Sentenze
Cassazione penale , sez. IV , 04/11/2021 , n. 44978
La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest'ultima derivi dall'illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione, sempre che la stessa non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato. (Fattispecie relativa a detenzione sofferta per un reato coperto da indulto e per un reato depenalizzato, in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza che aveva escluso il diritto all'indennizzo ravvisando una condotta gravemente colposa nel ritardo dell'istante nell'eccepire l'abolitio criminis e l'intervenuto indulto, senza attribuire rilievo all'omessa rilevazione delle medesime evenienze da parte dell'autorità giudiziaria).
Fatto
1. La Corte d'appello di Cagliari, con ordinanza resa a seguito dell'udienza camerale del 25 febbraio 2020, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell'interesse di V.A. in relazione al periodo di restrizione carceraria da lui subito in esecuzione della sentenza n. 1605 del 6 maggio 2015 emessa dal Tribunale di Cagliari, con la quale egli era stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione in relazione ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 5 e 10-ter. La condanna diveniva definitiva in data 16 giugno 2015 e veniva quindi emesso ordine di esecuzione, contestualmente sospeso; nell'interesse dell'odierno ricorrente veniva richiesta la misura alternativa dell'affidamento in prova ai servizi sociali; in subordine, veniva chiesta la misura alternativa della detenzione domiciliare. Il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari concedeva quest'ultima misura alternativa con ordinanza del 12 luglio 2016; seguivano, il 18 luglio 2016, l'ordine di esecuzione e, in data 27 luglio 2016, l'arresto del V.. Poiché, successivamente, il V. violava alcune prescrizioni a lui imposte, il Magistrato di Sorveglianza sospendeva la misura alternativa e disponeva la carcerazione dello stesso V., eseguita il 9 febbraio 2017; la misura della detenzione domiciliare veniva poi revocata dal Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, disponendo che l'esecuzione della pena avvenisse nelle forme della detenzione carceraria. Il 5 settembre 2017 il Magistrato di Sorveglianza rigettava un'istanza di liberazione anticipata del prevenuto. Successivamente, il nuovo difensore del V., con due successive istanze rivolte al giudice dell'esecuzione, chiedeva, quanto al delitto di cui al capo B dell'originaria imputazione, la revoca della sentenza del 6 maggio 2015, trattandosi di reato riguardo al quale, a norma del D.Lgs. n. 158 del 2015 (entrato in vigore il 22 ottobre dello stesso anno), era intervenuta depenalizzazione per i fatti relativi ad evasione di imposte inferiore a 250.000,00 Euro (laddove al V. si addebitava di avere evaso l'IVA in ragione di circa 107 mila Euro); quanto al delitto di cui al capo A dell'originaria imputazione, il difensore chiedeva l'applicazione dell'indulto, trattandosi di reato commesso il 30 gennaio 2006. Il Giudice dell'esecuzione, in data 5 ottobre 2017, decideva in conformità alle due istanze e disponeva la scarcerazione del V.. La Corte cagliaritana, pur dando atto dell'ingiustizia della restrizione patita dal V. (protrattasi, nel totale, per un anno, due mesi e otto giorni), ha rigettato l'istanza, atteso che non vi è alcun automatismo fra il ricorrere dell'ingiustizia predetta e la spettanza dell'indennizzo, dovendosi invece verificare se il perdurare dell'ingiusta detenzione non fosse dovuto a un comportamento doloso o gravemente colposo del condannato: comportamento che la Corte di merito ritiene sussistente, con effetto ostativo sull'accoglimento dell'istanza. Osserva infatti la Corte che il V., in luogo di chiedere l'applicazione di una misura alternativa alla detenzione, ben avrebbe potuto chiedere fin da subito l'applicazione dell'indulto quanto al reato di cui al capo A; nella specie il grado della colpa del V. è stato reputato particolarmente grave, avendo l'instante beneficiato già per numerose volte del medesimo istituto a partire dal 1973. Del pari, ben poteva il V. chiedere l'intervento del giudice dell'esecuzione in relazione al reato di cui al capo B, atteso l'effetto abrogativo del D.Lgs. n. 158 del 2015 sulle violazioni che si collocassero al disotto di un determinato valore-soglia di imposta evasa, come era accaduto nel suo caso. In aggiunta a ciò, il comportamento (quanto meno) gravemente colposo del V. è stato ravvisato dalla Corte di merito anche nella fase della richiesta di ammissione a una misura alternativa, allorché, per