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Il processo penale telematico - Il parere del Consiglio Superiore della Magistratura


Di seguito si riporta il parere espresso dal CSM in tema di processo penale telematico.


Gli artt. 6, 7, 9, 10, 11, 13, 19, 20, 23, 25, 28, 30, 33, 41, 87 e 98 dello schema di decreto legislativo, nel dare attuazione al comma 5 dell’art. 1 della legge delega, perseguono il dichiarato obiettivo di costituire “un ambiente (o ecosistema) digitale per il procedimento penale”.

Si tratta di un complesso di disposizioni destinate ad incidere profondamente su una serie di snodi essenziali del procedimento e del processo penale, sulla scorta della condivisibile premessa per cui la digitalizzazione degli atti e l’informatizzazione delle procedure non potranno che contribuire alla riduzione dei tempi della giustizia.

Nell’art. 87 dello schema di decreto (rubricato “Disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico”) è stato fissato al 31 dicembre 2023 il termine per l’adozione dei decreti ministeriali attuativi della riforma, contestualmente (e inevitabilmente) differendo al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei suddetti decreti l’“applicazione” delle disposizioni in materia di processo telematico; inoltre, è stato stabilito che le diposizioni oggetto di parziale modifica o integrale sostituzione continuino ad essere applicate nel testo attualmente vigente, mentre l’efficacia di quelle introdotte ex novo è differita sino al termine suindicato. Quanto al procedimento di adozione dei suddetti regolamenti deve essere, innanzi tutto, valutata positivamente – per le ragioni esplicitate supra – la conferma della previsione secondo cui il decreto ministeriale in materia di individuazione degli uffici giudiziari e delle tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché dei termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione” deve essere adottato “sentito il Consiglio Superiore della Magistratura (oltre che – altrettanto opportunamente – il Consiglio Nazionale Forense: così 4 art. 87, c. 3, schema di decreto legislativo).

Per le medesime suddette ragioni, sarebbe auspicabile analoga interlocuzione con il CSM all’atto dell’adozione dell’emanando decreto ministeriale con il quale dovranno essere definite le regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche degli atti del procedimento penale, con disciplina che dovrà assicurare la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello di certezza di compimento dell’atto.

Come anticipato, infatti, è necessario che il Consiglio Superiore della Magistratura venga coinvolto in ogni fase di attuazione della transizione digitale, anche al fine di scongiurare rischi – già segnalati nella richiamata Relazione sullo stato della Giustizia telematica – quali, ad esempio, l’adozione di “software che, magari per scelte di progettazione anche inconsapevoli, condizioni la stessa interpretazione delle norme processuali ed il funzionamento del processo penale o presenti elementi non funzionali al suo concreto utilizzo negli uffici giudiziari”.

Quanto al contenuto degli adottandi Regolamenti, occorre sottolineare come la formulazione del comma 3 dell’art. 87, riproducendo alla lettera il disposto della legge delega – secondo cui spetterà all’atto regolamentare “individuare gli uffici giudiziari e delle tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché dei termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione”, possa sollevare incertezze interpretative sia nella parte in cui fa riferimento agli “uffici giudiziari” sia in quella in cui fa riferimento alla “tipologia di atti”.

Il riferimento agli “uffici giudiziari” risulta ambiguo, non essendo chiaro se con tale locuzione si intendano richiamare astratte tipologie di uffici o specifiche realtà giudiziarie territoriali.

Se interpretata nel senso da ultimo indicato, la disposizione non solo consentirebbe di escludere dal regime di obbligatorietà del deposito, comunicazione o notificazione telematici alcune tipologie di atti specificamente individuate, ma aprirebbe la strada ad una parcellizzazione/differenziazione, su base territoriale, dell’applicazione almeno di alcune regole codicistiche sul processo telematico (quelle relative al deposito, comunicazione e notificazione).

Una simile soluzione evidentemente non sarebbe compatibile con la necessità di garantire l’uniforme applicazione sull’intero territorio nazionale di disposizioni che, essendo volte ad assicurare la ragionevole durata del processo, costituiscono attuazione del principio del giusto processo.

