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Concussione: non è sufficiente lo stato di timore riverenziale o autoindotto del destinatario


Corte di Cassazione

La massima

Ai fini della configurabilità del reato di concussione non è sufficiente lo stato di timore riverenziale o autoindotto del destinatario di una richiesta illegittima proveniente da un pubblico ufficiale, neppure quando quest'ultimo riveste una posizione sovraordinata e di supremazia rispetto al primo, poiché il delitto di cui all'art. 317 c.p. richiede che l'agente provvisto di qualifica pubblicistica, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, esteriorizzi concretamente un atteggiamento idoneo ad intimidire la vittima. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva escluso la configurabilità del reato in presenza di una richiesta formulata da un'Alta carica dello Stato nei confronti di un funzionario di Polizia che, pur se “impropria e scorretta”, non risultava essere stata accompagnata da ulteriori comportamenti positivi orientati a suggestionare, persuadere o convincere l'interlocutore - Cassazione penale , sez. VI , 10/03/2015 , n. 22526).



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 10/03/2015 , n. 22526

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'Appello di Milano, riformando la pronuncia di condanna emessa dal locale Tribunale il 24/06/2013, ha assolto B.S. dai reati di concussione aggravata (art. 317 c.p., art. 61 c.p., n. 2, capo A dell'imputazione) e di prostituzione minorile (artt. 81 cpv. c.p., art. 600 bis c.p., comma 2, capo B) perchè il fatto non sussiste, quanto alla prima imputazione, e perchè il fatto non costituisce reato, quanto alla seconda.


2. I fatti storici possono essere schematicamente riassunti, seguendo la ricostruzione fattane dalla Corte territoriale.


2.1. Accusa di concussione:


- la sera del (OMISSIS), E.M.K. viene fermata a (OMISSIS) da agenti della Polizia di Stato poichè accusata verbalmente da tale P.C. di averle sottratto una somma di denaro durante un pregresso periodo di convivenza; la P. formalizzerà la denunzia per iscritto solo il successivo (OMISSIS);


- una volta accompagnata in Questura, vengono avviati accertamenti sull'identità della ragazza, che asserisce di essere minorenne di nazionalità marocchina e poichè priva di documenti d'identità, viene sottoposta a procedura di foto segnalamento;


- nel mentre sono ancora in corso detti accertamenti, B. S. parla con il Dott. O.P. (capo di gabinetto del questore di Milano), contattato telefonicamente presso la sua abitazione in (OMISSIS), per il tramite di una persona facente parte dello staff dell'allora Presidente del Consiglio;


- tale persona introduce al funzionario di polizia l'intervento al telefono di B., che riferisce direttamente del problema di una ragazza nordafricana priva di documenti, che è stata fermata e, asserendo essergli stata segnalata come la nipote dell'allora Presidente egiziano Mu., aggiunge che si sarebbe presentata in Questura la consigliera parlamentare (in realtà, regionale) M. N., la quale, a sua volta, se ne sarebbe fatta carico;


- segue quello che viene definito dalla Corte territoriale l'insistente attivismo del Dott. O., che inizia a tempestare di telefonate la funzionaria di turno, D.ssa I.G., affinchè la ragazza sia affidata alla M. anche prima dell'esaurimento delle procedure di identificazione; di quanto sta accadendo, l' O. informa anche i suoi diretti superiori gerarchici, il questore Dott. In. e il dirigente dell'UPG Dott. Mo.;


- le verifiche in ordine all'identità della ragazza portano ad accertare che la stessa è di nazionalità marocchina, si è allontanata indebitamente da una comunità di accoglienza presso cui era allocata in Sicilia, non è evidentemente la nipote di Mu., conduce una vita non consona alla sua età (pratica la danza del ventre in locali notturni milanesi) e per tale motivo soggetta alla procedura amministrativa connessa alle misure adottabili, ai sensi dell'art. 403 c.c., nei confronti dei minori non accompagnati;


- dopo la prima telefonata diretta con B., seguono altre due o tre telefonate tra il Dott. O. ed il capo scorta del Presidente del Consiglio, E.G., il quale s'informa sulla natura dei provvedimenti adottati dall'autorità di Polizia sul caso segnalato;


- nel frattempo la D.ssa I. ha avviato una serie di accertamenti, anche presso organi di Polizia operanti in Sicilia, dove vive la famiglia della minore, al fine di acquisire un documento che ne attesti in maniera certa l'identità;


- parallelamente avviene un'interlocuzione con il PM di turno presso il Tribunale per i Minori di Milano, D.ssa Fi., circa l'individuazione della migliore collocazione temporanea della minore;


- quale che sia il contenuto delle conversazioni intercorse con il PM e le disposizioni da questi impartite, la ragazza viene alla fine presa in consegna dalla consigliera regionale, M.N., appositamente giunta in Questura, ma è materialmente collocata presso l'abitazione di D.C.S.O.M., esercente la prostituzione, la quale di lì a pochi giorni ( (OMISSIS)) verrà a diverbio violento con la E.M., provocando un nuovo intervento di agenti della Polizia di Stato, sollecitato da una terza persona abitante nello stesso stabile e allarmata dalle grida provenienti dall'appartamento occupato dalle due donne.


2.2. Accusa di prostituzione minorile.


Dai numerosi interrogatori cui la minore viene sottoposta dal PM, si ricava che la medesima è dedita alla prostituzione e che ha partecipato ad alcune serate conviviali a sfondo sessuale e prostituivo svoltesi ad (OMISSIS), presso la residenza privata di B.S. (nell'arco temporale compreso tra il (OMISSIS)); a dette serate hanno partecipato numerose ragazze incaricate di intrattenere B. ed i suoi pochi ospiti di sesso maschile (mai più di tre) con balli, danze lascive, esibizioni ammiccanti ad atti sessuali, lasciandosi talora andare al compimento di atti sessuali veri e propri con il padrone di casa, al deliberato fine di essere fra le prescelte a passare con lui la notte.


Le minuziose verifiche permettono di appurare che le performances delle ragazze vengono retribuite in misura progressivamente maggiore a seconda del grado d'interazione diretta con il padrone di casa, che remunera il loro operato in maniera oltremodo generosa.


La consapevolezza da parte di B. della minore età di E. M.K., quanto meno la sera del (OMISSIS), le dichiarazioni, seppur contraddittorie, da costei rese al PM e l'acclarato svolgimento delle serate a sfondo sessuale nei mesi precedenti determinano la formulazione dell'accusa in esame.


3. La Corte territoriale, dopo avere correttamente disatteso una nutrita serie di eccezioni di natura processuale (pagg. 116-177 sentenza) che, data la natura della decisione finale, è superfluo passare in rassegna, ha escluso la stessa materialità del ritenuto reato di concussione e l'elemento psicologico del contestato reato di prostituzione minorile, sotto il profilo della non consapevolezza, da parte dell'imputato, della minore età della persona offesa.


3.1. I capisaldi della pronunzia di assoluzione riguardo all'ipotesi di concussione sono i seguenti:


- manca la prova dell'esistenza di una condotta costrittiva nei confronti del Dott. O. da parte dell'imputato mediante minaccia di un danno ingiusto;


- le stesse dichiarazioni rese dal funzionario in dibattimento escludono che lo stesso sia stato fatto segno di minaccia, esplicita o implicita, nè che si sia sentito destinatario di una pressione irresistibile;


- le modalità d'intervento dell'allora Presidente del Consiglio B. sul funzionario, ancorchè chiaramente rivelatrici del preciso interesse del primo alle sorti della ragazza fermata ed al relativo affidamento alla consigliera regionale M. (scongiurare il rischio di rivelazioni della giovane sulla compromettente frequentazione), non esprimono, nè implicitamente tradiscono, un contenuto minatorio;


- l'insistente attivismo dimostrato quella sera dall' O. nell'assecondare i desiderata dell'allora Presidente del Consiglio viene ascritto ad una serie di fattori o ad una combinazione di essi, individuati dalla Corte territoriale in timore reverenziale, debolezza caratteriale, desiderio di non sfigurare, timore autoindotto per le possibili conseguenze di una revoca delle assicurazioni improvvisamente fornite in precedenza, convinzione di agire nel lecito;


- viene escluso, inoltre, quale movente della condotta del funzionario nell'assecondare la richiesta rivoltagli, il perseguimento di un suo vantaggio personale, immediato o futuro, ciò in sintonia con quanto già statuito sul punto dal giudice di primo grado, con conseguente impossibilità di ravvisare nei fatti la diversa figura criminosa di cui all'art. 319 quater c.p.;


- la pur acclarata deroga alle procedure amministrative di affidamento dei minori per finalità di protezione ha avuto portata "non eversiva" (pag. 221 sentenza) rispetto alla prassi ordinaria, talchè ragionevolmente si ritiene che l'affidamento della quasi diciottenne e adultizzata E.M.K. alla consigliera regionale M. era parso agli operanti una modalità compatibile con quelle procedure.


