Dichiarazione fraudolenta e uso di fatture false: struttura, giurisprudenza e profili difensivi del reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000
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Dichiarazione fraudolenta e uso di fatture false: struttura, giurisprudenza e profili difensivi del reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000

Dichiarazione fraudolenta e uso di fatture false: struttura, giurisprudenza e profili difensivi del reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000

Indice:



1. Premessa: la centralità del reato nel sistema penale-tributario

L’art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 sanziona la condotta di chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, si avvalga di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di indicare nella dichiarazione annuale elementi passivi fittizi.

Ciò che distingue questa fattispecie non è solo la finalità elusiva, ma l’uso strumentale di documentazione formalmente conforme alle apparenze della legalità, ma sostanzialmente mendace. In questo senso, la falsità non si manifesta in forme eclatanti ma si mimetizza nella forma burocratica dell’apparente regolarità, divenendo per questo ancor più insidiosa.

L’efficacia fraudolenta del documento risiede proprio nella sua verosimiglianza esteriore, che induce l’Amministrazione finanziaria a fare affidamento su di esso, falsando il procedimento di accertamento e impedendo l’effettiva percezione del tributo.

Il reato così descritto si colloca all’intersezione tra diritto penale e procedura tributaria, e si configura come strumento privilegiato per la repressione delle frodi di maggiore sofisticazione, tanto sul piano strutturale quanto su quello soggettivo.

Secondo la Corte costituzionale, la specificità dell’art. 2 risiede nella sua idoneità a colpire un “artificio particolarmente insidioso” – ossia la falsa fatturazione – che merita una disciplina penale più severa, persino in assenza di soglie quantitative di punibilità (Corte cost., sent. n. 95/2019).

Il disvalore penale non è riducibile al solo danno patrimoniale cagionato all’Erario, bensì si estende alla lesione del principio di affidamento che regge l’intero sistema della dichiarazione fiscale: l’Amministrazione presume che il contribuente operi secondo buona fede e verità.

La violazione di questo patto fiduciario costituisce il cuore della fattispecie incriminatrice.

Nel contesto odierno – segnato da fenomeni di frode sistemica e dalla diffusione di “società cartiere” prive di struttura imprenditoriale reale – il delitto di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000 si rivela quindi centrale per garantire l’effettività dell’obbligazione tributaria, costituendo uno dei pilastri repressivi dell’intero sistema di compliance fiscale.


2. Struttura della fattispecie: elementi oggettivi e soggettivi del reato

L’art. 2 del D.Lgs. 74/2000 tipizza una condotta articolata, che si compone di tre nuclei fondamentali: l’utilizzo di documentazione fiscalmente rilevante, la sua funzione fraudolenta nella dichiarazione annuale e l’intenzionalità evasiva dell’agente.


2.1. L’elemento oggettivo

Il comportamento penalmente rilevante si sostanzia nella presentazione di una dichiarazione (ai fini delle imposte dirette o IVA) contenente elementi passivi fittizi, cioè non corrispondenti a reali operazioni economiche, “avvalendosi” di fatture o altri documenti attestanti operazioni inesistenti.

Tale uso si considera integrato, ex comma 2, quando le fatture o i documenti:

  • sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, oppure

  • sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

La norma quindi prescinde dal fatto che il documento sia effettivamente esibito in sede di controllo: è sufficiente che sia strumentalmente predisposto per sostenere l’infedeltà dichiarativa.

Il requisito della “detenzione a fini di prova” amplia ulteriormente l’ambito applicativo della norma, ricomprendendo anche documenti che, pur non confluiti formalmente nella dichiarazione, siano funzionali a renderla verosimile in caso di ispezione.


2.2. Cosa si intende per “documenti per operazioni inesistenti”

L’art. 1, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 74/2000 definisce le “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” come:

  • documenti relativi a operazioni oggettivamente inesistenti, cioè mai avvenute in tutto o in parte;

  • documenti con corrispettivi o IVA superiori a quelli reali, ipotesi di sovrafatturazione qualitativa o quantitativa;

  • documenti che attribuiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, c.d. inesistenza soggettiva.

Tali definizioni, di matrice legislativa, sono state costantemente confermate dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, è stato ribadito che rientrano nella fattispecie tutte le forme di divergenza documentale tra realtà economica e rappresentazione fiscale, indipendentemente dalla natura ideologica o materiale della falsità (Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2024, n. 29347).


