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La giustizia riparativa.



Sommario:


1. L’esigenza di una disciplina sulla giustizia riparativa

Accogliendo le sollecitazioni provenienti dalle più autorevoli fonti europee e internazionali580 che da tempo hanno stabilito principi di riferimento comuni e indicazioni concrete per consentire agli ordinamenti nazionali di elaborare paradigmi di giustizia riparativa idonei a consentire alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se entrambi vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale, il legislatore ha dato attuazione alla legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, ponendo una disciplina organica, così da allineare l’ordinamento domestico a ordinamenti giuridici che hanno già da tempo optato in tal senso581.

In merito agli impegni del PNRR assunti per il settore giustizia, nel dare seguito alla novità del capitolo della giustizia riparativa, la scelta italiana582 è stata non solo quella di prevedere un percorso parallelo volto alla ricomposizione del conflitto, inteso non come giustizia alternativa a quella tradizionale (e, dunque, come rinuncia alla pretesa sanzionatoria), né come giustizia sussidiaria alla quella tradizionale (attesa la volontarietà del ricorso ai programmi, che esclude che il sistema penale possa essere soppiantato dal nuovo modello di giustizia), ma anche quella di garantire che il sistema punitivo tradizionale continui a rappresentare il presupposto dei programmi di giustizia riparativa, in modo da assicurare che le esigenze di prevenzione generale e di prevenzione speciale rimangano intatte.

In breve583, la giustizia riparativa recepita dal nostro sistema, naturalmente più orientata alle vittime, si offre come un percorso nel quale si perseguono finalità ancora più avanzate rispetto ai principi costituzionali fissati nell’art. 27: l’idea rieducativa alla base del nostro testo costituzionale presuppone che all’origine del fatto vi sia stata una caduta, una perdita nell’educazione del responsabile, là dove la giustizia riparativa non tende a stigmatizzare la persona quanto, piuttosto, il fatto, scommettendo, a differenza del diritto penale classico, sulle persone e sulle loro capacità positive, al punto da diventare una giustizia formativa ed educativa.

Il legislatore delegato ha ritenuto che la giustizia riparativa potesse promuovere indirettamente, attraverso l’incontro nei programmi riparativi e attraverso la riparazione materiale o simbolica, quella adesione tra i soggetti coinvolti che è, in definitiva, il reale scopo della minaccia di pena, sicché riparazione e rieducazione finiscono con il saldarsi.

Sempre nell’ottica della complementarietà vanno letti i timidi tentativi584 del decreto di collegare all’esito riparativo raggiunto alcuni effetti sulla risposta sanzionatoria, rinvenibili negli interventi sulle circostanze del reato ex art. 62 cod. pen., sulla determinazione della pena ex art. 133 cod. pen., sulla remissione di querela ex art. 152 cod. pen., nonché sulla sospensione condizionale della pena ex art. 163 cod. pen.

Nel dare attuazione alla legge delega, il legislatore delegato ha introdotto disposizioni puntuali che, per un verso, aprono canali di accesso ai percorsi di giustizia riparativa nell’ambito di istituti già esistenti, incoraggiando l’invio dei casi ai centri di giustizia riparativa, appositamente creati in tutti i distretti di corte d’appello, e agevolando la gestione a livello processuale degli esiti dei percorsi riparativi e, per altro verso, consentono di chiarire cosa “non è” giustizia riparativa.

Non sono forme di giustizia riparativa, i lavori di pubblica utilità e le attività di volontariato sociale, che rappresentano più un peso inflitto al condannato per attenuarne il senso di libertà che un fattivo impegno volto a promuoverne individualmente il senso di responsabilità e che, dunque, si iscrivono in un’ottica retributiva o di coercizione, così come non sono forme di giustizia riparativa il risarcimento del danno, la messa alla prova in fase processuale e l’affidamento in prova al servizio sociale in executivis.

Invero, tali istituti niente hanno a che spartire con la giustizia riparativa: la condotta ripara l’offesa intesa come bene giuridico tutelato dalla norma, per la quale può bastare anche il risarcimento del danno e/o l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, là dove, diversamente, nel contesto della giustizia riparativa l’offesa da riparare è un’entità complessa e più ampia rispetto al danno poiché include una “componente tendenzialmente soggettiva”585.

Si sostiene che nella giustizia riparativa anche il giudice cambia volto: da distributore di pene… si colloca su un piano diverso, e, senza perdere minimamente la sua neutralità, avvia al difficile e prezioso cammino verso una ricomposizione che riqualifica sia il senso di un processo giusto, sia il senso stesso della pena inflitta586.


2. La giustizia riparativa e i suoi corollari

Nell’ampio, articolato e complesso d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la disciplina organica della giustizia riparativa trova la sua collocazione nel Titolo IV, attuativo dell’art. 18, comma 1, della legge delega n. 134 del 2021.

Con il termine giustizia riparativa o rigenerativa (restorative justice)587 si fa riferimento a un paradigma di giustizia nato dal bisogno di un procedimento che – diversamente da quello tradizionale, nel quale alla vittima è riservato un ruolo marginale e ad essere al centro dell'attenzione è l'autore del reato – sia volto a coinvolgere attivamente la vittima, il reo e la stessa comunità civile “nella ricerca di una soluzione che promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo”588.

In sostanza, si tratta di un procedimento nel quale gli stessi attori del reato, anziché delegare allo Stato la soluzione dei conflitti, si attivano per ovviare, con un accordo e senza che a decidere il giudizio sia una sentenza, alle conseguenze delle contrapposizioni, occupandosi della riparazione, della ricostruzione e della riconciliazione, con l'obiettivo non di punire, ma di rimuovere, attraverso l'incontro tra le parti e con l'assistenza di un mediatore terzo e imparziale, quella frattura sociale determinata dalla fiducia incrinata dal reo e dalla infrazione di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi.

In quest’ottica, la riparazione alle vittime, che è il cuore pulsante589 della giustizia riparativa, si pone come tema centrale, senza, tuttavia, rimanere disgiunto né da quello dell’autore del reato, portatore di esigenze di risocializzazione e riaccoglienza, né da quello della comunità, lesa nelle sue attese, così consentendo, da un lato, che reo e vittima vengano sottratti a dinamiche giuridico-criminologiche oppositive e siano riportati ad un nuovo equilibrio quanto a diritti, riconoscimento processuale e garanzie e, dall’altro lato, che le istituzioni del controllo formale, quali in primis, forze dell’ordine e magistratura, e le istituzioni di controllo informale, quali la famiglia, la scuola e la comunità, ruotino intorno al crimine. Dalla nozione di giustizia riparativa discendono tre corollari590: - l’attenzione al danno e ai bisogni della vittima; - l’obbligazione a riparare, quale espressione di un percorso di auto responsabilizzazione dell’autore dell’illecito; - il coinvolgimento delle parti nella soluzione del conflitto, funzionale a individuare e affrontare collettivamente le conseguenze dannose e i bisogni necessari a promuovere la riconciliazione e a ripristinare, per quanto possibile, l’ordine delle cose.


3. L’articolato normativo

La disciplina del Titolo IV della Riforma Cartabia si compone di ventisei articoli (artt. 42 – 67), raggruppati nelle seguenti sezioni:

● definizioni, principi e obiettivi;

● accesso ai programmi di giustizia riparativa;

● persone minori di età;

● disposizioni in materia di diritti dei partecipanti;

● doveri e garanzie dei mediatori e dei partecipanti;

● programmi di giustizia riparativa;

● valutazione dell'autorità giudiziaria;

● formazione dei mediatori esperti;

● requisiti per l'esercizio dell'attività di mediatore;

● coordinamento dei servizi e livelli essenziali delle prestazioni;

● centri di giustizia riparativa.

Il Titolo si apre con il capo I, dedicato ai principi e alle disposizioni generali, composto da tre sezioni (sezione I: definizioni, principi e obiettivi; sezione II: diritto all’accesso; sezione III: minori). Nella prima sezione, in ossequio all’ormai consolidata tecnica legislativa sovranazionale, sono collocate le norme che compendiano la parte definitoria (art. 42) e quelle relative ai principi generali e agli obiettivi della giustizia riparativa (art. 43).

La seconda sezione comprende le norme relative ai principi sull’accesso ai programmi di giustizia riparativa (art. 44) ed ai partecipanti ai medesimi (art. 45).

Nella terza sezione, infine, è collocata la norma relativa ai diritti e alle garanzie per le persone minori d’età (articolo 46). Il capo II, dedicato alle garanzie dei programmi, si compone di due sezioni.

Nella prima sezione (disposizioni in materia di diritti dei partecipanti) sono collocate le norme (artt. da 47 a 49) che assicurano che il quadro di garanzie previste per l’accesso ai programmi di giustizia riparativa, sia esteso a livello sistematico a tutti i soggetti coinvolti, contemplati nell’art. 45, attraverso un’informazione che sia tempestiva, completa, effettiva e adeguata al soggetto destinatario e, dunque, idonea a consentire la libera esplicazione del consenso alla partecipazione.

