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Falsifica il testamento olografo: Non sussiste il reato di truffa.

Con la sentenza in argomento, la corte di appello di Napoli ha affermato che la falsificazione di un testamento olografo integra il solo reato previsto dall'art. 491 c.p., non anche il reato di truffa.

E ciò in quanto dal momento al fine di ritenere sussistente il reato di truffa è necessario un atto dispositivo della persona offesa indotto dagli artifici e dai raggiri posti in essere dall'imputato.

Corte appello Napoli sez. III, 04/03/2022, (ud. 07/02/2022, dep. 04/03/2022), n.2066


RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza appellata Pu. An. veniva riconosciuta colpevole del delitto di falsità materiale commessa dal privato in testamento olografo e truffa e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione esterna, veniva condannata, previa rinunzia alla prescrizione da parte della imputata, alla pena di anni 1 mesi 3 di reclusione oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile (da liquidarsi in sede civile).


Secondo la ricostruzione operata dal giudice di prime cure l'imputata aveva formato un falso testamento olografo apparentemente riferibile a Pu. An., datato (omissis), e lo aveva fatto pubblicare dal notaio Ro. in data (omissis); in particolare, attraverso la pubblicazione della falsa scheda testamentaria, a mezzo della quale l'imputata veniva istituita erede universale, ella realizzava altresì la truffa ai danni della parte lesa Uc. An., madre ed erede legittima di Pu. An., procurando a sé l'ingiusto profitto consistente nel patrimonio del de cuius.


In (omissis) il (omissis).


1.1. Va premesso che nell'imputazione originaria la Pu. era accusata della violazione dell'articolo 485 c.p.; tuttavia il PM in sede di discussione nel dibattimento di primo grado chiedeva la derubricazione del reato indicato in quello di cui all'articolo 491 c.p.p. in relazione all'art. 482 c.p. che il Giudice di primo grado recepiva con la condanna nei termini appena indicati.


1.2. La pronuncia di condanna si fonda: 1) sulle prove dichiarative (dichiarazioni dei testi a conoscenza in via diretta o indiretta della vicenda (Pi. An., Ra. An., Ca. Am., Ci. Ca.), 2) sui contributi degli esperti grafologici (segnatamente da un lato dalla relazione resa dal CTU dr.ssa Ia. El. nominata nell'ambito del contenzioso civile che ha acclarato la falsità del testamento de quo vertitur e l'apocrifia della firma ivi apposta e da un altro dagli esiti della consulenza grafologica di parte difensiva - resa dall'avv. Ma. Ge. - che riteneva invece il testamento originale e vergato dalla sola mano del Pu. An.; 3) dalla sentenza nr. 8945/2016 emessa dalla Ottava Sezione Civile del Tribunale di Napoli con cui il giudice civile dichiarava la nullità per difetto di autografia della scheda testamentaria di cui all'imputazione.


2. L'imputata, a mezzo del proprio difensore, proponeva rituale appello avverso la suddetta sentenza, deducendo i motivi di gravame di seguito esposti e chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, i seguenti provvedimenti:


In via principale:


- Assoluzione dal reato di falsificazione del documento falso per mancata prova dell'addebito.


Errando il giudice di prime cure avrebbe svalorizzato, a causa di un suo inspiegabile pregiudizio, la deposizione della teste a discarico Ci. Ca.. La dichiarante, che è cugina della imputata, Pu. An., ha affermato di aver visto il de cuius redigere il testamento e raccolto le confidenze del medesimo in ordine alla volontà di istituire quale unica erede l'imputata. Di contro, secondo l'appellante, il giudice avrebbe dato valore alle dichiarazioni generiche e de relato dei testi Ca., Pi. e Ra. che nel corso della loro deposizione non avrebbero saputo contestualizzare sufficientemente sia in ordine alla riferita intenzione di Pu. An. di lasciare tutto il suo patrimonio alla madre Uc. An. né in ordine alle dichiarazioni confessorie fatte dalla Pu. all'esito della sua soccombenza in sede di giudizio civile. Commettendo un errore interpretativo il giudice di primo grado avrebbe, poi, letto in chiave di disinteresse da patte della Pu. la sua mancata opposizione all'alienazione di due beni mobili registrati da parte della Uc. allorquando la Pu. risultava unica erede testamentaria. Arguisce l'appellante che la Uc. sarebbe comunque stata legittimarla e come tale le sarebbe spettato una quota della legittima intangibile dal testamento e perciò l'imputata non si sarebbe opposta alla vendita di quei beni.


