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Quando l'omesso versamento IVA diventa reato? 5 consigli per gli imprenditori

Indice:


Premessa

Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto – disciplinato dall’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000 – rappresenta una delle ipotesi incriminatrici più ricorrenti nel sistema del diritto penale tributario.

La sua struttura è apparentemente semplice: si configura quando il contribuente, pur avendo presentato regolare dichiarazione IVA, non versa l’imposta risultante dovuta, in misura superiore a 250.000 euro per singolo periodo d’imposta.

Il momento consumativo coincide con la scadenza del saldo annuale, ordinariamente fissata al 16 marzo dell’anno successivo. Si tratta, tecnicamente, di un reato omissivo proprio, a dolo generico, che punisce l’inadempimento consapevole e volontario dell’obbligazione fiscale.

Nel corso degli anni, il nostro Studio ha maturato una significativa esperienza nell’assistenza legale ad imprenditori, amministratori e professionisti coinvolti in procedimenti per omesso versamento IVA.

Spesso, alla base di tali condotte, non vi è una logica evasiva, ma una crisi reale e documentabile: tensioni di liquidità, ritardi nei pagamenti, difficoltà di accesso al credito.

Proprio a partire da questa prospettiva concreta nasce il presente contributo, con l’intento di offrire una guida aggiornata, operativa e scientificamente rigorosa per orientarsi nel perimetro applicativo del reato.

Ci domanderemo:

  • Quand’è che l’omissione fiscale diventa reato?

  • Quali comportamenti – o omissioni – rendono inevitabile l’avvio di un procedimento?

  • E cosa può fare concretamente l’imprenditore, anche in crisi di liquidità, per non subire un processo penale?

Muovendo dalle più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, cercheremo di fornire risposte chiare, supportate da prassi difensive efficaci, affinché l’imprenditore possa affrontare consapevolmente – e responsabilmente – uno dei momenti più critici della propria attività.


1. “Non ho soldi per pagare l’IVA”: il tema della crisi di liquidità

Prima di rispondere al quesito, è opportuno soffermarsi su un profilo centrale e qualificante della fattispecie incriminatrice: l'elemento soggettivo.

Il reato di omesso versamento IVA, delineato dall’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000, richiede, quale presupposto di colpevolezza, il dolo generico, inteso come coscienza e volontà dell’omissione, nella piena consapevolezza dell’esistenza dell’obbligazione tributaria.

Non è necessaria alcuna finalità fraudolenta o elusiva: è sufficiente, ai fini della responsabilità penale, che il contribuente abbia scientemente disatteso l’obbligo di versamento.

Questa è la principale differenza rispetto ad altre fattispecie incriminatrici di natura tributaria, come l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) o la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (art. 2), che richiedono invece un quid pluris in termini di artificio e raggiro.

L’assenza di una condotta fraudolenta nella struttura del reato di cui all’art. 10-ter giustifica anche l’adozione di un regime sanzionatorio tendenzialmente meno severo, coerente con la natura puramente omissiva e non fraudolenta dell’illecito.

È bene precisare, inoltre, che la fattispecie, per sua stessa natura strutturale, esclude ogni forma di imputazione colposa: l’omesso versamento IVA non è configurabile nei confronti di chi abbia agito con mera negligenza, imprudenza o imperizia, né in presenza di errore contabile o organizzativo.

In altri termini, è esclusa ogni responsabilità per chi, in buona fede, abbia mancato l’adempimento a causa di trascuratezza o scarsa diligenza, ma senza consapevole violazione dell’obbligo.

Definito e delimitato l’orizzonte soggettivo del reato, possiamo ora accostarci al nodo centrale della trattazione: l’impatto della crisi di liquidità sull’elemento psicologico e sulla punibilità della condotta.

Accade spesso, alla scadenza del termine per il versamento dell’IVA, che l’imprenditore si ritrovi privo della liquidità necessaria per onorare il saldo risultante dalla dichiarazione.

Sei un imprenditore. Hai lavorato con costanza, hai garantito stipendi, hai anticipato spese, eppure ti trovi in una condizione di liquidità drammatica.

I clienti ritardano i pagamenti, le banche chiudono i rubinetti del credito, i fornitori non attendono.

Arriva il 16 marzo: l’IVA è dovuta. Ma in cassa non ci sono abbastanza fondi.

So bene cosa stai provando: ho incontrato tanti imprenditori nella tua stessa condizione, e so che non ti trovi in quella posizione per scelta o per leggerezza.

Il primo pensiero, naturale, è: "come posso essere ritenuto colpevole se non avevo i soldi?"

Ma il diritto penale tributario non accetta la povertà come alibi, se non a condizioni severissime.

