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L'estorsione non si presume: se il creditore agisce per conto di una società, il fatto può integrare la ragion fattasi (Cass. pen. n. 19302/25)

L'estorsione non si presume: se il creditore agisce per conto di una società, il fatto può integrare la ragion fattasi (Cass. pen. n. 19302/25)

Con la sentenza n. 19302 del 2025, la Corte di cassazione torna sul delicato confine tra estorsione e ragion fattasi, affrontando il problema della qualificazione giuridica delle condotte di chi esige un credito per conto di una società formalmente intestata ad altri soggetti. La Corte, richiamando i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza Filardo (2020), esclude la configurabilità dell’estorsione in presenza di una pretesa fondata, esercitata con modalità non lecite ma nell’interesse esclusivo del creditore, senza finalità di profitto personale.


I fatti

All’indagato era stata contestata una tentata estorsione pluriaggravata, anche con metodo mafioso (artt. 56, 629, 416-bis.1 c.p.), in quanto ritenuto autore di reiterate minacce nei confronti del De.Iv., al fine di ottenere la restituzione di una somma (190.000 euro) ricevuta da quest’ultimo da una società a lui collegata (la G3 Holding Srl).

A suo carico veniva applicata la custodia cautelare in carcere. Il riesame confermava la misura, ritenendo che l’assenza di legittimazione formale alla riscossione del credito escludesse la possibilità di configurare la ragion fattasi, aprendo invece alla sussistenza del delitto di estorsione.


La decisione

La Cassazione annulla l’ordinanza per erronea qualificazione giuridica del fatto, per le seguenti ragioni.

I giudici del riesame avevano ritenuto che Gu.An., non essendo formalmente amministratore della società, non fosse legittimato a esigere il credito, e che ciò bastasse per configurare il reato di estorsione.

La Suprema Corte, richiamando le Sezioni Unite Filardo (n. 29541/2020), ribadisce che: “i reati di ragion fattasi non sono reati propri esclusivi o di mano propria; è configurabile il concorso del terzo che agisce nell’interesse del titolare del diritto, purché non persegua un proprio fine ulteriore.”

Nel caso di specie, l’agente agiva per conto di una società a responsabilità limitata, della quale era il gestore di fatto, per ottenere la restituzione di una somma dovuta, senza elementi che suggerissero un profitto personale ulteriore o un’utilizzazione mafiosa dell’azione.

In secondo luogo, la Corte puntualizza che l’aggravante del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) non implica automaticamente l’integrazione del reato di estorsione.

Ed invero, “non si può affermare che ogni minaccia mafiosa integri automaticamente un’estorsione. Il metodo mafioso è un indice sintomatico, ma non esaurisce il contenuto del dolo richiesto dall’art. 629 c.p.” (SS.UU., Filardo, 2020).

Viene censurata, poi, la motivazione dell’ordinanza del riesame per vari vizi logico-argomentativi, in particolare:

  • la mancata valorizzazione della contraddittorietà delle dichiarazioni del denunciante (De.Iv.);

  • l’assenza di spiegazioni concrete su gesti e comportamenti ambigui (come il “passaggio della mano sulla gola”);

  • l’uso di motivazioni meramente ipotetiche (gelosie familiari, strategia comunicativa indagata) non ancorate ai dati processuali.


Principio di diritto

Ai fini della distinzione tra estorsione e ragion fattasi, rileva la finalità soggettiva perseguita dall’agente: è configurabile il concorso del terzo nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, anche se non formale titolare del diritto, quando agisce nell’interesse del creditore e non per un profitto personale ulteriore.


Conclusione

La Cassazione rimette al Tribunale del riesame la rivalutazione della vicenda, invitando a esaminare nuovamente sia la qualificazione del fatto sia le esigenze cautelari, alla luce di un corretto inquadramento giuridico e di una motivazione non meramente assertiva.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. II, 06/05/2025, (ud. 06/05/2025, dep. 22/05/2025), n.19302

RITENUTO IN FATTO


1. Con ordinanza dell'11/01/2025 il Tribunale di Bologna ha respinto l'istanza di riesame che era stata avanzata nell'interesse di Gu.An. contro il provvedimento con il quale il GIP del capoluogo emiliano aveva applicato al predetto indagato la misura della custodia cautelare in carcere avendo ravvisato, a suo carico, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di tentata estorsione pluriaggravata anche ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen. e di trasferimento fraudolento di beni o valori, nonché le relative esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili.