- Rinnovazione del dibattimento al fine di escutere Em. Go., teste a discarico assente e ritenuto superfluo dal giudice procedente che revocava, pertanto, l'ordinanza ammissiva di tale prova testimoniale. La Go. sarebbe stata presente al momento della consegna del testamento da parte del de cuius a Pu. An..


- Nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.


Il PM avrebbe contestato il reato di falsificazione mentre la sentenza ricostruisce il diverso reato dell'uso di atto falso. Rileverebbe, quindi, un fatto materiale diverso da quello in contestazione e la sentenza sarebbe quindi nulla per violazione del principio indicato.


- Assoluzione dal delitto di truffa contestato al capo b). La insussistenza del reato presupposto di falsificazione, che costituirebbe la condotta integrante gli artifizi e 1 raggiri, travolgerebbe la stessa sussistenza del delitto presupponente di truffa.


In via subordinata:


- Assorbimento del reato di truffa in quello di cui all'art. 491 c.p. che punisce anche l'uso del documento di contraffazione.


- Riduzione della pena valorizzando la rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputata e rimarcando che anche il PM aveva chiesto in sede di discussione una pena più bassa (anni 1) rispetto a quella comminata in sentenza.


- Dichiarare l'illegalità della pena prevista dal combinato disposto dell'articolo 491/482 c.p. all'esito della depenalizzazione dell'articolo 485 cp (originariamente contestato) ad opera del Decreto legislativo 7/2016.


3. Nel giudizio di appello, all'udienza odierna il processo è stato deciso in camera di consiglio, senza partecipazione dei difensori, in conformità a quanto previsto dall'art. 23, comma 1, del decreto-legge del 9 novembre 2020, n. 149, per il periodo compreso fra la data di entrata in vigore del medesimo decreto (9.11.2020) e fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, e succ. mod. e int. e prorogato sino al 30 dicembre 2022 dal d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, non essendo stata presentata, in precedenza, istanza di discussione orale e di partecipazione da parte dell'imputata. Tuttavia la parte civile non faceva pervenire le proprie conclusioni pur avendo ricevuto regolare notifica della fissazione di udienza secondo trattazione scritta.


Va disattesa la doglianza avanzata dal Difensore delle parti civili - avv.to Ra. Co. - che con pec inviata il (omissis) rappresentava alla Corte di non essere venuto a conoscenza tempestivamente delle conclusioni scritte delle altre parti in quella data, chiedendo l'invio delle stesse con sollecitudine o, in via subordinata, a rinviare l'udienza già fissata al 7.2.2022.


Va evidenziato da un lato che la cancelleria provvedeva in data 4.1.2022 a dare avviso al difensore delle parti civili dell'udienza a trattazione scritta fissata per il giorno 7.2.2022 e che in data 3.2.2022 l'avv.to Co. riceveva anche le conclusioni delle altre parti.


Va puntualizzato che la disciplina del processo impugnatorio cartolare prevede che entro dieci giorni prima dell'udienza il 'pubblico ministero' "formula le sue conclusioni" con atto trasmesso alla cancelleria della corte per via telematica e sempre per via telematica la cancelleria invia "immediatamente" l'atto "ai difensori delle altre parti" e i difensori delle altre parti "possono" presentare le conclusioni solo con atto scritto trasmesso per via telematica alla cancelleria esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica certificata dedicati ciò deve avvenire entro cinque giorni prima dell'udienza; non è previsto che la cancelleria inoltri anche le conclusioni di una parte privata alle altre parti. La diversità dei termini ("formula", "possono") indica in maniera non equivoca che mentre la parte pubblica deve formulare le conclusioni per ciascuno dei processi fissati alla singola udienza, i difensori delle parti private possono presentarle ma non sono obbligati.