La seconda sezione (doveri dei mediatori e delle parti) comprende le norme che, da un lato, garantiscono la riservatezza dell’iter che caratterizza lo svolgimento del programma e il valore probatorio delle informazioni che oltrepassano i limiti della stessa (art. 51) e, dall’altro, individuano i termini del segreto cui è tenuto il mediatore (art. 52).

Il capo III, dedicato ai programmi, si compone di due sezioni, la prima delle quali (svolgimento dei programmi di giustizia riparativa) individua, nel rispetto dei principi di fonte sovranazionale, i singoli programmi (art. 53) e ne disciplina le modalità di svolgimento e gli esiti (artt. da 54 a 56), mentre la seconda (valutazione dell’autorità giudiziaria) disciplina la comunicazione all’autorità giudiziaria dell’esito dei programmi e gli effetti che lo svolgimento del programma può avere nel procedimento penale. Il capo IV, dedicato ai mediatori, si compone di due sezioni (sezione I: formazione dei mediatori esperti; sezione II: requisiti per l’esercizio dell’attività) nelle quali, rispettivamente, sono collocati l’art. 59, che detta le modalità e i contenuti della formazione dei mediatori, e l’art. 60, che individua i requisiti e i criteri di esercizio e accreditamento dei mediatori presso il Ministero della giustizia.

Le norme di cui al capo V sono suddivise in due sezioni, la prima delle quali (coordinamento dei servizi e livelli essenziali delle prestazioni) disciplina l’organizzazione amministrativa dei servizi, indicando i soggetti coinvolti, i criteri di individuazione, le funzioni attribuite agli stessi, la cadenza delle attività svolte (art. 61), nonché i livelli e i limiti delle prestazioni (art. 62), mentre la seconda (centri di giustizia riparativa) disciplina i criteri di individuazione degli enti locali cui affidare la creazione dei centri, individua i soggetti coinvolti nella scelta (art. 63), stabilisce le modalità di lavoro e i compiti dei centri (artt. 64 e 65), prevede la vigilanza sull’attività svolta dai centri (art. 66) e disciplina il sistema di finanziamento per consentire il funzionamento degli stessi.


4. Le parole “chiave”: l’art. 42

L’ambito definitorio della disciplina organica della giustizia riparativa, che trae ispirazione dai principi sanciti dalle fonti internazionali, si rinviene nell’art. 42 del decreto. Sulla definizione di «giustizia riparativa», che la legge delega ha preteso591, non si riscontra unanimità di opinioni592.

Un orientamento massimalista estende la definizione a ogni attività riparativa dell’autore del reato – risarcimento, lavori di pubblica utilità, condotte riparatorie nel processo agli enti e persino la collaborazione processuale – in modo da ampliarne la portata potenziale all’intero sistema penale.

Diversamente, secondo un altro orientamento, che propende per un approccio cd. puro (od “olistico”), ciò che caratterizza la giustizia riparativa è l’incontro tra le parti e la comunicazione tra autore e vittima e, pertanto, essa va limitata a un “contesto informale, ma ben definito, di comunicazione tra più soggetti (vittima, autore, persone di supporto, esponenti della comunità) in presenza di un soggetto facilitatore”. La circostanza che l’art. 1, comma 18, lett. a), della legge delega abbia indicato, come referenti dell’operazione, le fonti internazionali e abbia specificato che la nuova disciplina organica va costruita, nei suoi principi e connotazioni, nell’interesse della vittima e dell’autore del reato attraverso norme improntate al metodo dialogico evocative di un incontro tra offensore e offeso-vittima è indicativa dell’opzione del legislatore per il secondo indirizzo593.

Nel definire la «giustizia riparativa», il legislatore ha fatto immediato riferimento al programma, inteso come strumento idoneo a consentire la risoluzione delle questioni derivanti dal reato, del quale ha sottolineato il tratto principale della restorative, ossia la volontarietà intesa come imposizione, coercizione, sottomissione.

Diversamente – si è osservato594 – manca ogni riferimento alla spontaneità, in quanto non si può pensare che lo Stato possa venir meno al suo compito di promozione della risoluzione dei conflitti, né si può pretendere che le parti aderiscano ai programmi spontaneamente, senza una qualche sollecitazione, pubblica o privata, dovuta al generale favor per la giustizia riparativa, intesa come strumento volto a rendere più efficiente o, per meglio dire, più efficace la definizione dei procedimenti penali, alla luce del dato oggettivo che il raggiungimento di un esito riparativo conformante può determinare.

Di contro, si è osservato595 che, nonostante l’idea ispiratrice sia stata quella di una disciplina generale organica della giustizia riparativa in grado di «ampliare fortemente le condotte riparatorie anche a forme di riparazione dell’offesa dove la vittima non c’è o è indeterminata o il reato è di pericolo, svincolando la restorative justice dai limiti tradizionali del solo rapporto autore/vittima», la circostanza che nella legge delega manchino puntuali indicazioni circa gli effetti sanzionatori della riparazione dell’offesa lascia intendere che il legislatore delegato non sia riuscito a superare l’idea della «restorative justice spontanea dei rapporti autore-vittima, tipici della mediazione penale».

Discende direttamente dalla Direttiva 2012/29/UE la definizione di «vittima del reato», intesa come «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche causati direttamente da un reato; un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subìto un danno in conseguenza della morte di tale persona; un familiare; il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima»596.

La circostanza che il codice penale italiano non utilizzi il termine vittima, impiegando piuttosto quello di offeso o di danneggiato, che indicano figure destinatarie di specifiche prerogative processuali597, determina, quale prima conseguenza, che la definizione di «vittima del reato», coinvolgendo soggetti che non coincidono esattamente con le figure dell’ordinamento domestico (persona offesa, danneggiato, parte civile), risulti applicabile solo nell’ambito dei programmi di giustizia riparativa.

Da ciò la necessità598, per un verso, di allargare la partecipazione ai programmi di giustizia riparativa al «soggetto giuridico offeso dal reato» e, dunque, anche agli enti con o senza personalità giuridica, intesi come vittime «diffuse» di illeciti penali e, per altro verso, di estendere, sussistendone l’interesse, la volontà e il consenso libero e informato, i programmi riparativi, di cui all’art. 53, lett. a), anche alla vittima «aspecifica», cioè alla vittima di un reato differente da quello per cui si procede, intesa non come un sostituto della vittima diretta, ma come «la vittima di un reato e non del reato» (si pensi alla possibilità di coinvolgere in programmi la persona offesa di un reato che resta a carico di ignoti, alla quale la giustizia penale tradizionale non ha nulla da offrire).

Si tratta di una previsione che, da un lato, rappresenta un valore aggiunto della giustizia riparativa, in quanto volta a riportare «la questione delle vittime sul terreno dell’etica della responsabilità, che si attiva attraverso il dialogo e la presa di coscienza di un male che esige, prima di tutto, riparazione»599 e, dall’altro lato, sottolinea il parallelismo e l’indipendenza del processo riparativo rispetto a quello penale convenzionale. Si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022600 che la scelta lessicale di «persona indicata come autore dell’offesa» contempera sia il doveroso rispetto del principio costituzionale di presunzione di innocenza fino all’eventuale condanna definitiva, sia l’esigenza di mantenere in uguale considerazione sia la vittima che colui che sia ritenuto responsabile in via definitiva del reato, affinché non sia sminuito per sempre dall’esperienza della colpa e dell’offesa.

La locuzione «persona indicata come autore dell’offesa» ricomprende: la persona sottoposta alle indagini; l’imputato; la persona sottoposta a misura di sicurezza; la persona condannata con pronuncia irrevocabile; la persona nei cui confronti è stata emessa una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis cod. proc. pen., o per intervenuta causa estintiva; le persone fisiche o gli enti, con o senza personalità giuridica, in forza dell’estensione a questi ultimi delle disposizioni processuali relative all’imputato, ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Quale evidente segno dell’intento del legislatore di dare la massima applicazione alla disciplina della giustizia riparativa, merita una notazione l’indicazione, nel più ampio concetto di ‹‹familiare››, sia della ‹‹parte di un’unione civile ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 20 maggio 2016, n. 76››, costituita tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso mediante dichiarazione resa di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni, sia del convivente ‹‹di fatto di cui all’art. 1, comma 36, della stessa legge››, inteso come soggetto maggiorenne, unito in maniera stabile ad altra persona, anch’essa maggiorenne, da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Si muove tra le opposte esigenze, non facilmente conciliabili, di tassatività, determinatezza e precisione, proprie della materia penale, e di flessibilità e creatività, che tipizzano la giustizia riparativa, la definizione di «esito riparativo».

