Vi. sulla confisca, che sono invece fondati.
2. Seguendo nella risoluzione dei motivi di ricorso l'illustrazione che precede, devono anzitutto essere esaminati i motivi di ricorso proposti dalla difesa dello Za.Vi. che, come anticipato, sono inammissibili, ad eccezione dei primi due motivi relativi alla confisca dell'unità immobiliare dianzi descritta.
3. Ed invero, muovendo dalla disamina dei primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per l'omogeneità dei profili di doglianza mossi e in ragione dell'intima connessione tra loro esistente, se ne deve rilevare la fondatezza, come del resto congiuntamente richiesto dalle parti.
3.1. Risulta dalla lettura della sentenza impugnata che lo Za.Vi. ebbe a concordare con il Procuratore Generale, ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc. pen. (riducendo la misura della pena pecuniaria indicata nella proposta e nel consenso scritti depositati l'I 1 novembre 2024), l'accoglimento dei motivi di appello aventi ad oggetto la concessione dell'attenuante di cui all'art. 648 ter. 1, comma terzo, cod. pen., in relazione al reato di cui al capo E) della rubrica, e la riduzione della pena inflitta al predetto, rinunciando ai restanti motivi di gravame.
3.2. Tanto premesso, la sentenza di primo grado è stata parzialmente riformata e confermata nel resto, anche con riferimento alle disposte confische, avendo lo Za.Vi. espressamente rinunciato ai motivi di appello concernenti l'avvenuta applicazione della misura ablativa ed allo specifico motivo di appello di cui al punto 9).
In particolare, quanto alla confisca dell'immobile di cui al capo B), commesso sino al 29/6/2016, data della pronuncia della sentenza di divorzio tra Za.Vi. e Ia.Fr., di conferma ed aggiornamento degli accordi intervenuti in sede di separazione, la stessa è stata confermata, trattandosi di confisca obbligatoria e diretta, ex artt. 240 cod. pen. e 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, avente ad oggetto beni costituenti corpo dei reati per cui si è proceduto, sicché la Corte territoriale ne ha ritenuto l'applicazione anche in caso di sopravvenuta prescrizione, dopo la condanna in primo grado, richiamando a tale fine giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, n. 17354 dell'8 marzo 2023, Rv. 284529).
3.3. Orbene, quanto all'eccepita estinzione del reato per prescrizione, risulta che il ricorso per separazione consensuale di Ia.Fr. e Za.Vi. venne omologato in data 20 luglio 2012. La trascrizione dell'atto di cessione dell'immobile a vantaggio della Ia.Fr. reca la data del 2 agosto 2012. La sentenza di divorzio tra Ia.Fr. e Za.Vi. è del 29 giugno 2016. Risulta dalla sentenza di primo grado che, nell'accordo di separazione, vennero ricompresi la quasi totalità dei beni allora intestati a Za.Vi., in particolare, per quanto di interesse, l'immobile di proprietà sito in Galleria Omissis e varie autovetture di grande valore, una serie di arredi (quali ad esempio, tende, appliques per il bagno, tutti gli oggetti presenti in ogni singola stanza) ed elettrodomestici facenti parte dell'immobile di Galleria Omissis. Rispetto a tutti i beni trasferiti, Za.Vi. conservava il diritto di uso.
3.4. Sostiene la difesa che il reato sub b) doveva ritenersi prescritto fin dal 2/8/2020, individuandosi quale dies a quo il 2/8/2012, sicché, trattandosi di prescrizione intervenuta prima della pronuncia della sentenza di primo grado (10/3/2023) doveva essere disposto il dissequestro dell'immobile e la sua restituzione alla Ia.Fr.
3.5. Rileva il Collegio che - al netto dell'errore difensivo nella determinazione del calcolo del termine di prescrizione, fissato nel massimo in anni 7 e mesi 6 (posto che l'elevazione di un terzo dei termini di prescrizione prevista dall'art. 17, comma 1 -bis, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è applicabile a tale reato, in quanto tale disciplina si riferisce ai soli delitti previsti dagli artt. da 2 a 10 del D.Lgs. citato: tra le tante, Sez. 3, n. 2519 del 14/12/2021, dep. 2022, Pistocchi, Rv. 282707 - 01), aumentato del periodo di sospensione pari a mesi sei e giorni diciassette, nel giudizio di primo grado, e giorni sessanta, nel giudizio d'appello, determina il maturarsi del termine di prescrizione, individuato il dies a quo nel 2/08/2012, alla data del 18 ottobre 2020 - è indubbio che il reato sub b) si è estinto per prescrizione a tale data, antecedente alla sentenza di primo grado.
3.6. Coglie nel segno, in particolare, l'obiezione difensiva (essendo legittimata a var valere l'intervenuta prescrizione, posto che nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza: Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481 - 01), trattandosi di reato a consumazione istantanea, non rilevando a tal fine che l'accordo di separazione sia stato confermato nel ricorso congiunto di divorzio a cui era seguita la sentenza emessa il 29 giugno 2016.
Questa Corte ha già affermato, infatti, che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, per la sua natura di reato di pericolo eventualmente permanente, si perfeziona al realizzarsi della condotta finalizzata a eludere le pretese del Fisco e la sua consumazione si protrae nel caso in cui siano posti in essere ulteriori atti simulati o fraudolenti, sicché i termini di prescrizione decorrono dal compimento dell'ultimo atto idoneo a mettere a repentaglio le ragioni esecutive dell'erario (in motivazione, si è peraltro precisato che gli ulteriori atti devono essere in grado, "ex se", di ledere il bene giuridico tutelato, ritenendo irrilevante che, nel caso di specie, dopo la vendita simulata di un immobile a una società, realizzata dagli indagati onde sottrarsi alle azioni esecutive per il pagamento di debiti tributari, la società acquirente avesse concesso in locazione quell'immobile a uno degli indagati: Sez. 3, n. 8659 del 12/09/2023, dep. 2024, Saad, Rv. 285960 - 01).
3.7. Nel caso in esame, il ricorso per separazione consensuale di Ia.Fr. e Za.Vi. venne omologato in data 20 luglio 2012 e la trascrizione dell'atto di cessione dell'immobile a vantaggio della Ia.Fr. reca la data del 2/8/2012. È questo, infatti, il momento consumativo del reato, in quanto l'intervenuta trascrizione dell'atto di cessione dell'immobile a vantaggio della Ia.Fr. costituiva ex se l'atto fraudolento idoneo a mettere in pericolo la procedura di riscossione coattiva dell'Erario, non rilevando che l'accordo (riportato già nel ricorso congiunto per il divorzio, omologato il 20 luglio 2012 dal Tribunale di Genova), fosse stato poi seguito dalla sentenza di divorzio pronunciata il 29 giugno 2016.
Il decreto di omologazione della separazione - anche alla luce della giurisprudenza civile di questa Corte (per tutte: Cass. Sez. U., 29/07/2021, n. 21761, Rv. 661859 - 01; Cass. Sez. 1, 30/01/2017, n. 2224, Rv. 643507 - 01) -costituiva valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 cod. civ., con la conseguenza che gli effetti dell'atto fraudolento decorrevano dalla data della trascrizione, ciò che determinava la consumazione del delitto di cui all'art. 11, D.Lgs. n. 74 del 2000. Ed infatti, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il termine prescrizionale dello stesso inizierà a decorrere solo dal compimento dell'ultimo atto, simulato e comunque fraudolento, avente l'idoneità a mettere a repentaglio le ragioni esecutive dell'Erario in materia tributaria (Sez. 3, n. 8659 del 12/09/2023, dep. 2024, Saad, Rv. 285960 - 01).
3.8. La motivazione della Corte d'Appello, sul punto, non convince, laddove afferma che "quanto alla confisca dell'immobile di cui al capo B), commesso sino al 29/6/2016, data della pronuncia della sentenza di divorzio tra Za.Vi. e Ia.Fr., di conferma ed aggiornamento degli accordi intervenuti in sede di separazione", in ultima analisi ritenendo che la consumazione sia proseguita sino alla data di pronuncia della sentenza di divorzio.
Tale argomentazione, tuttavia, non appare in alcun modo condivisibile, posto che, nei reati eventualmente permanenti il ripetersi delle condotte per essere penalmente rilevante deve essere tale da costituire di per sé la riproduzione di altri atti aventi l'idoneità a ledere il medesimo bene-interesse tutelato, cioè, nel caso in esame, la possibilità per l'Erario di agire esecutivamente aggredendo il patrimonio del contribuente inadempiente.
