Il giudice di sorveglianza ha l’obbligo di valutare concretamente la condotta del condannato durante gli arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, c.p.p. (Cass. Pen. n. 19388/25)
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Il giudice di sorveglianza ha l’obbligo di valutare concretamente la condotta del condannato durante gli arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, c.p.p. (Cass. Pen. n. 19388/25)

Il giudice di sorveglianza ha l’obbligo di valutare concretamente la condotta del condannato durante gli arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, c.p.p. (Cass. Pen. n. 19388/25)


1. Premessa

La pronuncia in commento affronta il tema del rilievo da attribuire alla condotta serbata dal condannato nel periodo di arresti domiciliari "in prosecuzione", a seguito della sospensione dell’ordine di esecuzione della pena.

La Cassazione annulla parzialmente l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza che aveva rigettato la richiesta di detenzione domiciliare senza valorizzare in modo adeguato il comportamento positivo tenuto dal condannato durante il periodo trascorso in restrizione domiciliare.


2. Il caso

Gi.Ro., condannato in via definitiva, aveva beneficiato della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 10, c.p.p., continuando a espiare la pena in regime di arresti domiciliari.

In tale contesto, aveva presentato istanza per l’ammissione alla detenzione domiciliare (oltre che all’affidamento in prova), che veniva rigettata dal Tribunale di sorveglianza di Roma.

La motivazione del diniego si fondava sull’asserita non meritevolezza, desunta dai precedenti penali e dalla presunta inidoneità del soggetto a un percorso di risocializzazione.


3. I motivi di ricorso

Con due motivi, la difesa ha censurato il provvedimento impugnato, deducendo:

  • l’omessa valutazione del lungo e regolare periodo trascorso in regime domiciliare;

  • la mancanza di una relazione di sintesi ex art. 678, comma 2, c.p.p.;

  • la carente e contraddittoria motivazione in ordine alla pericolosità sociale del condannato.

Il ricorrente aveva beneficiato di liberazione anticipata e di autorizzazioni a uscire per ragioni familiari e sanitarie, senza alcuna segnalazione negativa.


4. La decisione della Corte

La Corte di cassazione accoglie parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza limitatamente alla detenzione domiciliare. Viene invece confermato il rigetto dell’affidamento in prova, sulla base di una motivazione ritenuta congrua e coerente con la personalità del condannato e il suo pregresso criminale.

Nel motivare la decisione, la Corte sottolinea l’obbligo del giudice di sorveglianza di valutare concretamente le condotte tenute dal condannato durante la fase di esecuzione sospesa, in particolare nel periodo in cui lo stesso si trovi agli arresti domiciliari ex art. 656, comma 10, c.p.p.

L’articolata giurisprudenza della Cassazione ha affermato che tale fase è equiparabile alla detenzione domiciliare ai fini della valutazione della meritevolezza per l’ammissione alla misura alternativa.

In particolare, è richiesto un esame attento del comportamento tenuto, dell’eventuale concessione di benefici (liberazione anticipata, permessi), e della complessiva evoluzione della condotta.

La motivazione sul punto deve essere specifica e non può fondarsi su presunzioni o automatismi basati solo sui precedenti penali.


5. Il principio di diritto

La decisione ribadisce il principio secondo cui, ai fini della valutazione sulla concessione della detenzione domiciliare a seguito di sospensione dell’ordine di esecuzione, il Tribunale di sorveglianza è tenuto a considerare anche la condotta tenuta durante gli arresti domiciliari esecutivi, e a motivare in modo puntuale circa l’insussistenza dei requisiti previsti dall’art. 47-ter o.p.


6. Conclusioni

La sentenza impone al giudice della sorveglianza un dovere di approfondimento e di motivazione specifica, a garanzia della corretta applicazione delle misure alternative, coerentemente con la funzione rieducativa della pena.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. I, 15/05/2025, (ud. 15/05/2025, dep. 23/05/2025), n.19388

RITENUTO IN FATTO


1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l'istanza presentata nell'interesse di Gi.Ro., volta ad essere ammesso ad una delle misure alternative alla detenzione, a seguito della sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione con prosecuzione della pena in regime di arresti domiciliari, disposta con provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Velletri del 02/05/2023.


