Incompatibilità carceraria e gravi patologie: il limite della presunzione assoluta per il 416-bis (Cass. Pen. n.29373/25)
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Incompatibilità carceraria e gravi patologie: il limite della presunzione assoluta per il 416-bis (Cass. Pen. n.29373/25)

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1. Premessa

Il tema dell’incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con la custodia in carcere costituisce il terreno in cui si confrontano due esigenze contrapposte: da un lato, la tutela della vita e della dignità della persona ristretta, sancita dall’art. 27, comma 3, Cost. e dagli artt. 2 e 3 CEDU; dall’altro, l’effettività delle misure cautelari nei confronti di soggetti accusati di reati di particolare allarme sociale.

La sentenza in commento, resa dalla sezione feriale della Cassazione ribadisce con nettezza i criteri di valutazione del giudice della cautela e i confini del sindacato di legittimità.


2. I fatti

Il ricorrente, imputato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso e plurime estorsioni aggravate, aveva chiesto la revoca della custodia in carcere per gravi condizioni di salute (patologie cardiache, neurologiche e respiratorie).

Dopo una prima perizia (prof. Ba.Al.) e una consulenza di parte (dr. Tr.An.), entrambe favorevoli all’incompatibilità, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria disponeva una nuova perizia (dr. Ru.Ma.), giunta a conclusioni opposte.

Annullata una prima ordinanza per difetto di confronto critico tra i contributi tecnici, il giudice del rinvio confermava comunque la compatibilità con il regime detentivo, ritenendo le cure praticabili intra ed extra moenia.

Il ricorso per cassazione insisteva sulla frammentazione delle valutazioni, sull’assenza dell’apparecchio CPAP per apnee notturne e sulla mancata considerazione della complessità delle patologie.


3. La decisione

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, sottolineando come il Tribunale del riesame avesse correttamente adempiuto al mandato della sentenza rescindente.

Il giudice del rinvio aveva infatti svolto un confronto critico tra le diverse perizie, spiegando perché l’approccio concreto e fondato sulla documentazione clinica del perito Ru.Ma. dovesse prevalere su quello del prof. Ba.Al., giudicato eccessivamente teorico e internamente contraddittorio.

La Cassazione ha poi ricordato i limiti invalicabili del giudizio di legittimità: non è compito della Suprema Corte riesaminare nel merito le condizioni sanitarie del detenuto, né attribuire rilievo a certificazioni mediche prodotte per la prima volta in questa sede.

Eventuali sviluppi clinici successivi alla decisione impugnata possono essere valorizzati soltanto attraverso nuove istanze rivolte al giudice della cautela.

Infine, la pronuncia ribadisce un principio ormai consolidato: la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per i reati di mafia può cedere soltanto in presenza di una comprovata e assoluta incompatibilità con il regime detentivo.

In tale nozione rientra non solo l’assistenza sanitaria intramuraria, ma anche quella assicurabile mediante il ricorso a strutture penitenziarie specializzate o a ricoveri esterni ex art. 11 o.p.


4. Conclusioni

Il provvedimento conferma un orientamento consolidato:

  • la necessità di controlli specialistici o di terapie continuative non basta a integrare l’incompatibilità con il regime carcerario;

  • la nozione di “regime carcerario” si estende al circuito delle strutture sanitarie penitenziarie e agli ospedali civili utilizzabili ex art. 11 o.p.;

  • la valutazione della compatibilità deve essere compiuta dal giudice della cautela in modo aggiornato ma con riferimento al momento della decisione; il giudizio di legittimità resta confinato al controllo sulla tenuta logica della motivazione.

La sentenza, inoltre, ribadisce un principio di rigore nei confronti dei soggetti accusati di criminalità organizzata, la presunzione di adeguatezza della custodia carceraria non è facilmente scalfibile e impone un accertamento particolarmente stringente sulla gravità delle condizioni sanitarie.