poter fruire dell'affidamento in prova, egli cercò falsamente di accreditare il fatto che egli disponesse di un lavoro; ed anche in seguito, durante il periodo trascorso in regime di detenzione domiciliare, il V. si rese protagonista di reiterate violazioni delle prescrizioni connesse alla misura de qua. 2. Avverso la prefata ordinanza ricorre il V., affidando le sue doglianze a tre motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione: poiché, infatti, la Corte d'appello ha riconosciuto che l'ordine di esecuzione della sentenza di primo grado era stato emesso illegittimamente, la stessa Corte doveva considerare che, in base al quadro ordinamentale sovranazionale di riferimento, il ristoro spettava al V. indipendentemente da ogni valutazione circa un suo comportamento doloso o gravemente colposo: il limite del dolo o della colpa grave, osserva l'esponente, è stato introdotto essenzialmente per le misure cautelari alle quali il richiedente, destinatario della loro applicazione, avesse dato causa o contribuito a dare causa ponendo in essere un comportamento causalmente idoneo a creare l'apparenza di un quadro indiziario e cautelare tale da giustificare l'adozione delle statuizioni custoditili. Nel caso di ordine di esecuzione illegittimo, invece, non vi è altro che un errore dell'amministrazione della giustizia, a fronte del quale chi ne rimane vittima merita senz'altro un ristoro. 2.2. Con il secondo motivo(il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al particolare grado della colpa del V. nel non richiedere al Giudice dell'esecuzione l'applicazione dell'indulto: non rileva, infatti, la precedente fruizione del medesimo istituto da parte dell'odierno ricorrente, dovendo di contro considerarsi che nessuno dei magistrati succedutisi nel tempo ebbe a rilevare che al V. spettava, per il reato di cui al capo A, il riconoscimento dell'indulto, e di ciò non può farsi carico allo stesso V., neppure invocando la disposizione di cui all'art. 5 c.p.. Quanto poi al delitto di cui al capo B, ricorda l'esponente che l'ordine di esecuzione della condanna fu notificato al V. il 31 ottobre 2015, successivamente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, dal quale discendeva l'abolitio criminis per le condotte che si collocavano al disotto di un determinato valore-soglia (come nel caso dell'odierno ricorrente): da tale disposizione discendeva che l'ordine di esecuzione diveniva eo ipso illegittimo, con la conseguenza che le successive condotte poste in essere dal condannato non hanno alcuna rilevanza. Contesta infine l'esponente le valutazioni della Corte cagliaritana nell'aver negato la riparazione in relazione alla condotta posta in essere dal V. nell'ambito dell'istanza di affidamento in prova ai servizi sociali e, in specie, al fatto di non disporre, all'epoca, di un'idonea occupazione. 2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta nuovamente violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al fatto che il V., ove non avesse mantenuto una condotta negligente, avrebbe potuto avere accesso all'affidamento in prova, in relazione al quale, secondo la Corte di merito, sarebbe peraltro precluso il riconoscimento dell'indennizzo: assunto, quest'ultimo, che il ricorrente contesta, ricordando una pronunzia in cui la Terza Sezione penale della Corte di legittimità ha affermato l'assimilazione fra affidamento in prova ed esecuzione in forma detentiva. Al riguardo, subordinatamente all'accoglimento del motivo in esame, il deducente sollecita la devoluzione alle Sezioni Unite, affinché venga risolto il contrasto giurisprudenziale tra l'indirizzo della Terza Sezione penale ed altre sentenze di segno opposto. 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Diritto
1. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono fondati, nei sensi di cui appresso. Devono innanzitutto riconoscersi la peculiarità della vicenda e l'oggettiva ingiustizia della restrizione patita dal V., non rilevata dai giudici che si occuparono della vicenda fin dalla condanna dell'odierno ricorrente; è da tale dato fondamentale che occorre partire per verificare se, nel tardivo ricorso al giudice dell'esecuzione, possa o meno ravvisarsi il concorso di un comportamento - quanto meno - gravemente colposo del V. medesimo. Nell'ordinanza impugnata - ed anche nello stesso ricorso - viene richiamata la sentenza n. 310/1996, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 314 c.p.p., nella parte in cui non prevede il diritto all'equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione. Orbene, è noto al Collegio