3.2. Quanto all'accusa di prostituzione minorile, la Corte territoriale così argomenta:


- assodata la presenza della E.M. ad almeno otto serate di (OMISSIS) (pag. 304 sentenza) nonchè la sua dedizione, pregressa e successiva, alla prostituzione, si afferma il suo coinvolgimento in attività sessuale diretta e a pagamento con B.S., col quale aveva trascorso la notte in almeno due occasioni ( (OMISSIS));


- rimane parimenti pacifico che, la sera del (OMISSIS), B. fosse pienamente consapevole della minore età della E. M. e che anzi l'iniziativa da lui assunta in quell'occasione venne determinata dal preciso movente di evitare che la ragazza potesse rivelare - come poi in effetti accaduto - l'esistenza del giro di prostituzione presso la residenza privata di (OMISSIS), con il compromettente particolare della sua minore età;


- non è emerso, invece, in maniera certa che B. fosse consapevole della minore età della E.M. (nota come R.) anche in epoca precedente, allorquando, cioè, costei aveva partecipato alle serate di cui all'imputazione;


- a conforto di tale conclusione si nega rilevanza decisiva:


a) alle contraddittorie dichiarazioni rese al riguardo dalla stessa E.M. al PM il 22 luglio e il 3 agosto 2010;


b) alle risultanze di alcune conversazioni intercettate nel periodo settembre - ottobre (OMISSIS) a carico della ragazza, parimenti ritenute inaffidabili ed anzi, poichè in contrasto con quanto in precedenza riferito al PM, palesemente false e orientate esclusivamente alla gestione opportunistica della vicenda, vale a dire al dichiarato scopo di ricavarne un vantaggio economico;


c) all'argomentazione deduttiva spesa dal giudice di primo grado, secondo cui il dato della minore età della ragazza, noto ad uno dei più assidui frequentatori delle serate di (OMISSIS) ( F.E.), sarebbe stato senza ombra di dubbio riferito a B.S., attesi i rapporti di amicizia e di confidenza tra i due e l'importanza del dato stesso (pagg. 313 e segg. sentenza);


- si valorizzano, infine, a ulteriore conforto del convincimento raggiunto: a) le dichiarazioni sul punto rese da numerosi testimoni escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale e ritenuti attendibili, i quali tutti avevano dichiarato che la E.M. mostrava ben più dei suoi diciassette anni, alcuni di essi avendo anche precisato che la predetta era adusa fornire false generalità, sostenendo di chiamarsi R.H. e di avere un'età di volta in volta diversa, variabile dai diciannove ai ventisette anni;


b) la scheda di registrazione presso l'agenzia di m.d.


( l.) con le false generalità ( H.R.) e la falsa data di nascita ((OMISSIS));


c) la denuncia sporta presso la stazione dei Carabinieri di Milano Crescenzago in data 01/05/2010 per il furto con strappo di cui era rimasta vittima in pari data, occasione in cui la giovane aveva fornito le stesse false indicazioni circa la sua identità, senza destare sospetti nel verbalizzante;


d) la confidenza fatta dalla ragazza ad alcuni suoi amici (testimonianze di R.G. e V.G.) di non avere rivelato la sua minore età a B.S.;


e) la testimonianza, ancorchè de relato, di F.I., altra partecipante alle "note serate", secondo la quale la E.M. non era stata più invitata ad Arcore da quando l'imputato ne aveva scoperto la minore età.


4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Milano, deducendo tre articolati motivi.


4.1. Violazione della legge penale e vizio di motivazione, in relazione all'art. 317 c.p., art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).


Il ricorrente premette che - secondo le indicazioni fornite da questa Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 12228 del 2014, Maldera - il criterio discretivo tra condotta di costrizione ed induzione non può essere affidato esclusivamente alla ricostruzione del formale atteggiamento soggettivo delle parti, vale a dire alle modalità espressive dell'abuso esercitato dall'intraneus ed ai riflessi che dette modalità segnano sulla psiche dell'extraneus, talchè si rende necessario approfondire gli aspetti contenutistici di quanto dal primo prospettato al secondo e gli effetti che a quest'ultimo possono derivare in termini di danno o vantaggio ove non aderisca alla richiesta alternativa di promessa o dazione di una qualche utilità: a tale metodologia di valutazione non si sarebbe adeguata la Corte distrettuale.


Il ricorrente, mostrando a più riprese di aderire all'inquadramento delle varie questioni nel solco del percorso argomentativo seguito dalla sentenza di primo grado, sottopone a minuziosa analisi i principali snodi di fatto della vicenda concussiva (il colloquio telefonico tra B. ed il dr. O.; i fatti successivi a tale telefonata e in particolare il comportamento tenuto dal funzionario, le pressioni dal medesimo esercitate sulla d.ssa I., le comunicazioni tra l'Ostuni ed il capo scorta E.; il meccanismo motivazionale del funzionario;


l'intervento del PM minorile) e censura la conclusione cui perviene la Corte territoriale circa la ritenuta inesistenza della prevaricazione costrittiva.


La stessa condotta tenuta dal funzionario dopo l'iniziale colloquio telefonico con l'allora Presidente del Consiglio, considerato il complessivo contesto fattuale in cui essa s'inserì, evidenzia, infatti, secondo il ricorrente, l'erronea ed illogica argomentazione dei giudici d'appello, secondo cui tale condotta non sarebbe stata l'effetto eziologicamente ricollegabile all'abuso costrittivo realizzato da B..


L' O., al contrario, si rese ben presto conto della strumentante della segnalazione relativa all'asserita parentela della ragazza con il Presidente egiziano, circostanza rivelatasi falsa, e percepì la forza cogente della corrispondente richiesta, che doveva comunque essere esaudita per non esporsi al rischio di eventuali pregiudizi in ambito lavorativo. Conclusione questa -sottolinea il ricorrente - legittimata anche dalla peculiarità della vicenda, caratterizzata dal fatto che l'intervento concussivo fu posto in essere da un pubblico ufficiale nei confronti di altro pubblico ufficiale: il primo, infatti, impartì al secondo un vero e proprio "ordine", veicolando, quindi, un chiaro messaggio sopraffattorio diretto "a coercire la volontà del destinatario".


4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 319-quater c.p., art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).


Il ricorrente si duole anche del fatto che, una volta esclusa la configurabilità del delitto di concussione, non sia stato ritenuto sussistente il diverso reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all'art. 319 quater c.p..


Premesso che la Corte territoriale ha negato la ricorrenza di detta ipotesi, avendo escluso che il funzionario, assecondando la richiesta dell'allora Presidente del Consiglio, avesse avuto di mira futuri e indebiti vantaggi personali, il ricorrente censura tale conclusione perchè, a suo dire, viziata sotto un duplice profilo.


In fatto, in quanto le emergenze processuali delineavano un funzionario da subito in grado di comprendere, negli esatti suoi termini ed implicazioni, la richiesta rivoltagli: esclusa la configurabilità dell'abuso costrittivo, era pertanto logico ritenere che l' O. avesse agito in vista di un proprio tornaconto personale e quindi dell'ottenimento di un indebito vantaggio.


In diritto, poichè, con riferimento ai casi ambigui, la citata sentenza SU n. 12228/14 ha sottolineato che i parametri rivelatori della concussione (art. 317 c.p.) piuttosto che dell'induzione indebita (art. 319 quater c.p.) debbono essere apprezzati sulla base di una valutazione equilibrata e approfondita del fatto. In particolare, proprio nel caso di abuso della qualità, l'extraneus può essere indotto a dare o promettere una qualche utilità, al fine di acquistare la benevolenza del pubblico agente, potenzialmente foriera di futuri favori, considerato che il vantaggio indebito, sotto il profilo contenutistico, può consistere, oltre che in un beneficio determinato e specificamente individuato, anche in una generica disponibilità clientelare del pubblico agente.


4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 600-bis c.p., comma 2, 192 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e).


Quanto al reato di prostituzione minorile, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale sia pervenuta alla pronunzia assolutoria attraverso una rivisitazione del materiale probatorio già esaminato dai primi giudici, rivisitazione condotta in maniera che definisce oltremodo approssimativa, ingiustificatamente frazionata e spesso sostenuta da argomentazioni intrinsecamente illogiche.


Anche per tale imputazione, il ricorrente sottopone a dettagliata analisi elementi di fatto tratti dal compendio probatorio (il comportamento di B.S. a seguito del controllo della minore E.M.K. da parte dell'autorità di polizia; il contenuto delle intercettazioni telefoniche rilevanti; il comportamento di Fe.Em.), sostenendo che le prove di accusa, ove doverosamente lette in modo organico, non frazionato e in costante coordinamento con i diversi elementi di fatto accertati in giudizio, convergono nel senso di dimostrare la responsabilità di B.S. anche per tale reato.


5. I difensori del resistente B.S., in data 21/02/2015, hanno depositato memoria con cui chiedono a questa Corte di dichiarare l'inammissibilità del ricorso, sostenendo che esso si sostanzia nella mera indicazione dei parametri e dei criteri di valutazione dei fatti da preferirsi nell'ottica di un'asserita maggiore plausibilità o migliore capacità esplicativa, mirando in realtà a riproporre argomentazioni di merito già valutate dalla sentenza impugnata con motivazione logica e coerente, come tale insindacabile in sede di legittimità.


A sostegno della richiesta, si ripercorrono le stesse cadenze del ricorso della parte pubblica, evidenziandosi per ciascuna di esse come si tenti di conseguire, in sede di legittimità, una valutazione alternativa rispetto a quella operata dalla sentenza di merito; si deduce che, in più passaggi dell'atto d'impugnazione, viene dal ricorrente esposta la propria linea argomentativa, omettendo però di valutare la tenuta logica della motivazione della decisione; in altro punto (a proposito delle comunicazioni telefoniche intercorse tra il capo scorta E. ed il funzionario della Questura, dr. O., successive all'unica e breve telefonata intercorsa con l'imputato) si lamenta come il ricorso si muova nella prospettiva di sostituire la corretta e logica valutazione dei fatti operata dal Giudice distrettuale con altra addirittura fantasiosa.