2. Ricorre per cassazione Gu.An. a mezzo del difensore che deduce:


2.1 violazione di legge in relazione agli artt. 416-bis.1, 56-629, commi primo e secondo, cod. pen.; mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale e processuale: rileva che il Tribunale ha liquidato l'eccezione difensiva circa la posizione processuale di De.Iv., indagato per reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., sostenendo che essa è certamente cumulabile con quella di persona offesa del reato, non avendo però affrontato l'obiezione difensiva in punto di attendibilità del suo racconto e di solo parziale convergenza con quello del di lui fratello e della madre; ricorda che il De.Iv. risultava iscritto presso la Procura della Repubblica di Reggio Emilia per fatti di truffa ma anche di autoriciclaggio con profili di connessione probatoria con il presente procedimento il che, unitamente alla presenza di altre denunce, avrebbe dovuto indurre il Tribunale a valutare in maniera particolarmente rigorosa le sue dichiarazioni, da saggiare anche alla luce dell'evidente interesse a conservare la somma di Euro 190.000 oggetto della denunciata truffa da lui posta in essere; segnala, quindi, una serie di aspetti su cui la motivazione del Tribunale risulta a suo avviso incongrua e non esaustiva oltre che manifestamente illogica;


2.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come tentata estorsione: segnala la contraddittorietà tra la ricostruzione operata dai giudici della cautela, secondo cui il Gu.An. sarebbe stato il dominus della Società G3 Srl e la qualificazione in termini di estorsione della richiesta di pagamento a favore della medesima società perché, secondo i giudici del riesame, avanzata da soggetto non legittimato; evidenzia che l'ordinanza non ha considerato che il (Omissis) Gu.Ro., amministratore della G3 Srl, aveva presentato una querela nei confronti del De.Iv. proprio in relazione alle somme di cui il ricorrente avrebbe poi chiesto la restituzione da eseguire, peraltro, tramite bonifici intestati alla società, ovvero con modalità del tutto distoniche rispetto all'ipotesi di una condotta estorsiva fondata su interessi personali; richiama la giurisprudenza formatasi in merito agli elementi distintivi tra il delitto di estorsione e quello di ragion fattasi evidenziando come proprio il tenore del provvedimento impugnato finisse per dar conto della legittimità, quantomeno putativa, della pretesa avanzata dal ricorrente considerato dai giudici della cautela come l'effettivo gestore della società;


2.3 violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 275 cod. proc. pen.: rileva che il Tribunale si è limitato, sul punto, ad evocare la pregressa condanna del ricorrente per associazione a delinquere di stampo mafioso senza tuttavia considerare la condotta da lui tenuta nell'arco di dieci anni nel corso dei quali era stato sottoposto a detenzione domiciliare, caratterizzata da un costante monitoraggio che non aveva fatto emergere contatti con ambienti criminali; evidenzia la insussistenza di esigenze di natura probatoria stante la natura degli elementi acquisiti e l'irrilevanza, a tal fine, della telefonata tra il De.Iv. e la presunta compagna dell'indagato di cui, sotto altro profilo, sono state obliterate le pur comprovate condizioni di salute.


3. La Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l'inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO


Il ricorso è fondato per le ragioni che seguono.