E allora la domanda torna prepotente: puoi giustificare l’omesso versamento, se davvero eri incolpevolmente impossibilitato a pagare?

È qui che la prassi si fa più severa.

La giurisprudenza ritiene configurabile il reato anche nei casi in cui la crisi economica sia reale ma non assoluta, e soprattutto se non accompagnata da uno sforzo concreto e documentato per adempiere comunque all’obbligo fiscale (Cass. pen., sez. III, n. 30532/2024).

Bisogna dimostrare al giudice di aver fatto tutto il possibile per evitare il reato.

Cosa significa “tutto il possibile”?

Significa, in sintesi, aver richiesto finanziamenti bancari, magari anche a condizioni penalizzanti; aver sollecitato l’ingresso di soci; aver dismesso cespiti aziendali; in casi estremi, aver destinato risorse personali per onorare l’erario.

Nella mia esperienza professionale, ho visto davvero pochi casi in cui l’imprenditore potesse dimostrare di aver compiuto ogni sforzo.

Non per dolo o consapevole elusione, ma per effetto di una fragilità strutturale che affligge molte realtà imprenditoriali: l’omissione nasce, il più delle volte, da uno stato di logoramento gestionale, dall’assenza di supporto, dalla pressione quotidiana di dover garantire la sopravvivenza aziendale. In questi casi, non è la deliberata volontà di frodare il fisco a muovere l’agente, ma una solitudine gestionale che si traduce in inerzia, talora colpevole, più spesso tragicamente inevitabile.

Quali accorgimenti adottare, dunque, in una simile situazione?

Anzitutto, evitare l’inerzia: il silenzio e l’immobilismo, in questi contesti, sono sempre scelte dannose.

È fondamentale che l’imprenditore dia prova di reazione, documentando ogni iniziativa utile ad adempiere.

Occorre conservare riscontri scritti relativi a richieste di finanziamento – anche se respinte –, contatti con i soci per eventuali apporti, corrispondenza con i consulenti, e ogni altra evidenza di sforzi intrapresi per fronteggiare la crisi.

Anche l’utilizzo di risorse personali, ove possibile, può assumere rilievo decisivo nella valutazione giudiziaria della condotta.

Non si tratta di salvare le apparenze, ma di dimostrare al giudice la buona fede e l’impossibilità effettiva e incolpevole di adempiere.

In secondo luogo, è raccomandabile farsi affiancare da un professionista sin dall'inizio, per valutare tempestivamente la possibilità di accesso a strumenti deflattivi (come il ravvedimento operoso o il pagamento entro i termini di legge), o per costruire una linea difensiva solida in vista di eventuali contestazioni.

Nel diritto penale tributario, la prevenzione passa dalla consapevolezza: conoscere gli obblighi, sapere quando si rischia, e soprattutto non attendere che il problema ti esploda nelle mani.


2. "Se pago entro sei mesi, non sono punibile?": le novità introdotte dalla riforma del 2024

Sì, ma facciamo chiarezza.

Nel 2024, è stata introdotta una nuova causa di non punibilità (art. 13, comma 3-bis, d.lgs. 74/2000).

Secondo questa disposizione, qualora l’omissione sia dipesa da una crisi di liquidità non imputabile e affrontata con ogni mezzo lecito e proporzionato, e l’importo dovuto venga integralmente versato entro sei mesi dalla contestazione del reato, la punibilità è esclusa.

Si tratta di una norma che recepisce una rinnovata attenzione del legislatore per le situazioni di difficoltà economica non fraudolenta e che si inserisce in una logica di giustizia sostanziale, tesa a coniugare il rigore della disciplina penal-tributaria con la realtà operativa dell’impresa.

Questa disposizione rappresenta un tassello significativo nel percorso evolutivo del diritto penale tributario, in quanto accoglie – in chiave sistemica – sensibilità di matrice europea e principi di giustizia sostanziale, superando l’approccio meramente formalistico, segnando un cambio di paradigma nella valutazione delle condotte omissive e riconoscendo la rilevanza delle situazioni di oggettiva difficoltà economica quando siano gestite con trasparenza, impegno e assenza di dolo.

Tuttavia, per accedervi, non è sufficiente la semplice allegazione della crisi: anche in questo caso è necessario un corredo probatorio dettagliato e puntuale. Bisogna dimostrare di aver tentato ogni strada: richieste di finanziamento, mobilitazione di risorse personali, tentativi di rinegoziazione dei debiti, iniziative volte a reperire liquidità.

Ogni elemento deve essere tracciato e documentato.

Anche una PEC inviata a una banca per la richiesta di credito, una mail al commercialista, o un piano di rientro elaborato e mai accettato, possono diventare strumenti fondamentali per sostenere la buona fede e l’assenza di dolo.