2. Ricorre per cassazione Gi.Ro., a mezzo degli avv.ti Marco e Gi.Ro.o Fagiolo, deducendo due motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, a sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.


2.1. Con il primo motivo, viene denunciato vizio rilevante ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione alla erronea applicazione dell'art. 47-ter 26 luglio 1975, n. 354, nonché motivazione in parte omessa e in parte contraddittoria.


Il ricorrente censura l'ordinanza impugnata, per essere il rigetto asseritamente motivato solo sulla base dei precedenti penali, senza adeguato confronto con i rilievi difensivi e senza considerazione della concreta situazione in cui versa il condannato, il quale si trovava sottoposto al regime degli arresti domiciliari sin dal giorno 11/12/2021 e in tale situazione è restato - senza soluzione di continuità - fino all'emissione del provvedimento impugnato. Il condannato, infatti, è rimasto in tale condizione di restrizione dal momento dell'emissione dell'ordine di esecuzione sospeso (datato 02/05/2023), fino al momento della decisione del Tribunale di sorveglianza, avvenuta in data 27.2.2025. Non è stato valutato, pertanto, il comportamento tenuto dal Gi.Ro. nel corso dei tre anni trascorsi in stato di arresti domiciliari; un comportamento che è stato talmente positivo, da valergli l'autorizzazione a uscire di casa per accompagnare le figlie a scuola, nonché per recarsi presso studi medici ambulatori e presso Uffici giudiziari in ambito regionale; il condannato, inoltre, ha fruito di duecentoventicinque giorni di liberazione anticipata, legati alla regolarità della sua condotta.


Da ciò deriva la contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza impugnata, nella parte in cui si riferisce al concreto pericolo che il ricorrente possa porre in essere condotte illecite, in caso di concessione degli arresti domiciliari. In relazione all'ordinanza cautelare citata, peraltro, al Gi.Ro. sono contestati reati fine, ma non l'associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti.


2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione di legge in relazione agli artt. 666 comma 5 cod. proc. pen., 678 comma 2 cod. proc. pen., 47 e 13 Ord. pen., oltre che vizio motivazionale


Il ricorrente deduce la mancata acquisizione della relazione di sintesi, obbligatoria ai sensi dell'art. 678 comma 2 cod. proc. pen. Il rigetto dell'istanza di concessione dell'affidamento in prova si basava solo sul certificato penale, sui carichi pendenti, su una nota della Questura di Roma e sulle allegazioni della difesa. Nella nota della Questura, peraltro, veniva indicato erroneamente il titolo di reato per cui veniva emessa ordinanza di custodia cautelare, poiché individuato nell'art. 74 -in luogo dell'art. 73 - del D.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, risultando comunque carente qualunque riferimento al comportamento del Gi.Ro..


3. Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è fondato, limitatamente alla detenzione domiciliare, mentre è da disattendere quanto al resto.


2. Integrando la sintesi già compiuta in parte narrativa, si può precisare come la decisione reiettiva trovi fondamento nella ritenuta assenza dei presupposti di meritevolezza per l'applicazione delle misure alternative. Dall'insuccesso dei benefici in precedenza concessi e dalla dimostrata refrattarietà - verso la prospettiva di un regolare inserimento nella realtà lavorativa e sociale - il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto di poter evincere la mancanza di volontà, da parte del condannato, di aderire ad un serio e concreto progetto riabilitativo. Il regime detentivo carcerario, pertanto, è stato individuato quale unica modalità di espiazione della pena di cui al titolo in esecuzione, ritenendosi concreto il pericolo che il meno afflittivo regime detentivo domiciliare potesse trasformarsi in una occasione propizia, per la prosecuzione nell'attuazione di comportamenti penalmente rilevanti.