La decisione ha il merito di chiarire, una volta di più, che la tutela della salute in carcere non coincide con il diritto a ricevere la migliore terapia possibile, ma con il diritto a cure efficaci e idonee a preservare la dignità della persona.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. fer., 05/08/2025, (ud. 05/08/2025, dep. 08/08/2025), n.29373

RITENUTO IN FATTO


1. L'ordinanza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il 17 aprile 2025 dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria che, decidendo quale giudice del rinvio dopo annullamento della sesta sezione penale, ha respinto l'appello presentato nell'interesse di Fe.Gi. avverso il provvedimento del Tribunale di Palmi, che aveva rigettato la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicatagli per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa (precisamente, alla cosca di 'ndrangheta Omissis) e per vari episodi di estorsione, tentata e consumata, alcuni dei quali aggravati ex art. 4166/bis.1 cod. pen.


L'incidente cautelare aveva preso le mosse dalla richiesta di revoca o sostituzione della custodia in carcere applicata a Fe.Gi., avanzata da quest'ultimo al Tribunale di Palmi. Il Tribunale investito dell'istanza aveva nominato quale perito il prof. Ba.Al., che aveva concluso per l'incompatibilità delle condizioni del detenuto con il regime carcerario, in ragione delle plurime patologie da cui il medesimo è affetto; negli stessi sensi aveva concluso il consulente della difesa, il dr. Tr.An.. Alla perizia Ba.Al. era seguito un approfondimento del collegio di Palmi, che aveva disposto il ricovero dell'imputato presso l'ospedale di Palermo; all'esito del ricovero, la direzione sanitaria del carcere di Palermo aveva chiarito, con apposita relazione, e successivamente ribadito, che le patologie di Fe.Gi. potevano essere trattate sia all'interno della casa circondariale, sia facendo ricorso a strutture sanitarie esterne ex art. 11 o.p. Valutato il complesso degli accertamenti svolti, il Tribunale di Palmi aveva respinto la richiesta de libertate.


Il provvedimento reiettivo era stato impugnato ex art. 310 cod. proc. pen. dinanzi al Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che aveva disposto ulteriore perizia, affidando l'incarico al dr Ru.Ma., che aveva concluso per la compatibilità delle condizioni del detenuto con il regime carcerario, conclusioni confermate in udienza dal perito nel contraddittorio delle parti. Il Collegio della cautela, poi, avendo appreso della prescrizione del presidio autoCPAP da parte di sanitari dell'ospedale di Palermo per sindrome da apnee notturne di grado lieve, avvenuta nelle more dell'espletamento della perizia (il primo agosto 2024), aveva chiesto conto all'area sanitaria della casa circondariale, che aveva comunicato che il presidio non era stato ancora fornito e che era programmata visita pneumologica. L'appello era stato, quindi, respinto.


L'ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. era stata impugnata con ricorso per cassazione presentato dai difensori di Fe.Gi.; la sesta sezione di questa Corte l'aveva annullata, ravvisando una lacuna argomentativa nel non avere posto a confronto la perizia del dr. Ru.Ma. con quella del precedente perito prof. Ba.Al. e con la relazione del consulente della difesa dr. Tr.An.


Il giudizio di rinvio celebrato dinanzi a diverso Collegio del Tribunale del riesame di Reggio Calabria si è concluso nuovamente con il rigetto dell'appello.


In particolare, il Collegio della cautela ha richiesto informazioni aggiornate alla casa circondariale di Palermo sulle condizioni sanitarie del detenuto, in maniera specifica sulle patologie cardiache e neurologiche, nonché sull'esito e sulla programmazione delle visite e sulla somministrazione della terapia ventilatoria. Il Tribunale ha poi passato in rassegna, nel dettaglio, le conclusioni del perito dr. Ru.Ma., sia per quanto concerne le patologie in sé, sia per ciò che attiene alle cure interne ed esterne al carcere che vengono garantite al detenuto. Un paragrafo del provvedimento è dedicato ad una riflessione specifica del Collegio della cautela sulla sindrome da apnee notturne e altro snodo dell'ordinanza impugnata riguarda il vaglio diretto, da parte del giudice dell'appello cautelare, delle cure che sono apprestate al detenuto in ambito intra ed extracarcerario.


2. Il ricorso presentato dai difensori di Fe.Gi. contro l'ordinanza del Tribunale del riesame emessa in sede di rinvio si compone di quattro motivi, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 275, comma 4-bis e 627, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione.