In definitiva, si sostiene che il ricorso eccepisce vizi inesistenti, derivandone la manifesta infondatezza sul tema dell'assoluzione dal reato di cui all'art. 317 c.p. Quanto alla possibilità, specificamente sostenuta in ricorso, di ravvisare alternativamente il diverso reato di cui all'art. 319 quater c.p., si sostiene che il prospettato vantaggio indebito perseguito dal dr. O. viene relegato a mero sospetto, del tutto sganciato dalla benchè minima possibilità di riscontro processuale e non comprovabile mediante il ricorso a qualsivoglia massima d'esperienza.


Con riferimento, poi, al motivo di ricorso concernente l'ipotesi di reato di prostituzione minorile, si sostiene che la censura articolata dal ricorrente, limitandosi ad una valutazione di merito contrapposta, in termini di mera plausibilità, a quella della sentenza impugnata, risulta parimenti inammissibile.


Segue, infine, una confutazione nel merito delle prospettazioni del ricorso riferite alle varie parti in cui esso è articolato, mediante rilettura degli elementi probatori utilizzati dalla Corte territoriale alternata all'indicazione dei vizi di illogicità dedotti dal PG, dei quali viene rimarcata l'insussistenza.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L'impugnazione del PG territoriale è infondata e deve essere respinta.


2. Prima, però, di affrontare i temi e le questioni posti dal ricorso, pare al Collegio opportuno procedere alla riaffermazione di basilari principi che presiedono allo svolgimento del giudizio di legittimità, quale disciplinato dagli artt. 606 c.p.p. e segg..


Trattasi di concetti noti e certamente scontati. Tuttavia, considerato che il primo dovere del giudice è quello di rendere giustificazione della decisione adottata, non pare inutile procedere ad alcune puntualizzazioni, finalizzate ad evitare eventuali erronee, se non distorte, valutazioni del contenuto della pronuncia.


E' affermazione corrente tra gli operatori del diritto che nel giudizio di cassazione è la decisione ad essere "imputata". Tale icastica definizione risulta del tutto appropriata, poichè è la pronuncia impugnata ad essere oggetto di diretta verifica da parte del giudice di legittimità.


La Corte di cassazione, quindi, è giudice della sentenza e non del processo, ha il compito di controllare la corretta interpretazione della legge e la logicità dell'iter argomentativo poste a base del giudizio espresso in sede di merito; non è equiparabile ad una Terza Istanza (si pensi all'epoca, anteriore al positivismo giuridico, dei Grandi Tribunali), quale giudice dell'intero processo di cui conosce il merito e che ignora la distinzione tra quaestio iuris e quaestio facti, fungendo, per così dire, da "Corte di secondo appello".


E' pur vero che, con la L. 20 febbraio 2006, n. 46 (art. 8, comma 1, lett. b), che ha sostituito dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), si è ampliato il sindacato di legittimità sul vizio di motivazione, nella chiara prospettiva di garantire la correttezza e la completezza delle informazioni su cui fondare la motivazione medesima; ciò, però, non snatura il sindacato di legittimità che rimane circoscritto alla sentenza e al percorso giustificativo su cui essa riposa, il che impedisce - di norma - l'accesso agli atti processuali, a meno che il motivo di ricorso dedotto, per la sua specificità e decisività, non denunci un travisamento della prova.


La Corte Suprema non condanna o non assolve l'imputato; a farlo è il giudice di merito in grado di appello o in primo grado, a seconda delle modalità di presentazione del ricorso (ordinario ex art. 606 c.p.p., comma 2, 607c.p.p., comma 1 e art. 608 c.p.p., comma 1 o immediato ex art. 569 c.p.p., comma 1).


Compito precipuo della Corte di cassazione - lo si ribadisce - è soltanto quello di controllare l'osservanza e la corretta applicazione della legge penale, delle norme giuridiche extrapenali integratrici e di quelle processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b e e) e di verificare la presenza, la non contraddittorietà e la "tenuta logica" della motivazione, eventualmente anche sotto il profilo della mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d ed e.


L'intervento della Corte di Cassazione, conclusivamente, non può che essere relazionato alla natura e alla qualità dell'atto di ricorso e alla sentenza cui esso si riferisce, per rappresentarne la patologia sia sul piano formale (errores in procedendo) che su quello sostanziale (errores in iudicando).


3. Deve aggiungersi, inoltre, che particolari regole di giudizio, elaborate prevalentemente dalla giurisprudenza, presiedono ai casi in cui le decisioni intervenute nei due gradi di merito siano tra loro divergenti: semplificando al massimo, assoluzione in primo grado e condanna in appello o viceversa.


3.1. Nella prima di tali ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha più volte affermato il principio che al giudice di secondo grado, che condanna l'imputato assolto in primo grado, s'impone un obbligo di motivazione c.d. "rafforzata", necessario innanzi tutto per giustificare il diverso apprezzamento come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p., comma 1), sulla base di elementi di prova diversi o diversamente valutati a confutazione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie del primo giudizio (Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231674; Sez. U, sent. n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 22693; Sez. 6^, sent. n. 8705 del 24/01/2013, Rv.


254113; Sez. 6^, sent. n. 1266 del 10/10/2012, Rv. 254024; Sez. 6^, sent. n. 22120 del 29/04/2009, Rv. 243946).


Vi sono altre ragioni sistematiche che hanno condotto all'elaborazione di detto principio, come l'obiezione che l'imputato, non avendo presentato appello perchè assolto, non ha più la possibilità di confutare il nuovo apprezzamento di merito, se non nel limitato ambito dell'impugnazione della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ovvero, sul diverso piano dei rapporti con altri ordinamenti, di contemperare i caratteri del giudizio di appello nell'attuale sistema processuale, connotato per i casi ordinari da una rinnovazione solo eventuale dell'istruzione dibattimentale (art. 603 c.p.p., commi 1 e 3), con l'elaborazione giurisprudenziale maturata dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sull'art. 6, comma 1, prima parte, comma 3, lett. d) della CEDU Ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole da un tribunale ... che deciderà ... sul fondamento di ogni accusa penale elevata contro di lei ... interrogare o fare interrogare i testimoni...").


Già più volte investita di ricorsi proposti da persone assolte dal giudice di prima istanza e condannate in appello nel proprio Paese, sulla base dello stesso materiale probatorio del primo giudizio e senza celebrazione di nuova istruttoria dibattimentale, la Corte di Strasburgo ha, infatti, privilegiato il diritto dell'accusato a confrontarsi con i testimoni d'accusa, che devono essere sentiti personalmente dal giudice, al fine di valutarne direttamente l'attendibilità, che non può essere desunta dalla semplice lettura di quanto già in precedenza verbalizzato (Corte EDU 4.6.2013, Hanu c. Romania; Corte EDU 10/04/2012, Popa e Tananescu c. Romania; Corte EDU 26/06/2012, Gaitanaru c. Romania; Corte EDU 5.7.2011, Dan c. Moldavia; Corte EDU 21/09/2010, Marcos Barrios e. Spagna).


3.2. Nel secondo caso, che è anche quello in esame, al giudice di appello che, ribaltando la decisione di condanna emessa in primo grado, assolva l'imputato è richiesto di riesaminare, sia pure in maniera sintetica ma incisiva, l'intero materiale probatorio vagliato dal primo giudice, quello sfuggito alla valutazione del medesimo e quello ulteriore eventualmente acquisito, per dare, riguardo alle parti non condivise della prima sentenza, una diversa struttura della motivazione che dia ragione delle difformi conclusioni assunte (ex plurimis, Sez. 2^, sent. n. 50643 del 18/11/2014, PC in proc. Fu e altri, Rv. 261327; Sez. 5^, sent. n. 21008 del 06/05/2014, PG e PC in proc. Barzaghi e altri, Rv. 260582; Sez. 6^, sent. n. 1253 del 28/11/2013, PG i proc. Ricotta, Rv. 258005; Sez. 6^, sent. n. 4672 dell'08/10/2013, PG in proc. Hamdhi Ridha, Rv. 257332).


In tale evenienza, l'elaborazione di una vera e propria metodologia della decisione discende dalla struttura del giudizio d'appello nel vigente sistema processuale, il quale contempla casi estremamente limitati di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (art. 603 c.p.p.), laddove è, infatti, il giudice di primo grado ad ammettere e raccogliere le prove (artt. 493 c.p.p. e segg.), ascoltando i testimoni, i consulenti, i periti, procedendo alle ricognizioni di persona, ai confronti giudiziali, etc. 3.3. Come anticipato, è poi il ricorso ad orientare il contenuto della pronuncia di legittimità, atteso che l'art. 609 c.p.p., attribuisce alla Corte di Cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti, fermi restando i poteri di sindacato sulle questioni rilevabili d'ufficio e su quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello (esemplificando:


ius superveniens, pronunce d'incostituzionalità, cause di non punibilità, pena illegale).


In presenza di una doppia difforme, in particolare, la Corte di Cassazione deve analizzare le due sentenze per comprendere a pieno le ragioni della difformità e stabilire se quella impugnata resista o meno alle censure che le vengono mosse con il ricorso.


A tale fine, s'impone un duplice test:


a) analisi della sentenza di primo grado per individuare l'errore di diritto ovvero l'errore logico o eventualmente informativo, cui deve seguire;


b) l'analisi della sentenza d'appello al fine di accertare che sia stata fatta corretta applicazione della legge e che sia stato esaminato e valutato, senza evidenti crepe logiche, tutto il compendio probatorio disponibile a supporto della diversa conclusione raggiunta.


L'esito positivo di tale controllo non può che avere come epilogo il rigetto del ricorso e, quindi, la conferma della sentenza d'appello.


4. Tanto premesso, deve ora procedersi alla concreta verifica di legittimità della sentenza impugnata.


5. Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte territoriale ha investito la decisione impugnata di plurimi motivi di censura, in genere vertenti sul piano della logicità della motivazione, ma evocanti - esplicitamente o implicitamente - l'esame di alcuni profili di diritto che verranno di seguito specificamente analizzati.