La nozione, che ruota attorno ai concetti di «accordo», «riparazione dell’offesa», «riconoscimento reciproco» e «relazione», finisce con l’assumere il significato di «risultato» del metodo riparativo, andando a correlarsi con quanto stabilito dall’art. 56 che disciplina l’esito riparativo in termini di condotta simbolica e/o materiale entro i confini di materialità, tassatività e determinatezza, necessari ai fini dell’apprezzamento, da parte dell’Autorità giudiziaria, degli effetti processuali e sostanziali previsti dalla disciplina.

Si è osservato601 che i problemi di una corretta interpretazione della nozione di «esito riparativo» derivano dalla circostanza che, nel lessico legislativo comune, l’impiego dei termini «riparazione» e «risarcimento» non risulta affatto rigoroso, sicché solo in generale si può dire che il termine risarcimento è sempre circoscritto al danno civile, in quanto non compare mai per le conseguenze dannose o pericolose del reato, cioè per l’offesa, e che il termine riparazione non è utilizzato per descrivere le pene in senso stretto, ma solo per descrivere condotte doverose (il risarcimento) o condotte incentivate (l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, intese come sopravvenute all’offesa consumata al tempo della condotta) necessarie per ottenere determinati benefici. Non sempre il legislatore lascia intendere, in modo certo, se il risarcimento e la riparazione possano o debbano essere integrali oppure no, né cosa questo significhi, limitandosi, talora, a precisare che solo la riparazione del danno, intesa come risarcimento o restituzione, deve essere integrale (a titolo esemplificativo, l’art. 162-ter cod. pen., come novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, subordina l’estinzione dei reati perseguibili a querela al presupposto che l’imputato abbia ‹‹riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e [abbiano] eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato››) o che integrale deve essere la riparazione dell’offesa (a titolo esemplificativo, l’art. 168-bis cod. pen. prevede ‹‹la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato››).


5. I principi: l’art. 43

Ispirati ai principi di giustizia riparativa sanciti dalle fonti internazionali sono i principi generali che governano, nell’impiato della riforma, la giustizia riparativa e gli obiettivi verso cui questa tende, che l’art. 43 individua: - nella partecipazione attiva e volontaria, cui già si è accennato; - nell’eguale considerazione dell’interesse della vittima e della persona indicata come autore dell’offesa, espressione di un raggiunto punto di equilibrio tra il «reocentrismo» della giustizia punitiva tradizionale e l’«orientamento alle vittime» di ispirazione internazionale602, tipico della restorative justice, nonché elemento caratterizzante del nostro sistema in virtù del dettato costituzionale di cui all’art. 3 (che non distingue i cittadini tra colpevoli e innocenti) e all’art. 27 (che depone per la presunzione di non colpevolezza); - nel coinvolgimento della comunità, che consente la partecipazione ai programmi anche dei familiari della vittima e dell’autore del reato, nonché di persone «di supporto», di enti, di associazioni e di servizi sociali, in ragione del fatto che, spesso, gli effetti del conflitto si riverberano in ambiti più ampi di quello che coinvolge reo e vittima; - nella riservatezza (funzionale alla genuinità dei percorsi riparativi), intesa quale spazio di dialogo libero e protetto dalla confidenzialità, che rende compatibile l’esperimento di un programma anche nella fase processuale della cognizione, salvaguardando, attraverso l’inutilizzabilità, la genuina acquisizione della prova e, dunque, la presunzione di innocenza; - nell’indipendenza dei mediatori e nella loro eguale prossimità ai partecipanti, intesa come cosa diversa dalla terzietà del giudice (il giudice è terzo in quanto «neutrale», là dove il mediatore è terzo in quanto «sta nel mezzo», accanto ad ogni partecipante); - nella libera accessibilità ai programmi di giustizia riparativa che, tendenzialmente assoluta, può essere limitata dall’autorità giudiziaria in caso di pericolo concreto per l’incolumità dei partecipanti, derivante dallo svolgimento del programma stesso (sul tema il legislatore non si è accontentato di indicare il presupposto positivo per l’accesso al programma, ma ha delineato anche un presupposto negativo, escludendo che il programma di giustizia riparativa possa essere avviato nel caso in cui comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti: in quest’ottica, andrà quindi escluso l’accesso alla giustizia riparativa quando la prova non sia stata ancora cristallizzata, com’è, ad esempio, nel caso in cui la vittima del reato sia una fonte di prova dichiarativa decisiva, suscettibile di essere alterata proprio dal dialogo riparativo con l’imputato); - nell’irrilevanza, quanto al profilo degli effetti, nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa, del mancato completamento del programma di giustizia riparativa o del mancato raggiungimento di un esito riparativo (solo il raggiungimento di un «esito riparativo» determina effetti a favore dell’imputato e del condannato, mentre, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di innocenza, è esclusa ogni valutazione in malam partem dell’eventuale fallimento del programma, colpevole – nel senso della mancata partecipazione – o incolpevole – nel senso del mancato raggiungimento di un esito riparativo – che sia603.


5.1. Gli artt. 44 e 45

Completano i termini del principio di accessibilità ai programmi di giustizia riparativa le previsioni di cui agli artt. 44 e 45 del d.lgs. n. 150 del 2022. In particolare, l’art. 44, senza alcuna preclusione, consente l’avvio di un programma di giustizia riparativa per qualsiasi illecito penale e, sebbene preveda che, in caso di delitti perseguibili a querela, il programma di giustizia riparativa possa essere attivato prima dell’istanza di punizione, ossia prima dell’attivazione della giustizia tradizionale, individua il procedimento penale, nella sua più completa articolazione, quale luogo naturale in cui le parti del conflitto vanno informate della possibilità di iniziare un percorso di giustizia riparativa. Il successivo art. 45 individua i soggetti titolati a partecipare ai programmi di giustizia riparativa, rispetto a taluni dei quali sussiste un onere informativo in capo all’autorità giudiziaria procedente. È opportuno sottolineare che, se nessun problema si è posto in merito alla inclusione della persona sottoposta alle indagini e dell’imputato, diversamente, quanto al soggetto offeso dal reato, il legislatore delegato ha dovuto tener conto della definizione di vittima del reato fornita dalla legge delega e, come già si è detto, della possibile assenza di coincidenza tra questa e la persona offesa dal reato, tentando di ridimensionare l’inevitabile disallineamento con la clausola generale di estensione al soggetto giuridico offeso dal reato, dei diritti riconosciuti alla vittima ex art. 42 della Riforma.

La soluzione cui il legislatore è pervenuto è stata quella di integrare l’elenco degli avvisi alla persona offesa dal reato con l’informazione della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 90-bis, lett. p-bis), cod. proc. pen.) e di inserite nel codice di rito l’art. 90-bis.1 cod. proc. pen., dedicato specificamente all’informazione alla vittima, come definita dall’art. 42, comma 1, lett. b), del decreto604.

Accanto alla vittima del reato e al soggetto indicato come autore dell’offesa, l’art. 45 individua i soggetti – persone fisiche; enti pubblici e privati; famiglie della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa; persone di supporto e gruppi di appartenenza di entrambi, siano essi etnici, religiosi, politici, linguistici – che delineano la «comunità», includendo nel programma di giustizia riparativa «chiunque ne abbia interesse», ossia chiunque dimostri di avere un particolare interesse leso dal reato (ad es. soggetti che, pur non appartenendo alla comunità di riferimento, si siano trovati nella medesima condizione della vittima). In tal modo,605 la norma, per un verso, chiarisce la natura pubblica della giustizia riparativa, che mai si risolve in una «questione privata» fra vittima del reato e reo e, per altro verso, dà concretezza a modi e interventi atti «a far maturare un clima di sicurezza sociale al fine di costruire una società del rispetto, capace di contemplare e accogliere le vulnerabilità individuali e collettive».


6. Il minore di età

In tempi recenti, la necessità di una disciplina della giustizia riparativa penale in ambito minorile è stata sottolineata nella Dichiarazione dei Ministri della Giustizia degli Stati membri del Consiglio d’Europa che ha rivolto al Consiglio stesso un espresso invito ad incoraggiare e assistere i suoi Stati membri nel «promuovere un'ampia applicazione della giustizia riparativa per i minori in conflitto con la legge, come una delle componenti più preziose della giustizia a misura di minore»606.

Il legislatore delegato, con la disposizione di cui all’art. 46, ha inteso integrare, ove possibile, i contenuti degli istituti dell’ordinamento minorile domestico già esistenti, riconoscendo al minore, quanto a diritti e garanzie, una posizione paritaria rispetto a quella degli adulti, sia pur nel rispetto delle diverse sensibilità e prospettive, e puntando, più che sulla necessità «di fare giustizia», sulla opportunità di «fare giustizia per e con le persone di minore età», in modo da condurle ad assumere un «ruolo costruttivo nella società»607.