In altre parole, si vuole qui ribadire che, per determinare la situazione dì perdurante consumazione del reato, le condotte successive al compimento del primo degli atti simulati o fraudolenti idonei a mettere a repentaglio le ragioni esecutive dell'Erario, devono essere costituite da una o da altre condotte aventi a loro volta le medesime caratteristiche lesive della prima (si immagini il caso in cui il soggetto, con diversi e successivi atti - anche fra loro aventi una diversa tipologia, si immagini donazioni, cessioni o acquisizioni di debiti - depauperi il proprio patrimonio, cedendone le varie componenti attive simulatamente a terzi ovvero assumendo fraudolentemente ulteriori obblighi, prioritari rispetto a quello tributari, così sottraendo i propri averi alla garanzia generica da essi costituita verso l'Erario perle obbligazioni tributarie gravava sull'obbligato "cedente") e non, semplicemente, una qualche condotta, non dismissiva ma gestionale, che abbia ad oggetto il bene originariamente alienato in maniera simulata.
Nel caso in esame, la pretesa protrazione della lesione derivante dalla commissione del reato di cui all'art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, viene individuata, dai giudici di merito, nell'intervenuta pronuncia della sentenza di divorzio in data 29 giugno 2016. Ma, si osserva, un tale atto, non comportando alcun "nuovo" effetto pregiudizievole per l'Erario (già intervenuto alla data dell'omologazione dell'accordo di separazione e della successiva trascrizione) non ha, di per sé, alcuna attitudine a rendere, se così si può dire, maggiormente inefficace la procedura coattiva di riscossione in capo all'Erario, rispetto a quanto non fosse già avvenuto in occasione del simulato atto di cessione dell'immobile in questione alla Ia.Fr. da parte del ricorrente.
In altri termini non è il fatto della pronuncia della sentenza di divorzio ad avere reso più difficile il recupero dell'immobile, ma la sua appartenenza al terzo, concretatasi, nelle specie, nella cessione, trascritta, del bene alla Ia.Fr. oggetto dell'accordo di separazione omologato il 2 agosto 2012. Pertanto, l'affermazione fatta dal giudice di appello secondo cui il reato si sarebbe consumato alla data della pronuncia della sentenza di divorzio, si fonda su di una ricostruzione del reato, eventualmente permanente, erronea, in quanto risulta essere il frutto dell'avvenuta confusione del parametro della permanenza del reato (legata alla esistenza di una ulteriore condotta, sebbene la stessa possa essere anche omissiva, posta in essere dall'agente che determina la protrazione e l'approfondimento della lesione del bene interesse tutelato), con quello della permanenza degli effetti dello stesso (fenomeno legato, invece, alla naturale persistenza della lesione inferta con la condotta istantanea).
3.9. Ciò posto, considerato che appare pacifico che, nel caso di specie, l'atto con cui la Ia.Fr. ha acquistato la disponibilità dell'immobile di cui al capo b) è l'accordo di separazione consensuale trascritto in data 2 agosto 2012, ed essendo questo l'unico atto, simulato o comunque fraudolento attraverso il quale è stato perseguito lo scopo di rendere inefficace la pretesa esecutiva dello Stato verso il ricorrente, appare emergere in termini di sufficiente chiarezza l'intervenuta consumazione del termine prescrizionale del reato in contestazione antecedentemente alla data della sentenza di primo grado, e, conseguentemente, l'impossibilità di adottare provvedimenti ablativi (nella specie, la confisca diretta) ai sensi dell'art. 12-bis del D.Lgs. n. 74 del 2000 in relazione al bene costituente, attraverso la sua sottrazione all'azione esecutiva pubblica, il profitto del commesso reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434 - 01). In primo grado, infatti, non poteva essere disposta la confisca né diretta né per equivalente del profitto del reato contestato al capo b) perché non poteva essere emessa sentenza di condanna, a fronte della intervenuta estinzione del reato per maturata prescrizione già prima della pronuncia della sentenza (si v., nella giurisprudenza successiva, ad esempio, in materia penale tributaria: Sez. 3, n. 16681 del 07/04/2021, Paglione, non mass.).
4. Il terzo motivo è, invece, manifestamente infondato.
4.1. Ed invero, la confisca dei veicoli di cui l'imputato manteneva il diritto d'uso, oggetto del proscioglimento per prescrizione in grado d'appello per i reati di cui al capo d) della rubrica, è stata correttamente disposta, trattandosi di confisca diretta e non per equivalente, come si desume dalla lettura della sentenza di primo grado e di quella d'appello in cui si afferma espressamente che "trattandosi di confisca obbligatoria e diretta, ex artt. 240 cod. pen., e 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, avente ad oggetto beni costituenti corpo dei reati per cui si è proceduto, e, pertanto, può essere applicata anche in caso di sopravvenuta prescrizione, dopo la condanna in primo grado (Sez. 2, Sent. n. 17354 dell'8/3-26/4/2023, Rv. 284529)".
La confisca "diretta" è qualificabile come misura di sicurezza e può essere applicata, anche in caso di prescrizione, in ossequio agli insegnamenti delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434 - 01) quando vi sia stata una condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria (casi tra i quali devono essere compresi quelli in cui è applicabile l'art. 12-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000).
4.2. Il richiamo all'art. 578-bis, cod. proc. pen., è quindi, improprio, non essendo stata disposta la confisca per equivalente ma in forma diretta dei veicoli.
5. Il quarto motivo, oltre ad esporsi al giudizio di inammissibilità per genericità (laddove afferma assertivamente che l'estinzione per prescrizione sarebbe maturata nelle date indicate in ricorso, senza tuttavia indicare ne sviluppare alcun percorso argomentativo a sostegno delle ragioni per le quali il calcolo del termine prescrizionale dovrebbe essere quello indicato) è, in ogni caso, manifestamente infondato.
5.1. Dai capi di imputazione, risulta che l'autovettura Maserati Merak è stata venduta in data 31 ottobre 2016 (capo n. 25), mentre la Mercedes Benz C220 CDI è stata acquistata e fittiziamente intestata alla La.Iu. in data 13 dicembre 2016 (capo 28).
La consumazione del reato, per le ragioni già esposte in sede di esame dei primi due motivi, era quindi intervenuta - come del resto si evince dalla stessa articolazione del motivo che non solleva questioni sulla data dì consumazione - nelle date indicate nei capi di imputazione, ossia il 31.10.2016 (capo n. 25) e in data 13.12.2016 (capo n. 28). Il termine di prescrizione massima di anni 7 e mesi 6, dunque, maturava, per il capo n. 25, in data 30 aprile 2024 e, per il capo n. 28, il 12 giugno 2024, cui tuttavia andava aggiunto il periodo di sospensione complessiva verificatasi in primo grado (pari a 197 gg., ossia: gg. 64 di sospensione Covid, per il doppio rinvio dell'udienza preliminare dal 19/03 al 20/07/2020 e dal 20/07 al 14/12/2020; gg. 42 di sospensione dall'ud. 21/01/2022 all'ud.4/03/2022, per legittimo impedimento di un imputato; gg. 35 di sospensione dall'ud. 21/10/2022 all'ud. 25/11/2022 per legittimo impedimento di un difensore; gg. 56 di sospensione, dall'ud. 13/01/2023 all'ud. 10/03/2023 per legittimo impedimento di un imputato), con conseguente maturazione della prescrizione, per il capo n. 25, in data 13 novembre 2024 e, per il capo n. 28, in data 27 dicembre 2024, cui vanno aggiunti i 60 gg. di sospensione verificatisi nel giudizio di appello, con conseguente maturazione definitiva della prescrizione in data 13 gennaio 2025 per il capo n. 25 ed in data 27 febbraio 2025 per il capo n. 28, date entrambe successive alla sentenza d'appello, pronunciata in data 18 novembre 2024.
5.2. Infine, come già anticipato in relazione al terzo motivo, quanto alla confisca, non coglie nel segno il richiamo all'art. 578-bis, cod. proc. pen., trattandosi di confisca diretta e non per equivalente (Sez. 2, n. 17354 del 08/03/2023, TinÈ, Rv. 284529 - 01), donde la stessa deve essere mantenuta in relazione anche in relazione ad entrambe le autovetture di cui al capo d), n. 25 e n. 28.
6. Il quinto motivo è, parimenti, manifestamente infondato.
6.1. In relazione all'annualità d'imposta 2013, il termine di presentazione della dichiarazione era fissato al 30 settembre 2014.
La data di consumazione, tenuto conto del disposto dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000 (Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto), è quella, esattamente indicata nel capo di imputazione, del 30 dicembre 2014, essendo pacifico che il termine di novanta giorni dalla scadenza per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all'imposta sui redditi od I.V.A., individuato "ex lege" quale momento consumativo del delitto di cui all'art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, decorre, ove le scadenze siano diverse a seconda della modalità prescelta dal contribuente per la presentazione della dichiarazione, dall'ultima scadenza prevista dalle leggi tributarie (Sez. 3, n. 48304 del 20/09/2016, Gioia, Rv. 268576 - 01).