Va, invece, osservato che nessuna doglianza è stata sollevata dal P.G. ricorrente riguardo alla metodologia argomentativa della sentenza in verifica.


Questa dedica un numero cospicuo di pagine (circa settanta) alla confutazione delle eccezioni difensive di carattere procedurale, procede ad articolata e completa disamina di tutte le questioni affrontate dal giudice di primo grado, ne sottopone a critica le divergenti conclusioni, offre autonoma e difforme valutazione degli elementi di fatto e di diritto esaminati e risponde, pertanto, pienamente ai canoni elaborati dalla ricordata giurisprudenza di questa Corte di legittimità riguardo ai casi di totale riforma in appello della decisione di condanna emessa nel primo grado di giudizio.


6. Accusa di concussione (art. 317 c.p., capo A dell'imputazione).


L'atto d'impugnazione contiene una premessa in diritto concernente l'individuazione del criterio discretivo tra condotta di costrizione e condotta d'induzione, evocando espressamente gli approdi interpretativi cui questa Corte di Cassazione è pervenuta con la sentenza delle Sezioni Unite n. 12228 del 24/10/2013, Maldera e altri, Rv. 258470, di cui si ripropone di seguito la massima.


Il delitto di concussione di cui all'art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè, viene posto di fronte all'alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa - non dovuta - di denaro o altra utilità e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall'art. 319 quater c.p., introdotto dalla richiamata legge, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest'ultimo non si risolva in un'induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l'indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all'esito di un'approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest'ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta).


6.1. Il richiamo a tale decisione induce il Collegio ad alcune considerazioni preliminari in ordine al quadro normativo di riferimento dell'imputazione di concussione formulata a carico di B.S..


Al momento dell'iscrizione del suo nome nel registro degli indagati ((OMISSIS)), il delitto di concussione era previsto dall'art. 317 c.p., nel testo previgente. Le condotte con cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio poteva far valere la propria pretesa abusiva nei confronti della parte offesa erano indifferentemente quella della costrizione o quella dell'induzione ("costringe o induce").


La previsione ha subito, com'è noto, una consistente modifica per effetto della L. n. 190 del 2012, la quale ha delimitato la soggettività attiva del reato al solo pubblico ufficiale e procedendo a quello che in gergo viene definito "spacchettamento", ha ristretto la condotta punibile al solo abuso costrittivo, affiancando a tale figura d'illecito quella di nuovo conio ex art. 319 quater c.p., dell'induzione indebita a dare o promettere utilità, reato quest'ultimo plurisoggettivo proprio o normativamente plurisoggettivo, che prevede la punibilità sia dello intraneus che dell'extraneus, entrambi protagonisti necessari, sia pure in posizione asimmetrica, della violazione del bene giuridico protetto dalla norma, strutturata ormai nella sola dimensione pubblicistica del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione.


Ciò posto, appare del tutto evidente che il mutamento del quadro normativo ha indotto i due giudici di merito a porsi il problema dell'inquadramento della condotta dell'imputato nel paradigma dell'abuso costrittivo ovvero in quello dell'abuso induttivo.


Entrambe le decisioni adottate hanno, infatti, escluso che nella condotta tenuta, la notte tra il (OMISSIS), dal funzionario della Questura di Milano, dr. O.P., destinatario dall'abuso posto in essere dall'imputato, possa ravvisarsi il perseguimento di un vantaggio personale immediato o futuro, con l'effetto che l'oggetto della valutazione dei giudici si è giocoforza incentrato sulla valenza costrittiva o meno dell'iniziativa assunta da B.S., con la nota difformità tra le due pronunce di merito.


6.2. Il nucleo dell'impugnazione del Procuratore Generale territoriale concernente l'assoluzione dal reato di concussione si basa sul rimprovero mosso alla Corte di merito di avere valutato in maniera frammentata il compendio probatorio e di avere conseguentemente ed illogicamente escluso, in contrasto col primo giudice, la sussistenza del carattere gravemente intimidatorio della condotta ascritta all'imputato, integrata dal contenuto della breve telefonata intercorsa con il dr. O. nella tarda serata del (OMISSIS).


Osserva, però, il Collegio che il Giudice distrettuale è pervenuto a tale conclusione, superando l'approdo, per lo più assertivo e congetturale, del Giudice di primo grado e fornendo, in rigorosa aderenza alle risultanze processuali, una propria autonoma, logica e persuasiva valutazione della condotta dell'imputato nella sua oggettività e dei riflessi della stessa sulla percezione soggettiva del funzionario di polizia, il cui conseguente atteggiamento fu orientato non da una esterna e grave coazione psicologica della sua volontà, sì da renderla viziata, ma dalla combinazione di più fattori, tutti interni al medesimo soggetto, costituiti da timore reverenziale, debolezza caratteriale, desiderio di non sfigurare, timore autoindotto, convinzione di agire nel lecito.


Trattasi di una valutazione rigorosamente ancorata agli esiti, più che chiari, degli accertamenti espletati e certamente non lusinghiera di tale atteggiamento, rivelatosi non consono a un dirigente della Polizia di Stato, che, ancorchè inserito in una struttura fortemente connotata in senso gerarchico com'è l'amministrazione del Ministero dell'Interno, è pur sempre soggetto, come più diffusamente si chiarirà in seguito, alla legge e conserva, perciò, autonomi poteri di apprezzamento del contenuto intrinseco anche di veri e propri ordini che possano eventualmente essergli impartiti.


A fronte di tale valutazione che, pur fondata sui medesimi dati probatori acquisiti in primo grado, interpreta gli stessi secondo canoni logici dalla indubbia forza persuasiva e soprattutto coerenti con la realtà processuale, il ricorso si muove nella prospettiva di accreditare, a volte, asseriti errori ricostruttivi della sentenza d'appello e a volte un'alternativa lettura del materiale probatorio, senza mai porre concretamente in crisi il percorso giustificativo della sentenza impugnata.


6.3. Seguendo lo stesso assetto espositivo delle censure articolate in ricorso con riferimento al reato di concussione contestato sub A), deve riassuntivamente osservarsi quanto segue.


6.4 Non sussiste alcuna erronea ricostruzione del contenuto del colloquio telefonico intercorso, la sera del (OMISSIS), tra B.S. e il dr. O.. Divergenze marginali tra le dichiarazioni rese al riguardo dai testi ( V., E., O.) su particolari irrilevanti e privi di decisività non legittimano dubbi sul nucleo essenziale del contenuto della detta telefonata: la richiesta dell'imputato di affidare la ragazza fermata, segnalatagli come nipote del Presidente egiziano, alla consigliera regionale M., che a tal fine si sarebbe portata in Questura.


6.5. Inammissibile è la lettura alternativa che il ricorrente offre della chiara ed inequivoca deposizione testimoniale del dr. O., secondo cui l'imputato, dopo avergli prospettato il caso al quale era interessato, gli rivolse, in tono assolutamente pacato, una semplice richiesta e non gli imparti" alcun ordine. Sostenere che il teste, alla domanda rivoltagli "se gli fu dato un ordine o gli fu chiesta un'informazionè avrebbe risposto con un perentorio "no" - che il PG ricorrente definisce olofrastico, cioè equivalente nell'uso ad un'intera frase e riferibile alla sola seconda parte della domanda - è operazione che tradisce il significato effettivo delle complessive dichiarazioni rese dal medesimo teste.


6.6. I rilievi sulla ricostruzione dei fatti successivi al contatto telefonico tra l'imputato e il dr. O. e sul comportamento da quest'ultimo tenuto si risolvono in non consentite valutazioni di merito - incidenti per lo più su dati processuali di contorno e non univocamente dimostrativi dell'abuso costrittivo (non avere l' O. informato il Questore circa l'accertata falsità della parentela della minore con il Presidente Mu.) - e sono quindi inidonei a minare la tenuta logica della sentenza impugnata.


6.7. Non diversa deve essere la conclusione con riferimento alla doglianza relativa all'omessa informazione, da parte del dr. O., al capo scorta E. circa l'accertata inesistenza di qualsiasi rapporto di parentela tra la E.M. e Mu., circostanza questa che, a dire del ricorrente, integrerebbe un ulteriore elemento di prova dello stato di coartazione psichica in cui il funzionario di polizia si trovò ad operare. E' evidente il tentativo del PG ricorrente di accreditare un'interpretazione alternativa dei fatti, spingendosi fino ad ipotizzare quale avrebbe dovuto essere il comportamento appropriato del funzionario, non facendosi, tuttavia, carico di evidenziare incoerenze o salti logici della sentenza censurata.


6.8. Il meccanismo motivazionale che, a seguito della sollecitazione dell'imputato, orientò la condotta del dr. O. viene, invece, individuato dal Giudice d'appello nella combinazione sinergica di più fattori, quali timore riverenziale o autoindotto, timore di non sfigurare, mera compiacenza.


Trattasi non già di una Via di fugà, privilegiata dai giudici di merito in via del tutto congetturale, ma di un realistico e logico apprezzamento della realtà processuale, giacchè lo stesso O., sulla cui attendibilità nessuna riserva è stata avanzata, ha escluso di essere stato destinatario di un ordine cogente, da lui avvertito come ineludibile. Meccanismi psicologici del foro interno di una persona, contrariamente a quanto si legge nel ricorso, sono sempre conseguenti a sollecitazioni o influenze esterne, anche se non necessariamente di natura costrittiva, nè è immaginabile una condizione di permanente soggezione di un soggetto a prescindere da qualsiasi influenza di terzi. Il timore autoindotto, di per sè, non incide sulla libertà di determinazione del soggetto, tanto che non integra, anche sul piano civilistico, un vizio della volontà, quale causa di annullamento del contratto (art. 1437 c.c.).