Quanto, invece, alla previsione che rimanda alla sede regolamentare l’individuazione 5 di “tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione” le problematicità discendono dalla generica formulazione della disposizione, rimanendo incerto quali siano i criteri in base ai quali tale selezione debba essere effettuata. Pur in assenza di uno specifico rinvio al comma 3 del nuovo art. 111-bis c.p.p., secondo cui al deposito telematico non si fa ricorso in presenza di atti e documenti insuscettibili, “per loro natura o per specifiche esigenze processuali”, di acquisizione per via informatica, appare inevitabile che la selezione di atti da effettuarsi a livello normativo secondario debba ispirarsi ai criteri indicati, in via generale, a livello normativo primario. Il coordinamento tra le due disposizioni pone, tuttavia, un’ulteriore questione: stabilire se l’eventuale elenco definito in sede di decretazione attuativa costituirà un numerus clausus, o se, invece, l’interprete (giudice e parti) conserverà un margine interpretativo per individuare, caso per caso, atti e documenti diversi da quelli indicati dal legislatore secondario ma eventualmente sottratti per loro natura o per specifiche esigenze processuali all’obbligo di deposito telematico. In ordine all’individuazione, in sede regolamentare, della tipologia di atti sottratti al regime delle notificazioni e comunicazioni telematiche deve osservarsi come l’art. 148, c. 1, c.p.p. disponga che, in ogni stato e grado del processo, salvo che sia diversamente previsto dalla legge, le notificazioni degli atti sono eseguite, a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche. A fronte di tale regola generale, nelle successive disposizioni sono previste numerose deroghe espresse alla regola delle notificazioni (e comunicazioni) in forma telematica. L’art. 87 dello schema di decreto legislativo consente di ampliare il novero degli atti suscettibili di notificazione o comunicazione con modalità diversa da quella telematica, ma, in assenza di specifici criteri che possano orientare nella selezione degli atti sottratti a tale regime, rimane aperta la questione della loro individuazione.

Andando al merito dell’intervento riformatore, la scelta di fondo – a suo modo rivoluzionaria – compiuta dal legislatore appare cristallizzata nell’art. 6, comma 1, lett. a) dello schema di decreto, il quale, operando una sostituzione integrale del vigente art. 110 c.p.p., “consacra” un nuovo modello di atto processuale, laddove prevede che “quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento sono formati e conservati in forma di documento informatico”.

Il legislatore delegato ha dichiaratamente declinato il principio fissato nella legge delega (“prevedere che atti e documenti processuali possano essere formati 6 e conservati in formato digitale”) in termini di previsione di una regola generale che rende il formato informatico obbligatorio, fatto salvo il caso in cui gli atti “per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere redatti in forma di documento informatico” (art. 110, c. 3, c.p.p.). Se l’individuazione di una eccezione alla regola generale appare opportuna, qualche dubbio interpretativo potrebbe discendere dal riferimento alle “specifiche esigenze processuali” che giustificheranno il ricorso alla formazione non informatica dell’atto, così come in ordine alla eventuale necessità di esplicitare la natura delle predette esigenze.

Ad ogni modo il novellato art. 110 c.p.p. prevede che nel caso in cui l’atto sia redatto in formato analogico, esso debba essere convertito “senza ritardo” in copia informatica ad opera dell’ufficio che lo ha formato o ricevuto (comma 4): tale regola generale, coerente con l’idea di fondo di perseguire la completa informatizzazione del processo penale, non prevede eccezioni, ma deve essere letta in combinato con il nuovo art. 111-ter c.p.p. (introdotto dall’art. 6, c. 1, lett. c) del decreto legislativo delegato, su cui vedi infra) che, nel disciplinare la formazione del c.d. “fascicolo informatico”, prevede l’esistenza di atti e documenti formati e depositati in forma di documento analogico e insuscettibili, “per loro natura o per specifiche esigenze processuali”, di acquisizione per via informatica.