Quanto alla natura dei termini per il deposito delle conclusioni scritte delle parti, considerando che nella stessa norma (l'art. 23 di 149) è invece specificato il carattere perentorio del diverso termine per la richiesta di trattazione orale (comma 4), si impone la conclusione che i rispettivamente dieci e cinque giorni per la formulazione delle conclusioni sono termini non perentori.


Ne discende la piena regolarità del rito cartolare sviluppatosi nel presente processo, di talché nessuna doglianza della parte civile merita seguito.


4. Venendo all'esame dei motivi di appello, va premesso che l'imputata rinunziava alla prescrizione nel corso del giudizio di primo grado e precisamente all'udienza del 27.1.2017, a prescrizione già maturata: si tratta infatti di delitti consumati il (omissis) il cui termine massimo di prescrizione ai sensi dell'articolo 161 c.p. è pari a 7 anni e mezzo ampiamente decorso già al momento della pronuncia di primo grado. Ciò chiarito, ritiene la Corte che i motivi di gravame proposti siano parzialmente infondati, per le considerazioni di seguito esposte.


La sentenza appellata è frutto di un corretto ragionamento logico-giuridico e deve intendersi in questa sede integralmente richiamata. Peraltro, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e risolte, nel senso della loro infondatezza, dal primo giudice. Orbene, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice dell'impugnazione può motivare per relationem (cfr. in tal senso Cass. pen., Sez. 2, Sentenza n. 19619 del 13/02/2014 Ud. (dep. 13/05/2014) Rv. 259929-01). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro di quest'ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici (Cass. pen., Sez. 6, Sentenza n. 34532 del 22/06/2021 Ud. (dep. 16/09/2021) Rv. 281935-01).


Per tale motivo la Corte fa proprie sul punto, le argomentazioni illustrate nella sentenza impugnata, ritenendo infondate le doglianze presentate dalla Difesa dell'imputata.


4.1. Quanto ai profili di merito e alla principale richiesta di assoluzione avanzata nell'atto di appello, ritiene la Corte che all'esito dell'istruttoria sia stata raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, circa la colpevolezza dell'odierna appellante in ordine all'attività falsificatoria.


Le risultanze di primo grado hanno provato in maniera incontestabile che il testamento di cui si discorre sia stato falsificato, il che evidentemente al fine di avvantaggiare Pu. An. istituendola erede testamentaria di Pu. An..


Militano in tal senso le conclusioni a cui è pervenuta in maniera ineccepibile la dr.ssa Ia., c.t.u nell'ambito del giudizio civile 22799/2010 R.g.a.c. del Tribunale di Napoli chiamata a pronunziarsi sulla paternità del testamento, a cui condivisibilmente ha aderito il giudice di primo grado.


Secondo la prospettazione peritale, infatti, le differenze grafiche riscontrate rispetto alle scritture in comparazione - le quali, se spiegate e/o validamente spiegabili, non escludono l'autenticità del testamento - non trovano giustificazione né nel differente stato emotivo, né nella differente motivazione sottesa alla stesura dello scritto oggetto di verifica. Proprio le ragioni poste alla base della relazione peritale a firma della Dott.ssa Ia. appaiono condivisibili e l'analisi grafologica è stata compiuta ricorrendo a criteri e metodi di indagine scientificamente validi.


Concludeva, quindi, l'esperta nominata dal Tribunale con un giudizio di falsità del documento che trova fondamento in una serie di ragioni convergenti fatte proprie dal Tribunale Civile di Napoli con la sentenza 8946/2016 che ha riconosciuto il carattere apocrifo dell'atto all'esito di un articolato contradditorio con l'odierna imputata.


Di contro, non può sicuramente apprezzarsi il ragionamento fatto dal consulente grafologo della Difesa - avv.to Ma. - soprattutto laddove l'esperto, preso atto del tratto discendente della scrittura e delle differenze nella bottonatura e nel tremolio, affermava che queste sarebbero spiegabili in ragione dell'evoluzione psicologica dello scrivente e del fatto che il medesimo scrivesse allettato, laddove il consulente non ha però mai avuto modo di percepire lo stato psicologico del paziente né della posizione di scrittura; infine il Ma. non spiegava in alcun modo tutte le altre differenze individuate dalla Ia. sulle quali ometteva totalmente di pronunciarsi.