Tuttavia, la disposizione di cui all’art. 46 non contiene particolari indicazioni al riguardo, quasi a lasciare intendere che la giustizia riparativa, a differenza di quella tradizionale, non necessita di distinzioni in base ai soggetti che la sperimentano. Da qui la sfida di spiegare e far comprendere al minore che riparare non vuol dire contribuire all’accertamento di un’accusa e che riconoscere i fatti essenziali non equivale a un’ammissione di colpevolezza, sfida che solo un ‹‹capitale umano›› idoneamente supportato da un affidabile apparato che tenga conto delle differenti sensibilità del minore e delle differenti realtà locali può affrontare608.

La giustizia riparativa presa a modello dal legislatore domestico è quella di tipo mediativo, che, avendo come obiettivo principale quello di favorire il raggiungimento di un accordo tra le parti attraverso la partecipazione di un soggetto terzo e neutrale (appunto il mediatore), il cui ruolo è quello di rendere fruibile ai protagonisti il significato del procedimento innestato, esige evidentemente che l’adeguata formazione richiesta sia maggiore nel caso di soggetti minorenni. Invero, in ambito minorile, il mediatore diviene strumento utile non solo a valorizzare la ratio che permea lo specifico procedimento penale – improntato alla rieducazione, alla responsabilizzazione, alla crescita del minore autore del reato, affinché lo stesso costruisca un’identità consapevole nelle relazioni – ma anche a evitare che la giustizia riparativa sia percepita come un obbligo imposto, che induca il minore ad un’adesione forzata e non connotata da spontaneità, in contraddizione con il criterio per cui l’accesso al programma deve avvenire «sulla base del consenso libero e informato della vittima e dell’autore del reato»609.

Un esempio della particolare attenzione rivolta al minore dalla disciplina della giustizia riparativa, si può cogliere già nella formulazione dell’art. 44, che consente l’accesso ai programmi di giustizia «senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità».


7. Le garanzie: gli artt. 47, 48 e 49

Fattore imprescindibile perché un programma possa dirsi di giustizia riparativa è la partecipazione attiva delle parti, intese come persone coinvolte, sia nella gestione dialogica degli effetti distruttivi prodotti dal comportamento deviante, sia nell’individuazione della soluzione del conflitto nascente dal reato, sia nell’attività di supporto e di controllo dei percorsi di riparazione e, pertanto, nel progetto di riappropriazione delle capacità di ascolto e di empatia che maturano nel contesto del dialogo riparativo e della mediazione.

Presupposto indefettibile per l’avvio del programma è l’informazione della persona indicata come autore dell’offesa e della vittima del reato. Al diritto a una corretta, tempestiva, comprensibile, completa e adeguata informazione, volta a garantire una libera e consapevole partecipazione al programma, il legislatore delegato ha dedicato l’intero art. 47, nel quale sono indicati i soggetti sui quali incombe il relativo obbligo di informazione. Primo destinatario dell’obbligo, in ogni stato e grado del procedimento, dalle indagini preliminari sino alla fase dell’esecuzione, è l’Autorità giudiziaria. Invero, appare oltremodo difficile pensare che, in pendenza di un procedimento, sia possibile istaurare un programma di giustizia riparativa destinato a incidere sull’esito del procedimento stesso, senza che sia proprio l’Autorità giudiziaria a inviare la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato al programma, fatta salva la possibilità dei predetti di rifiutarsi ed esclusa la rilevanza dell’eventuale esito negativo del programma per mancata effettuazione o per interruzione o, ancora, per mancato raggiungimento di un esito riparativo.

Nello specifico, ai sensi dell’art. 129-bis, comma 3, cod. proc. pen., introdotto dal legislatore delegato, l’invio degli interessati al programma di giustizia riparativa va inteso come una sorta di autorizzazione indispensabile per l’avvio ai programmi, cui l’Autorità giudiziaria perviene – sempre che ciò non comporti un pericolo concreto per gli interessati e per l’accertamento dei fatti – qualora reputi che lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa possa essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto, tenendo conto dei connotati non del reato, ma del fatto per cui si procede e delle caratteristiche dei soggetti potenzialmente coinvolti. Invero l’avvio del programma ha il solo scopo di «precostituire la cornice giuridica per una prospettiva di incontro tra il potenziale autore del reato e la potenziale vittima.

Nulla di più, nulla di meno»610.

Infatti, mentre nella giustizia contenziosa, il riconoscimento della responsabilità è il punto di arrivo e si configura come vero e proprio accertamento della responsabilità penale, diversamente nella giustizia riparativa il riconoscimento della responsabilità è solo il punto di partenza del percorso e si configura come mero riconoscimento della dimensione conflittuale e offensiva che vivono le parti. Dunque, nell’ambito della giustizia riparativa, il richiamo al concetto di responsabilità deve essere riferito non ad un’ammissione di un qualcosa che è stato compiuto (il fatto di reato), ma a un percorso che si fonda su un progetto condiviso e che conduce le parti in conflitto a rispondere l’una all’altra, nel solco di un’idea di corresponsabilità su quanto è accaduto, sempre che, come detto, ciò non comporti un pericolo concreto per gli interessati. Diversamente, là dove il legislatore, quale presupposto per l’avvio al programma di giustizia riparativa, avesse richiesto il previo accertamento del fatto da parte dell’autorità giudiziaria, sarebbe incorso nella violazione dei principi della presunzione di innocenza di cui all’art. 27, comma 2, Cost. e del diritto di difesa tutelato dall’art. 24, comma 2, Cost. L’art. 47, comma 2, individua gli ulteriori destinatari dell’obbligo di informazione: gli istituti e i servizi del Ministero della giustizia, anche minorili; i servizi sociali del territorio; i servizi di assistenza alle vittime; l’autorità di pubblica sicurezza e gli altri operatori che a qualsiasi titolo sono in contatto con i soggetti interessati. Il catalogo dei soggetti cui l’informazione è dovuta, individuati nell’art. 45, è esteso ai sensi dell’art. 47, comma 4, anche all’esercente la potestà genitoriale, al tutore, all’amministratore di sostegno, al curatore speciale nei casi di cui all’art. 121 cod. pen., nonché ai difensori della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa, ove nominati, nei limiti di cui si dirà. L’art. 47, comma 5, nell’ottica di una partecipazione consapevole, volta a garantire la libera esplicazione del consenso alla partecipazione al programma e l’utilità dello stesso, prevede che l’informazione sia fornita in modo adeguato all’età e alle capacità dei destinatari, con modalità personalizzate che tengano conto delle caratteristiche anagrafiche, socio-culturali, intellettive e di scolarizzazione degli stessi. Sul presupposto che il programma di giustizia riparativa si sostanzia in un processo comunicativo e dialogico611 che postula una conoscenza adeguata della lingua italiana, per le persone alloglotte è stabilito che l’interpretazione e la traduzione degli atti siano effettuate nella lingua madre, salva la possibilità di utilizzare una lingua veicolare (lingua o dialetto usato sistematicamente come mezzo di comunicazione tra popolazioni di diverse lingue materne o dialetti), a condizione che l’interessato ne abbia una conoscenza sufficiente ad assicurare la sua partecipazione effettiva al programma.

Quanto all’espressione del consenso alla partecipazione ai programmi di giustizia riparativa, che può seguire solo a una corretta e compiuta informazione, il legislatore, dopo averne delineato le qualità, ha focalizzato l’attenzione sui soggetti deboli.

Con riferimento al minore d’età, e sulla premessa che il consenso del minore debba essere accompagnato sempre da quello dell’esercente la responsabilità genitoriale o del tutore, il dettato normativo tiene conto dell’attuale quadro normativo che riserva agli ultraquattordicenni molteplici diritti (si pensi, ad esempio, alla possibilità di proporre querela ex art. 120 cod. proc. pen.; al consenso richiesto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 184 del 1983 ai fini dell’adozione; alla possibilità di proporre impugnazione avverso la sentenza di condanna e alla circostanza che, laddove l’impugnazione sia proposta anche dall’esercente la responsabilità genitoriale, si tiene conto soltanto di quella avanzata dall’imputato, quando tra i due atti vi sia contraddizione, ex art. artt. 32 e 34 del d.P.R. n. 448 del 1988), ma grava gli stessi anche di numerose responsabilità conseguenti ai propri comportamenti (si pensi all’imputabilità del minore ultraquattordicenne ex art. 97 del cod. pen.).

In particolare, all’art. 48 è previsto che: - nel caso di infraquattordicenne, il consenso dovrà essere espresso dall’esercente la responsabilità genitoriale o, nei casi di cui all’articolo 121 del cod. pen., dal curatore speciale, previo ascolto e assenso del minore e tenuto conto della sua capacità di discernimento; - nel caso di ultraquattordicenne, al minore spetterà esprimere il proprio consenso, affiancando la propria dichiarazione a quella dell’esercente la potestà e, in caso di difformità tra le due manifestazioni, sarà attribuita prevalenza alla volontà del primo.