L’opzione per la digitalizzazione coinvolge anche la fase di verbalizzazione degli atti attualmente disciplinata dall’art. 134 c.p.p., attraverso il rinvio, operato dal (novellato) comma 2 della disposizione in parola, a quanto previsto dal (novellato) art. 110 c.p.p., disposizioni – giova ricordarlo – entrambe ricadenti nel novero di quelle per le quali è prevista un’applicazione differita all’entrata in vigore dei decreti attuativi da adottarsi entro il 31 dicembre 2023.

A tale proposito deve segnalarsi come la regola della redazione digitale del verbale (e della eventuale conversione in formato informatico del verbale redatto in forma analogica) non si applica al caso dei provvedimenti collegiali nel cui ambito sia manifestata un’opinione dissenziente, la cui succinta motivazione conserverà esclusivamente la forma analogica, senza conversione in formato informatico (cfr. art. 125 c.p.p., come modificato dall’art. 7, c. 1, lett. a) dello schema di decreto). Per quanto non strettamente riconducibili entro i confini del processo telematico, attenzione particolare meritano le modifiche apportate al comma 1 dell’art. 134, secondo cui alla documentazione degli atti dovrà procedersi non più solamente “mediante verbale”, ma, “nei casi previsti dalla legge, anche mediante riproduzione audiovisiva o fonografica”.

Questa disposizione, di carattere generale, deve essere letta in combinato disposto con le altre disposizioni del codice oggetto di modifica e con le quali il legislatore delegato ha introdotto 7 forme di riproduzione audiovisiva o fonografica delle attività svolte. Si tratta di disposizioni che disciplinano non solo la documentazione di atti compiuti in sede di giudizio abbreviato (art. 441 c.p.p.) e di istruttoria dibattimentale (art. 510 c.p.p., il cui nuovo comma 2-bis prevede che l’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle parti private e delle persone indicate nell’articolo 210, nonché gli atti di ricognizione e confronto, siano “documentati anche con mezzi di riproduzione audiovisiva”, ma anche di una serie di disposizioni che governano lo svolgimento di specifiche attività di indagine, quali – oltre all’art. 141-bis c.p.p., novellato – l’art. 294 c.p.p. (con l’introduzione del nuovo comma 6-bis), l’art. 351 c.p.p. (con l’introduzione del nuovo comma 1-quater), l’art. 357 c.p.p. (con l’introduzione dei nuovi commi 3-bis, 3-ter e 3- quater), l’art. 362 c.p.p. (con l’introduzione del nuovo comma 1-quater), l’art. 373 c.p.p. (con l’introduzione dei nuovi commi 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies) e l’art. 391-ter c.p.p. (con l’introduzione dei nuovi commi cc. 3-bis, 3-ter e 3-quater).

Con particolare riferimento all’assunzione di informazioni dalle persone informate sui fatti, in sede di espressione del parere sulla legge delega questo Consiglio aveva richiamato l’attenzione su alcuni rischi derivanti da una eventuale, generica estensione dell’obbligo di audioregistrazione, segnalando, in particolare, che laddove la scelta dei casi in cui rendere detta audioregistrazione obbligatoria avesse ricompreso anche le assunzioni di sommarie informazioni in situazioni di urgenza, “a meno di non voler dotare tutti gli operanti di p.g. di sistemi di audioregistrazione, la stessa rischierebbe di compromettere gli esiti dell’attività di ricerca della prova ovvero la successiva spendibilità dei risultati acquisiti ogniqualvolta, per i ristretti tempi imposti dalle indagini, non si abbia la disponibilità, nell’immediatezza, di adeguati strumenti”.

Il parere segnalava, quindi, l’opportunità che lo stesso legislatore delegante individuasse “modalità alternative di documentazione dell’attività di indagine laddove ciò sia imposto dalle esigenze (anche di urgenza) ad essa connesse”. A tale proposito deve rilevarsi come il legislatore delegato abbia recepito le considerazioni critiche espresse nella delibera del 29 luglio 2021 prevedendo, in via generale, che l’obbligo di registrazione fonografica insorga al ricorrere di una duplice condizione: da un lato, l’esistenza di un’esplicita istanza in tal senso proveniente della persona chiamata a rendere informazioni (che di tale diritto deve essere resa edotta); d’altro lato, l’effettiva materiale disponibilità di strumenti di riproduzione (art. 351 e 362 c.p.p.).