Gli argomenti che il ricorrente, ponendosi da un diverso angolo prospettico, sviluppa sul punto non evidenziano crepe logiche del percorso giustificativo su cui riposa la sentenza in verifica e concretizzano inferenze sganciate da concreti dati probatori.


6.9. Non è dato, inoltre, riscontrare alcuna "inaccettabile forzatura ermeneutica" della sentenza di merito nella parte in cui, affrontando il tema dell'intervento del Pubblico Ministero minorile, sottolinea che la stessa accusa, per come cristallizzata nel capo d'imputazione, muove dal presupposto che detto magistrato, all'esito dei plurimi contatti telefonici avuti con personale della Questura di Milano, finì sostanzialmente con l'autorizzare, nel corso dell'ultimo contatto con la d.ssa I. (v. pagg. 199-200 sentenza; testimonianze L. e Colletti, presenti alla telefonata), l'affidamento della minore alla consigliera regionale M., sia pure subordinandolo all'acquisizione di un documento d'identità della stessa ed a prescindere dalla verifica della parentela con Mu..


Incorre, invece, in errore, il PG ricorrente nel sostenere che tale presupposto sarebbe del tutto assente dalla formale contestazione.


La parte finale del capo d'imputazione sub A), invero, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, descrive dettagliatamente il ruolo svolto dal magistrato nella vicenda.


Trattasi di errore che vizia sul punto l'argomentare del ricorrente, il quale, peraltro, trascura di considerare che la dr.ssa I., al di là del parere non vincolante del PM minorile (impropriamente si parla di autorizzazione), si era assunta la diretta responsabilità della sua scelta nella gestione, secondo prassi, della procedura prevista per i "minori non accompagnati", cui deve essere ricondotto l'intervento effettuato la sera del (OMISSIS) nei confronti di E.M.K., non essendo stata ancora formalizzata contro la medesima la denunzia di furto da parte di P.C. (v. anche relazione della dr.ssa Fr., Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Milano).


6.10. Quanto alla prevaricazione costrittiva che avrebbe contraddistinto la condotta dell'imputato, il ricorrente fa leva, per censurare la diversa conclusione della sentenza impugnata, su argomenti congetturali o su mere petizioni di principio, senza evidenziare errori di diritto o vizi logici della medesima sentenza.


E' certamente congetturale l'argomento secondo cui il tenore testuale della richiesta avanzata dall'imputato - affidare la minorenne fermata, segnalata come parente del Presidente egiziano, a una sua fiduciaria - non avrebbe lasciato "alcun margine di apprezzamento discrezionale" al funzionario di polizia, il quale avrebbe percepito la natura cogente e la portata intimidatoria dell'intervento del Capo del Governo, tanto che, a sua volta, si attivò immediatamente, intervenendo sul funzionario di turno, dr.ssa I.G., cui giro" "l'ordine impartito dall'imputato, finendo per seguire, quindi, personalmente ed in maniera pressante la dinamica della procedura amministrativa in corso fino al suo epilogo nel senso desiderato.


La censura non è idonea a scalfire la valenza del diverso convincimento espresso dalla Corte di merito, secondo cui - in coerenza col compendio probatorio acquisito (testimonianza dello stesso O.), interpretato nel suo palese significato e nel rispetto delle regole della logica - "la forza evocativa della falsa rappresentazione" non è indicativa di una "sua efficacia intimidatoria", ma piuttosto, almeno in astratto, di una "idoneità ingannatoria", anche quest'ultima, peraltro, da escludersi nel caso concreto, perchè rivelatasi immediatamente falsa.


Nè può fondatamente sostenersi, seguendo l'assunto del PG ricorrente che la prevaricazione costrittiva sarebbe stata insita nella richiesta formulata, con abuso della qualità, dal Presidente del Consiglio, oggettivamente idonea a condizionare gravemente la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, non aderendo alla stessa, si sarebbe esposto al concreto rischio di ripercussioni negative in ambito lavorativo.


Si è di fronte ad un'evidente petizione di principio, assurta impropriamente, come rileva la difesa del resistente, al rango di "notorio", nel senso che un'alta carica dello Stato, se contrastata in una sua richiesta, certamente attiverebbe iniziative ritorsive nei confronti della persona che ha osato contrastarla.


Osserva, in contrario, il Collegio che non si è di fronte a un reato, per così dire, di "posizione".


Non è, infatti, la mera posizione sovraordinata e di supremazia, sempre connaturata alla qualifica di pubblico ufficiale in ragione della qualità rivestita o della funzione svolta, a integrare il delitto di concussione soltanto perchè la controparte, per motivazioni a sè interne, venga comunque ad avvertire uno stato di soggezione.


Ai fini dell'integrazione di tale illecito, è necessario che la condotta abusiva del pubblico ufficiale divenga positivamente concreta, nel senso che la vittima deve essere posta nella condizione di percepirne l'effettiva portata intimidatoria e costrittiva, idonea a ingenerare in lei il timore di un danno contra ius, in caso di mancata adesione alla richiesta d'indebito che gli viene rivolta.


E' necessario, in sostanza, dimostrare che il pubblico ufficiale ha abusato della sua qualità o dei suoi poteri, esteriorizzando concretamente un atteggiamento idoneo a intimidire la vittima, tanto da incidere negativamente sulla sua integrità psichica e sulla sua libertà di autodeterminazione.


Di tutto ciò, come puntualmente si precisa nella sentenza in verifica, che richiama la chiara e univoca testimonianza di O. P., non v'è prova.


Il ricorrente fa ancora leva su una petizione di principio allorquando ravvisa, nell'iniziativa dell'imputato di contattare il funzionario di polizia in orario notturno presso la sua abitazione, la particolare intensità della pressione psichica esercitata sul funzionario medesimo.


Trattasi di circostanza assolutamente asintomatica riguardo al significato che si pretende di allegarle e si giustifica se letta con riferimento al contesto del momento (presenza della minore in Questura nella tarda serata).


La sentenza impugnata, infine, a conferma dell'assenza di qualsiasi abuso costrittivo attuato la sera del (OMISSIS) dall'imputato, sottolinea, con motivazione in fatto esente da vizi logici, che costui mostrò indifferenza e totale disinteresse alle sorti della E.M., coinvolta a distanza di poco più di una settimana in altra delicata vicenda (episodio del (OMISSIS)), che vide nuovamente l'intervento della Polizia,e chiamata successivamente, nell'estate del (OMISSIS), a rendere dichiarazioni dinanzi al PM. Le censure mosse dal ricorrente alla ricostruzione di questi nuovi aspetti - in verità, dotati di marginale decisività - si collocano oltre il perimetro del sollecitato sindacato di legittimità e non possono trovare spazio in questa sede.


7. Il ricorrente, dopo avere tenacemente sostenuto, per contrastare la pronuncia assolutoria dell'imputato, la tesi dell'abuso costrittivo, contraddittoriamente lamenta, però, che la Corte territoriale, "attenendosi ad una distorta lettura dei fatti", aveva escluso anche la riconducibilità degli stessi, quanto meno, nel paradigma criminoso di cui all'art. 319-quater c.p..


Riguardo a tale specifico tema, le due sentenze di merito sono contraddistinte da una coincidente valutazione dei dati probatori acquisiti.


Entrambe le pronunce escludono, infatti, la configurabilità del citato reato in assenza di qualsiasi vantaggio indebito, quale elemento tipizzante la fattispecie induttiva, prospettato dall'imputato e come tale percepito dal suo interlocutore telefonico, dr. O., nell'ambito di una dialettica utilitaristica tra i due soggetti.


Ciò posto, rileva il Collegio che il ricorrente sollecita al riguardo, facendo leva su argomentazioni meramente congetturali, una nuova e diversa valutazione in fatto delle emergenze processuali, senza evidenziare mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione delle due decisioni di merito.


Si osserva, innanzi tutto, che, alla luce della ricostruzione degli eventi operata in sede di merito, non è dato apprezzare alcuna prevaricazione induttiva nella richiesta formulata dall'imputato al Dott. O. la sera del (OMISSIS).


La condotta d'induzione dell'agente pubblico, pur a forma libera, deve essere comunque orientata con efficienza causale a "convincere" l'interlocutore alla dazione o alla promessa dello indebito, ma nessuna particolare opera di persuasione o di pressione risulta essere stata spiegata dall'imputato nei confronti del funzionario di polizia, nel corso della breve telefonata del (OMISSIS).


L'imputato, come riferito dallo stesso O., si limitò a segnalare il caso e a indicare la persona che, portandosi in Questura, si sarebbe potuta far carico della ragazza minorenne fermata. Nè può concretamente ravvisarsi efficacia induttiva nel riferimento fatto dall'imputato all'asserita parentela della giovane con il Presidente egiziano, circostanza rivelatasi, nel breve volgere di qualche minuto, falsa e quindi priva di qualunque idoneità ad ingannare il funzionario e ad indurlo a soddisfare la richiesta rivoltagli.


L'imputato lucidamente si limitò a fornire un'apparente giustificazione alla sua richiesta, non potendo anch'egli ragionevolmente assegnare alla falsa rappresentazione, come riconosce lo stesso ricorrente (pag. 35 ricorso), "alcuna efficacia ingannatoria, essendo di assoluta evidenza che la circostanza sarebbe stata subito smentita, non appena sottoposta a controllo".