Del pari appare ampiamente provato che a falsificare il testamento de quo vertitur sia stata Pu. An., odierna appellante.


Ciò non solo perché ella era il soggetto che evidentemente si è poi avvantaggiata dalla condotta, ma per numerosi altri concordanti e convergenti elementi di prova.


Innanzitutto avvalora la conclusione la confessione stragiudiziale resa dall'imputata.


Ben tre testimoni (Ca., Pi. e Ra.) riferivano che all'esito della soccombenza in sede civile la Pu. avesse ammesso che il testamento fosse falso ed avesse addirittura richiesto a Pi. An. (soggetto assolutamente estraneo ai fatti di causa) una sua intercessione affinché venissero fatte terminare le controversie giudiziarie instaurate (testualmente "per togliere tutta la cosa di mezzo").


Orbene di tale confessione stragiudiziale questa Corte ne apprezza la genuinità come mezzo di prova. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la confessione stragiudiziale dell'imputato assume valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che la immette nel processo e, ove si tratti di prova dichiarativa, con l'applicazione dei relativi criteri di valutazione (Cassazione penale, Sez. 5 - Sentenza n. 11296 del 22/11/2019: Fattispecie in cui la confessione dell'imputato era stata veicolata dalla testimonianza di un soggetto presente ai fatti in contestazione e la Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito che aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulla predetta dichiarazione, ritenuta, anche alla luce di altre circostanze, pienamente attendibile; Cassazione penale Sez. 2, n. 38149 del 18/06/2015, Russo, Rv. 264972; Sez. 1, n. 17240 del 02/02/2011, Consolo, Rv. 249960). In linea con l'indirizzo richiamato, questa Corte intende valorizzare, nel caso di specie, la concordanza delle dichiarazioni rese da ben tre testimoni, immuni da sospetto per la linearità, coerenza e convergenza delle dichiarazioni rese, i quali riferivano tutti che l'imputata alla loro presenza aveva ammesso di aver commesso "una sciocchezza" nel falsificare il testamento alla luce dell'esito processuale civile (che l'aveva vista soccombente).


Tale dato probatorio, è corroborato, nel percorso argomentativo fatto dal giudice di prime cure da ulteriori elementi, ai quali si rinvia.


Questo Collegio, però, intende aggiungere qualche altra considerazione avvalorativa che si fonda su argomenti di natura logica.


Va apprezzata la circostanza che la Pu., ricevuto il testamento personalmente dal de cuius, abbia atteso oltre un anno per la sua pubblicazione mentre nel frattempo la persona offesa, An. Uc., provvedeva ad alienare anche alcuni cespiti ereditari senza che l'appellante nulla opponesse. Appare, invero, verosimile che Pu. An. abbia prima tentato di entrare in possesso dei beni raggirando l'anziana madre Uc. An. e solo dopo, non riuscendo nel suo intento, abbia provveduto a confezionare il finto testamento facendolo pubblicare. D'altro canto la lunga attesa per la pubblicazione sarebbe ancora più implausibile se si tiene conto che, secondo la versione resa dalla appellante ad assistere le parti nel


testamento, vi sarebbe stato un notaio il quale avrebbe certamente suggerito una più rapida pubblicità dello stesso.


Di contro va pienamente condiviso il giudizio di inattendilità in ordine alle dichiarazioni rese dalla teste Ci. Ca. espresso dal giudice di prime cure.


Costei - oltre a proporre una versione isolata e in contrasto con tutte le altre concordanti risultanze istruttorie ed oltre a essere legata da legame di parentela (per esserne la cugina) all'imputata, perciò, non indifferente agli esiti del processo - rendeva una testimonianza sconcertante laddove dapprima riferiva con una dovizia di particolari la circostanza che Pu. An. le avesse confidato di voler istituire erede Pu. An. salvo poi negare subito dopo di aver visto il de cuius scrivere il testamento adducendo che lo stesso glielo voleva far leggere ma che ella "per correttezza" si fosse rifiutata di prendere contezza del contenuto del lascito. Orbene a parere di questo Collegio getta un'ombra sulla testimonianza proprio il fatto che la donna si sia rifiutata di testimoniare su un dato oggettivo (aver visto o letto il testamento) sapendo che la deposizione sul punto precipuo l'avrebbe potuta esporre a responsabilità giacché era stata riconosciuta nel giudizio civile la falsità del documento.