1. L'imputazione provvisoria elevata a carico del Gu.An. e posta a fondamento della misura custodiale di massimo rigore si articola, al capo 1), nel delitto di cui agli artt. 416-bis.1, 56-629 cod. pen.: secondo l'impostazione della pubblica accusa, De.Iv. aveva ricevuto, dalla Società G3 Holding Srl, tra le altre, la somma di Euro 190.000 che gli era stata consegnata da utilizzare "in investimenti immobiliari di dubbia liceità" ma che, in violazione degli accordi intercorsi tra le parti, non aveva restituito quando gli era stata richiesta indietro; il Gu.An. avrebbe usato minaccia (anche nei confronti della madre di De.Iv., Li., e del fratello De.Gu.) e violenza nei confronti del De.Iv. per tentare (non riuscendo nell'intento) di ottenere la restituzione del denaro; l'imputazione provvisoria, a tal proposito, descrive le singole iniziative in cui si sarebbe articolata la condotta minatoria e violenta dell'odierno ricorrente nelle giornate alle date dell'08/11/2024, del 10/11/2024, dell'11/11/2024, del 20/11/2024 e del (Omissis); al capo 2), inoltre, si contesta al Gu.An. il delitto di cui agli artt. 81, 110, 512-bis, 416-ó/s.l, 61 n. 11-quater cod. pen. per avere fittiziamente intestato fittizia la G3 Holding Srl a Gu.My. e Gu.Ro.; infine, al capo 3), la contestazione provvisoria riguarda gli artt. 30 e 311. 646 del 1982, 416-bis.1 cod. pen., con l'aggravante, anche in tal caso, di cui a l'art. 11-quater cod. pen.


2. Il primo motivo del ricorso è infondato.


La difesa censura il provvedimento del Tribunale del Riesame laddove i giudici bolognesi avrebbero omesso di considerare la posizione processuale di De.Iv. quale indagato di reato connesso, con ogni conseguenza in termini di utilizzabilità delle sue dichiarazioni e, in secondo luogo, di necessità di acquisirne un idoneo riscontro.


Il provvedimento impugnato non ha affatto trascurato la doglianza difensiva avendo puntualmente segnalato che il De.Iv. doveva essere considerato persona offesa vuoi del delitto di tentata estorsione vuoi, anche, secondo la tesi difensiva, del delitto di ragion fattasi; tanto premesso, il Tribunale ha inoltre evidenziato che il collegamento probatorio con il procedimento 5012/21 RGNR del PM Reggio Emilia si era palesato il 09/12/2024 e che, ad ogni modo, al De.Iv. erano stati dati gli avvisi di cui all'art. 64 cod. proc. pen.; dopo di che il predetto aveva confermato le dichiarazioni del (Omissis), del 27/11/2024 e del 03/12/2024.


Sotto altro profilo, il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni del De.Iv. fossero confortate da idonei riscontri che ha ravvisato nel contenuto dalle dichiarazioni di Li. De.Iv., di quelle di De.Gu. alla madre, nelle sommarie informazioni testimoniali di Ma.St. e Vi.An. e negli esiti del monitoraggio dell'incontro del (Omissis) tra il Gu.An. e lo stesso De.Iv..


3. Il secondo motivo del ricorso è fondato.


I giudici del riesame, come evidenziato dalla difesa, hanno considerato assolutamente pacifica e fuor di dubbio l'esistenza del debito maturato da De.Iv. nei confronti della G3 Holding Srl ancorché escludendo, allo stato, la ravvisabilità degli estremi del delitto di truffa in danno della società (cfr., pag. 7 dell'ordinanza).


Hanno, nel contempo, ritenuto corretta la qualificazione, in termini di tentata estorsione, della condotta ascritta ad Gu.An. consistente nel tentativo di costui, attraverso minacce dirette (anche per interposta persona) ad De.Iv., per ottenere la restituzione di quanto costui (come accennato) pacificamente doveva alla società e che, va pur detto, avrebbe dovuto essere ritrasferita mediante bonifici da effettuare sul conto della stessa.


Secondo il Tribunale, infatti, il Gu.An. non era "legittimato" a rivendicare il denaro in quanto di pertinenza della G3 Holding Srl "... rispetto alla quale egli era formalmente estraneo dato che era il fratello Gu.Ro. a figurare come amministratore della società" (cfr., pag. 15 dell'ordinanza).


Fatta questa premessa, i giudici del riesame hanno osservato che il delitto di ragion fattasi rientra "... tra i cosiddetti reati propri esclusivi o di mano propria, perciò configurabili solo se la condotta tipica è posta in essere da colui che ha la titolarità del preteso diritto" (cfr., ivi, pag. 15) e rispetto ai quali il concorso del terzo è configurabile soltanto se la condotta tipica sia posta in essere dal titolare del diritto mentre se ad agire, sia pure nell'interesse del creditore, è il terzo, costui si rende responsabile e commette il delitto di estorsione (cfr., ancora, pagg. 15-16 del provvedimento impugnato).