Detto obbligo insorge, viceversa, ex lege – e fatto comunque salvo il caso della contingente indisponibilità degli adeguati strumenti tecnici – in presenza di specifiche situazioni oggettive (pendenze di indagini relative a particolari categorie di reati, e in 8 particolare i delitti previsti dall’art. 407, c. 2, lett. a)) o soggettive (persone minorenni, inferme di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità), fermo restando che soltanto con riferimento a tale ultima ipotesi l’audioregistrazione è prevista a pena di inutilizzabilità. Parimenti degne di attenzione, per quanto anch’esse non strettamente riconducibili entro i confini del processo penale telematico, appaiono le novità relative al compimento di atti “a distanza”.

Lo schema di decreto legislativo ha, infatti, dato attuazione al principio di delega di cui al comma 8, lett. c) dell’art. 1, che affidava al legislatore il compito di “prevedere i casi in cui, con il consenso delle parti, la partecipazione all’atto del procedimento o all’udienza possa avvenire a distanza”, non solo operando puntuali modifiche di specifiche disposizioni codicistiche, ma anche introducendo due nuove disposizioni di carattere generale (artt. 133- bis e art. 133-ter), a loro volta contenute all’interno del nuovo titolo II-bis, rubricato, appunto, “Partecipazione a distanza”.

A tale proposito giova ricordare che in sede di emanazione del parere sulla legge delega questo Consiglio aveva, da un lato, segnalato come il principio di delega valorizzasse il principio di leale collaborazione tra le parti del processo ed il giudice, nella fase in cui questi, o il P.M., è chiamato a svolgere attività procedimentale da remoto, nella parte in cui prevedeva il necessario consenso delle parti per la celebrazione da remoto sia di atti del procedimento che dell’udienza, e, d’altro lato, come alcune pronunce della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo avessero riconosciuto la piena ammissibilità del ricorso a mezzi tecnici idonei a garantire la partecipazione a distanza, giacché, la “premessa secondo cui solo la presenza fisica nel luogo del processo potrebbe assicurare l’effettività del diritto di difesa, non è [...] fondata”, occorrendo, sul piano costituzionale, “che sia garantita l’effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento, e dunque che i mezzi tecnici, nel caso della partecipazione a distanza, siano del tutto idonei a realizzare quella partecipazione” (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 342 del 1999; in senso conforme Corte costituzionale n. 88 del 9 marzo 2004 e n. 483 del 26 novembre 2002).

Nel medesimo parere si era altresì sottolineata non solo la necessità di coordinare il prefigurato intervento riformatore con la disciplina prevista dall’art.146-bis disp. att. c.p.p., ma anche che particolare attenzione avrebbe richiesto l’eventuale previsione di consentire l’interrogatorio a distanza della persona sottoposta a misura cautelare (art. 294 c.p.p.), giacché “il mancato consenso dell’indagato, eventualmente espresso a ridosso dei ristretti termini per 9 la celebrazione dell’udienza [...], potrebbe porre a rischio la stabilità della stessa misura cautelare prestandosi ad un utilizzo strumentale della norma introdotta”.

Tale rilievo si è tradotto, all’atto della modifica dell’art. 294 c.p.p. da parte dall’art. 13, c. 1, lett. b) dello schema di decreto, nella specificazione per cui in tale ipotesi all’interrogatorio a distanza si procederà soltanto qualora a farne richiesta siano proprio l’indagato e il difensore e il giudice lo autorizzi, fermo restando che si procederà nelle forme ordinarie (interrogatorio svolto dal GIP del luogo) ove ciò non sia possibile (art. 294, c. 5, novellato).

In linea generale, deve osservarsi come il legislatore delegato, nel prevedere un’ampia possibilità di ricorso alla tecnologia idonea al compimento di atti a distanza (vedi modifiche apportate, oltre che al richiamato art. 294 c.p.p., agli artt. 309 c.p.p., 350 c.p.p., 360 c.p.p., 370 c.p.p., 391 c.p.p., 422 c.p.p., 496 c.p.p., 666 c.p.p., 703 c.p.p. e 717 c.p.p.), abbia comunque escluso qualsiasi ipotesi di integrale “dematerializzazione” dell’udienza, restando l’aula di tribunale il luogo fisico indefettibile per lo svolgimento delle attività processuali.