Quanto agli altri soggetti, la norma prevede che:

- nel caso di interdetto giudiziale, il consenso sarà prestato dal tutore soltanto previa audizione dell’incapace e, nel caso in cui costui non sia in condizioni di poter essere sentito, il consenso non potrà essere prestato, per suo conto, dal tutore; - nel caso di inabilitato, il consenso sarà espresso dallo stesso e dal curatore; - nel caso di persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, il consenso sarà espresso sulla base delle determinazioni assunte dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno o in provvedimenti successivi, anche emessi ad hoc in relazione allo svolgimento del programma di giustizia riparativa (in tale prospettiva, il legislatore delegato ha inteso richiamare l'attenzione dell'amministratore di sostegno sulla necessità di sottoporre al giudice tutelare la questione della capacità del beneficiario di esprimere da solo il consenso alla partecipazione a un programma di giustizia riparativa ed eventualmente di sollecitare un provvedimento espresso di tale giudice, in linea con il dettato normativo di cui all’art. 405, comma 5, n. 4) cod. civ., da cui si ricava che tutti gli atti che non sono indicati dal giudice tutelare nel provvedimento come obbligatoriamente “assistiti” dall’amministratore di sostegno devono intendersi effettuabili dal beneficiario senza l’assistenza).


8. La natura riservata del percorso di giustizia riparativa

I dialoghi intercorsi tra le parti nell’ambito dei programmi di giustizia riparativa sono confidenziali e riservati. Confidenzialità e riservatezza rappresentano condizioni indispensabili non solo per la buona riuscita di un percorso di giustizia riparativa, ma anche per promuovere quella la fiducia che, a sua volta, facilita il raggiungimento di forme di riconoscimento reciproco e di riparazione. A cagione di ciò, sono previsti limiti, di natura soggettiva e oggettiva, di conoscibilità e di utilizzabilità delle parole che le parti si scambiano nel corso dei colloqui previsti dal programma. Quanto ai primi, è prevista la partecipazione dei difensori, su richiesta delle parti, solo in occasione dei colloqui preliminari (art. 54, comma 2) e della definizione degli accordi relativi all’esito materiale (art. 56, comma 5); è escluso, invece, che gli stessi possano essere presenti allo svolgimento della fase centrale del programma e, dunque, all’incontro delle parti in conflitto, in quanto si è evidentemente ritenuto che la presenza dei difensori finirebbe con il rappresentare una causa di possibile alterazione del dialogo riparativo. Ne deriva che, di regola, l’unico ed esclusivo veicolo di conoscenza rispetto a quanto avvenuto nello spazio riparativo è rappresentato dalla relazione del mediatore.

Quanto agli ostacoli di natura oggettiva, posti a presidio del principio scolpito nell’art. 43, lett. e), del d.lgs. n. 150 del 2022, l’art. 50 sancisce il dovere di riservatezza dei mediatori e del personale dei Centri per la giustizia riparativa rispetto alle attività e agli atti compiuti, alle dichiarazioni rese dai partecipanti e alle informazioni acquisite per ragione o nel corso dei programmi di giustizia riparativa, fatte salve tre deroghe: - il consenso dei partecipanti alla rivelazione; - l’assoluta necessità della rivelazione per evitare la commissione di imminenti o nuovi reati; - l’ipotesi in cui le dichiarazioni rese integrino ex se un reato. La garanzia di riservatezza, alla quale sono tenuti tutti i partecipanti, si estende non solo alla fase successiva alla conclusione del programma di giustizia riparativa, nel caso in cui il programma non proceda in parallelo rispetto al procedimento penale (si pensi, ad esempio, ai reati procedibili a querela, prima che la stessa sia proposta), ma anche alla fase successiva alla definizione del procedimento penale con sentenza o decreto penale irrevocabili, in quanto anche in questo caso la pubblicazione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite è ammessa solo con il consenso dell’interessato, nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali.


8.1. L’inutilizzabilità e il segreto

La confidenzialità e la riservatezza che caratterizzano il percorso di giustizia riparativa si riflettono anche sull’enunciato dell’art. 51, che, con riguardo al procedimento penale, sanziona con l’inutilizzabilità la rivelazione delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nel corso del programma, salva la deroga relativa ai contenuti della relazione del mediatore e quella coincidente con i casi previsti dall’art. 50, comma 1, di cui si è detto. La sanzione, che è volta a tutelare in sede processuale sia l’attendibilità dell’accertamento dei fatti, sia la posizione dell’imputato, escludendo ripercussioni sfavorevoli legate alla sua partecipazione al programma di giustizia riparativa612, struttura un divieto legale di impiego probatorio, censurabile in sede di impugnazione, che va a ripercuotersi sulla decisione e sulla validità della motivazione. Dall’area della sanzione di inutilizzabilità probatoria sono eccettuati solo: - i contenuti della relazione del mediatore di cui all’art. 57 che, in quanto snodo essenziale di tutte le determinazioni processuali conseguenti l’esito riparativo, è soggetta ad acquisizione; - i casi previsti dall’articolo 50, comma 1, ovvero le ipotesi in cui vi sia il consenso di tutti i partecipanti al programma alla rivelazione delle dichiarazioni, la rivelazione sia ritenuta indispensabile dal mediatore per evitare la commissione di imminenti o gravi reati o le dichiarazioni integrino ex se reato. Infine, l’art. 52 tutela il segreto del mediatore per evitare l’utilizzo per scopi investigativi o di accertamento del reato delle interlocuzioni e delle attività svolte nei programmi.

Richiamate espressamente, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 200 cod. proc. pen. in tema di segreto professionale, l’art. 52 stabilisce che il mediatore non può essere obbligato a deporre davanti all’Autorità giudiziaria, né a rendere dichiarazioni davanti ad altra Autorità sugli atti compiuti, sui contenuti dell’attività svolta, nonché sulle dichiarazioni rese dai partecipanti e sulle informazioni apprese per ragione o nel corso del programma di giustizia riparativa, salvo che vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione, che egli stesso ritenga la rivelazione assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati o che le dichiarazioni integrino ex se reato (si pensi, ad esempio, al delitto di calunnia).

Lo scudo del segreto si estende, sul modello dell’art. 103 cod. proc. pen., al sequestro, presso i mediatori e nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa, di carte o documenti relativi all’oggetto del programma, salvo che essi costituiscano corpo del reato, nonché all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni nei luoghi in cui si svolge il programma di giustizia riparativa e di conversazioni o comunicazioni dei mediatori che abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione o nel corso del medesimo programma, salvo che queste siano relative a circostanze sulle quali i mediatori stessi abbiano deposto o che abbiano in altro modo divulgato. Il limite alla rivelazione, che viene presidiato ai commi 3 e 4 dell’art. 51 con una previsione di inutilizzabilità speciale, non è stato allargato, invece, all’ispezione e alla perquisizione. In ossequio alla specificità del modello di giustizia riparativa, l’art. 52, comma 5, stabilisce che il mediatore non ha obblighi di denuncia in relazione ai reati dei quali abbia avuto notizia per ragione o nel corso del programma di giustizia riparativa, salve le tre deroghe previste all’art. 50, comma 1.


9. Lo svolgimento del programma di giustizia riparativa

La disciplina organica della giustizia riparativa è stata elaborata dal legislatore delegato nell’ottica di consentire, a livello normativo, di adempiere alla Direttiva 2012/29/UE, di dare impulso, a livello operativo, alla costituzione di Centri di giustizia riparativa sul territorio e di contribuire, a livello di funzionalità dei programmi di giustizia riparativa, a individuare lo standard di formazione dei relativi operatori e di erogazione dei relativi programmi. Punto focale della giustizia riparativa è la mediazione, intesa come un rito che cerca di trasformare gli effetti distruttivi del conflitto nell’opportunità di trovare la pazienza di ricominciare613 e alla cui regolamentazione il legislatore delegato ha dedicato gli artt. 53, 54 e 55, nei quali sono descritti i modelli, le attività preliminari e le modalità di svolgimento dei programmi di giustizia riparativa. Il modello di mediazione scelto prevede l’incontro tra le parti, la cui interazione è, tuttavia, filtrata dal mediatore. L’art. 53, che introduce la parte normativa dedicata al programma, fissa i punti cardine cui il programma di giustizia riparativa deve conformarsi, individuandoli sia nei soggetti coinvolti, e cioè nelle parti ed eventualmente nei gruppi parentali (nella prospettiva di un governo collettivo del conflitto), sia nel mediatore, al cui lavoro è affidato l’esito del programma tanto sul lato dell’autore quanto sul lato della vittima, sia nel dialogo e, auspicabilmente, nelle scuse.