Si tratta di un'affermazione errata in diritto.


Le Sezioni Unite penali di questa Corte, con la sentenza "Filardo" del 2020, hanno chiarito che i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni hanno natura di reato proprio non esclusivo o "di mano propria" (cfr., Sez. U, n. 2954 del 16/07/2020, Rv. 280027 - 01, in cui si è affermato che "l'orientamento che considera i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come reati propri esclusivi, o di mano propria, non può essere condiviso" insistendo sul carattere meramente descrittivo ovvero pleonastico del riferimento, contenuto nella norma incriminatrice del delitto di ragion fattasi, alla necessità che, nel delitto di ragion fattasi, il soggetto che vanti la pretesa si faccia ragione da sé medesimo).


Sulla base di questa premessa, pertanto, le Sezioni Unite hanno affrontato e risolto il problema della qualificazione del concorso del terzo nel reato "proprio" di ragion fattasi, sostenendo che esso è certamente configurabile con la precisazione secondo cui tale ipotesi va riferita ai soli casi il terzo, si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del titolare del diritto, senza perseguire alcuna diversa, soggettiva ed ulteriore finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 -03).


Nel caso di specie, dunque, dalla stessa ricostruzione operata nel provvedimento impugnato risulta in termini assolutamente chiari che il Gu.An. si era attivato nei confronti del De.Iv. per esigere il credito vantato dalla G3 Holding Srl senza perseguire un interesse proprio "ulteriore" e diverso da quello di consentire alla società di rientrare nella disponibilità di quella somma.


Non è poi priva di qualche fondatezza, d'altro canto, la considerazione difensiva con cui è stata evidenziata la contraddittorietà tra la affermazione della carenza di legittimazione a ripetere il credito da parte dell'odierno ricorrente, in quanto formalmente estraneo alla società, rispetto alla contestale imputazione di averne fittiziamente intestato la titolarità in capo a Gu.Ro. e Gu.My., considerati meri prestanome.


Proprio questa impostazione della pubblica accusa impedirebbe persino di qualificare l'odierno indagato come vero e proprio "terzo", ovvero come soggetto intervenuto con il solo intento di coadiuvare il titolare del diritto nel perseguire, sia pure con modalità non consentite, il diritto di quest'ultimo.


Per altro verso, sono state ancora una volta le citate Sezioni Unite "Filardo" a chiarire che la qualificazione della condotta in termini di estorsione non può essere la diretta ed ineluttabile conseguenza del fatto che essa sia stata caratterizzata dall'uso del metodo mafioso, come contestato nel caso di specie (cfr., dalla motivazione delle SS.UU.: "un orientamento ha ritenuto che integra sempre gli estremi dell'estorsione aggravata dal c.d. metodo mafioso... e non dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone ugualmente aggravato, la condotta consistente in minacce di morte o gravi lesioni personali formulate dal presunto creditore e da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio in danno della persona offesa, estrinsecatesi nell'evocazione dell'appartenenza di entrambi ad una organizzazione malavitosa di tipo mafioso, per l'estrema incisività della forza intimidatoria esercitata, costituente indice del fine di procurarsi un profitto ingiusto, esorbitante rispetto al fine di recupero di somme di denaro sulla base di un preteso diritto"; "l'orientamento non può essere condiviso, poiché la formulazione dell'art. 416-bis.1 cod. pen. non consente di affermare che la circostanza aggravante in oggetto sia assolutamente incompatibile con il reato di cui all'art. 392 cod. pen.; residua al più la possibilità di valorizzare l'impiego del c.d. metodo mafioso, unitamente ad altri elementi, quale elemento sintomatico del dolo di estorsione").


È vero, inoltre, che è configurabile il delitto di estorsione - e non già quello di ragion fattasi - laddove la pretesa sia stata esercitata con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente tra le parti in quanto, come ancora una volta chiarito dalle SS.UU., "... essa non sarebbe tutelabile dinanzi all'Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale". E, tuttavia, come emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, nel caso di specie, non risultano condotte violente e/o minatorie del Gu.An. in danno, ad esempio, della madre o del fratello del De.Iv., essendosi l'indagato rivolto a costoro non già quali diretti destinatari delle minacce ma perché le riportassero a quello quale unico e finale destinatario della pretesa.