Neppure può essere accolta la richiesta di rinnovazione in appello avanzata nel libello impugna torio per escutere la teste a discarico Go. Em..


Va evidenziato che la Difesa stessa aveva rinunziato alla escussione del proprio teste di lista e il giudice aveva conseguentemente revocato l'ordinanza ammissiva della prova testimoniale, nulla opponendo tutte le parti (cfr. verbale sten udienza 26.5.2017, pp 15 e 16). Peraltro a fronte di un granitico quadro probatorio la audizione della donna appare a questo Collegio oltremodo superflua e la richiesta meramente esplorativa, tenuto conto della distanza temporale tra i fatti su cui ella dovrebbe riferire - avvenuti nel (omissis) - e l'audizione - nel (omissis).


4.2. Neppure merita seguito la doglianza contenuta nell'atto di appello relativa al difetto di correlazione tra accusa e sentenza: secondo l'appellante il Pm avrebbe contestato il reato di falsificazione mentre la sentenza avrebbe ricostruito il diverso reato dell'uso di atto falso.


Secondo la Corte dalla lettura della sentenza emerge in maniera indiscutibile che il giudice abbia ritenuto la Pu. responsabile della condotta di falsificazione del testamento. Diverso sarebbe stato a dirsi, nel caso diverso da quello che ci occupa, in cui l'imputato, al quale sia originariamente contestato il delitto di uso di testamento olografo falso venga condannato per il reato di falso in detto documento, in quanto il reato di uso di atto falso si pone in rapporto di alternatività con quello di falso in testamento olografo, escludendo la giurisprudenza che l'imputazione avente ad oggetto il primo reato comporti la contestazione in fatto del secondo (Cass. pen. Sez. V Sent. 20/12/2016, n. 12599 (rv. 269708).


La condotta falsificatoria posta in essere dall'imputata integra il delitto di cui all'art. 491 c.p. correttamente applicato dal giudice di prime cure.


Tale disposizione normativa è stata modificata dal D.lgs. 15.1.2016, n. 7 (recante "Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'art. 2, 3° co., L. 28.4.2014, n. 67") con la riformulazione della rubrica (che nel testo previgente era indicata come "Documenti equiparati agli atti pubblici agli effetti della pena") e l'eliminazione al 1° co. del riferimento all'art. 485, abrogato dal sovracitato decreto. A seguito del D.Lgs. 15.1.2016, n. 7, la rilevanza penale dell'attività di falsificazione (ovvero di utilizzazione dell'atto falso), realizzata secondo le modalità previste dagli articoli che precedono l'art. 491, è circoscritta alle scritture private indicate da quest'ultimo (testamento olografo, cambiale e titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore), sempre che il fine avuto di mira dall'agente sia quello di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno (C., Sez. V, 10.2.2016, n. 26812). Continua, pertanto, ad essere penalmente rilevante l'attività di falsificazione delle scritture private costituite dalla cambiale, dal testamento olografo e dai titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore, purché la condotta sia sorretta dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di causare ad altri un danno (C, Sez. V, 6.4.2017, n. 25948). È stata correttamente sostenuta la piena equiparazione della falsificazione di un testamento olografo a quella di un atto pubblico (C., Sez. V, 10.1.1996). La previsione di cui all'art. 491, oltre che nel caso di alterazione di un testamento olografo, si applica anche nel caso di contraffazione integrale del medesimo (C., Sez. V, 9.5.2012, n. 23613).


4.3 Ciò chiarito merita accoglimento il motivo di appello volto ad ottenere l'assorbimento del reato di truffa in quello di cui all'art. 491 c.p.


