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Il giudice di rinvio non può negare le attenuanti già concesse: la Corte ribadisce il limite cognitivo dell’art. 597 c.p.p. (Cass. Pen. n. 23851/25)

Nel giudizio di rinvio il giudice non può negare le attenuanti generiche già riconosciute con decisione precedente non impugnata: lo vieta il principio devolutivo e si forma una preclusione. La Cassazione chiarisce i limiti cognitivi del giudice dell’impugnazione.


Il fatto

L’imputato Pr.Ma. era stato originariamente condannato, all’esito di giudizio abbreviato dinanzi al GUP di Foggia, per detenzione di sostanza stupefacente (marijuana e cocaina) ai sensi dell’art. 73 T.U. stup., con assoluzione da altri reati.

All’esito di appello, la Corte di Bari aveva riformato la sentenza, riconoscendo la continuazione tra i reati e concedendo le circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena in maniera più favorevole all’imputato. Tuttavia, su ricorso dell’imputato, la Cassazione annullava con rinvio la condanna per due capi (arma clandestina e ricettazione), lasciando intatto il capo di imputazione relativo alla droga (art. 73, comma 5).

Il giudice del rinvio, confermando l’assoluzione sui capi contestati, rideterminava la pena per il solo reato residuo, ma negava le attenuanti generiche precedentemente riconosciute, pur in assenza di impugnazione da parte del Pubblico Ministero.


La decisione della Corte

Con la sentenza n. 23851 del 26 giugno 2025, la Corte di Cassazione, Sez. V, ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando senza rinvio la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, che viene rideterminato in mesi otto di reclusione, applicando la diminuzione per le attenuanti generiche nella massima estensione.

La Corte ha chiarito che nel giudizio di rinvio non può essere rimesso in discussione quanto definitivamente deciso in sede di appello su punti non oggetto di annullamento. In particolare, se il giudice di appello ha concesso attenuanti e il P.M. non ha proposto ricorso, si forma una preclusione interna che vincola il giudice di rinvio.

La Corte ha escluso la violazione del divieto di reformatio in peius, in quanto la pena determinata era comunque inferiore a quella inizialmente irrogata. Tuttavia ha ribadito che la questione concerne i limiti cognitivi, non decisori, del giudice di rinvio, i quali vanno calibrati sulla portata dell’annullamento.


Il principio di diritto

Nel giudizio di rinvio, il giudice non può revocare le circostanze attenuanti generiche già concesse con sentenza non impugnata dal Pubblico Ministero: su tale punto si forma una preclusione per esaurimento del potere cognitivo, in virtù del principio devolutivo ex art. 597, comma 1, c.p.p.


Il potere del giudice dell’impugnazione non è illimitato: se un punto della sentenza è stato oggetto di statuizione favorevole e non impugnata, esso entra in giudicato parziale. Il rinvio non consente di rimettere in discussione elementi estranei alla portata dell’annullamento. La violazione di tale limite compromette la coerenza del sistema e la tutela dell’imputato.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 17/06/2025, (ud. 17/06/2025, dep. 26/06/2025), n.23851

RITENUTO IN FATTO


1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bari, pronunciandosi in sede di rinvio, ha confermato sia la condanna di Pr.Ma. per il fatto di cui al capo C), qualificato ai sensi dell'art. 73, comma 5, T.U. stup., sia l'assoluzione dell'imputato dai reati di detenzione di arma clandestina e ricettazione (capi A e B); mentre ha proceduto alla rideterminazione della pena in anni uno di reclusione.


2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, proponendo due motivi, con i quali denuncia violazione dell'art. 597, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.


Il ricorrente evidenzia: che le circostanze attenuanti generiche erano già state riconosciute dal primo giudice di appello e quindi non potevano essere negate dal giudice di rinvio; che, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello aveva erroneamente valorizzato la diversa tipologia della sostanza stupefacente detenuta, mentre il GUP aveva condannato l'imputato soltanto per la detenzione della marijuana (art. 73, comma 4, T.U. stup) e non anche per la detenzione della cocaina; che il diniego delle attenuanti generiche è immotivato.