La norma, che non fornisce un’elencazione tassativa dei programmi di giustizia riparativa, prevede che, nel caso in cui una delle parti non acconsenta al percorso di mediazione, l’incontro possa avvenire tra autore e vittima aspecifica (o surrogata), ossia la vittima di un reato analogo a quello commesso.

A garanzia della terzietà, dell’indipendenza e dell’imparzialità, ma anche al fine di scongiurare il rischio di vittimizzazione secondaria, la norma prevede la presenza di più mediatori, almeno due, che, in vista del primo incontro tra gli interessati, dovranno avere contatti e colloqui con ciascuno dei partecipanti, a fine di: - fornire agli stessi le informazioni previste dall’articolo 47, comma 3, relative alle modalità di accesso e di svolgimento del programma, nonché ai potenziali esiti, agli eventuali accordi tra i partecipanti, alle garanzie e ai doveri; - raccogliere il consenso personale, libero e consapevole delle parti; - verificare la fattibilità del programma stesso, in modo da assicurarsi che le parti possano accedere e partecipare ad esso quando si sentono realmente pronte ad affrontare gli effetti dell’esperienza di vittimizzazione agita e subìta.

Alla vittima dovranno essere comunicati, in modo esaustivo e comprensibile, i benefici che potranno derivare dalla mediazione, facendole presente che gli incontri avverranno in uno spazio strutturato e protetto di ascolto in cui è possibile parlare delle proprie angosce, provare a superare i sentimenti di solitudine e di sfiducia (anche verso le istituzioni) e trovare risposte alle domande che normalmente ci si pone dopo aver subìto un reato.

Al reo sarà comunicato l'invito a comprendere le ragioni del proprio gesto e a riconoscere l'entità dell'offesa arrecata alla vittima. Ai colloqui preliminari, ai sensi dell’art. 54, è consentito alla persona indicata come autore dell’offesa e alla vittima di intervenire con l’assistenza del difensore, il quale, ex art. 56, comma 5, potrà comparire nuovamente sulla scena soltanto in fase di definizione degli accordi relativi all’esito materiale del programma, quando potranno essere necessarie competenze professionali, e non anche, come già si è anticipato, durante gli incontri con i mediatori, per consentire che il programma di giustizia riparativa possa svolgersi in uno spazio protetto di ascolto e di gestione delle emozioni e dei bisogni connessi all’esperienza di vittimizzazione. Una volta ottenuto, attraverso i colloqui preliminari condotti separatamente, il consenso delle parti a entrare in mediazione, al mediatore è lasciato il compito di organizzare l'incontro di mediazione.

Agli spazi e ai tempi per l’espletamento dei programmi di giustizia riparativa è dedicato l’art. 55, con il quale il legislatore delegato ha voluto garantire non solo la buona riuscita del programma, imponendo ai mediatori un atteggiamento non discriminatorio e di eguale attenzione e cura nei confronti dei partecipanti, dei loro bisogni e delle loro emozioni, scevro da contegni giudicanti, parziali o atti ad orientare l’accordo riparativo, ma anche un trattamento dignitoso, professionale e rispettoso di coloro che vi partecipano, che tenga conto delle esigenze e delle capacità dei singoli, evitando che la mediazione si risolva, per la vittima, in una seconda vittimizzazione, e tenendo conto delle difficoltà scaturenti dall’appartenenza delle parti a ceti sociali o nazionalità differenti, o dalla minore età dell’autore o della vittima dell’offesa, con gli annessi problemi di immaturità, di scarsa socializzazione, di inadeguata scolarizzazione.

La norma, inoltre, mette in rilievo la necessaria fase di raccordo tra la giustizia riparativa e il processo – che seguono, l’una, dinamiche soggettive e interiori e, l’altro, dinamiche oggettive e giuridicamente orientate – prevedendo contatti tra autorità giudiziaria e Centri per la giustizia riparativa attraverso comunicazioni intermedie, finalizzate a condividere tempi e aspettative di svolgimento o di chiusura di un programma di giustizia riparativa. Si tratta di una previsione normativa che, evidentemente, troverà applicazione nel momento in cui i Centri per la giustizia riparativa verranno istituiti, con decreti attuativi, dagli organi amministrativi, ai quali è demandata ai sensi degli artt. 63 e 92 anche la fase di ricognizione delle strutture già esistenti.


10. L’esito riparativo

Gli esiti della mediazione meritano una riflessione attenta in vista della loro valutazione ai fini processuali, ai sensi dell’art. 58. Essenzialmente, la riparazione può assumere forma simbolica o forma materiale.

La riparazione simbolica tende al superamento di un evento storico attraverso un gesto che esprime il rimorso ingeneratosi negli autori di un reato e l’impegno dei predetti a non ripeterlo; la sua forma più spettacolare è il pentimento, consistente in un atto pubblico di contrizione.

La riparazione materiale si realizza, invece, non solo mediante un indennizzo, ma anche attraverso l’utilizzo di mezzi concreti e positivi che eliminino in via definitiva le tracce di iniquità storica ancora presenti.

Nulla esclude che i modelli possano essere caratterizzati da spazi di sovrapposizione più o meno ampia: una riparazione materiale, per esempio, può avere una valenza anche simbolica. I tre requisiti dell’accordo di mediazione sono: la volontarietà, la ragionevolezza e la proporzionalità614


10.1. La riparazione simbolica

La riparazione simbolica615 non è agevolmente prevedibile nella sua effettiva portata e, di regola, prevede un duplice passaggio che generalmente avviene durante la mediazione: l’autore del reato manifesta sentimenti di vergogna ed esprime autentico dispiacere per quanto commesso; la vittima, a quel punto, può esplicitare la disponibilità ad accettare scuse formali ed elaborare sentimenti di perdono che, nella giustizia riparativa, ha esso stesso una valenza simbolica in quanto implica la riaccoglienza dell’altro nella comunità allorquando questi abbia ammesso la propria responsabilità e posto in essere gesti di riparazione.

I gesti di riparazione simbolica possono comprendere l’offerta di scuse, la progettazione di momenti o tempi condivisi anche con altri, la definizione congiunta di regole da rispettare per la successiva convivenza o, ancora, l’impegno a svolgere attività socialmente utili presso servizi sociali o culturali, sicché, in quanto vettore di riconoscimento dell’altro, la riparazione simbolica finisce col rappresentare un indicatore irrinunciabile di buona riuscita della mediazione.

Nella riparazione simbolica, ciò che si cerca non è un’equivalenza tra beni, ma un’accettazione dell’altro anche in termini di ‹‹presa di distanza›› che – ed è qui la differenza con l’esito del processo – non è né imposta, né rappresentativa di un conflitto irrisolto o lasciato a se stesso, ma è, piuttosto, conseguenza di una scelta delle parti, che hanno trovato un accordo sulla gestione, anche relazionale, delle conseguenze del conflitto.


10.2. La riparazione materiale

Mentre la riparazione simbolica attribuisce valore alle persone e agisce sulla ricostituzione di una relazione interpersonale, la riparazione pecuniaria attribuisce valore all’offesa, ponendo tre ineludibili questioni616: - l’identificazione del metro quantitativo della riparazione materiale (tema destinato a rimanere irrisolto, perché non esiste in rerum natura un parametro che consenta di commisurare due entità eterogenee come la sofferenza e il denaro); - il significato della riparazione materiale, stante la diversità tra materialità e simbolismo del denaro, mai perfettamente separabili (invero l’indennizzo attribuisce un valore alla sofferenza, a un dramma individuale che acquista così rilevanza ed esistenza obiettive, ma al tempo stesso, toglie individualità all’esperienza rendendola comune, in tutti i sensi del termine, sicché la riparazione pecuniaria è chiamata a muoversi tra la dimensione giuridico-economica della materialità del danno e quella giuridico-morale del riconoscimento dell’altro e della memoria del male617); - gli effetti della riparazione materiale (la cui valenza, prevalentemente satisfattoria rispetto alla perdita economica subita, si presenta molto più problematica quando è in gioco il cd. pretium doloris, posto che, in relazione ad esso, le istanze di giustizia devono fare i conti con quelle legate alla dignità della persona e non sempre la dimensione materiale entra in sintonia con quella morale, sicché, talora, per attivare il riconoscimento ci vuole qualcosa di diverso dal denaro, che abbia a che fare con la persona, da cui discende la sovrapposizione, di cui si è detto, tra riparazione materiale e riparazione simbolica).

La riparazione materiale trova senso nel dialogo tra le parti e diventa la prova dell’impegno a riconoscere il danno cagionato, a non cancellare la memoria del male e, perciò, ad offrire una chance di superamento dell’esperienza di vittimizzazione. Il valore del denaro fa sì che anche il profilo della proporzione tra offesa e riparazione diventi secondario, o quanto meno perda importanza agli occhi delle vittime, rispetto alle possibilità di riconoscimento che si iscrivono in una dimensione relazionale della giustizia618.