Invero, per pacifica giurisprudenza, la falsificazione di un testamento olografo che istituisce l'agente quale erede universale del de cuius integra il delitto di cui all'art. 491 c.p., ma non anche quello di truffa, che è strutturalmente incompatibile in quanto richiede un atto dispositivo della vittima (C., Sez. V, 11.39.4.2019, n. 15666). Invero, la falsificazione materiale di un testamento olografo che istituisce l'agente quale erede universale del "de cuius" produce immediatamente l'acquisizione delle situazioni soggettive patrimoniali correlate a tale "status", ai sensi dell'art. 588 cod. civ., conseguendone che il delitto di cui all'art. 491 cod. pen. non può concorrere, in tal caso, con quello di truffa, che si presenta strutturalmente incompatibile in quanto richiede che l'arricchimento dell'agente derivi da un atto dispositivo della vittima, al quale questa sia stata indotta da artifici o raggiri.


Nel caso di specie la falsificazione del testamento olografo ha determinato, secondo il contenuto dispositivo dell'atto, l'istituzione di erede universale dell'imputata Pu. An., che è succeduta in tutte le situazioni giuridiche, attive e passive, facenti capo al de cuius ex art. 588 cod. civ.. Ed è nell'acquisizione di un vero e proprio status, ex se produttivo di situazioni giuridiche soggettive, attive e passive, che il falso testamento olografo ha dispiegato i propri effetti negoziali, creando l'apparenza che il testatore abbia chiamato l'istituito nell'universalità dei beni. Ne discende che il falso negozio mortis causa non induce alcun atto dispositivo patrimoniale da parte di terzi, ma è autosufficiente nella produzione degli effetti in capo all'erede, che acquista solo in virtù del rapporto di successione. Non si configura strutturalmente, pertanto, il reato di truffa, che postula un arricchimento in virtù di un atto dispositivo determinato dal mendacio, nel caso di specie insussistente, mentre il disvalore della condotta resta interamente assorbito dalla falsità testamentaria.


Ne discende che la sentenza impugnata deve essere, pertanto, sul punto riformata nel senso che Pu. An. va assolta delitto ascrittole al capo b) ritenuto assorbito nel capo a) e per l'effetto la pena inflitta va rideterminata in anni 1 di reclusione, elidendo l'aumento per la continuazione esterna operato dal primo giudice per il delitto di truffa.


4.4. Quanto alle doglianze relative al trattamento sanzionatorio, va osservato che la pena appare congrua e legale.


In merito dunque alla entità della pena per il delitto di cui all'art. 491 c.p., rileva la Corte che la statuizione del giudice di prime cure vada confermata anche alla luce dei parametri di cui all'art. 133 cp, in forza dei quali correttamente il giudice, ha modulato il trattamento sanzionatorio in maniera prossima ai minimi edittali (partendo da una pena di anni uno che si discosta di poco dai minimi edittali del più grave reato di cui all'art. 491 cp) e ritenendo che la rinunzia alla prescrizione sia un elemento assolutamente neutro ai fini della valutazione del trattamento sanzionatorio.


La entità della pena inflitta, contrariamente a quanto sostenuto nel libello di appello, appare conforme alla legge anche a seguito della depenalizzazione del delitto di cui all'art. 485 cp considerato che la falsificazione di un testamento olografo è stata interessata da una successione di leggi nel tempo che tuttavia ha garantito una continuità normativa. Invero prima della riforma la condotta era punita ex 476, 482 e 485 c.p. (la cui pena prevista era da 6 mesi a 3 anni di reclusione) mentre ad oggi dalla disposizione di cui all'articolo 491 c.p. (che prevede la pena da 8 mesi a 4 anni di reclusione) di talché la pena applicata in concreto di 1 anno di reclusione rientra nella forbice di entrambe le normative succedutesi nel tempo.


Conferma nel resto.


PQM

Letto l'art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli - sezione distaccata di Ischia - emessa in data 15.9.2017, appellata dall'imputata, assolve Pu. An. dal delitto a lei ascritto al capo b) ritenuto questo assorbito in quello di cui al capo a) e per l'effetto ridetermina la pena in complessivi anni uno di reclusione. Conferma nel resto.


Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della motivazione.


Così deciso in Napoli, il 7 febbraio 2022


Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2022

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