È un percorso complesso, che richiede rigore, tempestività e assistenza qualificata.

Ma nei casi in cui ricorrono le condizioni, può rappresentare la vera via d’uscita da una situazione che altrimenti conduce inevitabilmente all’aula di giustizia penale.


3. “Pago i dipendenti o pago l’IVA?”: l'imprenditore al bivio

Il dilemma è noto e ricorrente: in una situazione di cassa deficitaria, l’imprenditore deve scegliere.

Pagare i dipendenti – che garantiscono la continuità dell’attività e, in fondo, il sostentamento di famiglie reali – oppure versare l’IVA allo Stato, con l’effetto di lasciare scoperti stipendi e previdenza?

Se sceglie di pagare i dipendenti, rischia un procedimento penale. Se paga l’IVA, rischia di trovarsi i lavoratori alla porta con un’istanza di liquidazione giudiziale.

La giurisprudenza non lascia scampo: l’allocazione delle scarse risorse non può giustificare l’omissione del versamento IVA.

Il giudice penale non accetta priorità morali: l’imprenditore che ha deciso di salvare la forza lavoro resta punibile (Cass. pen., sez. III, n. 52971/2018).

E tuttavia, dopo anni di esperienza, la mia risposta è netta, seppur amara: conviene pagare sempre l’IVA.

Non per una scelta ideologica, ma per fredda valutazione dei rischi.

Il procedimento penale è devastante – per reputazione, costi, gestione – e spesso irrimediabile.

La pendenza di un procedimento penale, anche se conclusosi con una assoluzione, lascia spesso un’ombra indelebile sulla reputazione personale e imprenditoriale.

La stigmatizzazione pubblica che ne deriva, l’erosione della fiducia da parte di clienti, partner e istituzioni bancarie, sono conseguenze che sopravvivono alla sentenza.

Ecco perché, nel bilanciamento tra i mali, il rischio giudiziario è quello da evitare a ogni costo.

L’istanza di liquidazione, oggi riformulata secondo la nuova terminologia concorsuale, può talvolta essere arginata. Il processo penale, no.

Questo genera un cortocircuito etico che la legge non ha ancora risolto: privilegiare l’erario contro il lavoro, la regola contro la giustizia.

Ai giudici, spesso, sfugge questa dimensione tragica della scelta imprenditoriale.

È compito nostro ricordarla, ogni volta.


4. “Se sforo di poco la soglia, sono comunque punibile?”: la particolare tenuità del fatto

Il reato scatta al superamento della soglia dei 250.000 euro di IVA non versata per singolo periodo d’imposta.

Ma cosa accade se tale limite viene superato di poco, ad esempio con un’omissione di 260.000 euro?

È possibile ipotizzare una causa di non punibilità, o si incorre comunque nel reato con tutte le conseguenze del caso??

Qui interviene l’art. 131-bis c.p., che consente l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

La giurisprudenza di merito e di legittimità ha elaborato una soglia di tolleranza intorno al 10%, come affermato in numerose sentenze: un piccolo sforamento può rientrare nell’ambito di applicazione della norma.

Naturalmente, non basta l’importo modesto: occorre che la condotta non abbia cagionato danni rilevanti, che l’imputato non sia recidivo, che non vi sia una sistematicità nell’omissione.

È una clausola di clemenza, non un condono automatico.

Ma è una norma che può rivelarsi determinante nei casi in cui l'importo evaso ecceda di poco la soglia di punibilità.

La giurisprudenza più avveduta ha riconosciuto che, in presenza di una lieve eccedenza rispetto al limite di 250.000 euro, può ritenersi integrata la particolare tenuità del fatto, specie in assenza di condotte seriali o danni rilevanti (Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2018, n. 12906; Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2021, n. 32652).

Inoltre, è stato chiarito che ai fini dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p., può rilevare anche la condotta riparatoria successiva, se valutata nell’ambito di un giudizio complessivo sull’offesa recata (Cass. pen., sez. III, 24 maggio 2023, n. 28031).

In questa prospettiva, il nostro Studio ha tutelato con esito favorevole numerosi imprenditori, valorizzando – nel corso del processo – la contenuta entità dello scostamento, l’assenza di qualsivoglia intento fraudolento e la tempestiva regolarizzazione dell’inadempimento.


5. “Se ho presentato domanda di concordato preventivo, sono al riparo dal reato?”

È una delle domande più frequenti tra gli imprenditori che si trovano in una situazione di crisi: la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo può escludere la punibilità per omesso versamento IVA?

La risposta, per quanto possa apparire controintuitiva, è negativa.