2.3. L’elemento soggettivo: dolo specifico e accettazione del rischio

Il reato richiede, sotto il profilo soggettivo, il dolo specifico, consistente nella finalità di evadere le imposte. Non basta, quindi, la semplice consapevolezza dell’irregolarità del documento: occorre che l’agente persegua intenzionalmente un risultato fiscale indebito mediante l’uso di documentazione falsa.

A tal riguardo, la giurisprudenza ha riconosciuto che tale dolo specifico può coesistere con il dolo eventuale, quando il contribuente accetti consapevolmente il rischio che l’operazione, pur formalmente strutturata, sia fiscalmente fraudolenta. Ad esempio, è sufficiente la consapevole adesione a un sistema di fatturazione fittizia ricorrente, anche se predisposto da altri (Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2024, n. 32106).


2.4. La dichiarazione come momento consumativo

Il delitto ha natura istantanea e si consuma al momento della presentazione della dichiarazione infedele.

È in quel momento, infatti, che si realizza la lesione dell’interesse giuridico tutelato: l’integrità del sistema impositivo fondato sull’autodichiarazione del contribuente.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’uso della falsa fattura è penalmente irrilevante di per sé: acquista rilevanza solo se finalizzato a sostenere una dichiarazione mendace, vera e propria sede della consumazione del reato (Cass. pen., sez. fer., 29 agosto 2024, n. 36458).


2.5. Il disvalore penale: alterazione dell’adempimento collaborativo

Ciò che rende particolarmente grave il comportamento descritto all’art. 2 è l’effetto sistemico della frode.

In un ordinamento tributario imperniato sull’autoliquidazione e sull’obbligo di veridicità delle dichiarazioni, l’uso di fatture false costituisce un vulnus profondo al principio di lealtà fiscale.

Non è solo l’evasione in sé a rilevare, ma l’inquinamento delle fonti documentali su cui si fonda l’attività accertativa dell’Amministrazione.

In questo quadro, la falsa documentazione non è un mero mezzo materiale dell’evasione: è l’elemento strutturale attorno al quale si costruisce un sistema contabile e fiscale alterato, spesso seriale, la cui capacità lesiva si estende ben oltre il singolo esercizio d’imposta.


3. La riforma del 2019: mutamenti normativi e inasprimento repressivo

La legge 19 dicembre 2019, n. 157 – di conversione del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 – ha significativamente inciso sull’assetto sanzionatorio e sistematico del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 D.Lgs. 74/2000.

La riforma si colloca all’interno di una strategia legislativa orientata al rafforzamento del contrasto all’evasione fiscale, con un marcato spostamento in senso repressivo.


3.1. Aumento delle pene edittali e nuova soglia attenuata

Il primo, più evidente intervento del legislatore ha riguardato l’elevazione della cornice edittale:

  • prima della riforma: reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni.

  • dopo la riforma (art. 2, comma 1): reclusione da 4 a 8 anni.

Accanto a questo, è stato introdotto il comma 2-bis, che prevede l’applicazione della pena precedente (1 anno e 6 mesi – 6 anni) nei casi in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a euro 100.000.

Questa soglia non incide sulla configurabilità del reato, che resta del tutto prescindente da limiti quantitativi, ma interviene solo ai fini della mitigazione del trattamento sanzionatorio.

Dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto tale disposizione una circostanza attenuante ad effetto speciale e non una fattispecie autonoma.


3.2. Confisca allargata e soglia dei 200.000 euro

Di rilievo anche l’introduzione, tramite il comma 1, lett. q), dell’art. 39 D.L. n. 124/2019, della confisca allargata ex art. 240-bis c.p. per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta con elementi passivi fittizi superiori a 200.000 euro.

La previsione consente l’aggressione patrimoniale, anche per equivalente, dei beni nella disponibilità del condannato, quando il reato rientri tra quelli indicati e sussistano indici di sproporzione tra reddito dichiarato e valore del patrimonio.

Tale misura di sicurezza patrimoniale, applicabile anche in sede cautelare mediante sequestro preventivo finalizzato alla confisca, testimonia l’intenzione del legislatore di colpire il profitto illecito dell’evasione non solo sul piano penalistico, ma anche su quello economico-repressivo.