3. In diritto, giova ricordare come l'art. 656 cod. proc. pen. consenta al condannato di beneficiare della sospensione dell'ordine di esecuzione, allorquando - al momento del passaggio in giudicato della relativa sentenza di condanna - si trovi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari e debba espiare una pena non eccedente, rispetto a quelle indicate dal precedente comma 5 (purché non ricorrano le situazioni ostative dettate dai commi 7 e 9 dello stesso articolo). Prevedendo tale sospensione, il comma 10 dello stesso articolo stabilisce che il condannato - fino all'intervento della decisione del Tribunale di sorveglianza, quanto all'eventuale applicazione di una misura alternativa - rimanga nello stato detentivo in cui al momento si trova (sarebbe a dire, in una condizione equiparabile alla sottoposizione alla misura alternativa della detenzione domiciliare), dovendosi poi computare il tempo corrispondente quale pena espiata. Il medesimo art. 656 comma 10 cod. proc. pen., inoltre, affida al magistrato di sorveglianza la competenza in ordine alla gestione della custodia domestica nel periodo di cui trattasi, secondo le attribuzioni che sono riconosciute dal richiamato art. 47-ter Ord. pen.


3.1. Nel caso degli "arresti domiciliari esecutivi" di cui all'art. 656, comma 10, cod. proc. pen., dunque, l'iter procedimentale e decisionale, finalizzato alla verifica dei presupposti giustificativi della misura alternativa alla detenzione, deve confrontarsi con una situazione in cui non è intervenuto alcun provvedimento concessivo in tal senso. Sicché, l'accertamento di cui trattasi non può che riguardare la possibilità o meno di tale ammissione e, consequenzialmente, della prosecuzione della restrizione domestica. Nell'ambito di un unico procedimento - da svolgersi in contradditorio e specificamente inerente all'accesso al beneficio – vanno allora individuate le rituali richieste avanzate in tal senso, onde poi procedere all'apprezzamento circa l'esistenza dei presupposti atti a legittimare la invocata misura alternativa (in tal senso si veda, in motivazione, Sez. 1, n. 57540 del 14/09/2018, D'Antonio, Rv. 276599).


3.2. Le valutazioni ad ampio raggio, che da ciò conseguono, vanno estese anche alle specifiche condotte, poste in essere durante il regime cautelare precedente, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza. Non ci si può quindi esimere dal dare conto - tramite adeguata motivazione - della concreta valenza evocativa che venga riconnessa a tali condotte, in sé e alla stregua del confronto con le altre conoscenze acquisite, circa i comportamenti precedenti e successivi serbati dal condannato; sarà in tal modo possibile rappresentarsi, in ragione di un complessivo percorso valutativo, l'effettiva e attuale sussistenza delle condizioni richieste dalla norma, in vista della concessione della misura alternativa.


Tanto tenendo presente anche il divieto enunciato dall'art. 58-quater Ord. pen., in relazione alla concessione dei benefici penitenziari al condannato che sia stato ritenuto colpevole, con pronuncia divenuta irrevocabile, del reato previsto dall'art. 385 cod. pen. (Sez. 1, n. 22865 del 10/05/2011, Cristofani, Rv. 250446 e Sez. 1, n. 7514 del 25/02/2011, Fragale, Rv. 249805). Pare utile ricordare, sul punto, che Sez. 1, n. 9827 del 05/02/2009, Mosca, Rv. 243293 ha chiarito come tale preclusione, rispetto alla concedibilità dei benefici penitenziari, operi esclusivamente al passaggio in giudicato della sentenza, che sino a quel momento può essere valutata al limitato fine di apprezzare la meritevolezza del beneficio.


3.3. Le Sezioni Unite di questa Corte, intervenendo sulla questione afferente alla sorte delle misure coercitive non custodiali, all'indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, hanno poi affermato che l'intervenuta irrevocabilità di una sentenza, contenente condanna a pena detentiva suscettibile di esecuzione, comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale, già applicata al condannato e che, in tal caso, l'estinzione della misura opera di diritto, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari (Sez. U, n. 18353 del 31/03/2011, Maida, Rv. 24948) e hanno al contrario rimarcato, in parte motiva, come l'art. 656 cod. proc. pen. si occupi del rapporto fra sentenze irrevocabili di condanna e misure cautelari in corso, "con riferimento alle sole misure custodiali, stabilendo, al comma 9, la non concedibilità della sospensione dell'esecuzione in favore del condannato che si trovi in stato di custodia cautelare in carcere (che quindi non viene interrotta) e, al comma 10, la concedibilità della stessa sospensione in favore del condannato che si trovi agli arresti domiciliari, dei quali dispone esplicitamente la persistenza fino alla decisione del Tribunale di sorveglianza...".