Nel quadro di una disciplina complessivamente coerente, deve segnalarsi come qualche problema applicativo potrebbe essere determinato dalla mancata previsione delle modalità e termini con cui l’autorità giudiziaria deve raccogliere il consenso delle parti, consenso che risulta, come detto, presupposto indefettibile per lo svolgimento di atti e udienze a distanza.

Tornando ai profili più strettamente attinenti al piano del processo telematico, la previsione del formato informatico quale modalità generale di formazione degli atti processuali appare, quindi, il presupposto della svolta tecnologica perseguita anche nell’ambito del processo penale, svolta che si dipana concretamente attraverso la previsione di una serie di nuove regole che vanno dalla stessa sottoscrizione degli atti così formati (che deve avvenire attraverso la firma digitale “o altra forma elettronica qualificata”, con rinvio generale, operato dal nuovo comma 2-bis dell’art. 111 c.p.p., alla normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici) alla previsione, quale regola generale di deposito di atti, documenti, richieste e memorie “esclusivamente con modalità telematiche” (nuovo art. 111-bis c.p.p.).

Con riferimento al termine per il deposito, nel parere relativo alla legge delega si era evidenziata una possibile criticità nel carattere generale della regola per cui il deposito si ha per effettuato al momento in cui il sistema genera la ricevuta di avvenuto completamento della trasmissione, poiché essa comporta che il deposito possa perfezionarsi anche in orario o in giorni di chiusura degli uffici, con relativa decorrenza dei termini concessi agli uffici 10 riceventi per i successivi adempimenti.

Era stata pertanto segnalata l’opportunità di meglio coniugare la regola per cui il deposito, per la parte che lo effettua, si perfeziona al momento in cui il sistema genera la ricevuta di avvenuta trasmissione, con la necessità che, per l’Ufficio ricevente, i termini per i successivi adempimenti decorrano dal primo momento utile di apertura dello stesso.

L’art. 11, c. 1, lett. a) dello schema di decreto legislativo ha sostanzialmente accolto tale rilievo, introducendo nell’art. 172 c.p.p. una previsione di carattere generale secondo cui “salvo che non sia diversamente stabilito, i termini decorrenti dal deposito telematico, quando lo stesso è effettuato fuori dall’orario di ufficio stabilito dal regolamento, si computano dalla data della prima apertura immediatamente successiva dell’ufficio”.

In parallelo con il rapporto regola/eccezione fissato in materia di formazione degli atti, il comma 3 del nuovo art. 111-bis c.p.p. prevede che al deposito telematico non si faccia ricorso in presenza di atti e documenti insuscettibili, “per loro natura o per specifiche esigenze processuali”, di acquisizione per via informatica (vedi anche supra).

Tale eccezione non è, tuttavia, l’unica prevista dalla normativa delegata, la quale, limitandosi a riprodurre alla lettera il contenuto del principio fissato nella legge delega, precisa che possono essere depositati anche “con modalità non telematiche” gli atti che “le parti compiono personalmente”: l’ampiezza della formula utilizzata potrebbe generare qualche incertezza interpretativa in ordine alle categorie di atti per i quali viene meno l’obbligo del deposito telematico, ponendo a carico del personale di Cancelleria del Tribunale e di Segreteria delle Procure l’onere di valutare la legittimità del deposito analogico.

Lo sforzo di digitalizzazione del processo penale trova ulteriore manifestazione nella regola per cui tutti gli atti formati e depositati in forma di documento analogico devono comunque essere convertiti “senza ritardo” in documento informatico, salvo che ciò non sia possibile per la loro natura o per specifiche esigenze processuali.

L’esistenza di atti legittimamente redatti, acquisiti e depositati in formato analogico e per i quali è prevista un’obbligatoria conversione in formato informatico conduce alla formazione di un fascicolo informatico in cui troveranno spazio tre categorie di atti:

1) atti e documenti in formato esclusivamente informatico (in quanto creati ab origine in tale formato);

2) atti e documenti in formato analogico e informatico (formati e depositati in formato analogico e successivamente convertiti in formato informatico);

3) atti e documenti in formato esclusivamente analogico (formati e depositati in formato analogico e insuscettibili per loro natura o per specifiche esigenze processuali di 11 acquisizione per via informatica).