La segnalazione certamente impropria e scorretta operata dall'imputato, siccome non tradottasi, date le modalità esecutive e la dinamica che la contraddistinsero, in ulteriori comportamenti positivi dell'agente orientati a suggestionare, persuadere o convincere l'interlocutore, non assunse mai i connotati dell'abuso induttivo, così come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità maturata anche in relazione previgente art. 317 c.p..


A seguito della novella legislativa n. 190 del 2012, che è in continuità normativa - quanto alla posizione del pubblico agente - col previgente art. 317 c.p., si è meglio esplicitato, sotto il profilo ermeneutico, il concetto base di abuso induttivo, chiarendo che, in questo caso, il funzionario pubblico opera comunque da una posizione dominante e sfrutta la posizione di debolezza psicologica dell'extraneus, il quale, pur di fronte ad una pressione non irresistibile e ad una più ampia libertà decisionale, finisce col cedere alla richiesta del primo non perchè coartato e vittima del metus nella sua espressione più forte, ma perchè si lascia "convincere", nella prospettiva di trarre un indebito vantaggio per sè, inserendosi così in una dinamica intersoggettiva, sia pure asimmetrica, di carattere sostanzialmente negoziale; il vantaggio indebito, pertanto, assurge al rango di "criterio di essenza" della fattispecie in esame (Sez. U, Maldera).


Il ricorrente, dopo avere evidenziato che la richiesta indebita dell'imputato fu pacificamente esaudita dal dr. O., ne inferisce che costui fece ciò "per guadagnarsi la benevolenza della quarta carica dello Stato, foriera potenzialmente di futuri favori", ma trattasi, all'evidenza, di argomento assertivo, di mero sospetto, che non trova alcun riscontro probatorio nei dati processuali acquisiti e di ciò danno concordemente atto, in maniera chiara ed univoca, entrambe le sentenze di merito.


Vale ribadire, quindi, che la conclusione alla quale perviene la sentenza in verifica - che attribuisce l'atteggiamento tenuto dal funzionario di polizia, dr. O., e la sequela degli eventi determinata dal suo insistito attivismo alla combinazione di più fattori, tutti riconducibili a spinte psicologiche interne al medesimo soggetto - non può dirsi, per il complesso di ragioni già esposte, frutto di valutazioni implausibili o indotte dall'uso di schemi logici contraddittori o addirittura irrazionali.


8. Altro profilo che il Collegio intende evidenziare, a chiarimento di quanto prima accennato (punto 6.2), è quello concernente la qualifica soggettiva del destinatario dell'abuso costrittivo o di quello induttivo.


Gli artt. 317 e 319 quater c.p., si limitano a indicare il soggetto destinatario dell'abuso con il termine "taluno", il che vuoi dire che la sua qualifica soggettiva è indifferente ai fini della configurazione di tali fattispecie o detto altrimenti che tra le possibili vittime della concussione o i correi dell'induzione indebita possono annoverarsi, oltre ai privati, anche coloro che rivestono la qualifica di pubblici ufficiali, sempre che la peculiarità della situazione concreta ne denunci uno stato di reale coartazione ovvero una prospettiva utilitaristica (sia pure indotta) dagli stessi perseguita.


Tale situazione incide in maniera non indifferente sui modi con cui la condotta costrittiva o quella induttiva debbono atteggiarsi.


Vale, infatti, osservare che, ove destinatario della pressione abusiva sia, come nel caso in esame, altro pubblico ufficiale, sul quale gravano precisi doveri inerenti al corretto espletamento delle sue funzioni nel settore di competenza, non può essere sottovalutato il particolare obbligo di resistenza da lui esigibile, posto che la relativa condotta deve essere guidata esclusivamente, nell'adempimento dei doveri istituzionali, dal perseguimento dello interesse pubblico a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'attività amministrativa (art. 97 Cost.) a lui affidata nell'ambito del rapporto di immedesimazione organica.


Ne discende che l'effetto coartante o induttivo sulla libertà di autodeterminazione del soggetto rivestito di qualifica pubblicistica deve essere apprezzato con particolare prudenza, proprio in considerazione dell'elevato grado di resistenza che da lui ci si aspetta e che, secondo la fisiologica dinamica che connota lo specifico rapporto intersoggettivo, deve rendere recessiva la forza intimidatrice o persuasiva di cui è destinatario.


Il pubblico ufficiale che subisce, da parte di altro pubblico ufficiale sovraordinato, pressioni con modalità tali da integrare un vero e proprio "ordine illegittimo" ha, infatti, il potere di sindacarne la legittimità formale e sostanziale (competenza del superiore ad emanarlo e dell'inferiore ad eseguirlo; esistenza dei presupposti stabiliti dalla legge per la sua emanazione).


Non mancano, del resto, nell'ordinamento giuridico, precise disposizioni che disciplinano il comportamento che il pubblico ufficiale deve osservare, ove sia destinatario di un "ordine illegittimo" che ha il dovere di disattendere: si pensi all'art. 17, comma 3, del T.U. degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) o alla L. 1 aprile 1981, n. 121, art. 66, comma 4, Ordinamento della Polizia di Stato.


La peculiarità del rapporto che può instaurarsi tra i soggetti coinvolti nel reato di concussione o in quello d'induzione indebita quando entrambi rivestono funzioni pubbliche impone, inoltre, di considerare l'eventualità che la condotta dell'agente pubblico, una volta esclusane la valenza coartante o induttiva, abbia comunque influenzato l'altro interlocutore, anch'egli soggetto pubblico, a porre in essere comportamenti in violazione dei propri doveri funzionali; in altre parole, è necessario interrogarsi se entrambi possano rispondere, il primo in qualità di extraneus secondo le ordinarie forme del concorso di persone (art. 110 c.p.), del reato di abuso di ufficio di cui all'art. 323 c.p..


Ora va subito osservato che, con la rilevante modifica apportata a tale previsione dalla L. 16 luglio 1997, n. 234, elemento essenziale al perfezionamento del reato è divenuto l'ingiusto vantaggio patrimoniale, procurato mediante la condotta abusiva, allo stesso pubblico agente o a terzi ovvero specularmente il danno ingiusto ad altri arrecato, configurandosi esso oggi come delitto di evento.


Detto altrimenti, non è più punibile la condotta genericamente illegittima attuata dal pubblico agente in violazione di legge o regolamento ovvero di un obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di prossimi congiunti, ma solo in quanto tale condotta abbia procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecato un ingiusto danno anche non patrimoniale nei termini sopra indicati.


In tal modo precisato l'ambito applicativo dell'art. 323 c.p., ne discende che in alcun modo la condotta tenuta dal dr. O. la sera del (OMISSIS) avrebbe potuto rilevare in termini di abuso d'ufficio, atteso che - quand'anche si voglia ritenere la procedura amministrativa seguita dalla Questura di Milano per l'affidamento della minore non conforme al dettato dell'art. 403 c.c. - non si è prodotto alcun vantaggio patrimoniale per l'imputato o per altri nè a chicchessia è stato recato danno ingiusto.


Entrambe le decisioni di merito hanno, infatti, con precisione individuato l'interesse perseguito dall'allora Presidente del Consiglio, B., mediante l'intervento diretto presso la Questura di Milano: impedire che la divulgazione della minore età di E.M.K. ( R.) unita all'accertamento della sua pregressa partecipazione alle serate a sfondo sessuale di (OMISSIS) potessero offuscare la sua reputazione di uomo politico investito di funzioni apicali di governo, interesse o se si vuole vantaggio privo di diretti contenuti patrimoniali.


Diverso sarebbe, invece, il ragionamento ove fosse ancora vigente l'abrogato art. 324 c.p.(interesse privato) o l'art. 323 c.p., nella versione antecedente la riforma di cui alla L. n. 234 del 1997, ma è inutile e soprattutto inappropriato in questa sede speculare sulla base di un assetto normativo ormai superato.


9. Accusa di prostituzione minorile (art. 81 cpv. c.p., art. 600 bis c.p., comma 2, capo B).


9.1. Minori problemi pone, dal punto di vista dell'inquadramento normativo, l'imputazione di prostituzione minorile.


Correttamente, sia Tribunale che Corte d'appello hanno ritenuto essenziali, ai fini della configurazione del reato, la rappresentazione e la consapevolezza da parte dell'autore della minore età della vittima e hanno evidenziato l'inapplicabilità ai fatti contestati - tenuto conto dell'epoca a cui risale la loro consumazione - dell'art. 602-quater c.p., inserito nel codice dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4 comma 1 lett. p), attuativa nell'ordinamento interno della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007.


A mente di esso, infatti, quando i delitti previsti dalla Sezione 1^, Capo 3^, Libro 2^ c.p., sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza dell'età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile.


Trattasi di previsione che incide sull'elemento soggettivo dell'illecito, in particolare riducendo l'area dell'errore di fatto scusabile (art. 47 c.p., comma 1) e come tale consistente in una modifica in senso sfavorevole all'autore del reato, soggetta al principio dell'applicazione retroattiva o ultrattiva della legge più favorevole di cui all'art. 2 c.p., comma 4.


9.2. Resta, poi, il fatto che non può prescindersi dal principio di personalità della responsabilità penale, sancito dall'art. 27 Cost., comma 1, che non è circoscritto al mero divieto della responsabilità per fatto altrui, ma include anche la responsabilità per fatto proprio colpevole, richiedendo, quindi, un "coefficiente di partecipazione psichica" del soggetto agente al fatto. In sostanza, è necessario che "tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all'agentè, investiti cioè dal dolo ed a lui rimproverabili. Il principio di colpevolezza mira a garantire ai consociati libere scelte d'azione, attraverso una valutazione anticipata delle prevedibili conseguenze giuridico - penali della propria condotta, prevedibilità che sarebbe, invece, vanificata se si addebitassero all'agente accadimenti rimasti estranei alla sua sfera psichica e, quindi, al suo consapevole dominio (v. Corte Cost.


sent. n. 322 del 2007, n. 1085 del 1988, n. 364 del 1988).