La prescrizione massima, pertanto, tenuto conto del termine decennale ex art. 17, comma 1 -bis, D.Lgs. n. 74 del 2000 (7 termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo), sarebbe maturata in data 30 dicembre 2024 (successivo alla pronuncia della sentenza d'appello), termine che deve essere aumentato del periodo di sospensione pari a mesi sei e giorni diciassette, nel giudizio di primo grado, e giorni sessanta, nel giudizio d'appello.
6.2. Ne consegue che il termine di prescrizione, tenuto conto delle sospensioni, giungerà a definitiva maturazione in data 17 settembre 2025.
7. Passando all'esame dell'unico motivo di ricorso di Va.Au., reputa il Collegio che lo stesso deve essere dichiarato inammissibile perché generico per aspecificità e manifestamente infondato.
7.1. È anzitutto generico, perché mostra di non confrontarsi con quanto argomentato dal primo giudice e dal giudice d'appello (che ha rigettato l'appello del ricorrente, confermando integralmente le statuizioni della prima sentenza) i quali hanno chiarito le ragioni dell'affermazione della responsabilità penale del Va.Au. per il delitto di concorso in sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11, D.Lgs. n. 74 del 2000, contestato al capo i).
I veicoli intestati a Va.Au. sono: a) Ferrari 430 Scuderia, capo D) n. 1; b) Ferrari 360 Challenge Stradale capo D) n. 2; 3) Ferrari Testarossa, precedentemente intestata a Ca. capo D) n. 3; 4) Lamborghini Diablo 132SE precedentemente intestata a Calligaris capo D) n. 5; 5) Lamborghini Murcielago LP 670-4 SV capo D) n.4.
7.2. Quanto alla configurabilità dell'illecito, si legge nella sentenza di primo grado, risultano in atti le dichiarazioni con cui il Va.Au. autorizzava lo Za.Vi. ad utilizzare a sua convenienza le autovetture, venendo in considerazione le due dichiarazioni (doc. 96 e 97, già prodotti al n. 36) che il teste consegnò alla Guardia di finanza e, cioè, le dichiarazioni a firma Va.Au., formale proprietario, con il quale autorizzava lo Za.Vi. ad utilizzare le autovetture e le procure fiduciarie a vendere. Quanto alle dichiarazioni del Va.Au., precisa la sentenza di primo grado, esse nulla spostano rispetto a quanto emerso, in quanto quest'ultimo riconosce di avere accettato di intestarsi le autovetture.
Con riferimento alle contestazioni in esame, dunque, il primo giudice aveva ritenuto sussistere la prova della penale responsabilità dell'imputato che aveva fittiziamente intestato le autovetture a soggetti residenti in paese extracomunitario, Principato di Monaco, all'evidente fine di realizzare l'intento fraudolento contestato. Con riferimento all'intestazione delle autovetture al Va.Au. ed al Ca.. si legge infine nella sentenza di primo grado che lo Za.Vi. - che pure aveva riconosciuto di essersi sempre occupato di tutte le autovetture oggetto di contestazione - aveva riferito che la decisione in tal senso l'aveva assunta la La.Iu.
Sul punto, osserva il primo giudice, a parte tutte le considerazioni in merito all'interesse dello Za.Vi. di non far risultare di essere, come era, il reale proprietario delle autovetture, dall'esame delle dichiarazioni di Ca. e Va.Au. emergeva che neppure conoscevano la La.Iu. e che avevano avuto rapporti con Za.Vi. a cui avevano, in effetti, rilasciato le procure. Con riferimento al Va.Au., peraltro, il primo giudice puntualizza peraltro che egli è soggetto che, a fronte di un dichiarato interesse per l'eventuale acquisto di autovetture Ferrari, non solo non le ha acquistate, consentendo, comunque, che gli fossero intestate, ma ha anche consentito, senza spiegarsi e spiegare il perché, che gli venissero intestate anche autovetture di altra casa, Lamborghini.
Anche nei confronti dell'imputato, pacifica è stata quindi ritenuta la partecipazione ad una condotta di intestazione fittizia.
7.3. Quanto, poi, all'elemento psicologico, nei termini sopra individuati, conclude il primo giudice, date le condizioni in cui ha operato (e, cioè, accettazione di intestarsi delle autovetture altrui in assenza di alcuna plausibile diversa motivazione), è evidente che fosse a conoscenza delle finalità elusive dello Za.Vi.
7.4. La Corte d'Appello, a sua volta, nel confutare l'identico motivo -riproposto in sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, così da esporsi al giudizio di inammissibilità per genericità - riguardante la sussistenza dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 11, D.Lgs. n. 74 del
2000 in relazione all'intestatario fittizio, richiama coerentemente la giurisprudenza di questa Corte in tema di trasferimento fraudolento di valori (anch'esso reato a dolo specifico come quello di cui all'art. 11: Sez. 3, n. 27143 del 22/04/2015, Noviello, Rv. 264187 - 01; Sez. 6, n. 49832 del 19/04/2018, Matarrelli, Rv. 274286 - 01), osservando che risponde a titolo di concorso ex art. 110 cod. pen. anche colui che non è animato dal dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione, a condizione che almeno uno degli altri concorrenti -non necessariamente l'esecutore materiale - agisca con tale intenzione e che della stessa il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 38044 del 14/07/2021, Chiocchio, Rv. 282202 - 01; Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, Rv. 286662 - 01).
Pertanto, al fine dell'integrazione del reato di sottrazione fraudolenta nei confronti dell'intestatario fittizio a titolo di concorso, ex art. 110, cod. pen., è sufficiente che il predetto sia consapevole della finalità elusiva perseguita dall'autore della condotta sanzionata dalla norma incriminatrice, non essendo necessario che sia anche animato dal dolo specifico dell'interponente.
7.5. Del tutto correttamente, peraltro, i giudici di appello, evidenziano come la difesa dell'allora appellante, avesse richiamato (pag. 4 dell'atto di gravame) una sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 13233 del 24/2/2016, Rv. 266771, richiamata anche in ricorso), che, effettivamente, non risulta pertinente, posto che tale pronuncia, nella parte riportata tra virgolette, concerne la posizione dell'interponente (nel caso di specie lo Za.Vi.) e non dell'intestatario fittizio del bene (nel caso di specie il Va.Au.), che deve solo essere a conoscenza delle finalità del primo di sottrarre il bene alle pretese esecutive dell'Erario ma non dell'entità del debito fiscale dell'interposto, delle procedure adottate dall'Agenzia delle Entrate nei confronti del predetto e neppure della consistenza del suo patrimonio; a tale proposito, evidenziano i giudici territoriali che il Va.Au., nella scrittura prodotta alla Guardia di Finanza (doc. 36), ha sostenuto che lo Za.Vi. possedeva una collezione di autovetture Ferrari e che era intenzionato a venderne alcune e che lui (il Va.Au.) aveva manifestato il suo interessamento, senza spiegare però la ragione per la quale aveva accettato la richiesta di quest'ultimo di intestarsi le autovetture e di rilasciargli un mandato a vendere "in modo che se mi fosse successo qualcosa poteva rientrarne in qualità di proprietario".
Trattasi di affermazioni che vengono, con argomentazione non manifestamente illogica, tacciate di inverosimiglianza, tanto più che alle Ferrari, al cui acquisto il Va.Au. sarebbe stato interessato, lo Za.Vi. avrebbe poi aggiunto inopinatamente la richiesta di intestarsi anche due Lamborghini, destinate alla vendita nel mercato automobilistico monegasco, operazione di cui l'imputato, in tesi difensiva, avrebbe, altrettanto irragionevolmente, accettato di occuparsi e che, poi, nella realtà, non risulta che abbia mai espletato; tra l'altro, la asserita necessità di promuovere la vendita di autovetture a Montecarlo non richiedeva assolutamente la necessità che il Va.Au. ne fosse anche l'intestatario (fittizio); non poteva poi passare inosservata la circostanza che tutte le autovetture in contestazione fossero originariamente intestate non allo Za.Vi. ma ad altri soggetti (la La.Iu. ed il Ca.), circostanza che rendeva evidente la volontà dello Za.Vi. di occultare la riconducibilità a sé della titolarità dei veicoli attraverso l'adozione di una continua successione di false intestazioni in favore di terzi. Tale elemento, unitamente al fatto che le citate autovetture, per espressa ammissione dello stesso Za.Vi., erano destinate al commercio (e non nel Principato di Monaco, posto che, come osservato dal P.M. in una memoria - pag. 39 -, lo Za.Vi., il 23/6/2018, portava la Ferrari Testarossa e la Lamborghini presso la sede di una concessionaria di Maranello per vendere le autovetture che, in quel momento, nella contraddittoria tesi difensiva, erano state intestate al Va.Au. affinché potesse promuoverne la vendita), era chiaramente indicativo della finalità dello Za.Vi. di compiere atti dispositivi fraudolenti oggettivamente idonei a sottrarre i veicoli ed il ricavato della loro vendita all'imposizione fiscale e ad eludere l'esecuzione esattoriale (come evidenziato dalla Corte d'Appello a proposito della posizione processuale del La.Co., il reato in contestazione non presuppone neppure come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva), sicché non poteva ragionevolmente dubitarsi della ravvisabilità in capo al Va.Au. dell'elemento soggettivo del reato.