Assume il ricorrente che, a dispetto del mandato della sentenza rescindente, il Tribunale del riesame avrebbe perseverato nel non porre a confronto i contributi tecnici, limitandosi ad una critica della perizia Ba.Al., senza tuttavia analizzare puntualmente il percorso logico-scientifico del perito, senza spiegare perché i dati fattuali su cui l'esperto aveva fondato le proprie conclusioni fossero erronei e senza chiarire perché le conclusioni del primo perito fossero meno convincenti di quelle del secondo. Così facendo, il Collegio de liberiate non si sarebbe attenuto alla giurisprudenza di questa Corte, che impone al giudice di fornire adeguata e logica motivazione quando intenda discostarsi dalle conclusioni di un perito o di un consulente di parte. Tanto più - prosegue il ricorrente - che l'incompatibilità con il regime carcerario non richiede una patologia terminale o irreversibile, ma è sufficiente che le condizioni di salute del soggetto ristretto siano particolarmente gravi e incompatibili con le cure erogabili in ambito penitenziario, tanto da pregiudicare seriamente la dignità e la vita del detenuto o la possibilità di un efficace trattamento sanitario. Mentre la perizia Ba.Al. - aggiunge il ricorrente - era stata stilata facendo riferimento ad esami specifici e strumentali, valutando quelli effettuati ed allarmandosi per quelli non svolti, la perizia Ru.Ma. era stata redatta dopo una visita di pochi minuti, senza fare riferimento ad alcun accertamento diagnostico e senza spiegare le conclusioni circa la compatibilità con la detenzione in carcere. Il ricorrente insiste, in particolare, sulla criticità delle sue condizioni cardiache e cardiocircolatorie.


Altra carenza motivazionale - prosegue il ricorrente - atterrebbe alla circostanza che, ad onta delle conclusioni difformi dal precedente parere, il dr. Ru.Ma. aveva fatto riferimento a tutti gli accertamenti compiuti dal prof. Ba.Al.; inoltre il Tribunale del riesame avrebbe taciuto sull'integrazione di perizia redatta da Ba.Al. dopo la formulazione di osservazioni da parte del pubblico ministero.


2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta gli stessi vizi. Il ricorrente assume che il Tribunale del riesame non avrebbe attuato una valutazione complessiva e unitaria delle plurime patologie da cui è affetto, limitandosi ad un'analisi parcellizzata delle singole malattie e trascurando la potenzialità sinergica di tutte.


Il Collegio della cautela avrebbe altresì errato quando, rispetto alla necessità del trattamento CPAP, ha attribuito rilievo alla programmazione di visite mediche, in realtà mai effettuate. Avuto riguardo alla patologia neurologica, essa era peggiorata nel giro di un anno, tanto che i sanitari che hanno in cura Fe.Gi. avevano triplicato la posologia dei farmaci ed avevano prescritto terapie fisiatriche, fisioterapiche e logopedistiche, che non verranno mai praticate.


Il Collegio de liberiate - prosegue il ricorso - avrebbe:


omesso di valutare la concreta possibilità di un approccio multidisciplinare alle patologie, limitandosi a considerare la mera disponibilità teorica di presidi sanitari - trascurato l'impatto dello stress carcerario sull'aggravamento delle patologie cardiache e neurologiche già evidenziato nella perizia Ba.Al.;


erroneamente dato rilievo alla possibilità teorica di ricoveri esterni ex art. 11 o.p.


2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione dell'art. 11 I. 354 del 1975 e omessa motivazione quanto alla possibilità concreta che la casa circondariale di Palermo possa assicurare le cure necessarie al detenuto.


2.4. Il quarto motivo di ricorso deduce violazione dell'art. 275, comma 4-bis cod. proc. pen. e vizio di motivazione proprio quanto a quest'ultima, concreta possibilità di cure interne all'istituto ed al rischio che, a prescindere dall'esistenza di un pericolo di vita, le patologie del detenuto possano determinare un livello esistenziale degradato, al di sotto della soglia di dignità che deve essere garantita anche in ambito detentivo.


Ribadendo quanto già lamentato nei precedenti motivi di ricorso circa il dovuto confronto tra le condizioni complessive del detenuto e le cure che gli . possono essere apprestate in costanza di detenzione, il ricorrente ha altresì dubitato che il Tribunale avesse verificato l'effettiva possibilità di cura. In particolare, il ricorso sottolinea che l'ordinanza impugnata sarebbe viziata per non avere valutato l'impatto, sulle condizioni di Fe.Gi., della mancanza dell'apparecchio CPAP, sulla cui fornitura non erano stati effettuati accertamenti.


3. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso, evidenziando, da una parte, la genericità del ricorso e il tentativo di ottenere un'esegesi alternativa del materiale a disposizione, e, dall'altra, la completezza del percorso motivazionale del Tribunale del riesame, sia quanto al raffronto tra i contributi tecnici, sia quanto alla verifica delle cure apprestate al detenuto.


4. Il 24 luglio 2025, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria di replica alla requisitoria del Procuratore generale, insistendo per l'accoglimento del ricorso e ribadendo le argomentazioni esposte nell'impugnativa.


CONSIDERATO IN DIRITTO


Il ricorso è inammissibile.


1. Il primo motivo di ricorso lamenta vizio di motivazione e violazione di legge quanto al raffronto attuato dal Tribunale del riesame, in ossequio al mandato della sentenza di annullamento con rinvio, tra la perizia Ba.Al. e la consulenza Tr.An., da una parte, e la perizia Ru.Ma., dall'altra.


1.1. Richiamata l'illustrazione dell'iter del procedimento già svolta, il Collegio ritiene che il primo motivo di ricorso sia manifestamente infondato e sostanzialmente aspecifico quando critica l'ordinanza impugnata, giudicando assente il dovuto confronto tra i contributi degli esperti e, soprattutto, l'illustrazione delle ragioni per cui va data prevalenza alle conclusioni del dr. Ru.Ma. rispetto a quelle del prof. Ba.Al. e del dr. Tr.An., come da mandato della sentenza rescindente.


La manifesta infondatezza e la genericità estrinseca del ricorso si colgono nel fatto che il Tribunale del riesame, contrariamente a quanto assume la parte, ha svolto adeguatamente lo scrutinio che gli era demandato dalla sesta sezione penale.


In particolare, il Collegio della cautela ha vagliato la perizia Ba.Al. - e, a dispetto di quanto si legge nel ricorso, anche la sua integrazione - per concludere che l'opinione dell'esperto è incentrata, in maniera decisamente prevalente, sull'inquadramento teorico delle patologie da cui Fe.Gi. è affetto piuttosto che sull'analisi del loro impatto sulla sua persona; ancora, l'approccio del perito - ha pure osservato il Collegio della cautela - non ricomprende anche il dovuto vaglio circa la possibilità che le patologie che affliggono il ricorrente possano essere trattate in ambito carcerario, anche grazie all'ausilio di strutture esterne, strutture peraltro nel concreto ripetutamente utilizzate; infine il Tribunale ha colto un altro limite della perizia Ba.Al. nel fatto che il perito non ha chiarito quale dovrebbe essere l'approccio diagnostico e terapeutico più corretto che i responsabili sanitari dell'amministrazione penitenziaria non avrebbero offerto al ricorrente.


Il Tribunale ha poi tratto la conferma della completezza delle indagini sanitarie disposte a cura dell'amministrazione penitenziaria dall'elencazione contenuta nella stessa perizia Ba.Al., nonché dalla documentazione concernente le visite svolte successivamente alla conclusione dei lavori del perito; ha poi ravvisato la contraddittorietà del perito quando questi aveva affermato che in carcere erano state apprestate al detenuto tutte le cure necessarie e poi aveva concluso diversamente, omettendo altresì di chiarire quale dovesse essere il percorso diagnostico e terapeutico alternativo, anche da attuarsi presso strutture sanitarie esterne.


Le criticità ravvisate nella perizia Ba.Al. si riverberano - così l'ordinanza impugnata -anche sulla consulenza Tr.An., che è allineata alla prima.


