PostePay e truffe sul web: il prestanome risponde per concorso in truffa (Cass. Pen. n. 39371/2025)
- Avvocato Del Giudice
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La digitalizzazione dei mezzi di pagamento ha moltiplicato le opportunità di frode.
Annunci online, bonifici istantanei, venditori irreperibili: uno schema noto alle cronache giudiziarie e altrettanto diffuso quanto difficile da contrastare.
In questo sistema di micro-illegalità finanziaria, una figura si colloca in un’area grigia ma decisiva: il prestanome della carta prepagata.
La sentenza n. 39371/2025 della Seconda Sezione penale affronta ancora una volta la responsabilità del titolare della PostePay utilizzata per incassare i proventi dell’inganno.
E lo fa con toni inequivoci: chi presta la propria carta contribuisce essenzialmente alla realizzazione della truffa. Non un ruolo marginale, non un coinvolgimento accessorio. Un ruolo strutturale.
Il caso
Modena, 2019. La vittima acquista online uno strumento musicale mai consegnato. Il denaro confluisce sulla PostePay di un soggetto che si dichiara estraneo alla frode.
Nessun contatto diretto con la persona offesa, nessuna prova della sua partecipazione attiva alla condotta ingannatoria.
La difesa, in appello e in Cassazione, insiste sulla tesi del prestito inconsapevole dello strumento finanziario: un uso da parte di terzi non controllabile, una responsabilità che non può basarsi sulla sola titolarità della carta.
Una strategia difensiva ormai ricorrente nei processi di cyber-fraude.
La decisione
La Suprema Corte rifiuta qualsiasi forma di deresponsabilizzazione automatica: «riveste un ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito il titolare della carta su cui confluisca l’ingiusto profitto»
(Cass. pen., sez. II, n. 39371/2025)
Il contributo non è minimo (rigetto dell’art. 114 c.p.), perché:
la carta è il mezzo che consente l’ingiusto profitto
i suoi estremi identificativi vengono comunicati alla vittima
il titolare controlla formalmente il destino delle somme
In altri termini, la figura del prestanome trasforma l’inganno digitale in un guadagno effettivo. È ciò che rende la frode “concretamente dannosa”.
Questa impostazione ha un peso strategico nella lotta alle frodi web:
demistifica il ruolo del titolare della carta come mero “strumento passivo”
alza l’asticella della diligenza richiesta a chi apre e gestisce mezzi di pagamento
riduce l’area di impunità dei complici “di comodo”
Nel modello economico delle truffe digitali, la carta prepagata è l’equivalente del conto di appoggio nelle frodi bancarie organizzate: un asset essenziale per monetizzare il raggiro.
Il prestanome digitale è spesso il profilo più giovane, più precario, più ingenuo della filiera della truffa.
Ma è anche quello che tocca il denaro — e questo basta, per la Cassazione, a integrare la compartecipazione causale.
Nel diritto penale della società digitale, la titolarità consapevole di un mezzo di pagamento è un atto giuridico serio, non delegabile al caso né all’amico “troppo sveglio”.
La punibilità non serve solo a reprimere il reato, ma a disinnescare la comodità che lo rende possibile.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 03/12/2025, (ud. 03/12/2025, dep. 04/12/2025), n.39371
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21 novembre 2024 la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza in data 21 settembre 2023 del Tribunale di Modena con la quale era stata affermata la penale responsabilità di La.Ma. in relazione al reato di concorso in truffa ai danni di Mu.Co. il quale, tratto in inganno con artifizi e raggiri, sarebbe stato indotto a versare una somma di denaro a titolo di pagamento di uno strumento musicale offerto in vendita su di un sito internet, su di una carta PostePay intestata all'imputato. Il reato risulta consumato in data 6 aprile 2019.
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 192 cod. proc. pen.
Osserva, al riguardo, la difesa del ricorrente che l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato è stata fondata esclusivamente sul fatto che lo stesso è risultato il titolare della carta sulla quale fu accreditata la somma di cui all'imputazione, oltre al fatto che detta carta non è mai stata denunciata come smarrita, elementi da ritenersi insufficienti per addivenire ad una sentenza di condanna. Aggiunge la difesa che la persona offesa non ha mai avuto contatti con l'imputato e non v'è prova che la carta PostePay al momento dei fatti fosse in uso a quest'ultimo.
2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all'art.
114, comma 1, cod. pen. con riguardo al mancato riconoscimento all'imputato della circostanza attenuante de qua.
Osserva la difesa del ricorrente che il contributo del La.Ma. nella vicenda doveva essere considerato di minima importanza nell'esecuzione del reato non avendo egli posto in essere alcuno degli elementi della condotta tipica.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 133 cod. pen. con riguardo al trattamento sanzionatorio irrogato, superiore al minimo edittale, senza il riconoscimento di alcuna circostanza attenuante.
2.4. Con memoria difensiva datata 26 novembre 2025, la difesa dell'imputato ha sostanzialmente ribadito le argomentazioni già contenute nel ricorso del quale ha insistito per l'accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata risulta, infatti, congruamente motivata (v. pagg. 4 e 5) proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente in punto di affermazione della penale responsabilità dell'imputato e di mancato riconoscimento allo stesso dell'invocata applicazione dell'art. 114 cod. pen.
Inoltre, detta motivazione, non è certo apparente, né "manifestamente" illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito, senza tenere conto che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
A ciò si aggiunge che, a fronte degli accertamenti effettuati in merito alla genuinità del documento di identità presentato al momento dell'attivazione della carta PostePay sulla quale fu accreditata la somma provento della truffa, i giudici di merito, con lineare e logica motivazione, hanno correttamente affermato che l'odierno ricorrente risulta avere fornito un contributo di non minima importanza alla realizzazione del reato ascrittogli: certamente riveste un ruolo essenziale nella consumazione dell'illecito il titolare della carta su cui confluisca l'ingiusto profitto dell'illecito, trattandosi di uno strumento i cui estremi identificativi furono da questi comunicati, seppur per il tramite di due complici, alla persona offesa al momento dell'operazione.
2. Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio riservato all'imputato.
Nell'atto di appello, oltre al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. (della quale si è già detto sopra) la difesa dell'imputato aveva invocato anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche indicandone le ragioni e richiedendo una riduzione del trattamento sanzionatorio.
Osserva il Collegio che la motivazione della sentenza della Corte di appello risulta interamente dedicata alla ricostruzione della piattaforma probatoria che ha portato all'affermazione del pieno coinvolgimento dell'imputato nella realizzazione dell'operazione truffaldina con conseguente negazione della invocata circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen.
Non sfugge però che alcun elemento è contenuto nella motivazione della sentenza impugnata con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, più in generale, al trattamento sanzionatorio (neppure di eventuale condivisione con quanto al riguardo affermato dal Tribunale).
Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche risulta, infatti, conchiuso nell'apodittica affermazione "nessuna circostanza attenuante ... può essere concessa" (pag. 5 ultimo rigo della motivazione) che però non è ricollegata ad alcuno specifico elemento valutativo che vada al di là degli elementi utilizzati per affermare il concorso dell'imputato nel reato in contestazione, mentre per il resto si riscontra un silenzio totale della motivazione stessa con riguardo al trattamento sanzionatorio.
Quanto appena evidenziato impone l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata.
3. Per le considerazioni esposte, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al mancato riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per un nuovo giudizio sui punti.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
Ai sensi dell'art. 624, comma 2, cod. proc. pen. deve essere dichiarata l'irrevocabilità dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto ed irrevocabile l'affermazione di responsabilità.
Così deciso, il 3 dicembre 2025.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2025.