Ed anche con riferimento al predetto, infine, la Corte d'Appello evidenzia come fosse del tutto inverosimile che lo Za.Vi. avesse coinvolto il Va.Au., a sua insaputa, nell'attività illecita oggetto d'imputazione, poiché si sarebbe esposto al rischio che il predetto, accorgendosi della natura illecita dell'operazione in cui era stato implicato, gli contestasse il fatto e adottasse, a sua tutela, iniziative giudiziarie nei confronti dello Za.Vi.
7.6. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono del tutto prive di pregio, in quanto tradiscono il "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dal giudice di appello, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per vizi motivazionali con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato in sede di legittimità. La Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 - 01).
8. Restano da esaminare i motivi di ricorso proposti dalla difesa dei ricorrenti La.Iu. e La.Co., che il Collegio reputa inammissibili.
8.1. Lo è, anzitutto, il primo motivo, personale alla ricorrente, in quanto generico per aspecificità e manifestamente infondato.
8.2. È anzitutto generico, perché mostra di non confrontarsi con quanto argomentato dal giudice d'appello (che ha rigettato l'identica doglianza proposta dalla difesa della ricorrente) che ha chiarito le ragioni per le quali non vi fossero le condizioni per riscontrare il legittimo impedimento a comparire della ricorrente.
I giudici territoriali hanno ritenuto, infatti, immeritevole di accoglimento il primo motivo di gravame, concernente la violazione degli artt. 178 e 420-ter cod. proc. pen., per l'asserita impossibilità assoluta dell'imputata, affetta da gravi problemi di salute, a comparire all'udienza del 10/3/2023. A tale proposito, osserva la Corte territoriale, il sanitario, nella sua attestazione del 6/3/2023, premesso che la La.Iu. era stata sottoposta il 12/1/2023 ad intervento di trapianto del fegato e che, dopo la sua dimissione in data 24/1/2023, per un mese era stata quotidianamente sottoposta a visite ed esami, dava atto che "Perle sue condizioni fisiche e psichiche la signora La.Iu. è impossibilitata a presenziare alla prossima udienza del 10 marzo e lo sarà almeno sino al 18/5/2023 data in cui dovrà sottoporsi a visita oncologica presso l'Istituto dei Tumori di Milano" (ali. al verbale di udienza, foglio n. 121).
Il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa in udienza, rilevava la genericità del riferimento alle condizioni fisiche e psichiche della La.Iu. e la mancata indicazione dell'attualità e della natura del presupposto medico posto a fondamento dell'attestazione, ritenendo che non fosse configurabile il legittimo impedimento "che per pacifica giurisprudenza deve essere grave, assoluto, attuale e non superabile, elementi tutti che non solo non risultano da certificato prodotto ma che non si ha neppure possibilità di ipotizzare, anche in relazione al contenuto dell'odierna udienza, per cui come detto era prevista eventuale replica del pm e conseguente decisione" (verbale d'udienza, foglio n. 120).
Orbene, la Corte d'Appello ha ritenuto condivisibile il rilievo del giudice di primo grado, con argomentazione non manifestamente illogica e del tutto conforme ai principi affermati da questa Corte in materia. Oltre alle argomentazioni, del tutto logicamente coerenti, contenute nella sentenza impugnata - secondo cui, da un lato, "all'udienza del 25/11/2022, in cui le parti formulavano le loro conclusioni, l'imputata, presente, non rilasciava alcuna dichiarazione ed il differimento all'udienza del 10/3/2023 (fissata alla precedente udienza del 13/1/2023, a sua volta rinviata per impedimento dell'imputata) era stato disposto solo per eventuali repliche cui le parti, in realtà, poi rinunciavano", e, dall'altro, che "all'odierna udienza l'imputata, comparsa personalmente, non ha inteso intervenire e non ha neppure precisato quali dichiarazioni avrebbe voluto rilasciare al Tribunale di Genova alla citata udienza" -, ciò che assume dirimente rilievo è la circostanza per cui, dal tenore del certificato, come motiva la Corte d'Appello, non poteva ritenersi integrata una assoluta impossibilità dell'imputata a partecipare all'udienza.
8.3. Infatti, con giudizio in fatto insindacabile da questa Corte perché congruamente motivato, i giudici di appello affermano come, in tale documento, l'attestatore si fosse limitato genericamente a ricondurre la sua asserita impossibilità a presenziare all'udienza a "sue (non meglio precisate, n.d.e.) condizioni fisiche e psichiche", senza peraltro prescrivere la necessità di riposo assoluto e senza indicare la natura e la portata dell'asserita condizione impeditiva, sicché, concludono i giudici territoriali, non risultava che la predetta non potesse presentarsi in Tribunale se non esponendosi ad un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute, in ciò richiamando giurisprudenza dei questa Corte (il riferimento è a Sez. 5, n. 5540 del 14/12/2007, dep. 2008, Spanu, Rv. 239100 -01; ma si veda, anche, in senso conforme, la costante giurisprudenza successiva, secondo cui è legittimo il provvedimento con il quale il giudice, acquisito il certificato medico prodotto dal difensore, valuti, anche indipendentemente da verifiche fiscali e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza debitamente esposte nella motivazione, l'insussistenza di una condizione tale da comportare l'impossibilità per l'imputato di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute: Sez. 6, n. 4284 del 10/01/2013, Rv. 254896 - 01; Sez. 5, n. 44845 del 24/09/2013, Rv. 257133 -01; Sez. 4, n. 7979 del 28/01/2014, Rv. 259287 - 01; Sez. 6, n. 36636 del 03/06/2014, Rv. 260814 - 01; Sez. 5, n. 44369 del 29/04/2015, Rv. 265819 -01; Sez. 4, n. 13102 del 21/12/2018, dep. 2019, Rv. 275285 - 01).
A ciò, aggiunge la Corte territoriale, andava aggiunta anche la considerazione per la quale non era stata neppure evidenziata l'impossibilità della La.Iu. di deambulare o comunque di raggiungere l'aula di udienza, eventualmente anche accompagnata o trasportata con mezzi adeguati, né risultavano specificate nel certificato le ragioni che avrebbero sconsigliato l'intrapresa di un breve spostamento nella stessa città, dalla sua abitazione al Palazzo di Giustizia.
Si tratta di motivazione non censurabile non solo perché, come anticipato, congruamente motivata dai giudici territoriali, ma anche perché perfettamente rispondente ai principi già elaborati da questa Corte.
8.4. Perdono, dunque, di spessore argomentativo le doglianze difensive che insistono sul diritto dell'imputato a partecipare all'udienza, che deve, tuttavia, nei casi in cui venga richiesto un differimento dell'udienza per ragioni di legittimo impedimento a comparire, rispondere ai canoni normativi.
Ed il giudice, come avvenuto nel caso in esame, nel disattendere il certificato medico presentato dalla difesa dell'imputata, si è attenuto alla natura dell'infermità e ne ha valutato il carattere impeditivo alla luce dell'attestazione del medico attestatore, pervenendo a giudizio negativo circa l'assoluta impossibilità a comparire disattendendo, con adeguata valutazione del referto, la rilevanza della patologia dell'imputata che non era qualificabile in termini di impedimento a comparire, non solo perché non grave ed assoluto, ma anche perché mancante del carattere della attualità in relazione all'udienza.
Del resto, con riferimento ad impedimenti a comparire conseguenti a patologie oncologiche, già questa stessa Corte ha avuto modo di affermare che l'impedimento a comparire dell'imputato, previsto dall'art. 420-fercod. proc. pen., concerne non solo la capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma anche quella di parteciparvi dignitosamente e attivamente per l'esercizio del diritto costituzionale di difesa, ma esso non può derivare in via automatica dall'esistenza di una patologia più o meno invalidante, che deve, invece, determinare un'impossibilità effettiva ed assoluta, e perciò legittima, riferibile ad una situazione non dominabile né contenibile dall'imputato, oltre che a lui non ascrivibile, al fine di garantire il necessario bilanciamento con il principio di ragionevole durata del processo (Sez. 5, n. 15407 del 24/02/2020, Stretti, Rv. 279088 - 01).
9. Parimenti inammissibile è il secondo motivo, comune ad entrambi i ricorrenti, per genericità e manifesta infondatezza.
9.1. Come già osservato a proposito del primo motivo, anche il secondo è generico perché non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza d'appello e con quella di primo grado (che, attesa la natura di doppia conforme sulla responsabilità, si integrano vicendevolmente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01), riproponendo in sede di legittimità le censure già svolte alla sentenza di primo grado, senza alcun elemento di novità critica, cosi esponendo il fianco al giudizio di inammissibilità perché generico per aspecificità. È stato, infatti, già affermato che l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (tra le tante: Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, Rv. 236945 - 01).