Dopo aver attuato l'analisi di cui sopra, il Tribunale del riesame ha poi esaminato lungamente anche la perizia Ru.Ma. e le dichiarazioni del perito rese in udienza nel contraddittorio delle parti, evidenziando quali fossero i passaggi (esame della documentazione a disposizione, delle perizie e visita del detenuto) che avevano condotto l'esperto a concludere per la compatibilità con il regime carcerario, come già recepita dalla prima ordinanza di rigetto dell'appello e dettagliata in ragione delle singole patologie. Quanto al dato comparativo, il Tribunale ha esaltato l'approccio del dr. Ru.Ma., caratterizzato da un'analisi concreta della situazione del periziando e del trattamento diagnostico e terapeutico che gli era stato riservato. Tale approccio - si legge nel provvedimento impugnato - va preferito a quello del prof. Ba.Al., in quanto depurato da quell'impostazione teorica che aveva nuociuto all'affidabilità delle conclusioni del primo perito.


Il Collegio de liberiate ha, poi, valutato ancora una volta la documentazione medica concernente le visite e gli altri presidi diagnostici assicurati al detenuto e i loro risultati, nonché ha preso atto dei due ricoveri pure disposti dall'amministrazione carceraria e delle tre relazioni sanitarie dei responsabili medici della casa circondariale, per concludere che il materiale a disposizione confortasse le conclusioni del dr. Ru.Ma.


1.3. Ciò posto, il quadro sopra delineato rende ragione della manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso che, indulgendo ripetutamente in un approccio aspecifico, si limita a negare lo svolgimento del necessario confronto critico tra le perizie di segno opposto da parte del Tribunale de liberiate; confronto che, al contrario, vi è stato e che è stato reso nel provvedimento impugnato con motivazione effettiva e priva di vizi logici, rispetto alla quale il ricorrente oppone una propria lettura del materiale a disposizione, che non può essere vagliata e recepita da questa Corte, se non forzando i limiti del giudizio di legittimità.


Limiti che il ricorrente pare trascurare anche quando pretende, da questa Corte, l'utilizzazione per la decisione di un certificato, allegato al ricorso, relativo ad una visita medica avvenuta il 15 maggio 2025, documento che il Collegio non può vagliare per due ragioni, collegate tra loro.


La prima è che, nel giudizio di legittimità, come affermato anche in materia cautelare (sia pure reale), possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l'interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano "prova nuova" e non comportino un'attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Moretti, Rv. 277609; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Sanvitale, Rv. 266390) e dai quali possa derivare l'applicazione dello ius superveniens, di cause estintive o di disposizioni più favorevoli (Sez. 3, n. 20068 del 15/04/2025, Sansone, Rv. 288064 - 01). In particolare, Sez. 2 Moretti, ha ricordato che "Gli articoli 585, comma 4, e 311, comma 4, c.p.p. (....) consentono, rispettivamente In generale nel giudizio di impugnazione, ed in particolare nei giudizio di legittimità, la formulazione di "motivi nuovi", non anche la produzione di "documenti nuovi". Ciò, già sotto un profilo strettamente letterale, non può essere senza significato. (....) Invero, i documenti esibiti per la prima volta in sede di legittimità non sono ricevibili perché il nuovo codice di rito non ha previsto all'art. 613, diversamente dall'abrogato art. 533, tale facoltà: si è, in tal modo, inteso esaltare il ruolo di pura legittimità della Suprema Corte, che procede non ad un esame degli atti, ma soltanto alla valutazione dell'esistenza e della logicità della motivazione".


La seconda ragione che ha spinto il Collegio a reputare non utilizzabile per l'odierna decisione il certificato predetto è che lo scrutinio che è oggi richiesto a questa Corte attiene all'esistenza di eventuali vizi ex art. 606 cod. proc. pen. nel provvedimento del Tribunale dell'appello cautelare, da vagliare sulla base di quanto era a disposizione del Collegio de libertate per la decisione alla data del 17 aprile 2025, senza poter attribuire rilievo eventualmente demolitorio di quella decisione ad un'evenienza successiva - nella specie un referto medico che la parte assume avere valenza difensiva - che il Tribunale naturalmente non poteva conoscere e valutare.


Ciò non toglie che gli accadimenti e la documentazione successiva alla decisione impugnata possano essere posti dalla difesa a base di una nuova istanza di revoca o sostituzione rivolta al giudice della cautela.


