
Di seguito si riporta il parere espresso dal CSM in tema di processo penale telematico.
Gli artt. 6, 7, 9, 10, 11, 13, 19, 20, 23, 25, 28, 30, 33, 41, 87 e 98 dello schema di decreto legislativo, nel dare attuazione al comma 5 dell’art. 1 della legge delega, perseguono il dichiarato obiettivo di costituire “un ambiente (o ecosistema) digitale per il procedimento penale”.
Si tratta di un complesso di disposizioni destinate ad incidere profondamente su una serie di snodi essenziali del procedimento e del processo penale, sulla scorta della condivisibile premessa per cui la digitalizzazione degli atti e l’informatizzazione delle procedure non potranno che contribuire alla riduzione dei tempi della giustizia.
Nell’art. 87 dello schema di decreto (rubricato “Disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico”) è stato fissato al 31 dicembre 2023 il termine per l’adozione dei decreti ministeriali attuativi della riforma, contestualmente (e inevitabilmente) differendo al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei suddetti decreti l’“applicazione” delle disposizioni in materia di processo telematico; inoltre, è stato stabilito che le diposizioni oggetto di parziale modifica o integrale sostituzione continuino ad essere applicate nel testo attualmente vigente, mentre l’efficacia di quelle introdotte ex novo è differita sino al termine suindicato. Quanto al procedimento di adozione dei suddetti regolamenti deve essere, innanzi tutto, valutata positivamente – per le ragioni esplicitate supra – la conferma della previsione secondo cui il decreto ministeriale in materia di individuazione degli uffici giudiziari e delle tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché dei termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione” deve essere adottato “sentito il Consiglio Superiore della Magistratura (oltre che – altrettanto opportunamente – il Consiglio Nazionale Forense: così 4 art. 87, c. 3, schema di decreto legislativo).
Per le medesime suddette ragioni, sarebbe auspicabile analoga interlocuzione con il CSM all’atto dell’adozione dell’emanando decreto ministeriale con il quale dovranno essere definite le regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche degli atti del procedimento penale, con disciplina che dovrà assicurare la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello di certezza di compimento dell’atto.
Come anticipato, infatti, è necessario che il Consiglio Superiore della Magistratura venga coinvolto in ogni fase di attuazione della transizione digitale, anche al fine di scongiurare rischi – già segnalati nella richiamata Relazione sullo stato della Giustizia telematica – quali, ad esempio, l’adozione di “software che, magari per scelte di progettazione anche inconsapevoli, condizioni la stessa interpretazione delle norme processuali ed il funzionamento del processo penale o presenti elementi non funzionali al suo concreto utilizzo negli uffici giudiziari”.
Quanto al contenuto degli adottandi Regolamenti, occorre sottolineare come la formulazione del comma 3 dell’art. 87, riproducendo alla lettera il disposto della legge delega – secondo cui spetterà all’atto regolamentare “individuare gli uffici giudiziari e delle tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché dei termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione”, possa sollevare incertezze interpretative sia nella parte in cui fa riferimento agli “uffici giudiziari” sia in quella in cui fa riferimento alla “tipologia di atti”.
Il riferimento agli “uffici giudiziari” risulta ambiguo, non essendo chiaro se con tale locuzione si intendano richiamare astratte tipologie di uffici o specifiche realtà giudiziarie territoriali.
Se interpretata nel senso da ultimo indicato, la disposizione non solo consentirebbe di escludere dal regime di obbligatorietà del deposito, comunicazione o notificazione telematici alcune tipologie di atti specificamente individuate, ma aprirebbe la strada ad una parcellizzazione/differenziazione, su base territoriale, dell’applicazione almeno di alcune regole codicistiche sul processo telematico (quelle relative al deposito, comunicazione e notificazione).
Una simile soluzione evidentemente non sarebbe compatibile con la necessità di garantire l’uniforme applicazione sull’intero territorio nazionale di disposizioni che, essendo volte ad assicurare la ragionevole durata del processo, costituiscono attuazione del principio del giusto processo.