La Corte di cassazione ha affermato, con costanza, che la sola presentazione della domanda di concordato non ha alcun effetto scriminante.

L’obbligo di versamento resta integro, e la sua omissione è penalmente rilevante se la scadenza dell’imposta precede l’adozione di misure formali da parte del tribunale (Cass. pen., sez. III, 2 dicembre 2021, n. 9248; Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2019, n. 39310).

In altre parole, l’art. 51 c.p. – che esclude la punibilità per chi agisce in adempimento di un dovere – può operare solo quando sia intervenuto un provvedimento giurisdizionale che impedisca il pagamento, e non già quando vi sia solo un’istanza pendente.

Ancor meno rileva che la domanda sia stata proposta dallo stesso imprenditore autore del dissesto: la Corte ha chiarito che, diversamente opinando, si legittimerebbe un uso strumentale della procedura concorsuale per sottrarsi alla responsabilità penale.

Solo l’ammissione al concordato con pagamento parziale o dilazionato dell’IVA, formalmente autorizzato e antecedente alla scadenza, può eventualmente incidere sull’esigibilità della condotta (Cass. pen., sez. IV, 17 ottobre 2017, n. 52542).

Allo stesso modo, rilevante è il momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento: se questa precede la scadenza dell’imposta, la responsabilità può ricadere sul curatore nominato (Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 2017, n. 9466), con la possibile configurazione di un concorso dell’amministratore uscente solo in presenza di condotte materiali di istigazione o agevolazione.

In sintesi, la mera presentazione di una domanda di concordato non salva dal reato: la scelta di non pagare l’IVA resta penalmente rilevante finché non interviene un vincolo giuridico che renda l’adempimento oggettivamente impossibile. Chi versa in difficoltà, prima ancora di depositare istanze, deve valutare attentamente le ricadute penali della propria strategia.


5. “Se l’omesso versamento viene commesso dal mio consulente fiscale o dal commercialista incaricato, non sono punibile?”: il dovere di vigilanza dell'imprenditore

Un'altra delle domande che più frequentemente vengono rivolte al penalista tributario riguarda l'eventuale responsabilità personale nel caso in cui l'omesso versamento dell'IVA sia ascrivibile alla negligenza o all'omissione materiale del consulente fiscale o del commercialista delegato.

Il quesito è apparentemente semplice, ma impone una risposta rigorosa: la delega a un professionista non esonera in alcun modo il contribuente dall’obbligo giuridico e penalmente rilevante di vigilanza.

Secondo un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, il rappresentante legale della società obbligata al versamento dell’IVA conserva la piena titolarità dell’obbligazione fiscale e, conseguentemente, la posizione di garanzia rilevante ai fini dell’imputazione soggettiva del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000.

La Corte di Cassazione ha ribadito che il dolo può configurarsi anche in presenza di una delega conferita a un terzo, qualora l’amministratore non abbia vigilato sull’effettivo adempimento dell’obbligazione. Ancor più esplicitamente, si è affermato che l’obbligo tributario grava in capo al contribuente, il quale non può invocare l’errore del consulente per sottrarsi alla responsabilità, se non ha vigilato-

Vi sono, tuttavia, ipotesi eccezionali nelle quali la responsabilità può essere esclusa: ad esempio, laddove l’imprenditore abbia tempestivamente messo a disposizione del professionista le somme necessarie al versamento, confidando ragionevolmente nell’adempimento, e sia stato invece tratto in inganno da una condotta infedele o fraudolenta del medesimo.

Ma anche in tale eventualità, il contribuente deve dimostrare con precisione e puntualità ogni elemento utile a fondare la propria estraneità alla condotta omissiva.

Ne discende un principio operativo imprescindibile: l’imprenditore ha il dovere – giuridico prima ancora che prudenziale – di controllare l’effettiva esecuzione dei versamenti fiscali, anche quando la gestione contabile sia stata affidata a un soggetto esterno.

Un semplice controllo, una verifica telematica, una conferma bancaria possono fare la differenza tra l’assoluzione e la condanna. In ambito penal-tributario, la delega non libera, ma obbliga alla vigilanza.


Se hai ricevuto un avviso di garanzia, se hai omesso un versamento, se temi una contestazione: parlane con chi conosce il diritto penale tributario e le sue declinazioni.

Perché la differenza tra errore e reato, tra leggerezza e dolo, tra un rinvio a giudizio e un'archiviazione, è tutta nei dettagli.

Per contattare il nostro Studio, per una prima consulenza, puoi chiamare la nostra Segreteria o inviare una mail.

Se vuoi approfondire l'argomento, clicca sul link e analizza le principali e più recenti massime della giurisprudenza di legittimità e di merito in tema di omesso versamento IVA.

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