3. Il ricorso, proposto in data successiva al 30 giugno 2024, è stato trattato in camera di consiglio ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen., nel testo riscritto dal D.Lgs. n. 150 del 2022 e successive modifiche.


Il Procuratore generale ha depositato una articolata requisitoria a sostegno delle conclusioni in epigrafe trascritte.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.


2. Il processo si è dipanato attraverso le seguenti scansioni processuali.


2.1. L'imputato è stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati di: detenzione di pistola con matricola abrasa e quindi di arma clandestina (art. 23 legge n. 110 del 1975 - capo A); ricettazione della medesima arma (art. 648 cod. pen. - capo B); detenzione, a fini di successiva cessione, di 3,30 grammi di cocaina e di 48 grammi di marijuana (art. 73, commi 1 e 4 T.U stup. - capo C); detenzione di otto cartucce inserite nella pistola di cui al capo A (art. 697 cod. pen. - capo D).


2.2. All'esito di giudizio abbreviato, il giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Foggia aveva dichiarato l'imputato colpevole del delitto di cui al capo C) e lo aveva condannato alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione ed Euro 4.000 di multa (pena base anni due di reclusione ed Euro 6.000 di multa, ridotta per il rito); mentre lo aveva assolto dai reati di cui ai capi A), B) e D).

Va chiarito che il giudice aveva espressamente riconosciuto la responsabilità dell'imputato anche per la detenzione dei 3 grammi di cocaina (preparati in una dose pronta per la cessione, cfr. prima pagina della motivazione della sentenza di primo grado), poi, però, nell'applicare la pena, aveva fatto riferimento al solo art. 73 comma 4 T. U stup. (cfr. ultima pagina della sentenza).


2.3. Avverso la decisione proponevano appello la parte pubblica e quella privata.

Il pubblico ministero impugnava l'assoluzione per i capi A), B) e D).

L'imputato impugnava la condanna per il capo C) e in via subordinata chiedeva: la derubricazione del fatto nella fattispecie di cui all'art. 73, comma 5 T.U. stup. con riconoscimento dell'ipotesi di cui all'art. 131-bis cod. pen.; la concessione delle circostanze attenuanti generiche e la conversione della pena nella corrispondente sanzione sostitutiva ex legge n. 689 del 1981.


La Corte di appello:

- in parziale accoglimento dell'appello dell'imputato, ha confermato la condanna in ordine al fatto di cui al capo C), riqualificato, però, ai sensi dell'art. 73, comma 5 T.U. stup.;

- in parziale accoglimento dell'appello del Pubblico ministero, ha dichiarato l'imputato colpevole anche dei delitti di cui ai capi A) e B); ha confermato, invece, l'assoluzione in ordine alla contravvenzione di cui al capo D); ha rideterminato la pena per i tre delitti posti in continuazione tra loro - individuato il reato più grave in quello di ricettazione sub capo B) e previa concessione delle circostanze attenuanti generiche - in anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000 di multa così calcolata: anni tre di reclusione ed Euro 3.000 di multa per il capo B), ridotta per le attenuanti generiche ad anni due di reclusione ed Euro 2.000 di multa, aumentata di mesi nove di reclusione ed Euro 500 di multa per la continuazione con il capo A) e di mesi nove di reclusione ed Euro 500 di multa per la continuazione con il capo C), così per complessivi anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 3.000 di multa come sopra ridotti per il rito.


2.4. La sentenza di appello è stata impugnata dal solo imputato limitatamente alla affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi A) e B), sviluppando un unico motivo con cui denuncia l'inosservanza dell'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. e dell'obbligo di motivazione rafforzata.

Con sentenza n. 4857 del 15/11/2023, dep. 2024, la prima sezione della Corte di cassazione, accogliendo in toto i motivi di ricorso, ha annullato la sentenza di appello con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.

Il dispositivo della decisione va raccordato al "devoluto", limitato ai capi A) e B) -erroneamente indicati come capi B) e C) nella sentenza della prima sezione della Corte di cassazione (cfr. paragrafo 2 del "ritenuto in fatto") -.