Quanto, invece, alla previsione che rimanda alla sede regolamentare l’individuazione 5 di “tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione” le problematicità discendono dalla generica formulazione della disposizione, rimanendo incerto quali siano i criteri in base ai quali tale selezione debba essere effettuata. Pur in assenza di uno specifico rinvio al comma 3 del nuovo art. 111-bis c.p.p., secondo cui al deposito telematico non si fa ricorso in presenza di atti e documenti insuscettibili, “per loro natura o per specifiche esigenze processuali”, di acquisizione per via informatica, appare inevitabile che la selezione di atti da effettuarsi a livello normativo secondario debba ispirarsi ai criteri indicati, in via generale, a livello normativo primario. Il coordinamento tra le due disposizioni pone, tuttavia, un’ulteriore questione: stabilire se l’eventuale elenco definito in sede di decretazione attuativa costituirà un numerus clausus, o se, invece, l’interprete (giudice e parti) conserverà un margine interpretativo per individuare, caso per caso, atti e documenti diversi da quelli indicati dal legislatore secondario ma eventualmente sottratti per loro natura o per specifiche esigenze processuali all’obbligo di deposito telematico. In ordine all’individuazione, in sede regolamentare, della tipologia di atti sottratti al regime delle notificazioni e comunicazioni telematiche deve osservarsi come l’art. 148, c. 1, c.p.p. disponga che, in ogni stato e grado del processo, salvo che sia diversamente previsto dalla legge, le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche. A fronte di tale regola generale, nelle successive disposizioni sono previste numerose deroghe espresse alla regola delle notificazioni (e comunicazioni) in forma telematica. L’art. 87 dello schema di decreto legislativo consente di ampliare il novero degli atti suscettibili di notificazione o comunicazione con modalità diversa da quella telematica, ma, in assenza di specifici criteri che possano orientare nella selezione degli atti sottratti a tale regime, rimane aperta la questione della loro individuazione.
Andando al merito dell’intervento riformatore, la scelta di fondo – a suo modo rivoluzionaria – compiuta dal legislatore appare cristallizzata nell’art. 6, comma 1, lett. a) dello schema di decreto, il quale, operando una sostituzione integrale del vigente art. 110 c.p.p., “consacra” un nuovo modello di atto processuale, laddove prevede che “quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento sono formati e conservati in forma di documento informatico”.
Il legislatore delegato ha dichiaratamente declinato il principio fissato nella legge delega (“prevedere che atti e documenti processuali possano essere formati 6 e conservati in formato digitale”) in termini di previsione di una regola generale che rende il formato informatico obbligatorio, fatto salvo il caso in cui gli atti “per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico” (art. 110, c. 3, c.p.p.). Se l’individuazione di una eccezione alla regola generale appare opportuna, qualche dubbio interpretativo potrebbe discendere dal riferimento alle “specifiche esigenze processuali” che giustificheranno il ricorso alla formazione non informatica dell’atto, così come in ordine alla eventuale necessità di esplicitare la natura delle predette esigenze.
Ad ogni modo il novellato art. 110 c.p.p. prevede che nel caso in cui l’atto sia redatto in formato analogico, esso debba essere convertito “senza ritardo” in copia informatica ad opera dell’ufficio che lo ha formato o ricevuto (comma 4): tale regola generale, coerente con l’idea di fondo di perseguire la completa informatizzazione del processo penale, non prevede eccezioni, ma deve essere letta in combinato con il nuovo art. 111-ter c.p.p. (introdotto dall’art. 6, c. 1, lett. c) del decreto legislativo delegato, su cui vedi infra) che, nel disciplinare la formazione del c.d. “fascicolo informatico”, prevede l’esistenza di atti e documenti formati e depositati in forma di documento analogico e insuscettibili, “per loro natura o per specifiche esigenze processuali”, di acquisizione per via informatica.
L’opzione per la digitalizzazione coinvolge anche la fase di verbalizzazione degli atti attualmente disciplinata dall’art. 134 c.p.p., attraverso il rinvio, operato dal (novellato) comma 2 della disposizione in parola, a quanto previsto dal (novellato) art. 110 c.p.p., disposizioni – giova ricordarlo – entrambe ricadenti nel novero di quelle per le quali è prevista un’applicazione differita all’entrata in vigore dei decreti attuativi da adottarsi entro il 31 dicembre 2023.
A tale proposito deve segnalarsi come la regola della redazione digitale del verbale (e della eventuale conversione in formato informatico del verbale redatto in forma analogica) non si applica al caso dei provvedimenti collegiali nel cui ambito sia manifestata un’opinione dissenziente, la cui succinta motivazione conserverà esclusivamente la forma analogica, senza conversione in formato informatico (cfr. art. 125 c.p.p., come modificato dall’art. 7, c. 1, lett. a) dello schema di decreto). Per quanto non strettamente riconducibili entro i confini del processo telematico, attenzione particolare meritano le modifiche apportate al comma 1 dell’art. 134, secondo cui alla documentazione degli atti dovrà procedersi non più solamente “mediante verbale”, ma, “nei casi previsti dalla legge, anche mediante riproduzione audiovisiva o fonografica”.
Questa disposizione, di carattere generale, deve essere letta in combinato disposto con le altre disposizioni del codice oggetto di modifica e con le quali il legislatore delegato ha introdotto 7 forme di riproduzione audiovisiva o fonografica delle attività svolte. Si tratta di disposizioni che disciplinano non solo la documentazione di atti compiuti in sede di giudizio abbreviato (art. 441 c.p.p.) e di istruttoria dibattimentale (art. 510 c.p.p., il cui nuovo comma 2-bis prevede che l’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle parti private e delle persone indicate nell’articolo 210, nonché g