Data per acquisita la prova certa che, presso la residenza in (OMISSIS) di B.S. e nell'arco temporale di cui alla contestazione, vi fu esercizio di attività prostituiva che coinvolse anche E.M.K. (al riguardo, la sentenza impugnata si sottrae a qualunque censura di legittimità e la stessa difesa del resistente non ha riproposto le doglianze articolate in sede di appello), la verifica di legittimità deve interessare quella sola parte della decisione di merito relativa alla ritenuta insussistenza dell'elemento soggettivo del reato, per confrontare la capacità di resistenza o meno del percorso argomentativo in essa sviluppato alle corrispondenti doglianze articolate in ricorso.


9.3. La diversa valutazione, rispetto alla decisione di primo grado, che i giudici d'appello hanno dato degli elementi probatori concernenti la consapevolezza da parte dell'imputato della minore età di E.M.K. non già la sera del (OMISSIS) - circostanza che entrambe le decisioni di merito danno per assodata - bensì all'epoca dei commerci sessuali con la stessa intrattenuti, sta all'origine dell'assoluzione da tale reato, contro cui ha parimenti proposto ricorso il Procuratore Generale di Milano.


Le censure articolate al riguardo dalla parte pubblica possono in realtà ricondursi ad un'unica doglianza secondo cui, ove le prove di accusa fossero state doverosamente lette in modo organico e non frazionato, in costante coordinamento con i diversi elementi di fatto accertati in giudizio, la responsabilità di B.S. avrebbe dovuto essere ribadita anche per tale reato; si censura, inoltre, il ricorso da parte del giudice d'appello ad argomentazioni definite intrinsecamente illogiche.


Occorre, pertanto, evidenziare la struttura della motivazione articolata su tale capo dalla Corte d'Appello di Milano, al fine di rilevare le principali differenze rispetto a quella del giudice di primo grado.


Alla base dell'affermazione di condanna per il reato di cui all'art. 600 bis c.p., comma 2, il Tribunale aveva posto tre elementi: le dichiarazioni rese sul tema a più riprese dalla E.M. al PM;


il contenuto di intercettazioni telefoniche condotte a carico della medesima e concernenti alcune conversazioni intrattenute con persone amiche; la ritenuta conoscenza della sua minore età da parte di Fe.Em., il quale, in virtù degli speciali rapporti personali esistenti con B.S., aveva certamente reso edotto quest'ultimo dell'imbarazzante circostanza.


La Corte territoriale ha ritenuto, invece, del tutto inattendibili, poichè intrinsecamente contraddittorie, le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria dalla E.M., le quali non si prestavano neppure, difettando "in radice un nucleo narrativo omogeneo ed intrinsecamente attendibile", ad una valutazione frazionata, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, che aveva allegato credibilità alle sole dichiarazioni del (OMISSIS), ore 9,40 ( B. era stato informato della minore età nel marzo 2010), senza affrontare il tema delle irrisolte contraddizioni tra le diverse versioni fornite (pagg. 313-316 sentenza); ha ritenuto insincere le confidenze fatte nel corso delle telefonate intercettate, poichè inquinate dalla circostanza riferita agli interlocutori di avere sempre negato agli inquirenti che B. fosse consapevole della sua minore età, laddove era accaduto esattamente il contrario (pagg. 316-320 sentenza); ha valutato frutto di costruzione argomentativa di tipo prettamente congetturale l'argomento della, invece, certa secondo il Tribunale, rivelazione da parte di Fe.Em. a B. della minore età della E. M. (pagg. 324-330 sentenza).


9.4. Tutto ciò premesso, lo scrutinio di questa Corte deve limitarsi, secondo le attribuzioni tipiche del vaglio di legittimità e nell'ambito devoluto alla sua cognizione dal contenuto del motivo di ricorso, a verificare l'eventuale sussistenza di vizi argomentativi della motivazione, sotto i profili della contraddittorietà o della manifesta illogicità, espressamente evocati dalla impugnazione.


Al fine di procedere a tale verifica, pare al Collegio necessario ripercorrere alcuni passaggi argomentativi sul tema in apparenza più controvertibile della decisione adottata dalla Corte territoriale, quello cioè concernente la ritenuta assenza di sincerità nelle confidenze fatte dalla E.M. a suoi conoscenti circa la consapevolezza da parte dell'imputato della sua minore età, confidenze valorizzate, invece, dal Tribunale in senso accusatorio.


Come anticipato, la Corte territoriale ha, invece, ritenuto le dichiarazioni rese sul punto specifico dalla E.M. al PM affette da tali contraddittorietà da inficiarne completamente l'attendibilità.


Nondimeno, ha recuperato il contenuto di esse come mero dato storico, per ritenere parimenti inaffidabili le confidenze fatte all'amica R.G., nel corso del colloquio telefonico intercettato in data 7 settembre (OMISSIS) e quelle fatte ad altra persona a lei vicina durante la conversazione tra presenti captata il successivo 26 ottobre (progr. 732 e progr. 6358).


Secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, cui non abbia partecipato l'imputato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall'art. 192 c.p.p., comma 1, senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno; qualora, tuttavia, tali elementi abbiano natura indiziaria, essi dovranno possedere i requisiti di gravità, precisione e concordanza in conformità del disposto dell'art. 192 c.p.p., comma 2 (ex plurimis e tra le più recenti, Sez. 1^, sent. n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera ed altri, Rv. 260842; Sez. 6^, sent. n. 3882 del 04/11/2011, Annunziata, Rv. 251527).


Alla base di tali statuizioni sta il rilievo che, quando i soggetti non sono consapevoli della captazione della conversazione, sia essa telefonica o di tipo ambientale, parlano liberamente ed esternano in maniera tendenzialmente genuina le proprie impressioni.


Ciò non esclude, peraltro, con valutazione evidentemente operata ex post, che possano ravvisarsi all'interno delle conversazioni intercettate elementi conoscitivi che si pongono in obiettivo contrasto con altre, risultati probatori e che evidenziano, invece, la non genuinità delle esternazioni di uno fra gli interlocutori, ancorchè determinata da motivi diversi da quello della consapevolezza di essere intercettato.


Ebbene, nel caso che ci occupa, la Corte d'appello ha ritenuto che la pretesa confidenza fatta dalla E.M. all'amica ("io ho negato - sottinteso al PM - il fatto che S. sa che sono minorenne ...


gli ho detto che lui sa che sono maggiorenne ... perchè non voglio metterlo nei casini) non fosse genuina, atteso che, pur tra molte contraddizioni, al PM aveva affermato esattamente l'opposto e cioè che B. sapeva che lei era minorenne.


I giudici d'appello hanno, infatti, ascritto tale disinvolta negazione di quanto già dichiarato nel corso dell'indagine, all'intento della stessa E.M. di trarre profitto dalla propria posizione di testimone chiave in rapporto alla figura di B.S. e di accreditarsi a tal fine come persona che lo aveva tutelato (pag. 320 sentenza).


Nè è possibile ravvisare contraddizione con quanto in seguito riferito, in qualità di testimone, dalla R..


Nel corso della deposizione dibattimentale (26/03/2012), la predetta affermava, infatti, in maniera perentoria: 71 me disse che, ai tempi, come ha detto a me la bugia che era egiziana di 24 anni, l'aveva detta anche al presidente. Questo mi ha detto e questo sto dicendò (pag. 322 sentenza, nota 166); risulta, peraltro, dal testo complessivo della stessa telefonata del 7 settembre (OMISSIS) (progr. n. 732) che la testimone era ben consapevole della minore età della E. M..


A tale riguardo, i giudici d'appello hanno correttamente rilevato che una cosa è la consapevolezza nutrita dalla testimone circa la minore età della E.M., mentre altra cosa è la circostanza che la diretta interessata le avesse sempre detto di avere mentito a B. sul punto.


Si è all'evidenza al cospetto di ambiti concettuali distinti, il primo riguardante il dato conosciuto direttamente dalla R., l'altro concernente le informazioni trasmesse dalla E.M. a B., per come la prima gliene aveva riferito.


9.5. La Corte d'Appello ha, inoltre, valorizzato le dichiarazioni rese al riguardo da una delle partecipanti alle serate a sfondo sessuale nella residenza di (OMISSIS), in persona di F.I..


Va precisato che costei è stata indicata come teste ostile alla difesa, atteso il contenuto della sua deposizione in senso contrario alle prospettazioni difensive (pag. 322 sentenza).


Ebbene, all'udienza del 16 aprile 2012 la F. riferiva di essere venuta a sapere, nell'estate del (OMISSIS), da fa.ba., altra partecipante alle serate, che E.M.K. era stata allontanata da (OMISSIS) dacchè si era saputo che era minorenne (pag.


322 sentenza e brani della deposizione resa).


La Corte territoriale si limita a riportare il dato probatorio, laddove il giudice di primo grado l'aveva invece sminuito, ipotizzando che la fa. avesse tutto l'interesse ad accreditare la tesi dell'inopinata conoscenza della minore età della E.M., in quanto fortemente coinvolta nel giro di prostituzione ruotante attorno alle serate di (OMISSIS).