In sostanza la pronuncia rescindente ha annullato l'affermazione di responsabilità limitatamente ai capi A) e B) - unici oggetto di impugnazione - senza toccare l'affermazione di responsabilità per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, T. U. stup. (capo C), su cui, quindi, si è formato il c.d. "giudicato progressivo" ai sensi dell'art. 624, comma 1, cod. proc. pen.

Se la condanna per il capo C) era definitiva, rimaneva, però, ancora in discussione il punto del trattamento sanzionatorio, dato che la pena per detto reato satellite era stata determinata, a titolo di aumento per la continuazione con il reato più grave di cui al capo B), in mesi sei di reclusione ed Euro 333,00 di multa (mesi nove ed Euro 500, ridotti per il rito); di conseguenza, nel caso eventuale di scioglimento del cumulo giuridico, la pena per il reato di cui al capo C) avrebbe richiesto un ulteriore intervento del giudice.


2.5. Così è stato.

Il giudice di rinvio, infatti, ha confermato la sentenza del GUP rimodulando soltanto il trattamento sanzionatorio e segnatamente: ha confermato l'assoluzione in ordine ai capi A) e B); ha confermato (in realtà, come detto, la statuizione di responsabilità era già definitiva) la condanna dell'imputato per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, T. U. stup. (capo C); ha stabilito la pena per detto residuo addebito in anni uno di reclusione: pena base anni uno e mesi sei di reclusione ("con discostamento dal minimo edittale, contenuto comunque entro il medio, in ragione della specifica pericolosità dell'imputato, che dichiarava di avere numerosi creditori in san Severo, nonché per la pluralità delle sostanze rinvenute), come sopra ridotta per il rito (dimenticando la pena pecuniaria, su cui, però, non si può intervenire in difetto di ricorso del P.G.).

Il giudice di rinvio ha applicato una pena inferiore a quella del GUP (che era partito da anni due di reclusione ed Euro 6.000 di multa, ridotti per il rito a un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.000 di multa).

Non ha applicato alcuna riduzione per le circostanze attenuanti generiche.


3. Le censure mosse dal ricorrente, incentrate sull'errore di diritto o motivazionale connesso alla mancata applicazione delle ridette attenuanti generiche, rendono necessario chiarire gli istituti giuridici in rilievo, ponendo mente alla distinzione tra potere cognitivo del giudice e potere decisorio.


3.1. Sotto la rubrica "cognizione del giudice di appello", l'art. 597 cod. proc. pen. si occupa, in realtà, vuoi del potere cognitivo del giudice di secondo grado (richiamato in rubrica) vuoi di quello decisorio.

Al potere di cognizione sono dedicati:

- il comma 1, che sancisce il principio (parzialmente) devolutivo dell'appello ("L'appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti");

- il comma 5, che prevede deroghe, di natura eccezionale (cfr. Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Punzo, Rv. 269125), a tale principio ("Con la sentenza possono essere applicate anche di ufficio la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti; può essere altresì effettuato, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'articolo 69 del codice penale"), cui si aggiungono i numerosi casi di intervento di ufficio disciplinati dal codice di rito (tra cui, ad esempio, le questioni processuali di giurisdizione, competenza per materia, nullità, inutilizzabilità; la dichiarazione immediata di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., cfr. sul punto ampiamente Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno).

Il potere decisorio è regolato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 597 codice di rito:

- l'appello del Pubblico Ministero attribuisce al giudice ad quem gli ampi poteri delineati nel comma 2 cod. proc. pen.;

- a norma del comma 3, invece, ove il gravame sia proposto solo dall'imputato, opera il divieto di reformatio in peius. In tal caso, infatti, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l'imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre può, in ossequio al tradizionale canone iura novit curia, dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purché non siano superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado;

- il comma 4 stabilisce che se viene accolto l'appello dell'imputato, relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere "corrispondentemente" diminuita.

Il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio e con riferimento alla decisione del giudice di appello se il ricorso per cassazione è stato proposto dall'imputato, essendo irrilevante, per il verificarsi di questi effetti, che la sentenza di primo grado sia stata appellata dal pubblico ministero (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652 - 01).

L'art. 597 cod. proc. pen. traccia, dunque, i confini dei poteri cognitivi del giudice dell'impugnazione e, entro detti limiti, ne sagoma i poteri decisori.