3.3. Responsabilità amministrativa degli enti

La riforma ha poi inciso anche sul piano della responsabilità “da reato” delle persone giuridiche, inserendo all’interno del D.Lgs. 231/2001 l’art. 25-quinquiesdecies, rubricato “Reati tributari”.

Tra i reati-presupposto ivi elencati è stato inserito anche l’art. 2, comma 1, D.Lgs. 74/2000, con previsione di sanzioni pecuniarie fino a 500 quote, nonché l’adozione delle misure interdittive previste dal decreto (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione/revoca di licenze e autorizzazioni, divieto di contrattare con la P.A., etc.).

Per le ipotesi sotto soglia ex comma 2-bis, è prevista una sanzione pecuniaria fino a 400 quote, confermando la lettura sistematica che vede in tale disposizione un’autonoma rilevanza sanzionatoria.


3.4. Estensione dell’art. 13, comma 2, come causa di non punibilità

Un’ulteriore innovazione rilevante riguarda l’estensione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, D.Lgs. 74/2000 — già operativa per altri reati tributari — anche al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false.

La norma prevede l’esclusione della punibilità in caso di integrale pagamento del debito tributario, comprensivo di sanzioni e interessi, prima dell’avvio di controlli, ispezioni, verifiche o procedimenti penali.

Si tratta di un meccanismo premiale che incoraggia la compliance fiscale volontaria e tempestiva, ancorché circoscritta a una fase anteriore all’attivazione degli strumenti repressivi dello Stato.


3.5. Legittimità costituzionale dell’assenza di soglie

Come anticipato, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 95/2019, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale concernente l’assenza di una soglia di punibilità nel reato ex art. 2. La Consulta ha ritenuto tale scelta coerente con il disvalore insito nella falsa documentazione, ritenuta particolarmente insidiosa per il sistema impositivo.

Il legislatore ha inteso “isolare”, all’interno delle condotte fraudolente, quella più pericolosa e difficilmente accertabile: l’utilizzo della fattura falsa come mezzo di costruzione di un’intera realtà contabile artefatta. L’interesse protetto non è solo quello patrimoniale dell’erario, ma anche la trasparenza e l’affidabilità del sistema dichiarativo.


4. Criteri interpretativi e applicazione giurisprudenziale: la delimitazione del perimetro punitivo

La prassi giurisprudenziale ha assunto un ruolo centrale nel definire i confini operativi del reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. 74/2000.

Se, da un lato, la norma è chiara nel sanzionare l’indicazione di elementi passivi fittizi mediante fatture per operazioni inesistenti, dall’altro è stata la Cassazione, negli anni, a chiarire i criteri per distinguere le condotte effettivamente punibili da quelle fiscalmente scorrette ma penalmente irrilevanti.


4.1. L’irrilevanza penale della fatturazione a prezzi incongrui

Un consolidato indirizzo ha escluso la rilevanza penale dell’acquisto di beni o servizi realmente avvenuto, ancorché a condizioni economiche sfavorevoli o sproporzionate rispetto al valore di mercato, purché:

  • la prestazione sia effettivamente avvenuta;

  • il pagamento sia stato realmente effettuato;

  • non vi siano elementi di falsità ideologica o materiale nella documentazione.

La pronuncia di riferimento è la sentenza Cass. pen., sez. III, 14 marzo 2024, n. 26520, che ha escluso la configurabilità del reato in un caso di fatturazione “gonfiata” tra due società con regime fiscale differenziato. La Corte ha chiarito che l’elevato importo fatturato, se corrisposto integralmente e a fronte di una prestazione effettiva, non integra la “inesistenza” richiesta dalla norma, né oggettiva né soggettiva, né tantomeno una sovrafatturazione penalmente rilevante, in assenza di artifici o intenti simulatori.


4.2. Operazioni simulate e qualificazione soggettiva del fornitore

Rientrano invece nel perimetro sanzionatorio dell’art. 2 le operazioni simulate, in cui il contratto formalmente stipulato nasconde una diversa realtà negoziale. È il caso, ad esempio, dell’appalto simulato che cela una somministrazione irregolare di manodopera, come affermato in Cass. pen., sez. III, 23 maggio 2024, n. 34408.