La ragione della diversa valutazione da parte dei giudici d'appello sta nel fatto che il dato è coniugato con altri affidabili elementi probatori, parimenti esclusivi della consapevolezza da parte dell'imputato della minore età della E.M.: l'aspetto fisico di costei e il suo modo di comportarsi non tradivano minimamente la sua età effettiva (testimonianze T., Ro.Fi., A., L., C., S.); l'abitudine della giovane a fornire false generalità, sostenendo di chiamarsi R. H. e di avere un'età di volta in volta diversa, variabile dai diciannove ai ventisette anni (testimonianze Ci.So., D., G., Ma., P., Pa., S., V.); il contenuto della scheda di registrazione presso l'agenzia di m.d. ( l.); il tenore della denunzia del furto subito in data (OMISSIS) sporta ai Carabinieri di Milano Crescenzago; la circostanza che pur avendo confidato ad alcuni amici la sua minore età, aveva loro detto di avere sempre nascosto la circostanza a B.S. (testimonianze R., V., C.).


Anche in questo caso, dunque, le valutazioni dei giudici d'appello appaiono conformi agli esiti dibattimentali, sono argomentate in maniera logicamente ineccepibile e resistono alla doglianza generica del ricorrente, che si limita ad avanzare assertive riserve sull'affidabilità della testimonianza de relato della F. ed omette qualunque altro riferimento al più ampio compendio probatorio col quale tale testimonianza si coniuga.


9.6. Rileva, inoltre, il Collegio che si sottraggono alle censure mosse dal PG ricorrente quelle parti della decisione impugnata che hanno sancito l'inattendibilità complessiva delle dichiarazioni rese in sede procedimentale dalla E.M. - accreditate, invece, in ricorso quale presupposto della dedotta interpretazione alternativa, in coerenza con la prospettazione accusatoria, degli esiti delle conversazioni intercettate - nonchè l'inutilizzabilità, come prova logica, dell'equazione "consapevolezza della minore età da parte di Fe.Em." uguale "sicura trasmissione dell'informazione a B.S.".


9.7. Quanto al primo aspetto, la Corte territoriale ha evidenziato in maniera analitica (pagg. 314-315 sentenza) le diverse contraddizioni in cui era incorsa la E.M. nelle dichiarazioni rese al PM sull'epoca della scoperta da parte di B.S. della sua minore età, talvolta indicandola nel mese di maggio (OMISSIS), talaltra retrodatandola al mese di marzo, talaltra ancora affermando implicitamente, ma inequivocabilmente, che l'imputato aveva appreso la circostanza proprio la sera del (OMISSIS).


L'attribuzione alla parte offesa della patente di teste inattendibile risponde, dunque, a coerenti criteri di valutazione logica e non può, sotto tale aspetto, essere censurata.


9.8. Parimenti immune da censure, sotto il profilo logico, è l'esclusione, quale valido elemento probatorio d'accusa, della pretesa rivelazione della minore età della E.M. ( R.) da parte di Fe.Em. a B.S..


La Corte territoriale definisce tale asserita rivelazione una "congettura non riscontrata da dati fattuali di precisa ed univoca concludenza" (pag. 324 sentenza), ritenendo in altre parole che il Tribunale abbia fatto ricorso ad un assioma privo di riscontro probatorio, fondato anzi su una doppia presunzione: che Fe.


E. fosse consapevole della minore età di R. nel momento in cui la rivide ad (OMISSIS) nel mese di (OMISSIS), dopo averla incrociata, nel (OMISSIS) in occasione di un concorso di bellezza al quale la ragazza aveva partecipato; che il medesimo Fe. avesse informato della circostanza B. S..


Al riguardo, va rilevato che lo stesso Tribunale, pur ritenendo adeguatamente provata la prima circostanza, non aveva individuato elementi probatori di riscontro alla seconda, che aveva però ritenuto comprovata sulla "base dei rapporti stretti e di ammirazione che intercorrevano tra Fe.Em. e l'imputato, il che "secondo la normale logica che presiede il corso delle vicende umane" avrebbe certamente indotto Fe. a informare l'amico B. a proposito di un dato d'indubbia importanza e delicatezza.


Di segno radicalmente opposto è stata la valutazione della Corte d'appello.


Considerato, tuttavia, che viene allegata valenza decisiva non alla consapevolezza (pur volendola dare per scontata) della minore età della ragazza in capo a Fe.Em., bensì alla corrispondente informazione che costui avrebbe fornito all'imputato, la verifica di legittimità va concentrata soltanto su quest'ultimo aspetto.


Ritiene il Collegio che individuare una normale logica che presiede il corso delle vicende umane si rivela operazione decisamente ardua, che postula fra l'altro un elevato tasso di razionalità e prevedibilità nei comportamenti umani, molto spesso smentito dall'esperienza pratica.


Quello che si può certamente dire - e del tutto correttamente la Corte d'Appello ne ha affermato l'inconsistenza argomentativa - è che la locuzione non costituisce una massima d'esperienza.


Secondo una delle definizioni datane dalla giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, per massime d'esperienza devono intendersi quelle "generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dall'esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio - temporale in cui matura la decisione" (ex plurimis, Sez. 6^, sent. n. 36430 del 28/05/2014, Schembri, Rv.


260813; Sez. 2^, sent. n. 51818 del 06/12/2013, Brunetti, Rv. 258117;


Sez. 6^, sent. n. 1775 del 09/10/2012, Ruoppolo, Rv. 254196), mentre altre volte sono state definite "giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste" (Sez. 1^, sent. n. 18118 del 11/02/2014, PG e altri in proc. Marturana, Rv. 261992), sempre concettualmente opposte alle mere congetture, intese come "ipotesi fondate su mere possibilità, non verificate in base all'id quod plerumque accidit e insuscettibili, quindi, di verifica empirica" (Sez. 6^ n. 36430/2014; Sez. 1^, n. 18118/014), alle semplici illazioni o a "criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze o parametri riconosciuti e non controversi" (Sez. 2^, n. 51818/2013; Sez. 6^, n. 1775/2012).


Da tali pronunce è dato ricavare che le massime d'esperienza trovano fondamento, per l'appunto, in esperienze concrete della vita ripetutesi, nei loro caratteri distintivi, più volte e tali da costituire un patrimonio di conoscenze empiriche valevole anche per analoghi casi futuri (esemplificando: l'acquisto di un consistente quantitativo di sostanza stupefacente da parte di soggetto in genere sfornito di risorse economiche costituisce indice di una prospettiva di rivendita in vista di futuri guadagni).


Al netto di un inevitabile tasso di generalizzazione contenuto nelle stesse definizioni ora ricordate, si è comunque ben lontani dal livello di somma astrazione che connota il concetto di "normale logica che presiede il corso delle vicende umane", correttamente ritenuto dalla Corte territoriale insuscettibile di fungere da elemento di conferma di un dato conoscitivo, che in realtà rimane tutto da provare (se, come e quando il dato della minore età di E. M.K. venne portato a conoscenza di B.S. prima della sera del (OMISSIS)).


Non va sottaciuto, infine, che la sentenza in verifica evidenzia, tra l'altro, l'ambivalenza dei rapporti tra Fe. e B., sottolineando che i sentimenti di amicizia che il primo nutriva verso il secondo non erano totalmente disinteressati, ma erano motivati anche da opportunità di ritorno economico, che si materializzavano nell'ambito di quel sistema di spregiudicati intrattenimenti presso (OMISSIS), a margine dei quali si approfittava anche della disponibilità del padrone di casa, cui non mancavano cospicue risorse finanziarie, a soddisfare determinate richieste di aiuto da parte dei suoi amici.


A conforto di tale affermazione, i giudici d'appello fanno leva sugli esiti delle intercettazioni di alcune conversazioni telefoniche intercorse tra Fe.Em. e m.d. ( l.), entrambi sovente presenti alle serate di (OMISSIS) e direttamente interessati alle stesse: i due, allegando le gravi difficoltà economiche in cui versava m. e agendo in sinergia tra loro, avevano convinto il facoltoso amico ad erogare al predetto una notevole somma di denaro;


parte non trascurabile di questa era stata, però, girata a beneficio proprio di Fe., che l'aveva pretesa quale prezzo della sua mediazione (v. intercettazioni del 25/08/2010, progr. n. 3061 e n. 3078; del 26/08/2010, progr. n. 3186; del 21-29/09/2010 e del 11- 25/10/2010 nonchè documentazione degli accertamenti espletati dal M.llo Ri.Na.).


E allora, il concetto di "normale logica che presiede il corso delle vicende umane", al quale peraltro neppure il ricorrente fa più richiamo, si rivela di per sè - e al di là del suo improbabile inquadramento giuridico - totalmente privo della benchè minima consistenza e non possono da esso trarsi inferenze probatorie di natura logica, partendo dall'erroneo presupposto della stretta e disinteressata amicizia che legava Fe. a B..


Accertato, infatti, l'interesse personale e utilitaristico di Fe.


E. ad alimentare e preservare il sistema delle "disinvolte e spregiudicate" serate di (OMISSIS), la Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici, ritiene che nulla induceva ad accreditare l'ipotesi accusatoria secondo cui il predetto, in contrasto con i propri interessi, avrebbe rivelato a B. la minore età della giovane marocchina, mettendo così a rischio, almeno in astratto, la partecipazione della stessa alle serate, che lo stesso Fe., tramite l'amico m., promuoveva e incentivava.


Su questi peculiari aspetti, argomentati diffusamente in sentenza, il ricorso è assolutamente generico e assertivo, limitandosi ad affermare che la frequentazione di donne minorenni da parte dell'imputato "era notizia di dominio pubblico".


10. Per il complesso delle ragioni sopra esposte, va ribadita l'infondatezza del ricorso proposto, che deve conseguentemente essere rigettato; al rigetto non consegue l'imposizione di spese, attesa la qualifica di parte pubblica del ricorrente (art. 592 c.p.p., comma 1).


P.Q.M.

Rigetta il ricorso.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere la generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015.


Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2015



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