9.2. Ed infatti, i giudici territoriali, soffermandosi sulle identiche doglianze difensive svolte in appello, motivano sul punto con argomentazioni non manifestamente illogiche.
Sul punto, la Corte territoriale reputa non fondato il secondo motivo di appello (come anticipato, identico al secondo motivo di ricorso), avente ad oggetto l'asserita insussistenza dell'elemento oggettivo del reato ascritto alla La.Iu. in quanto le intestazioni alla predetta dei veicoli in contestazione non sarebbero state fittizie. Già i giudici territoriali avevano messo in evidenzia come si trattasse della riproposizione di analoga tesi difensiva, esclusivamente fondata sulle dichiarazioni rese dallo Za.Vi. e dall'imputata, secondo i quali tali operazioni avrebbero avuto lo scopo di tutelare il loro figlio (pagg. 10-11 della sentenza impugnata), già motivatamente ritenute non credibili dal Tribunale di Genova, stante la loro totale inverosimiglianza ed il palese contrasto con il fatto, riconosciuto dalla stessa La.Iu., che la predetta non aveva mai ricevuto alcunché in conseguenza della vendita delle autovetture intestatele, cui aveva provveduto, in totale autonomia, lo Za.Vi. rinunciando così a quella forma di tutela che, in tesi difensiva, avrebbe invece voluto assicurarsi (pag. 18-19 della sentenza di primo grado, da intendersi in queste sede integralmente richiamate per ragioni di economia argomentativa).
La circostanza, poi, dedotta nell'atto di appello (pag. 6), che l'acquisto dei veicoli poi intestati alla La.Iu. ed ai suoi parenti fosse stato effettuato con provvista proveniente da conti correnti intestati alla stessa è stata del tutto logicamente ritenuta irrilevante dalla Corte d'Appello, posto che gli stessi erano alimentati da somme di denaro riconducibili (non alla La.Iu.. ma) allo Za.Vi.
Ancora, ai giudici territoriali è apparsa inconferente la considerazione (pag. 7 dell'atto di appello) che le procedure di riscossione coattiva promosse dall'Erario nei confronti di quest'ultimo originassero da accertamenti fiscali non concernenti l'attività di commercio di autovetture, presupposto non necessario ai fini della configurabilità del reato in contestazione, che, nel caso di specie, è risultato integrato dalla dissimulazione dell'effettiva riconducibilità allo Za.Vi. delle somme di denaro ricavate dalla vendita delle autovetture, attraverso l'intestazione fittizia alla La.Iu. sia dei conti correnti sui quali venivano movimentate le somme di denaro sia delle stesse autovetture, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, a qualunque titolo dovute, eventualmente anche diverso dall'esercizio dell'attività di commercio di autovetture.
Né, ancora, con motivazione parimenti non manifestamente illogica, è stato ritenuto condivisibile dai giudici territoriali l'ulteriore assunto difensivo secondo cui lo Za.Vi. non avrebbe disperso il suo patrimonio avendo invece deciso di fare "una donazione alla compagna" (pag. 7), alla luce della pluralità delle (fittizie) intestazioni oggetto d'imputazione (una delle quali -relativa al motociclo Harley Davidson: episodio di cui al capo H.4) - attraverso l'ulteriore intermediazione, procurata dallo Za.Vi., di un terzo soggetto, il Ca., primo intestatario apparente) e del fatto che lo Za.Vi. non si limitava a gestire le operazioni di manutenzione dei mezzi nell'interesse della (solo apparente) proprietaria ma decideva in prima persona, senza neppure consultarla, la successiva compravendita delle stesse o la loro ulteriore (sempre solo fittizia) intestazione ad altri soggetti compiacenti (ad es., due Ferrari ed una Lamborghini a Va.Au. -capo 1.1), 2) e 3) di rubrica-), operazioni commerciali dalle quali la La.Iu., per sua stessa ammissione ed in evidente contrasto con il titolo di donataria asseritamente acquisito, non ricavava per sé stessa alcun vantaggio economico, nonostante che le relative transazioni avvenissero per il tramite del conto corrente acceso presso la Deutsche Bank a lei (pure fittiziamente) intestato (nella memoria del P.M. del 29/9/2022 - pag. 34- sono riportati tutti gli accrediti concernenti la cessione di ben nove autovetture, per centinaia di migliaia di euro).
Tale conclusione, si legge in sentenza, è confermata da riscontri anche documentali: in particolare, a proposito della Porsche Boxster di cui al capo J.7) di rubrica, lo Za.Vi. inviava ad una compagnia di assicurazioni di Milano copia del libretto di circolazione, riservandosi di comunicare successivamente l'intestatario ("se intesto a La.Iu. è un classe I su Genova se intesto al fratello è un classe D su San Giovanni Persiceto - BO" - doc. 66-A), ciò che, per i giudici di appello (con argomentazione non manifestamente illogica, rispetto alla quale la censura difensiva di cui in ricorso è una mera manifestazione di dissenso rispetto all'approdo argomentativo, seppure formalmente rivolta a dedurre un vizio motivazionale, nella realtà insussistente), dimostra inequivocabilmente come fosse lo Za.Vi. a decidere, in via esclusiva, a chi intestare la titolarità dei veicoli e come tali operazioni fraudolente avessero l'unico scopo di dissimulare la loro riconducibilità al predetto.
Né, inoltre, è apparso decisivo alla Corte d'Appello l'assunto dell'allora appellante secondo cui sarebbe indicativo della effettività delle intestazioni alla La.Iu. il fatto che, in relazione a tali operazioni negoziali, a differenza di quanto avvenuto con riferimento ai rapporti patrimoniali con la ex coniuge (Ia.Fr.) e la madre dello Za.Vi., nessuna contro dichiarazione che chiarisse la natura simulata delle intestazioni era stata rinvenuta (pagg. 8 e 9 dell'atto di gravame): a tale proposito, infatti, ancora una volta con argomentazioni non manifestamente illogiche, i giudici territoriali evidenziano come nei confronti della Ia.Fr., a seguito della separazione e del successivo scioglimento del matrimonio, era ormai venuto meno quel particolare rapporto fiduciario che avrebbe potuto rendere superflua una garanzia di natura documentale, mentre, con riferimento alla provvista per l'acquisto della Ferrari fittiziamente intestata alla madre e poi venduta negli Stati Uniti, la dichiarazione di quest'ultima (che il bonifico effettuato in favore del figlio rappresentava non un prestito ma una donazione) aveva evidentemente la finalità di evitare che tale somma potesse essere oggetto di rivendicazione in sede successoria da parte della sorella dello Za.Vi.
Quanto, poi, alla tesi difensiva (pagg. 10-12 dell'atto di appello, riproposta pedissequamente anche nel gravame di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica) secondo cui l'effettività dell'intestazione delle autovetture in favore della La.Iu. sarebbe stata giustificata dall'adesione dello Za.Vi. al desiderio di quest'ultima di costituire una dote a tutela del figlio, del tutto correttamente e logicamente i giudici territoriali richiamano le osservazioni già svolte dal giudice di primo grado, che aveva rilevato come fosse il coimputato la persona che si occupava in via esclusiva della gestione e della manutenzione delle autovetture intestate alla convivente e come la formale intestazione delle stesse all'imputata fosse del tutto priva di motivata giustificazione, posto che, nel caso di prematura scomparsa dello Za.Vi., tale titolarità sarebbe stata inutile stante l'applicabilità della disciplina della successione necessaria in favore del figlio, erede legittimario (pag. 19 della sentenza di primo grado).
