La complessità del rapporto tra giustizia penale e informazione – che riverbera i suoi effetti sulla quanto mai intricata disciplina del divieto di pubblicazione degli atti di indagine – è un tema di grandissima attualità.
Recita il comma 2 dell’articolo 114 del codice di procedura penale: «È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292». L’assolutezza del precetto è di palmare evidenza.
Tuttavia, se per la pubblicazione degli atti di indagine coperti da segreto istruttorio l’ordinamento prevede una fattispecie delittuosa che punisce tale condotta, per gli atti non più coperti dal segreto la relativa condotta di divulgazione o pubblicazione è punita a titolo contravvenzionale dall’articolo 684 del codice penale con la pena, alternativa, dell’arresto fino a trenta giorni o dell’ammenda da euro 51 a euro 258.
Eppure, anche gli atti di indagine non più coperti da segreto istruttorio, ma non pubblici, sono troppo spesso divulgati o pubblicati, esponendo il cittadino sottoposto a procedimento penale al «processo mediatico», un processo che miete più vittime di quello « ordinario », perché espone questi cittadini alla gogna pubblica: persone sottoposte alle indagini da subito colpevolizzate e condannate prima e in assenza di una sentenza di condanna.
È dunque necessaria una risposta normativa che tuteli effettivamente e concretamente il cittadino da tale indegno fenomeno.
Fino alla celebrazione dell’udienza preliminare nessun atto di indagine va diffuso e questo a prescindere dal venir meno del segreto istruttorio.
Assistiamo, invece, alla pervicace e reiterata violazione quotidiana di diffusione di atti di indagine: nelle pagine dei giornali, in TV, nei talk, nei bar, insomma ovunque.
Telefonate riportate in prima pagina, dichiarazioni nei titoli di apertura dei telegiornali.
Ebbene, quanto sopra non si può fare, perché è vietato dalla legge.
Lo vieta, appunto, l’articolo 114, comma 2, del codice di rito.
Da troppo tempo ci si è girati dall’altro lato, ignorando un fenomeno che mina alle radici uno dei princìpi fondanti lo Stato di diritto: la presunzione di non colpevolezza scolpita a chiare lettere dall’articolo 27, secondo comma, della nostra Costituzione.
Le procure sembrano non vigilare, anzi. E ciò anche in ragione della sanzione, come detto, assai blanda comminata dall’articolo 684 del codice penale: palesemente, una pena così modulata non è in grado di assolvere ad alcuna delle sue funzioni tipiche, né quella general preventiva o special preventiva né, tantomeno, quella retributiva, lasciando così il precetto, di fatto, privo di sanzione. La verità è che, avvenuto un arresto, si continua a fare a gara per «lapidare» l’imputato. E non esiste tortura senza pubblicazione di atti di indagine. Ecco, la pubblicazione è la tortura del cittadino indagato, una sorta di anticipata e grave pena accessoria applicata prima del processo.
Diceva Carnelutti: «Subire un processo è già una pena». Subirlo anche con l’illegale pubblicazione di atti è una pena doppia. Le notizie vanno certamente date, sono gli atti di indagine che non vanno pubblicati fino a quando il procedimento non diviene pubblico con la celebrazione del processo.
La presente proposta di legge è, dunque, volta a tutelare il cittadino, riaffermando la pienezza della presunzione di non colpevolezza, senza pregiudicare alcun altro diritto di pari rango, ivi incluso quello di cronaca.
A tal fine, si sopprime la fattispecie contravvenzionale di cui all’articolo 684 del codice penale, prevedendo le relative condotte come illecito amministrativo.
Sul punto, occorre fugare l’idea che il ricorso all’illecito amministrativo si risolva in una operazione di depotenziamento della tutela.
Infatti, l’illecito amministrativo costituisce un archetipo normativo parapenale per la marcata assimilazione della sua parte generale a quella del codice penale.
Sul piano dell’effettività, invece, la sanzione amministrativa, seppure sprovvista dello stigma criminale, sortisce un notevole effetto di deterrenza a causa della inapplicabilità, contrariamente alla sanzione penale, di istituti sospensivi o sostitutivi, oltre a essere potenzialmente più gravosa rispetto a una pena che, come nella specie, è soggetta a oblazione.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1. (Pubblicazione di atti di un procedimento penale)
1. Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 150.000. 2. L’articolo 684 del codice penale è abrogato.
Art. 2. (Disposizioni applicabili)
1. Nel procedimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689.
Art. 3. (Autorità competente)
1. Per le violazioni di cui all’articolo 1, sono competenti a ricevere il rapporto e ad applicare le sanzioni amministrative le autorità amministrative competenti ad irrogare le altre sanzioni amministrative già previste dalle leggi che contemplano le violazioni stesse; nel caso di mancata previsione, è competente l’autorità individuata a norma dell’articolo 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 2. Per le violazioni di cui all’articolo 2, è competente a ricevere il rapporto e ad irrogare le sanzioni amministrative il prefetto.
Art. 4. (Applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse)
1. Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima, sempre che il relativo procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.
2. Se i procedimenti penali per il reato depenalizzato dalla presente legge sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell’esecuzione provvede con l’osservanza delle disposizioni dell’articolo 667, comma 4, del codice di procedura penale.
3. Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore della presente legge non può essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale.
Art. 5. (Trasmissione degli atti all’autorità amministrativa)
1. Nei casi previsti dall’articolo 4, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data.
2. Se l’azione penale non è stata ancora esercitata, la trasmissione degli atti è disposta direttamente dal pubblico ministero che, in caso di procedimento già iscritto, annota la trasmissione nel registro delle notizie di reato. Se il reato risulta estinto per qualsiasi causa, il pubblico ministero richiede l’archiviazione a norma del codice di procedura penale; la richiesta ed il decreto del giudice che la accoglie possono avere ad oggetto anche elenchi cumulativi di procedimenti.
3. Se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale, sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
4. L’autorità amministrativa notifica gli estremi della violazione agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosettanta giorni dalla ricezione degli atti.
5. Entro sessanta giorni dalla notificazione degli estremi della violazione l’interessato è ammesso al pagamento in misura ridotta, pari alla metà della sanzione, oltre alle spese del procedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689. 6. Il pagamento determina l’estinzione del procedimento.
Art. 6. (Clausola di invarianza finanziaria)
1. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dalla presente legge senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.