11. La valutazione dell’esito

Ai fini strettamente processuali di cui all’art. 58, è importante comprendere quando una mediazione possa dirsi riuscita, sebbene per le parti possano rivelarsi utili anche risultati non immediatamente acquisibili nel processo, in quanto negativi o incerti, ma comunque significativi del cammino di ricostruzione personale o di un patto rinnovato di convivenza sociale619.

L’art. 57 impone la comunicazione all’Autorità giudiziaria dell’esito, positivo o negativo, dei programmi di giustizia riparativa, attraverso la trasmissione della relazione compilata dal mediatore, che contiene la descrizione essenziale dell’accordo di riparazione, ove raggiunto, e del tipo di attività svolta, senza nulla dire circa il contenuto del dialogo tra le parti. In tal modo, da un lato, si garantisce il rispetto della confidenzialità e della riservatezza delle dichiarazioni rese dai partecipanti e, dall’altro, si consente all’Autorità giudiziaria di acquisire il risultato del percorso di giustizia riparativa nei termini essenziali dell’accordo consensualmente raggiunto, senza la prospettiva di un possibile utilizzo in malam parte dell’informazione dell’eventuale fallimento o dell’interruzione del programma di giustizia riparativa, in sintonia con le indicazioni delle fonti sovranazionali620.

Di esito positivo dell’accordo, la cui indicazione compete al mediatore, può parlarsi: - quando è siglato da entrambe le parti un accordo ripartivo simbolico, eventualità nella quale i mediatori descriveranno il percorso che ha condotto all’esito positivo e, previo consenso delle parti, indicheranno i contenuti dell’accordo riparativo; - quando è siglato un accordo risarcitorio che, richiedendo competenze tecniche, necessita della collaborazione dei difensori, la cui presenza si concretizza durante un incontro successivo a quello di mediazione diretta, cui presenziano i mediatori, le parti e i loro rispettivi avvocati; - quando, nei casi di reato procedibile a querela di parte, si giunge alla remissione della stessa e alla correlativa accettazione della remissione o, in assenza di remissione di querela o di accettazione, la mediazione si conclude, comunque, con reciproco riconoscimento, scambio di scuse, ricostruzione condivisa del fatto, eventualità nella quale è onere dei mediatori specificare il raggiungimento di esito positivo, nonostante l’impossibilità di procedere alla remissione di querela; - quando sia stata esperita una mediazione con vittima aspecifica, nell’ambito della quale il mediatore percepisca che vi sia stata, da parte del reo, un’assunzione di responsabilità, sia pure verso una vittima diversa, e sia stata definita una forma di riparazione adeguata rispetto al reato commesso.

Anche in caso di esito negativo o incerto del programma, può rivelarsi utile l’esplicitazione da parte dei mediatori degli indicatori raggiunti e di quelli mancati.

La norma non esclude l’eventualità di inviare una nuova comunicazione all’esito del decorso del tempo che le parti si sono date per verificare gli effetti o la tenuta dell’accordo.

La disciplina del significato, delle fasi e degli esiti della mediazione evidenzia che il legislatore delegato, per un verso, ha guardato al percorso di mediazione nella prospettiva della vittima, destinataria privilegiata dell’intervento di giustizia riparativa e, per altro verso, ha riconosciuto l’importanza del percorso, più che del suo esito, in ragione del fatto che esso può recare benefici alle parti anche se improduttivo di un risultato utilizzabile a fini processuali.


12. I mediatori: artt. 59 e 60

Dando attuazione ai criteri indicati nella legge delega, il legislatore delegato ha disciplinato, agli artt. 59 e 60, la formazione del mediatore e l’individuazione dei requisiti e dei criteri per l’esercizio della relativa attività professionale, nonché le modalità di accreditamento di tali operatori presso il Ministero della giustizia. Alla nozione di ‹‹mediatore esperto in programmi di giustizia riparativa›› è dedicato l’art. 59, che, in ragione della delicatezza del ruolo svolto dal professionista, richiede competenze multidisciplinari e trasversali, idonee a garantire l’ascolto dei percorsi emotivi dei partecipanti e la rielaborazione di eventi traumatici e di comportamenti che, integrando il disvalore sociale tipico del reato, potrebbero essere, sono o sono stati oggetto di accertamento giurisdizionale.

Mediare un conflitto significa non solo pervenire ad un accordo fra le parti, ma anche consentire alle stesse di scoprire le ragioni profonde dei propri comportamenti, di liberarsi dalle dinamiche distruttive che spingono ad aggredire l’altro nuocendo a se stessi e di rimuovere i focolai di eventuali, futuri conflitti621.

Da qui, la considerazione che il ruolo del mediatore è diametralmente opposto a quello del giudice622, in quanto il mediatore dà la parola alle parti in conflitto, in uno spazio riservato, ove vi è piena libertà di esprimere le proprie ragioni, al fine di aiutare le predette a riaprire il dialogo interrotto dal conflitto. Il percorso formativo richiesto – non solo iniziale, ma continuativo – è funzionale, nell’ottica legislativa, a consentire al mediatore di proiettare uno sguardo più ampio sulle vicende umane e sui modi per affrontarle, di andare oltre i fatti oggettivi e di ricercare modalità di superamento del conflitto che affrontino le radici degli eventi che l’hanno generato, sì da dare risposte adeguate alle offese, ai sentimenti compromessi, alle aspettative deluse, al valore e alla dignità.

Poiché ciascuna delle parti in conflitto, attraverso gli incontri di mediazione, prende atto della propria sofferenza, dipendente da un profondo e intollerabile senso di disistima nei confronti propri e del mondo in cui vive, è fondamentale che il mediatore presti attenzione al riconoscimento della dignità nella sua unicità, nel suo valore, indipendentemente dai comportamenti o dai limiti, senza lasciarsi irretire nelle maglie di un contrasto.

A tale scopo, il legislatore delegato ha disciplinato modalità di formazione teoriche e pratiche, volte a garantire il raggiungimento del benessere delle persone in sofferenza, conseguibili attraverso corsi universitari e soprattutto mediante esperienze concrete, sperimentabili nei Centri di giustizia riparativa.

Se, in astratto, tutti coloro che ne hanno i requisiti possono ricoprire il ruolo di mediatori, il concreto banco di prova previsto dalla legge di riforma è rappresentato dal superamento della prova finale teorico-pratica, le cui modalità di svolgimento sono state rimesse alla regolamentazione del Ministro della giustizia che, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell’università e della ricerca e con l’ausilio della Conferenza nazionale per la giustizia riparativa, vi provvederà con decreti attuativi (attualmente in fase di elaborazione).


12.1. Le norme transitorie

Al fine di assicurare il reperimento di mediatori nelle more della messa a sistema della giustizia riparativa e nell’ottica di salvaguardia del patrimonio di esperienza conforme agli standard europei già esistente nel territorio nazionale, la disciplina transitoria prevede: - all’art 92, a garanzia dell’accertamento della qualità dei servizi esistenti, l’affidamento alla Conferenza locale della valutazione del profilo dei mediatori e dell’esperienza maturata da ciascun servizio almeno nell’ultimo quinquennio, nonché della verifica della coerenza delle prestazioni erogate con le disposizioni dettate dagli artt. 42 (definizioni) e 64 (forme di gestione). - all’art. 93, l’iscrizione di diritto nell’elenco dei mediatori esperti: dei professionisti dei servizi di giustizia riparativa già esistenti, a condizione che dimostrino di aver completato un percorso formativo e siano in possesso di un’esperienza almeno quinquennale; delle persone che hanno completato un percorso formativo teorico e pratico, seguito da un tirocinio, e superato una prova pratica valutativa; dei funzionari del Ministero della giustizia in servizio presso i servizi minorili della giustizia o presso gli uffici di esecuzione penale esterna, a condizione che abbiano completato un percorso formativo alla giustizia riparativa in materia penale e siano in possesso di un’adeguata esperienza almeno quinquennale, acquisita in materia nel decennio precedente alla data di entrata in vigore del decreto.

Deve comunque rilevarsi che l’art. 5-novies, introdotto, in sede referente, dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199, di conversione, con modifiche, del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (recante misure urgenti in materia di accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i reati cosiddetti ostativi nonché in materia di obblighi di vaccinazione anti COVID-19 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), con cui si è disposto in via di urgenza il differimento al 30 dicembre 2022 dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 150 del 2022, ha aggiunto all’art. 92 d. lgs. n. 150 del 2022 il nuovo comma 2-bis che dispone, tra l’altro, lo slittamento di sei mesi dell’entrata in vigore, a tutti gli effetti, dei vari percorsi di giustizia riparativa delineati dalla riforma e ciò onde rendere fruibili gli istituti di giustizia riparativa, nel corso del procedimento e in fase di esecuzione della pena, solo allorquando le strutture pubbliche e i mediatori saranno effettivamente disponibili.