L'indubbia erroneità della decisione in punto di qualificazione della condotta descritta nel capo 1) della provvisoria incolpazione, comporta l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al Tribunale che, alla luce del corretto inquadramento


giuridico della vicenda descritta al capo 1) della rubrica, dovrà riconsiderare complessivamente la gravità e la consistenza delle ravvisate esigenze cautelari che avevano portato all'adozione - anche alla luce della aggravante contestata anche sui capi 2) e 3) della provvisoria incolpazione - della più grave delle misure personali.


Nell'occasione, peraltro, i giudici del riesame dovranno, ancora, ripercorrere e riesaminare criticamente i rilievi difensivi articolati sulla congruità della motivazione in ordine a plurimi aspetti fattuali della vicenda: a partire dall'evidenziata contraddizione tra le dichiarazioni rese dal De.Iv. in data (Omissis) ed il tenore della conversazione con il Gu.An. registrata in data (Omissis), non avendo il Tribunale (cfr., pagg. 7-8 dell'ordinanza) fornito una spiegazione esaustiva circa l'atteggiamento della persona offesa che, proprio per il fatto di essere l'autore della registrazione, avrebbe semmai dovuto mostrarsi anche più intimorito di quanto realmente fosse; sostanzialmente apodittica, inoltre, risulta la motivazione relativa alla pure evidenziata contraddizione tra le diverse versioni fornite dal De.Iv. in merito alla cessione della vettura in garanzia, spiegata con la presunta "stratificazione" delle dichiarazioni delle vittime di reati di mafia (cfr., ivi, pag. 9); altrettanto inappagante e, conseguentemente, oggetto di nuova valutazione, appare, inoltre, l'argomentazione con cui il Tribunale ha cercato di risolvere l'apparente contrasto tra l'atteggiamento tenuto da De.Gu. (intento a mangiare ed a guardare la tv) con le minacce che, proprio in quel momento, il Gu.An. avrebbe indirizzato al De.Iv. tramite la madre, sostenendo che "... in sede cautelare non è necessaria la concordanza delle dichiarazioni" (cfr., pag. 12 dell'ordinanza) e che il Gu., proprio in quanto consapevole della caratura criminale del ricorrente, non intendeva essere coinvolto nella vicenda; i giudici del riesame hanno, altresì, sostanzialmente omesso di affrontare il rilievo difensivo quanto al diverso significato attribuito dalla De.Iv. e dal Gu. al gesto del Gu.An. di passarsi la mano sulla gola affermando che "... saranno le fasi successive del processo a consentire una piena cognizione dell'effettivo significato dei gesti che Gu.An. ha ripetutamente mimato mentre parlava con De.Gu...." (cfr., ancora, pag. 12); congetturale risulta poi la spiegazione fornita dal Tribunale quanto al tenore della conversazione del (Omissis) avendo i giudici bolognesi meramente ipotizzato un sentimento di gelosia tra i due fratelli e, in particolare, di De. nei confronti di De.Iv. (cfr., ivi, pag. 13); altrettanto congetturale appare, infine, la motivazione concernente la riflessione della difesa (che pure ha stimato "giusta") quanto alla mancanza di un effettivo atteggiamento minaccioso da parte del Gu.An. nei confronti del De.Iv. assumendo, in maniera del tutto ipotetica e sganciata da ogni riferimento fattuale, che il ricorrente potesse avere immaginato che il suo interlocutore stesse registrando le loro conversazioni ovvero che fosse più "sicuro" - e, nel contempo, efficace - minacciare la madre per fare pressioni sul figlio (cfr., ivi, pag. 14).


Si tratta, per quanto riguarda questi aspetti, di profili di criticità della motivazione che andranno affrontati e risolti in termini e con motivazione appagante ed agganciata ad elementi fattuali oggettivi piuttosto che a mere congetture e soggettive considerazioni.


P.Q.M.


annulla l'ordinanza impugnata in relazione alla qualificazione giuridica del capo 1) e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna.


Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso in Roma, il 6 maggio 2025.


Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2025.

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