Le Sezioni Unite, in più occasioni, hanno avuto modo di ribadire che l'individuazione della cognizione del giudice di appello nell'ambito dei motivi proposti restringe il contenuto della decisione all'accoglimento o alla reiezione di tali motivi, non consentendo di operare su punti diversi da quelli toccati dall'impugnazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola; Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales).

Il chiarimento offre un valido strumento per distinguere a monte, facilitandone la risoluzione, le questioni attinenti ai limiti cognitivi da quelle afferenti ai limiti decisori.


3.2. Calando i principi espressi nel caso in rassegna discende che la questione posta dal ricorrente inerisce, principalmente, al potere cognitivo del giudice dell'impugnazione, non a quello decisorio.

Infatti, viene in rilievo non la problematica "a valle" del rispetto o meno del divieto di reformatio in peius, ma quella, a monte, del principio devolutivo.

A ben vedere il ricorso si duole, nella sostanza, del fatto che le circostanze attenuanti generiche, concesse dal giudice di appello, non potevano essere negate da quello di rinvio.

Con questo inquadramento concettuale, il motivo di ricorso coglie nel segno.

Il giudice di secondo grado aveva concesso le circostanze attenuanti generiche indistintamente per il "comportamento latamente collaborativo" (pag. 7 sentenza di appello); il pubblico ministero non ha proposto ricorso; la Corte di cassazione ha annullato la condanna per i capi A) e B); il giudice di rinvio non poteva negare le attenuanti già riconosciute, perché sul punto si era formata una preclusione.

Non risulta, invece, una violazione del divieto di reformatio in peius, tenuto conto che quando muta la struttura del reato continuato (ad esempio quando, come nella specie, residua la condanna per il solo reato satellite) il giudice dell'impugnazione (o quello di rinvio) non è vincolato alla quantità di pena già individuata quale aumento ex art. 81, comma secondo, cod. pen., purché non irroghi una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione (cfr. tra le altre Sez. 2, n. 2692 del 09/12/2022, dep. 2023, Rv. 284301 - 01); limite, quest'ultimo, certamente rispettato nel caso in esame con riguardo alle statuizioni non solo della prima sentenza di appello ma anche di quelle di primo grado (per il capo C, il GUP aveva fissato la pena di un anno e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.000 di multa, superiore a quello di un anno applicata dal giudice del rinvio).


3.3. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto.

A mente dell'art. 620, lett. l), cod. proc. pen. la Corte di cassazione pronuncia annullamento senza rinvio quando ritiene di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito.

Nel caso di specie è sufficiente applicare la diminuzione per le attenuanti generiche nella massima estensione, seguendo le determinazioni della Corte di appello.

Si ottiene che la pena per il capo C) - unico residuo - può essere determinata in mesi otto di reclusione:

- pena base un anno e sei mesi di reclusione;

- ridotta ex art. 62 bis cod. pen. ad un anno di reclusione;

- come sopra ridotta per il rito.

Come già evidenziato, in assenza di ricorso del P.G., non si può porre rimedio alla mancata applicazione della pena pecuniaria prevista dall'art. 73, comma 5, T.U stup., poiché si tratta di pena illegale "per difetto" cioè a favore dell'imputato (arg. da Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, Acquistapace, Rv. 280539 -01).


4. Consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio relativamente al trattamento sanzionatorio che va rideterminato in mesi otto di reclusione.

Rispetto all'unico delitto residuo non rileva il termine prescrizionale, il cui decorso è cessato a seguito della pronuncia della sentenza rescindente.


Invero le cause di estinzione del reato non sono operanti nell'ipotesi del giudicato progressivo formatosi a seguito dell'annullamento con rinvio limitato a parti della sentenza diverse da quella relativa alla responsabilità dell'imputato (Sez. U, 26 marzo 1997, Attinà; Sez. U, 19 gennaio 1994, Cellerini; Sez. U, 11 maggio 1993, Ligresti; Sez. U. 23 novembre 1990, Agnese)

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena in mesi otto di reclusione.


Così deciso in Roma il 17 giugno 2025.


Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2025.

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