In tale linea ricostruttiva, ricordano le Sezioni Unite, il legislatore ha inteso farsi carico della "esigenza di evitare la cessazione delle misure nel momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile... ritenendola meritevole di positiva tutela con esclusivo riferimento alle misure custodiali, secondo una scelta strettamente correlata alle loro connotazioni di efficacia e fungibilità e che, come tale, non può essere estesa alle altre misure".


4. Tanto premesso ai fini dell'inquadramento teorico della questione, si rileva che il provvedimento impugnato non si sottrae alla censura inerente al vizio di motivazione sollevata dal ricorrente. Quanto all'esame specifico, le critiche sussunte nell'impugnazione – sebbene formalmente articolate in due distinti motivi – presentano una evidente matrice comune e un identico substrato contenutistico, tanto che ben si prestano a una agevole trattazione unitaria.


4.1 Il Tribunale di sorveglianza di Roma, dunque, non ha fatto mostra di aver tenuto concretamente conto del comportamento tenuto dal condannato, durante il lungo periodo trascorso in regime di arresti domiciliari "in prosecuzione"; nemmeno ci si è soffermati – nel corpo della motivazione – sulla eventuale valenza da riconnettere alla buona condotta serbata, desumibile dall'avere il condannato beneficiato di periodi di liberazione anticipata e dall'aver fruito di diversi permessi, concessi in ragione della ritenuta sussistenza di esigenze di variegata tipologia.


4.2. Facendo buon governo delle sopra richiamate regole ermeneutiche, invece, il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto vagliare la possibilità, o meno, di proseguire l'espiazione della pena nella forma della restrizione domestica, ossia in una condizione restrittiva della libertà personale che è sostanzialmente assimilabile agli arresti domiciliari, fornendo congrua e puntuale motivazione su tale specifico profilo e motivando in maniera idonea ed esaustiva la pur possibile decisione negativa.


5. L'avversata decisione, invece, è ineccepibile in diritto - oltre che congruamente motivata – con riferimento al rigetto dell'affidamento in prova ai servizi sociali.


L'ordinanza ora al vaglio del Collegio trova infatti scaturigine, come precisato in parte narrativa, da una pluralità di considerazioni negative, tra loro perfettamente combacianti – ad avviso del Tribunale di sorveglianza – nell'indicare come il soggetto non sia allo stato meritevole di tale invocata misura alternativa. Si è considerato, dunque, come il Gi.Ro. sia un soggetto pluripregiudicato (annovera, effettivamente, precedenti per tentato omicidio, per violazione della legge sulle armi, per ricettazione, oltre che per rapina aggravata e altro), il quale ha già fruito dell'affidamento in prova nel 2010, nonché della misura della semilibertà nel 2011 e della misura della detenzione domiciliare; tali misure alternative sono state seguite da condotte di detenzione illecita di droga, poste in essere nel 2018 e nel 2021. Il condannato risulta, inoltre, essersi reso protagonista di plurime condotte di spaccio di sostanze stupefacenti ed esser stato anche raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare, in relazione alla quale è stato assoggettato agli arresti domiciliari.


L'ampia misura alternativa invocata, pertanto, è stata giudicata non consona all'attuale situazione personale del condannato e non conforme al principio della gradualità trattamentale. La valutazione adottata, sul punto specifico, è congruente, esaustiva e non contraddittoria e - in relazione a tali affermazioni - la difesa non è riuscita a fornire difformi lumi.


6. Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per nuovo giudizio, limitatamente al tema della detenzione domiciliare; l'impugnazione viene disattesa, invece, quanto alla residua doglianza.


P.Q.M.


Annulla l'ordinanza impugnata, limitatamente alla dentenzione domiciliare, con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di sorveglianza di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.


Così è deciso in Roma, il 15 maggio 2025.


Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2025

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