13. I Centri di giustizia riparativa e il coinvolgimento degli enti

Attuano la previsione secondo cui i servizi di giustizia riparativa dovranno essere erogati da strutture pubbliche facenti capo agli enti locali, di cui all’art. 1, comma 18, lett. g), della legge n. 134 del 2021, gli artt. 61, 62, 63 e 64. I Centri per la giustizia riparativa sono le strutture pubbliche cui competono le attività necessarie all’organizzazione, gestione, erogazione e svolgimento dei programmi di giustizia riparativa (art. 42, comma 1, lett. g) e possono avvalersi di mediatori esperti dell’ente locale di riferimento, nonché dotarsi di mediatori esperti mediante la stipula di contratti di appalto ai sensi degli articoli 140 e seguenti del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, ovvero avvalendosi di enti del terzo settore ai sensi dell’articolo 55 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, o mediante una convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 56 del medesimo decreto (art. 64, comma 2).

Alle istituzioni nazionali, ai comuni e alle regioni, tutti coinvolti in compiti di elaborazione e realizzazione di percorsi riparativi, è richiesta un’adeguata sensibilità alle aspettative degli utenti e, dunque, la progettazione di servizi di giustizia riparativa in grado di intercettare e valorizzare chi è stato condannato o, comunque, ha dovuto subire il peso e le conseguenze di un’accusa, nonché chi è stato vittima riconosciuta, o ferita doppiamente dal mancato accertamento dei fatti, al fine di liberarla, una volta per tutte, dal ruolo nel quale si ritrova collocata.

Attraverso dettagliate e articolate previsioni, la disciplina pone a carico del Ministero della giustizia, che si avvale della Conferenza nazionale della giustizia riparativa, l’organizzazione amministrativa dei servizi di giustizia riparativa, in modo da garantire, per un verso, la presenza degli stessi sull’intero territorio attraverso la partecipazione dei rappresentanti degli enti locali e, per altro verso, la competenza degli operatori attraverso la partecipazione di esperti in grado di valutare la qualità dei servizi offerti.

È lasciato al Ministero della giustizia il compito di proporre i livelli essenziali delle prestazioni, la cui determinazione è attribuita alla Conferenza unificata StatoAutonomie locali, che opera entro i limiti dei principi e delle garanzie, nonché delle risorse finanziarie stabilite dall’art. 67. Al fine di individuare la migliore soluzione e di evitare una parcellizzazione del sistema, il legislatore delegato ha attribuito ad un organo ad hoc – la Conferenza locale per la giustizia riparativa (istituita presso ciascun distretto di Corte d’appello) – il compito di individuare la migliore soluzione tra quelle offerte dalle esperienze promosse a vari livelli territoriali, evitando di prevedere un modello unico rigido di organizzazione dei servizi, in modo da garantire il rispetto delle peculiarità territoriali mediante l’ascolto dei rappresentanti istituzionali.


14. Il trattamento dei dati personali

Nel rispetto del cd. principio di minimizzazione dei dati personali, l’art. 65 riprende il dettato normativo delle fonti europee623 e domestiche624, limitando la liceità del trattamento dei dati personali alla raccolta di quelli indispensabili, pertinenti e relativi a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui i dati stessi sono raccolti e trattati, salvo il consenso esplicito del soggetto interessato. Al trattamento dei dati personali sono delegati i centri per la giustizia riparativa, sulla base di quanto definito dal Ministro della giustizia, con decreto da adottarsi nel termine di un anno dall’entrata in vigore della disciplina.


15. Il finanziamento: art. 67

In attuazione del PNRR, la disciplina organica della giustizia riparativa prevede il finanziamento dei centri di giustizia riparativa attraverso l’istituzione di un Fondo, con una dotazione di euro 4.438.524 annui, parte del quale, sulla base di criteri di proporzionalità, sarà destinata agli enti coinvolti, i quali potranno concorrere loro stessi, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito dei propri bilanci, al finanziamento dei programmi di giustizia riparativa.


Note:

580

Sul punto: la Risoluzione ONU 12/2002(United Nations, “Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters”, ECOSOC Res. 12/2002); la Raccomandazione del Consiglio d’Europa CM/Rec (2018)8 adottata dal Comitato dei Ministri il 3 ottobre 2018 e la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.

581

Si veda, ad es. il Criminal Justice (Victims of Crime) Act 2017 irlandese che, alla Sezione 26 (Restorative justice), prevede una norma generale lineare e completa sulla giustizia riparativa.

582

M. BARTOLATO, La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo, in Questione giustizia, ottobre 2022, pag. 5.

583

M. BOUCHARD: Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa, in Questione giustizia, marzo 2022, fasc. 2, par.7.

584

M. BARTOLATO, op. cit., pag. 4

585

C.E. PALIERO, La mediazione penale tra finalità riconciliative ed esigenze di giustizia, in AA.VV., Accertamento del fatto, alternative al processo, alternative nel processo, Milano, 2007, p. 125.

586

M. BARTOLATO, op. cit., pag. 12.

587

L. IZZ, Giustizia riparativa, in Il diritto quotidiano, Studio Cataldi, 11 agosto 2022.

588

H. ZEHR, Changing Lenses. A New focus on crime and justice, Herald press, Scottsdale, 1990, pag. 181.

589

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, Il binomio reo-vittima al centro del sistema penale, in La Giustizia riparativa Formanti, parole e metodi, 2017, pag.9.

590

H. ZEHR – A. GOHAR, The little book of restorative justice, Herald press, Scottsdale, 1990, pag. 21 e 40.

591

Art. 1, comma 18, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134.

592

PARISI, La restorative justice alla ricerca di identità e di legittimazione, in www.penale contemporaneo.it, 24 dicembre 2014, p. 3 e ss.

593

PRESUTTI, Aspettative e ambizioni del paradigma riparativo codificato, in www.sistemapenale.it, 14 novembre 2022, pag. 3.

594

BARTOLATO, op. cit., pag. 8.

595

M. DONINI, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Pol. dir., 2021, pag. 606 e ss.

596

Linee di indirizzo del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità in materia di Giustizia riparativa e tutela delle vittime di reato, Ministero della Giustizia, Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, maggio 2019.

597

S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, in Lo Scudo e la spada, Torino 2012, pag. 14

598

M. BARTOLATO, op. cit., pag. 8.

599

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, op. cit., pag. 28

600

Suppl. straordinario n. 5 alla G. U. serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022.

601

M. DONINI, La riparazione (e il risarcimento) nel lessico legislativo comune, in Compliance, negozialità e riparazione dell’offesa nei reati economici, 2018, pag. 597 e ss.

602

Criterio prescritto dalla Regola n. 15 della Raccomandazione del Consiglio d’Europa.

603

M. BARTOLATO, op. cit., pag. 11.

604

M. GIALUZ, op. cit., pag. 15 e ss.

605

Suppl. straordinario n. 5 alla G. U. serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022, pag. 539.

606

https://rm.coe.int/14-dicembre-ita-dichiarazione-venezia/1680a4e07f, Venezia, dicembre 2021.

607

Sul punto: art. 40 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.

608

L. PULITO, Giustizia riparativa e processo minorile nelle prospettive della c.d. “Riforma Cartabia”, in Archiviopenale 2022, fasc. 4, pag. 13.

609

L. PULITO, op. cit., pag. 26 e ss.

610

M. GIALUZ, op. cit., pag. 18 e ss.

611

Suppl. straordinario n. 5 alla G. U. serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022, pag. 544.

612

Suppl. straordinario n. 5 alla G. U. serie generale - n. 245 del 19 ottobre 2022, pag. 546.

613

E. RONCHI, L’infinita pazienza di ricominciare, Romena, Pratovecchio, 2016, pag. 19.

614

Art. 31 della Raccomandazione del Consiglio d'Europa R (99) 19.

615

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, op. cit., pag. 228 e ss.

616

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, op. cit., pag. 226 e ss.

617

A. GARAPON, Chiudere i conti con la storia. Colonizzazione, schiavitù, shoah, Cortina, Milano, 2009.

618

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, op. cit., pag. 228.

619

G. MANNOZZI - G. A. LODIGIANI, op. cit., pag. 267.

620

Direttiva 2012/29/UE, art. 12, e Raccomandazione CM/Rec (2018)8, III, 16 e 17; VI, 49, 50 e 53.

621

M. MARTELLO, La formazione del mediatore. Comprendere le ragioni dei conflitti per trovare le soluzioni, 2013, Utet, pag. XVII.

622

M. MARTELLO, op. cit., pag. 4.

623

Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016.

624

Art. 2-sexies del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196.


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