Allo stesso modo, la Corte ha ricondotto nell’alveo della dichiarazione fraudolenta le fatture formalmente intestate a un determinato soggetto (impresa cartiera), ma riferite in realtà a soggetti diversi, privi di capacità imprenditoriale o mera interfaccia di una struttura fraudolenta.

La soggettiva inesistenza dell’operazione si configura dunque quando la prestazione è effettivamente avvenuta ma eseguita da un soggetto diverso da quello indicato in fattura, comportando una distorsione dell’identità fiscale del contraente e, potenzialmente, un’alterazione del regime IVA applicabile (Cass. pen., sez. III, 1 marzo 2023, n. 16576).


4.3. La cd. cartiera: soggetto giuridico inesistente o privo di sostanza economica

Altro tema centrale è quello delle società cartiere, formalmente esistenti ma prive di sostanza imprenditoriale: nessuna struttura, dipendenti, beni strumentali o operatività.

La giurisprudenza ha ritenuto che, in presenza di tali soggetti, l’operazione fatturata debba presumersi inesistente, salvo prova contraria.

L’utilizzo di fatture emesse da tali soggetti è stato ritenuto penalmente rilevante anche se la documentazione è stata materialmente creata dallo stesso utilizzatore, simulando una terzietà inesistente (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 2024, n. 13364).

La ratio è chiara: ciò che rileva è l’attestazione falsa di un’operazione che non ha riscontro nella realtà economica, a prescindere da chi rediga materialmente il documento.


4.4. Pluralità di fatture e unicità del reato

In caso di utilizzo di più fatture false nella medesima dichiarazione annuale, la Cassazione ha affermato che si configura un unico reato, consumato con la presentazione della dichiarazione, a nulla rilevando il numero delle fatture coinvolte. La pluralità delle false documentazioni potrà tutt’al più influire sulla gravità del fatto o sull’entità della pena (Cass. pen., sez. fer., 8 agosto 2023, n. 34824).

Di contro, l’utilizzo delle medesime fatture in anni diversi o in dichiarazioni differenti integra reati autonomi, eventualmente unificabili sotto il vincolo della continuazione.


4.5. Profili processuali e criteri probatori

Sul piano probatorio, l’accertamento della falsità dell’operazione richiede una valutazione complessiva, che può fondarsi su:

  • assenza di documentazione bancaria;

  • inesistenza dei beni indicati o della prestazione dichiarata;

  • mancanza di elementi logistici o strutturali per realizzare l’operazione;

  • incongruenze tra le fatture e i riscontri oggettivi (es. trasporti, depositi, tempistiche).

La Corte ha ritenuto sufficiente la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti, che indichino la finalità elusiva della condotta e la simulazione dell’operazione, anche in assenza di prova diretta.


5. Le diverse tipologie di fatture false e i loro effetti giuridici

Uno dei nodi centrali dell’interpretazione dell’art. 2 D.Lgs. 74/2000 riguarda la definizione di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, nozione giuridica che ha richiesto nel tempo una stratificazione esegetica, sia da parte della giurisprudenza di legittimità che dalla dottrina penal-tributaria.

A tal fine, il legislatore ha previsto all’art. 1, comma 1, lett. a), una tripartizione fondamentale che distingue tra inesistenza oggettiva, inesistenza soggettiva e indicazione di corrispettivi o IVA superiori a quelli reali.


5.1. Inesistenza oggettiva dell’operazione

Si è in presenza di una fattura oggettivamente falsa quando l’operazione commerciale indicata nel documento non è mai avvenuta, né in tutto né in parte. Ciò implica che non vi sia stata alcuna cessione di beni o prestazione di servizi. In termini probatori, la sussistenza dell’inesistenza oggettiva può essere accertata attraverso l’assenza di:

  • movimentazioni bancarie compatibili con l’operazione;

  • documentazione contrattuale o di trasporto;

  • riscontri materiali (depositi, fattorini, corrispondenze).

La Cassazione ha chiarito che l’inesistenza oggettiva costituisce la forma paradigmatica di falsa fatturazione, specialmente quando coinvolge soggetti giuridici fittizi (le “cartiere”), cioè entità formalmente registrate ma prive di sostanza economica (Cass. pen., sez. III, 12 aprile 2024, n. 29355).