2. Il secondo motivo di ricorso - che contesta il vaglio del Tribunale del riesame sul profilo dell'incompatibilità - è inammissibile in quanto pretenderebbe da questa Corte uno scrutinio di merito sulla compatibilità delle condizioni di Fe.Gi. con la restrizione carceraria che non è possibile attuare in sede di legittimità, se non addentrandosi in considerazioni di fatto o, peggio, in valutazioni mediche del tutto estranee al sindacato di questa Corte. La Corte di cassazione, infatti, non può formulare giudizi diretti sulla condizione sanitaria del detenuto, dal momento che è chiamata a vagliare la motivazione dell'ordinanza impugnata che li abbia valutati e non la correttezza tecnica delle opinioni in sé.


D'altro canto la motivazione del Tribunale del riesame che ha valorizzato la possibilità di ricorso a strutture sanitarie esterne ex art. 11 o.p. risponde all'impostazione della giurisprudenza di questa Corte - che il Collegio intende oggi ribadire - secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il riconoscimento della necessità di periodici controlli, clinici e strumentali, preordinati alla valutazione nel tempo delle condizioni patologiche riscontrate ed alla pianificazione della terapia farmacologica più congrua, anche a mezzo di brevi ricoveri presso ambiente specialistico esterno al circuito carcerario, non determina di per sé uno stato di incompatibilità rilevante, ex art. 275, comma 4-bis, cod. proc. pen., ai fini dell'operatività del divieto di custodia in carcere, che richiede lo stato morboso in atto, potendo, siffatte esigenze, essere salvaguardate ai sensi dell'art. 11 o.p., con il trasferimento del detenuto in idonei centri clinici dell'amministrazione penitenziaria o in altri luoghi di cura esterni, con il conseguente diritto ad ottenere, in tal caso, detti trasferimenti (da ultima, Sez. 5, n. 17047 del 16/02/2024, M., Rv. 286333 - 01). A ciò si aggiunga che, in un caso come quello vagliato dal Tribunale di Reggio Calabria, si giustifica una particolare severità nella valutazione della possibilità che la condizione personale del detenuto conduca ad una sua fuoriuscita dal circuito carcerario, piuttosto che essere affrontata al suo interno; il ricorrente, infatti, è detenuto anche per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., con presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., presunzione recessiva rispetto all'incompatibilità con il regime carcerario per grave malattia, solo a condizione che tale incompatibilità risulti accertata, intendendosi per regime carcerario anche quello attuabile presso taluna delle "idonee strutture sanitarie penitenziarie" di cui è menzione nell'art. 275, comma 4-ter, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 7713 del 06/12/2024, dep. 2025, G., Rv. 287563 - 01).


3. Il terzo motivo di ricorso - che lamenta violazione dell'art. 11 L. 354 del 1975 e omessa motivazione quanto alla possibilità concreta che la casa circondariale di Palermo possa assicurare le cure necessarie al detenuto - è del tutto generico.


4. Il quarto motivo di ricorso - che indulge sull'impossibilità di cura e di mantenimento di una condizione dignitosa all'interno del carcere e insiste ulteriormente sulla mancata fornitura dell'apparecchio per l'assistenza respiratoria notturna - è aspecifico.


Da una parte, infatti, il ricorrente continua a lamentare una sottovalutazione dell'impatto delle sue patologie sulla resistenza al regime detentivo che è stata smentita dal perito Ru.Ma., secondo uno scrutinio vagliato dal Tribunale del riesame in maniera scevra da vizi rilevabili in questa sede, con cui la parte non si confronta realmente, come sopra puntualizzato.


Dall'altra, l'impugnante pare non avvedersi che l'ordinanza spiega che l'insufficienza respiratoria è lieve ed è costantemente monitorata attraverso visite specialistiche. Riguardo a quest'ultimo aspetto, il ricorrente è assertivo quando scrive che la visita pneumologica successiva all'udienza del Tribunale di appello non è stata effettuata e, comunque, va anche in questo caso ribadito il principio secondo cui la tenuta del provvedimento impugnato deve essere vagliata sulla scorta di quanto a disposizione del giudice che lo ha emesso al momento della decisione e che le evenienze successive possono essere valorizzate, in ambito cautelare, solo attraverso la presentazione di una nuova istanza de libertate.


5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n. 186).


6. Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.


7. Il necessario riferimento alle condizioni di salute del ricorrente impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.


P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.


Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.


Così deciso in Roma, il 5 agosto 2025.


Depositata in Cancelleria l'8 agosto 2025.

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