Il principio generale dell’obbligo – con le richiamate eccezioni – di deposito telematico di atti e documenti è stato poi declinato in un quadro complessivamente coerente di puntuali modifiche e interpolazioni di specifiche disposizioni codicistiche.

La centralità assegnata dalla riforma alle modalità di deposito telematico impone di prevedere l’eventualità che i sistemi informatici sui cui binari dovrà viaggiare – auspicabilmente spedito – il treno del procedimento penale possano avere momenti di malfunzionamento. Tale consapevolezza veniva esplicitata, nella legge delega, nella previsione di cui alla lettera e) dell’art. 5, c. 1, secondo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto prevedere, per i casi di malfunzionamento dei sistemi informatici dei domini del Ministero della giustizia: 1) che siano predisposte soluzioni alternative ed effettive alle modalità telematiche che consentano il tempestivo svolgimento delle attività processuali; 2) che siano predisposti sistemi di accertamento effettivo e di registrazione dell’inizio e della fine del malfunzionamento, in relazione a ciascun settore interessato; 3) che sia data tempestiva notizia a tutti gli interessati e comunicazione pubblica del malfunzionamento e del ripristino delle ordinarie condizioni di funzionalità dei sistemi informatici.

A tale proposito si era sottolineato, in sede di formulazione del parere sulla legge delega, che l’eventuale rimedio costituito dall’autorizzazione del dirigente a poter effettuare il deposito cartaceo non appariva sufficiente a rimediare al pregiudizio subito dalla parte, occorrendo piuttosto rimetterla in termini, in modo da tenerla indenne dalle conseguenze processuali di un deposito non tempestivo per fatto incolpevole.

La problematica appare oggi affrontata e risolta, in termini generali, dal nuovo art. 175-bis c.p.p. (introdotto dall’art. 11, c. 1, lett. c) del decreto legislativo), che innanzitutto prefigura due ipotesi di malfunzionamento: generalizzato, in quanto relativo a tutti i domini del Ministero della Giustizia e, pertanto, “certificato” dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati, con conseguente attestazione sul portale dei servizi telematici del Ministero e comunicato dal Dirigente dell’Ufficio giudiziario agli interessati); localizzato in singoli ambiti territoriali, e quindi “non certificato” a livello ministeriale, ma accertato e attestato (oltre che comunicato) direttamente dal dirigente dell’ufficio giudiziario interessato dalla disfunzione. Inoltre è stato previsto un duplice possibile rimedio, applicabile al verificarsi di entrambe le situazioni di malfunzionamento e articolato, da una parte, sul venir meno – limitatamente all’arco temporale interessato dal malfunzionamento – dell’obbligo di redazione informatica e deposito telematico degli atti (che potranno essere redatti in formato 12 analogico e depositati con modalità non telematiche) e, d’altra parte, qualora un termine previsto a pena di decadenza scada nel periodo di malfunzionamento certificato o accertato, sulla previsione della possibilità di richiedere la restituzione in termini ai sensi dell’art. 175 c.p.p..

Con riferimento a quest’ultima ipotesi, la formulazione della disposizione non rende chiaro se il rinvio operato all’art. 175 c.p.p. debba intendersi nel senso che il malfunzionamento integra in sé una condizione di forza maggiore che ha reso impossibile l’osservanza del termine ovvero se occorra dimostrare di non aver potuto comunque effettuare il deposito in forma analogica. In quest’ultimo senso orienta la relazione illustrativa, nella quale è chiaramente indicato che i termini previsti a pena di decadenza decorrono anche in costanza del malfunzionamento. Tuttavia, trattandosi di questione interpretativa che può essere foriera di effetti pregiudizievoli per le facoltà e i diritti delle parti sarebbe auspicabile una più chiara formulazione della disposizione, precisando se, ai fini della remissione in termini, sia necessaria la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 175 c.p.p..

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