5.2. Inesistenza soggettiva dell’operazione

Si configura inesistenza soggettiva quando l’operazione è realmente avvenuta, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nella documentazione fiscale. In questi casi, la prestazione può essere stata svolta, ma da un soggetto “di comodo”, privo di reale operatività o utilizzato solo per celare l’identità del fornitore effettivo.

Questa ipotesi, spesso connessa a meccanismi di interposizione fittizia, rileva penalmente in quanto la corretta individuazione del fornitore ha implicazioni sia sul piano della legittimità della detrazione IVA, sia su quello delle ritenute d’acconto, sia ai fini della tracciabilità finanziaria.

Anche in tale contesto, l’elemento centrale della frode è l’alterazione della realtà negoziale rilevante ai fini fiscali (Cass. pen., sez. III, 1 marzo 2023, n. 16576).


5.3. Sovrafatturazione quantitativa e qualitativa

Una terza ipotesi è rappresentata dalla c.d. sovrafatturazione, che può essere:

  • quantitativa, quando la quantità di beni o servizi indicata in fattura è superiore a quella effettivamente fornita;

  • qualitativa, quando il bene o servizio fatturato ha caratteristiche diverse e maggiormente remunerative rispetto a quelle effettivamente rese.

Rientrano in questa tipologia anche i casi in cui l’importo della prestazione è gonfiato rispetto al prezzo effettivo, purché tale differenza non sia giustificata da dinamiche contrattuali reali.

La Corte di Cassazione ha puntualizzato che l’elemento determinante è la divergenza tra la realtà economica e la sua rappresentazione documentale, a prescindere dall’apparente formalità contabile (Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2024, n. 29347).

Non rientra nella sfera penalmente rilevante, tuttavia, l’ipotesi in cui l’acquisto sia effettivamente avvenuto e il prezzo, per quanto sproporzionato, sia stato interamente pagato: in tal caso non vi è divergenza tra dato economico e documento contabile (Cass. pen., sez. III, 14 marzo 2024, n. 26520).


5.4. Fatture riferite a operazioni simulate

Una figura ulteriore, di frequente riscontro nella prassi, è quella delle operazioni simulate, in cui l’apparente contratto nasconde una realtà giuridica diversa (tipicamente, fittizie somministrazioni di manodopera dissimulate da appalti di servizi). Anche in tal caso, la giurisprudenza ha riconosciuto la configurabilità del reato di cui all’art. 2, in quanto la fattura attesta un negozio giuridico apparente, utilizzato come veicolo di evasione (Cass. pen., sez. III, 23 maggio 2024, n. 34408).


5.5. La funzione probatoria e fiscale del documento

Elemento costante di tutte queste ipotesi è il ruolo decisivo attribuito alla fattura quale documento contabile dotato di efficacia probatoria.

La sua funzione non è meramente dichiarativa, ma assume centralità nella determinazione della base imponibile, sia ai fini delle imposte dirette che dell’IVA. Proprio tale rilevanza rende la sua falsificazione — nei modi sopra descritti — particolarmente insidiosa per l’ordinamento fiscale, e giustifica l’autonoma incriminazione prevista dall’art. 2.


6. Strategie difensive e i profili processuali del reato

Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, proprio in ragione della sua costruzione normativa incentrata sull’utilizzo di documenti formalmente corretti ma sostanzialmente fittizi, pone rilevanti questioni probatorie e difensive.

La condotta tipica si colloca a cavallo tra l’illecito penale e l’irregolarità amministrativa, rendendo essenziale una ricostruzione precisa del fatto nella sua dimensione economica, documentale e soggettiva.


6.1. L’onere probatorio: accertamento dell’inesistenza

Nel processo penale, incombe sull’accusa l’onere di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, non soltanto l’uso della documentazione contestata nella dichiarazione, ma anche la falsità sostanziale della stessa — nei termini di inesistenza oggettiva, soggettiva o economica (sovrafatturazione).

È pertanto dirimente l’acquisizione in giudizio di:

  • elementi documentali che dimostrino l’assenza di movimentazioni economiche o logistiche coerenti con la fattura;

  • prove testimoniali e tecniche che attestino la natura fittizia del fornitore o l’inesistenza della prestazione;

  • riscontri contabili incoerenti, come causali generiche o identiche per operazioni differenti, mancanza di contratti, assenza di tracciabilità bancaria.