9.3. I giudici di appello, si noti, si prendono carico anche di confutare l'eccezione difensiva secondo cui la tutela del figlio non avrebbe operato nel diverso caso in cui lo Za.Vi. avesse cessato la convivenza con la La.Iu. così come aveva già fatto in precedenza con la Ia.Fr., ritenendo tuttavia la Corte d'Appello tale rilievo non condivisibile per una serie di ragioni, ancora una volta scevre da aporie logico - argomentative. In primo luogo, perché, si legge in sentenza, contrasta con il fatto che la stessa La.Iu., invece di conservare la titolarità del patrimonio asseritamente ricevuto in dote e salvaguardare l'interesse del figlio, risultava aver invece ceduto alcune autovetture al Va.Au. (capo J.1), 2) e 3) della rubrica) ed altre autovetture -oltre ad un motociclo- alla madre La.Co. (capo J.4), 5) e 6) della rubrica), operazioni che, chiaramente attribuibili all'iniziativa dello Za.Vi. risultano invece del tutto coerenti con la prospettazione accusatoria, secondo cui tutti i veicoli, fittiziamente intestati alla convivente ed ai suoi congiunti, erano in realtà (così come il ricavato della loro vendita) nella effettiva ed esclusiva disponibilità del soggetto interponente. A ben vedere, inoltre, aggiunge la sentenza ricorsa, l'imputata ha dichiarato di aver voluto tutelare la posizione del figlio non in caso di un ipotetico abbandono da parte dello Za.Vi. ma in caso di morte prematura del predetto: "sì, poi piano piano giustamente.. Perché lui dice per il bambino però io le dico la verità: lui a ventanni più di me, io ho il bambino è ben vero che io penso al bambino perché per me il bambino è la mia vita però posso pensare anche a me? Perché se domani succede qualcosa a Za.Vi. poi io cosa faccio?.. E quindi giustamente gli ho chiesto delle cose per pensare a me e mio figlio, gli ho chiesto dei soldi per investirli." (pag. 92, esame della La.Iu., ud. dell'1/4/2022). La successiva affermazione dell'imputata che lo Za.Vi. "aveva questo vizio della donne" è apparsa alla Corte d'Appello, del tutto logicamente, contraddittoria rispetto alla circostanza, riferita dalla stessa imputata, che nel momento in cui conviveva con il predetto "mi fidavo di lui" (ciò che non rendeva necessaria la formale titolarità dei beni) e, in ogni caso, non giustificava la pluralità di intestazioni, avendo la predetta precisato che sarebbe bastata un'autovettura per il figlio ("almeno c'era qualcosa per mio figlio, perché la Corvette era per mio figlio, per la sua scuola e per l'università.", pag. 104: affermazione peraltro in contrasto con il fatto che tale autovettura risulta invece essere stata intestata non alla La.Iu. bensì al fratello della stessa, La.Co. -capo L.1) della rubrica). Del resto, che le dichiarazioni dell'imputata fossero confuse e contraddittorie (e, che, pertanto, dovevano ritenersi del tutto inattendibili) è circostanza onestamente ammessa anche nel ricorso.
Inoltre, aggiungono i giudici territoriali, alla domanda del P.M., che le chiedeva se avesse messo da parte del denaro grazie agli investimenti dello Za.Vi. l'imputata aveva risposto negativamente (pag. 92), aggiungendo di non aver preso nulla perché "era tutto nel conto e io facevo una bella vita" (pag. 93), ciò che appariva indicativo delle esclusive finalità voluttuarie perseguite dalla La.Iu. e dallo stesso Za.Vi. Infine, i giudici territoriali si prendono ulteriormente carico di confutare puntualmente anche l'ulteriore censura (ancora una volta riproposta senza alcun apprezzabile elemento di novità critica in sede di legittimità), articolata sulla base delle dichiarazioni rese dalla teste Pi.Ca., in relazione alla quale osservano come apparissero scarsamente rilevare le dichiarazioni della stessa (richiamate a pag. 11 dell'atto di appello), amica dell'imputata (anche al momento dell'assunzione della sua testimonianza), la quale aveva riferito di un episodio - peraltro neppure menzionato dalla stessa La.Iu. - in cui, durante una cena, lo Za.Vi. avrebbe sostenuto di aver regalato un'autovettura all'imputata (pag. 28, ud. del 15/4/2022). Osservano, sul punto, i giudici territoriali, ancora una volta con argomentazioni non manifestamente illogiche, come si fosse trattato, peraltro, di un episodio che la teste non aveva circostanziato nel tempo, privo di riferimenti al tipo di autovettura ed avente ad oggetto un'affermazione proveniente dal coimputato Za.Vi. che, evidentemente, sottolinea la sentenza impugnata, non aveva alcun interesse a far sapere ad una sconosciuta (che non aveva neppure uno stretto rapporto confidenziale con la La.Iu.. anche a causa delle scarse occasioni di frequentazione: pag. 29) di aver falsamente intestato una costosa autovettura di lusso alla sua convivente, Infine, è stato considerato del tutto irrilevante il fatto che il denaro confluisse sui conti intestati (solo formalmente) alla La.Iu., posto che la provenienza della provvista era in realtà riconducibile al solo Za.Vi., che poteva così realizzare numerose operazioni economiche di rilevante importo al riparo dalle procedure di riscossione promosse dall'Erario nei suoi confronti.
9.4. Ad analogo approdo deve, poi, pervenirsi in relazione alle censure rivolte alla sentenza impugnata in punto di elemento psicologico del reato.
Anche sotto tale profilo, la doglianza è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza. I giudici territoriali, sul punto, sottolineano come non apparisse meritevole di accoglimento neppure il terzo motivo di appello, avente ad oggetto la dedotta insussistenza dell'elemento soggettivo del reato (censura, si sottolinea, ancora una volta riproposta senza alcun elemento apprezzabile di novità critica in sede di legittimità). L'approdo valutativo dei giudici territoriali secondo cui non è possibile ragionevolmente dubitarsi della ravvisabilità, in capo alla La.Iu., della piena consapevolezza della finalità illecita perseguita dallo Za.Vi. di sottrarre le risorse finanziarie derivate dalla compravendita di autovetture di lusso alla procedura di riscossione promossa dall'Erario, non è invero ragionevolmente sindacabile da parte di questa Corte.
Sul punto, del resto, la Corte d'Appello richiama, a proposito del concorso ex art. 110 cod. pen. degli intestatari fittizi, la giurisprudenza di legittimità riportata in precedenza a proposito dell'analoga doglianza avanzata dal Va.Au. Corretta non solo sotto il profilo logico - argomentativo, ma anche giuridicamente, è l'affermazione della Corte territoriale secondo cui la La.Iu. fosse certamente a conoscenza della finalità fraudolenta dello Za.Vi. di impedire l'apprensione, da parte dell'Erario, dei veicoli in contestazione e del ricavato del loro commercio, stante l'abitualità del ricorso, da parte del predetto, alle operazioni di fittizia intestazione in suo favore, e del fatto che tali atti simulati fossero idonei a rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva promossa dall'Agenzia delle Entrate nei suoi confronti. A tal proposito, la Corte d'Appello pone a sostegno di tale affermazione una serie di argomenti di sicura valenza argomentativa, insindacabili in sede di legittimità per la loro congruità. In primo luogo, laddove ricorda la Corte d'Appello che la La.Iu. per sua stessa ammissione (pag. 93 e 98, esame imputata, ud. 1/4/2022), aveva iniziato la convivenza -protrattasi sino al 2020 - con lo Za.Vi. nell'anno 2009, epoca anteriore alla notifica degli avvisi di accertamento, per importi rilevati, emessi nei confronti del predetto dall'Agenzia delle Entrate di Genova ed ai ricorsi (poi respinti) presentati dal predetto alla Commissione Tributaria (provvedimenti richiamati a pag. 1 della sentenza di primo grado), di talché non poteva fondatamente ritenersi, a prescindere dalla circostanza - dedotta dall'allora appellante a pag. 15 dell'atto di impugnazione - che qualche notifica dei citati provvedimenti fosse stata o meno effettuata a mani della La.Iu., che quest'ultima fosse all'oscuro delle vicende tributarie che avevano interessato il convivente, circostanza che, peraltro, neppure la stessa imputata aveva mai sostenuto in sede di esame. La pluralità delle intestazioni fittizie, operate dallo Za.Vi. in favore non solo della La.Iu., ma anche dei suoi familiari (la madre, La.Co., ed i fratelli, La.Co. e La.Ge.) e di terzi (Va.Au. e Ca.) - puntualizza la Corte d'Appello con motivazione non manifestamente illogica - rappresentava un elemento incompatibile con la dedotta assenza di consapevolezza in capo alla predetta della finalità fraudolenta di tali operazioni, essendo inequivocabilmente indicativa, soprattutto agli occhi della La.Iu., che condivideva stabilmente gli interessi economici, oltre che affettivi, dello Za.Vi., del fatto che quest'ultimo avesse fatto della intestazione fittizia della titolarità delle autovetture oggetto di commercio a lui riconducibili uno strumento consolidato per eludere le iniziative di riscossione promosse dagli uffici finanziari. Tra i due conviventi, del resto, prosegue la sentenza impugnata, si registra un rapporto continuativo, stretto e pienamente condiviso nella gestione e nella compravendita dei costosi veicoli di lusso ed esteso anche alla condivisione delle operazioni economiche realizzate, a far data dal 2014, esclusivamente su conti correnti intestati alla La.Iu., conti che, però, erano certamente riconducibili allo Za.Vi., il quale li alimentava con provvista proveniente da altri conti esteri nella sua disponibilità (pag. 6 della sentenza di primo grado). Si aggiunge, in sentenza, come la La.Iu. era perfettamente a conoscenza del fatto che lo Za.Vi. fosse dedito alla compravendita di veicoli di lusso, non risultasse proprietario di alcuno di essi, che operasse su conti correnti a lui non intestati, alimentati da provviste tratte da altri conti correnti esteri, che sostenesse spese rileVa.Au. per mantenere un tenore di vita altamente dispendioso e che non avesse mai destinato alcuna somma di denaro al pagamento delle imposte. È chiaro, allora che la natura del rapporto tra la La.Iu. e lo Za.Vi., il numero dei provvedimenti emessi dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di quest'ultimo, i suoi ripetuti contatti con legali per la presentazione e la trattazione dei ricorsi, i compensi da versare a costoro per la loro attività professionale, il rischio di subire rilevati pregiudizi economici in caso di definitività delle procedure di riscossione dell'Agenzia delle Entrate, sono circostanze che dovevano necessariamente presupporre un previo accordo tra lo Za.Vi. e la La.Iu. tale da agevolare l'intestazione fittizia alla predetta di conti correnti e veicoli e la condivisione (attraverso la conduzione di una vita agiata) dei profitti deriVa.Au. sottrazione al Fisco dei proventi dell'attività svolta dallo Za.Vi.