l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione è configurabile anche ove quest'ultima derivi dall'illegittimità, originaria o sopravvenuta, dell'ordine di esecuzione, sempre che la stessa però non dipenda da un comportamento doloso o colposo del condannato (da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 17118 del 14/01/2021, Marinkovic, Rv. 281151; Sez. 4, Sentenza n. 57203 del 21/09/2017, Paraschiva, Rv. 271689): comportamento nella specie ravvisato dai giudici cagliaritani. Così come è noto che il comportamento doloso o gravemente colposo del condannato "va ovviamente ricercato in stretto rapporto all'atto giudiziario di cui trattasi. In concreto, occorre domandarsi se il comportamento del condannato abbia concorso - dolosamente o colposamente - a determinare il ritardo nella emissione di un nuovo ordine di esecuzione recante la (corretta) data della fine dell'espiazione della pena" (così la già citata Sez. 4, Sentenza n. 57203 del 21/09/2017). Tuttavia, oltre a ciò, occorre chiedersi se, avuto riguardo alle anzidette peculiarità del caso, il comportamento del V. possa nella specie oggettivamente definirsi colposo (o addirittura "gravemente colposo", in termini cioè ostativi al riconoscimento della riparazione) laddove il suo ritardo nell'eccepire l'abolitio criminis e l'intervenuto indulto si è accompagnato ad un'omessa rilevazione delle medesime evenienze da parte dell'autorità giudiziaria. Nella specie, la motivazione dell'ordinanza impugnata fa invero riferimento alla tardività della sollecitazione, da parte del V., di un intervento del Giudice dell'esecuzione, sia con riferimento al riconoscimento dell'indulto relativamente al delitto di cui al capo A, sia con riguardo all'intervenuta depenalizzazione del reato contestato al capo B: ciò a fronte del fatto che, per ambedue i capi d'imputazione posti a base dell'ordine di esecuzione, il V. ben avrebbe potuto attivarsi prima ancora dell'esecutività della condanna emessa a suo carico. Tuttavia appare indubbio che, in relazione ai reati per cui il V. era stato condannato, i giudici di sorveglianza e (almeno in parte) quelli della cognizione che si occuparono del caso ben potevano e dovevano rendersi conto, anche a prescindere dall'iniziativa del condannato, dell'applicabilità di istituti che avrebbero caducato il titolo esecutivo ed evitato così all'odierno ricorrente la sottoposizione a regime restrittivo. Invero, già all'atto della sentenza di condanna il Tribunale avrebbe potuto e dovuto accorgersi che il reato di cui al capo A, commesso nel gennaio 2006 e rientrante fra quelli condonabili, era coperto da indulto; quanto al reato di cui al capo B, la sopravvenuta depenalizzazione ben poteva essere rilevata nell'ambito del procedimento di sorveglianza. Di tal che non appare sostenibile che la mancata proposizione della questione da parte del V. (per il tramite dei difensori che gli prestavano assistenza) possa essere eo ipso imputata all'odierno ricorrente a titolo di colpa grave ostativa all'indennizzo. In tale quadro, non appaiono decisivi né il fatto che il V., allo scopo di beneficiare dell'affidamento in prova ai servizi sociali, ebbe a dichiarare falsamente di disporre di uno stabile e idoneo lavoro, di cui però emergeva l'inesistenza, né il fatto che nel corso dell'esecuzione della misura alternativa della detenzione domiciliare, lo stesso condannato si rese responsabile di plurime violazioni delle prescrizioni a lui impartite nell'ambito della restrizione domiciliare cui egli era sottoposto. Detti comportamenti, in realtà, trovavano causa in una condizione detentiva originariamente ingiusta, cui il V. poteva essere sottratto fin dall'inizio. Quand'anche volesse ravvisarsi nella condotta del V. un coefficiente di colpa, occorrerebbe comunque affrontare il tema - pure proposto dal ricorrente del grado di colpa nella specie configurabile: ossia se l'inerzia del sunnominato, ove riconosciuta come fattore concausale nell'ingiusta detenzione, potesse dirsi dovuta a colpa "grave" a fronte - lo si ripete - del fatto che gli istituti di cui il V. avrebbe dovuto sollecitare l'applicazione non erano stati neppure rilevati d'ufficio dai giudici ai quali lo stesso V. si era rivolto nel tempo successivo alla sua condanna. 2. Il provvedimento impugnato va pertanto annullato con rinvio alla Corte d'appello di Cagliari, per nuovo giudizio.
PQM
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte d'appello di Cagliari. Così deciso in Roma, il 4 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2021
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