La difesa, di contro, può dimostrare la concreta esecuzione dell’operazione, l’effettiva utilità dei beni o servizi per l’attività d’impresa, la congruità del prezzo in rapporto alle condizioni di mercato e la regolare registrazione nei sistemi contabili.


6.2. La posizione dell’imprenditore: profili soggettivi

Sotto il profilo soggettivo, la strategia difensiva può ruotare attorno alla contestazione del dolo specifico. In presenza di una fattura irregolare, l’imprenditore può sostenere di aver fatto legittimo affidamento sulla documentazione ricevuta, oppure di non essere stato a conoscenza della sua falsità.

La giurisprudenza ritiene irrilevante la buona fede solo in presenza di condotte connotate da elementi di macroscopica anomalia (assenza di sede, personale o beni dell’emittente, fatturazioni reiterate con causali generiche): in questi casi si presume la consapevolezza o, quanto meno, l’accettazione del rischio di frode.

Al contrario, la difesa può valorizzare l’assenza di indici sintomatici, l’esistenza di rapporti contrattuali continuativi, l’avvenuto pagamento mediante strumenti tracciabili, nonché la collaborazione con professionisti contabili, per dimostrare la diligenza dell’imprenditore e l’eventuale responsabilità esclusiva di terzi.


6.3. L’affidamento sul professionista e la delega delle funzioni

Una linea difensiva tipica è quella basata sull’affidamento a un consulente fiscale, revisore o commercialista. L’imprenditore può sostenere di aver agito sulla base di pareri professionali, di essersi limitato a firmare dichiarazioni predisposte da altri o di aver delegato la gestione contabile e amministrativa.

La giurisprudenza, tuttavia, esclude la possibilità di “delegare” la responsabilità penale per la dichiarazione fraudolenta. La Corte di Cassazione ha chiarito che il contribuente resta titolare di un dovere personale di verifica e controllo, salvo che la delega non sia stata accompagnata da concrete istruzioni, vigilanza e riscontri di conformità (Cass. pen., sez. III, 9 luglio 2024, n. 33280).

Il margine di successo di questa linea difensiva dipende quindi dalla dimostrazione dell’esistenza di una struttura organizzativa idonea, di procedure interne efficaci e della buona fede dell’imprenditore nel seguire i consigli ricevuti.


6.4. L’uso del ravvedimento operoso e l’estinzione del reato

Un’opzione di particolare rilievo è rappresentata dalla causa di non punibilità introdotta dal D.Lgs. 74/2000, art. 13, comma 2, estesa nel 2019 anche al reato di cui all’art. 2. Essa si realizza se:

  • il contribuente paga integralmente i tributi, le sanzioni e gli interessi;

  • tale pagamento avviene prima della formale conoscenza dell’esistenza di attività di accertamento (accessi, ispezioni, verifiche o notifiche).

In presenza di tali presupposti, l’azione penale è preclusa, rendendo essenziale — per il difensore — la tempestiva attivazione delle procedure di regolarizzazione fiscale. Il ravvedimento, oltre a estinguere la responsabilità penale personale, può anche neutralizzare l’applicazione delle misure patrimoniali, come il sequestro finalizzato alla confisca.


6.5. La prova dell’inerenza e la contestazione della simulazione

In presenza di fatture oggettivamente irregolari, la difesa può insistere sull’inerenza dell’operazione all’attività d’impresa, al fine di escludere la finalità evasiva.

La giurisprudenza distingue tra uso fraudolento del documento e sfruttamento scorretto di un rapporto contrattuale reale: solo nel primo caso si integra l’art. 2.

È pertanto difendibile, ad esempio, una posizione in cui il bene è stato realmente acquistato e utilizzato, ma il fornitore ha adottato una qualificazione soggettiva o contrattuale non corretta, senza che l’acquirente ne fosse consapevole.


7. Conclusioni: criticità sistemiche e prospettive evolutive

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, così come delineato dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, rappresenta uno degli snodi centrali dell’attuale sistema penale-tributario italiano. La sua funzione repressiva — orientata al presidio della veridicità documentale in ambito fiscale — ha assunto un rilievo crescente in risposta alla sofisticazione delle pratiche elusive e alla crescente complessità dei modelli societari e finanziari utilizzati per aggirare gli obblighi tributari.