Non era pertanto sostenibile, osserva la Corte territoriale, che, nell'ambito di quel comune accordo, quest'ultimo abbia potuto tacere alla convivente le finalità perseguite, lo scopo della sua determinazione di occultare la riconducibilità a sé delle operazioni di commercio dei veicoli e la necessità di ricorrere all'intestazione fittizia per impedire od ostacolare le iniziative dell'Erario. Del resto, è agevole osservare - prosegue la sentenza impugnata - che, tacendo tali informazioni alla La.Iu., lo Za.Vi. avrebbe corso il rischio che la predetta, da un lato, potesse commettere imprudenze o non adottasse le necessarie cautele per evitare che terzi venissero a conoscenza dell'attività illecita in contestazione; invece, proprio la delicatezza e la ripetitività delle operazioni di intestazione fittizia nonché il coinvolgimento dei (compiacenti) congiunti dell'imputata, per diversificare i destinatari delle fittizie intestazioni, imponevano la necessità di un consapevole coordinamento tra la La.Iu. (e gli altri soggetti interposti) e lo Za.Vi. e presupponevano, pertanto, la conoscenza, in capo alla predetta, delle finalità perseguite dal predetto.
Da qui l'affermazione, frutto di un procedimento valutativo delle emergenze processuali insuscettibile di sindacato di legittimità perché ancorato a rigorosi parametri di logicità argomentativa, secondo la quale la La.Iu. dovesse rispondere, a titolo di concorso, del reato ascrittole, avendo, con la sua cosciente e volontaria condotta oggetto di contestazione - prestandosi all'intestazione fittizia delle autovetture e dei conti correnti sui quali venivano effettuate le transazioni relative all'attività di compravendita del convivente con la piena consapevolezza delle condizioni soggettive del predetto - contribuito alla lesione dell'interesse protetto dalla norma.
9.5. A tale proposito, ancora, merita di essere ulteriormente richiamato il giudizio di non condivisibilità, espresso dalla sentenza d'appello, circa il rilievo difensivo (pag. 14 dell'atto di appello) secondo cui la La.Iu. avrebbe potuto ritenere che lo Za.Vi. perseguisse il fine di sottrarre beni alle pretese della sua ex moglie, in quanto il predetto aveva già compiutamente regolato tutti i rapporti patrimoniali con la Ia.Fr. in sede di separazione, nell'anno 2012 (poi confermati ed ulteriormente precisati in sede di divorzio, nell'anno 2016), circostanze di cui la stessa La.Iu. ha riconosciuto di essere a conoscenza (esame dell'imputata, pag. 92). Infine, quanto al rilievo sollevato in appello e non riproposto in sede di legittimità, circa la astratta liceità del negozio simulato (pag. 16 dell'atto di appello), evidenziano i giudici territoriali che, nel caso di specie, le fittizie intestazioni delle autovetture erano invece operazioni oggettivamente idonee ad impedire l'attività di riscossione dei tributi e, pertanto, avevano certamente natura fraudolenta (Sez. 3, Sent. n. 35983 del 17/9-16/12/2020, Rv. 280372).
9.6. Si tratta, all'evidenza, di un percorso logico argomentativo che non merita censura, rispetto al quale le critiche difensive di illogicità della sentenza, svolte anche censurando alcuni passaggi della stessa tendenti a valorizzare gli "indici" di consapevolezza della fittizietà dell'intestazione dei veicoli e il concorso della ricorrente e del di lei fratello nel reato di cui all'art. 11, D.Lgs. n. 74 del 2000, appaiono tentativi di manifestare un dissenso articolato rispetto agli approdi valutativi del giudice di appello, dimenticando, però, che il vizio di manifesta illogicità, per assumere rilievo, deve consistere nella frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (tra le tante: Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Commisso, Rv. 215132 -01), circostanza non rilevabile nel caso di specie.
9.7. A ciò, peraltro, va aggiunto che non è suscettibile di sindacato nemmeno il ricorso, da parte della Corte d'Appello, alla formulazione di ipotesi che logicamente consentivano di ritenere che la La.Iu. fosse perfettamente consapevole di concorrere con lo Za.Vi. alla realizzazione del reato oggetto di volontà comune (il fatto che lo Za.Vi. fosse dedito alla compravendita di veicoli di lusso; che non risultasse proprietario di alcuno di essi; che operasse su conti correnti a lui non intestati, alimentati da provviste tratte da altri conti correnti esteri; che sostenesse spese rilevati per mantenere un tenore di vita altamente dispendioso e che non avesse mai destinato alcuna somma di denaro al pagamento delle imposte; che, in definitiva, stante la natura del rapporto tra la stessa e lo Za.Vi., il numero dei provvedimenti emessi dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di quest'ultimo, i suoi ripetuti contatti con legali per la presentazione e la trattazione dei ricorsi, i compensi da versare a costoro per la loro attività professionale, il rischio di subire rilevati pregiudizi economici in caso di definitività delle procedure di riscossione dell'Agenzia delle Entrate, costituissero elementi da cui dedurre la prova logica della consapevolezza del di lei concorso).
Questa Corte ha, infatti, già affermato che, in sede di motivazione della sentenza di condanna, la prospettazione di ipotesi deve ritenersi certamente vietata quando il giudice intenda trarre da esse, e non da fatti obiettivamente accertati, la prova della colpevolezza dell'imputato. Un tale divieto, però, non sussiste né potrebbe logicamente sussistere quando, in presenza di altri elementi non ipotetici atti a dimostrare la detta colpevolezza, il giudice debba affrontare l'esame delle risultanze che si assumano come potenzialmente idonee a vanificare la loro valenza. In tal caso, infatti, il giudice altro non potrà né dovrà fare se non verificare, ricorrendo necessariamente a delle ipotesi, se le dette risultanze siano in effetti compatibili o meno con la ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria, la quale, peraltro, anche in caso di esito positivo di detta verifica, rimarrà comunque basata esclusivamente sulle prove acquisite e non sulle ipotesi formulate in funzione della verifica stessa (tra le tante: Sez. 1, n. 3754 del 13/03/1992, Di, Rv. 189724 - 01).
9.8. Quanto, fine, alle censure svolte in ricorso circa la prova del concorso del fratello della La.Iu., La.Co., il motivo non sfugge al giudizio di inammissibilità per le stesse ragioni già svolte a proposito del ricorso proposto dalla sorella ricorrente.
Sul punto, ancora una volta i giudici di appello, chiamati a confutare l'identica censura svolta in sede di ricorso (pure riproposta senza alcun apprezzabile elemento di novità critica in sede di legittimità, così esponendo il motivo al giudizio di inammissibilità in quanto generico per aspecificità), ricordano come i motivi di appello formulati nell'interesse del fratello, La.Co., imputato del reato di cui al capo L) di rubrica, erano sovrapponibili a quelli proposti dalla sorella La.Iu. (ad eccezione del primo), richiamando integralmente le osservazioni già sopra svolte con riferimento alla posizione processuale di quest'ultima. A tal proposito, si legge in sentenza, quanto al secondo motivo di appello (coincidente con quello riproposto dinanzi a questa Corte), l'allora appellante aveva rilevato, con particolare riferimento alla comune posizione dei familiari della La.Iu. e, dunque, anche dell'attuale ricorrente, che l'intestazione delle autovetture ai predetti sarebbe avvenuta sulla base di indicazioni della stessa La.Iu. e che sarebbe stato evidente a costoro che i beni erano stati acquistati con provvista proveniente dalla predetta (pag. 13 dell'atto di appello).
Tale assunto, con particolare riferimento alla posizione del fratello La.Co., in primo luogo, è stato dai giudici di appello, del tutto logicamente, ritenuto contrastante con quanto osservato nella stessa sentenza d'appello (laddove si sottolinea che "in particolare, a proposito della Porsche Boxster di cui al capo 3.7) di rubrica, lo Za.Vi. inviava ad una compagnia di assicurazioni di Milano copia del libretto di circolazione riservandosi di comunicare successivamente l'intestatario ("se intesto a La.Iu. è un classe I su Genova se intesto al fratello e un classe D su San Giovanni Persiceto - BO" -documento 66-A-, ciò che dimostra inequivocabilmente come fosse lo Za.Vi. a decidere in via esclusiva a chi intestare la titolarità dei veicoli e come tali operazioni fraudolente dissimulassero la riconducibilità al predetto per gli stessi").