7.1. Un modello di offensività documentale

Il delitto in esame si fonda su un paradigma normativo che individua la lesione del bene giuridico tutelato non già nella sola evasione d’imposta, bensì nella violazione della verità dichiarativa e dell’affidabilità del sistema di autodeterminazione del tributo. È la falsificazione documentale — intesa come simulazione cartolare di un’operazione economica mai realizzata o riferita a soggetti fittizi — a costituire il fulcro dell’offesa, secondo un modello di offensività ancorato alla pericolosità del mezzo fraudolento, più che alla materialità del danno erariale.

L’uso della fattura falsa non è, dunque, un mero strumento: è il vettore primario dell’alterazione della base imponibile, e proprio per questo il legislatore ha previsto un trattamento sanzionatorio autonomo e più rigoroso, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sent. n. 95/2019).


7.2. Le tensioni interpretative: tra repressione e garanzie

Tuttavia, l’ampiezza del perimetro incriminatore ha sollevato non poche criticità in sede interpretativa e applicativa.

La mancata previsione di una soglia di punibilità ex ante, se da un lato esprime l’intento di colpire ogni forma di falsa fatturazione, anche di modesta entità, dall’altro lato espone la norma al rischio di attrarre nel circuito penale condotte scarsamente offensive, talvolta derivanti da semplici disallineamenti contabili o da scelte imprenditoriali opinabili, ma non fraudolente.

In questo contesto, il ruolo della giurisprudenza è stato decisivo nell’orientare l’applicazione della norma verso un criterio selettivo di offensività concreta, basato su riscontri oggettivi di inesistenza, consapevolezza e finalità evasiva.

Tale filtro ermeneutico, tuttavia, non sempre appare applicato in modo omogeneo: talune pronunce sembrano ancora ritenere penalmente rilevanti comportamenti meramente negligenti o frutto di un’interpretazione incerta delle norme tributarie, laddove occorrerebbe una più netta separazione tra l’errore fiscale e la frode penalmente rilevante.


7.3. La prospettiva europea e le esigenze di armonizzazione

Un’ulteriore prospettiva di riflessione si apre guardando al diritto europeo.

La Direttiva UE 2017/1371 (cd. “Direttiva PIF”) impone agli Stati membri di reprimere penalmente le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, comprese le frodi IVA. Tuttavia, essa richiede anche che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive, senza per questo risultare sproporzionate o irragionevoli.

L’attuale formulazione dell’art. 2 D.Lgs. 74/2000, soprattutto nella parte in cui non prevede una soglia minima per la punibilità, potrebbe essere oggetto di scrutinio in chiave sovranazionale, laddove applicata a fatti privi di effettiva lesività e connotati da bassa intensità fraudolenta.


7.4. Verso un nuovo equilibrio tra prevenzione, punizione e compliance

In chiusura, occorre sottolineare che la repressione della frode documentale non può prescindere da un più ampio disegno di politica fiscale, volto a rafforzare gli strumenti di prevenzione, di cooperazione tra contribuente e Amministrazione e di risoluzione anticipata del contenzioso.

La valorizzazione degli istituti deflattivi, come il ravvedimento operoso e l’adempimento collaborativo, rappresenta una leva fondamentale per incentivare la compliance spontanea e ridurre la pressione repressiva in chiave sanzionatoria.

Allo stesso tempo, è auspicabile un rafforzamento delle garanzie difensive in fase istruttoria e processuale, a tutela di quei contribuenti che, pur avendo operato con imprudenza o negligenza, non hanno perseguito — né accettato — consapevolmente un fine fraudolento.


7.5. Il ruolo del difensore: prevenzione, strategia e tutela

In questo scenario, il ruolo del difensore penalista si espande ben oltre la dimensione contenziosa. È chiamato a svolgere una funzione di “sentinella” preventiva della legalità fiscale, intervenendo tempestivamente nella fase amministrativa, orientando le scelte imprenditoriali, strutturando presìdi interni e interfacciandosi strategicamente con i consulenti fiscali.

Solo un approccio multidisciplinare, informato alla conoscenza profonda delle dinamiche aziendali e della fiscalità sostanziale, può oggi garantire un’effettiva tutela del cliente, in un contesto normativo in continua evoluzione e ad alto rischio repressivo.


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