Tale circostanza, argomentano in maniera non manifestamente illogica i giudici di appello, unitamente alle ammissioni dello stesso Za.Vi. il quale aveva riferito di conoscere molto bene La.Co., di aver reperito un'attività lavorativa ai fratelli della sua convivente, di aver consentito loro l'acquisto di una casa e "di avergli cambiato la vita" (pagg. 50-51, esame imputato, ud. dell'1/4/2022), viene correttamente considerata indicativa del fatto che lo Za.Vi. avesse contatti diretti con il La.Co. e che quest'ultimo si fosse prestato a farsi intestare fittiziamente le due autovetture in contestazione (una Chevrolet Corvette ed una Porsche Boxster) dallo Za.Vi. (e non certo dalla sorella, alla luce di quanto sopra osservato), spinto da ragioni di gratitudine verso quest'ultimo per le iniziative assunte in suo favore. Del resto, puntualizza la sentenza impugnata, l'imputato non poteva ignorare che la sorella non svolgesse alcuna attività lavorativa e che fosse pertanto priva di autonoma fonte di reddito, ciò che escludeva, all'evidenza, che l'acquisto delle numerose autovetture di lusso fosse avvenuto con provviste a lei riconducibili e che l'intestazione alla predetta di un numero così elevato di autovetture di rilevante valore economico potesse essere il frutto di semplici atti di liberalità da parte dello Za.Vi. Tale considerazione -prosegue la sentenza impugnata, ancora una volta confutando un'identica censura replicata in sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica - priva di pregio l'ulteriore assunto dell'allora appellante, contenuto nel terzo motivo di appello (e, come detto, riproposto tout court nel ricorso per cassazione) a sostegno della prospettata assenza di consapevolezza in capo ai familiari della La.Iu., dell'intento elusivo dello Za.Vi. secondo cui costoro potevano ritenere che fosse stata costituita una dote in favore della sua convivente (pagg. 15-16 dell'atto di appello). Del resto, osserva la sentenza impugnata, il particolare contesto - di una serie di intestazioni fittizie di varie autovetture di lusso a tutti i membri della famiglia Omissis - in cui ha agito l'imputato rende ancora meno verosimile la prospettazione difensiva della mancanza di consapevolezza, in capo a La.Co., della illecita finalità perseguita dallo Za.Vi., attraverso il compimento di atti dispositivi fraudolenti oggettivamente idonei a sottrarre i veicoli ed il ricavato della loro vendita all'imposizione fiscale e ad eludere l'esecuzione esattoriale (il reato in contestazione, peraltro, precisa correttamente la Corte d'Appello, non presuppone neppure come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva, richiamando Sez. 3, Sent. n. 39079 del 9/4/2013, Rv. 256376, seguita, peraltro da Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Rv. 266771 - 01), e dovendosi altresì escludere che quest'ultimo (e la stessa La.Iu.) abbia potuto coinvolgere i congiunti della sua convivente, persone anche a lui legate da vincoli di amicizia, a loro insaputa, nell'attività illecita oggetto d'imputazione.
9.9. Ancora una volta al cospetto di tale, puntuale e non manifestamente illogico, apparato argomentativo, il motivo congiunto di ricorso proposto dai ricorrenti Omissis risulta del tutto privo di pregio.
Le censure difensive, sul punto, si ribadisce, più che censurare vizi motivazionali, registrano un dissenso sulla valutazione delle emergenze processuali, così impingendo nel giudizio di inammissibilità, in quanto complessivamente censure distoniche rispetto all'ambito cognitivo di legittimità di questa Corte. I motivi di ricorso che denunciano vizi di motivazione volti a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie od a censurare una motivazione non manifestamente illogica, sono invero pacificamente inammissibili. Questo perché la Corte di cassazione non è competente a riesaminare i fatti, ma solo a valutare la corretta applicazione della legge. Si versa, pertanto, nel tipico caso di inammissibilità per avere dedotto "motivi diversi da quelli consentiti dalla legge", locuzione (presente nell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen.), alla quale si ricorre quando debbono essere censurati i motivi c.d. "in fatto" ossia quelli che, discostandosi del tutto dalle tipologie descritte nell'art. 606 cod. proc. pen., in realtà rappresentano il tentativo del ricorrente di sollecitare un giudizio di merito da parte della Cassazione. Un terzo grado di merito che non è previsto dalla legge, dunque, antisistema rispetto alla configurazione del giudizio di legittimità, che è invece limitato alla rilevazione di errori in diritto commessi dal giudice di merito oppure all'apprezzamento dì una motivazione - così come illustrata nel provvedimento impugnato od in eventuali atti del processo rilevati ove sia dedotto il vizio di travisamento probatorio - che si presenti o del tutto mancante, o contraddittoria o, infine, illogica. Ma in modo "manifesto", sicché semplici aporie non rilevati o errori marginali mai potrebbero integrare il motivo di ricorso di cui all'art. 606 lett. e), cod. proc. pen.
Deve, dunque, essere ribadito che l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01).
10. Infine, inammissibile perché proposto da soggetto non legittimato e, comunque, perché manifestamente infondato è il terzo motivo.
10.1. Premesso che le statuizioni materia di confisca seguono (e presuppongono) il giudizio di accertata responsabilità penale per i fatti-reato contestati al capo j), per i quali è intervenuto il proscioglimento per prescrizione della attuale ricorrente, quest'ultima, con il motivo in esame, si duole della disposta confisca delle autovetture di cui al capo j) ad essa fittiziamente intestate, circostanza peraltro da ella sostanzialmente ammessa nel corso del giudizio. Ciò premesso è dunque, evidente che la stessa è carente di legittimazione ad eccepire la disposta confisca non avendone la relativa titolarità.
10.2. In ogni caso, come anticipato, il motivo è manifestamente infondato.
I giudici territoriali, sul punto, giustificano il mantenimento della disposta confisca delle autovetture oggetto d'imputazione alla La.Iu. al capo j), anche quelle oggetto degli episodi dichiarati estinti per intervenuta prescrizione, in quanto corpo dei reati in contestazione, evidenziando che, in ogni caso, trattandosi di intestazioni fittizie, l'imputata, concorrente nel reato, non poteva certamente rivendicare la restituzione dei beni in suo favore.
La censura difensiva svolta con il terzo motivo non coglie nel segno per le stesse ragioni illustrate supra a proposito dell'identica doglianza svolta nel terzo motivo di ricorso del ricorrente Za.Vi.
Ed invero, la confisca dei veicoli indicati al capo j), nn.ri 3, 7, 10, 11 e 12, oggetto del proscioglimento per prescrizione in grado d'appello, è stata correttamente disposta, trattandosi di confisca diretta e non per equivalente, come si desume dalla lettura della sentenza di primo grado e di quella d'appello in cui si afferma espressamente, tramite rinvio alla motivazione svolta per la posizione processuale dello Za.Vi. "trattandosi di confisca obbligatoria e diretta, ex artt. 240 c.p. e 12 bis D.Lgs. 74/2000, avente ad oggetto beni costituenti corpo dei reati per cui si è proceduto, e, pertanto, può essere applicata anche in caso di sopravvenuta prescrizione, dopo la condanna in primo grado (Sez. 2, Sent. n. 17354 dell'8/3-26/4/2023, Rv. 284529)". La confisca "diretta" è qualificabile come misura di sicurezza e può essere applicata, anche in caso di prescrizione, in ossequio agli insegnamenti delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434 - 01) quando vi sia stata una condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria (casi tra i quali devono essere compresi quelli in cui è applicabile l'art. 12-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000).
10.3. Il richiamo all'art. 578-bis, cod. proc. pen., è quindi, improprio, non essendo stata disposta la confisca per equivalente ma in forma diretta dei veicoli in questione.
11. Conclusivamente, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili -fatta eccezione per i primi due motivi di ricorso dello Za.Vi., con conseguente revoca della confisca dell'unità immobiliare e sua restituzione all'avente diritto -, con condanna dei soli ricorrenti Va.Au. La.Iu. e La.Co., ciascuno, al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione dei ricorsi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Za.Vi. limitatamente alla confisca dell'immobile sito in Omissis, Galleria Omissis, che revoca, disponendo la restituzione del predetto bene all'avente diritto, se tuttora in sequestro. Si comunichi al Procuratore Generale in sede per quanto di competenza ex art. 626 cod. proc. pen. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Va.Au. La.Iu. e La.Co., che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 5 agosto 2025.
Depositata in Cancelleria l'8 agosto 2025.