Indagini a favore dell’indagato: l’omissione del P.M. non comporta nullità del provvedimento cautelare (Cass. Pen. n. 30196/25)
- Avvocato Del Giudice

- 5 ott
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Massima di diritto
La Sesta sezione, in tema di indagini a favore dell’indagato ex art. 358 c.p.p., ha affermato che l’obbligo del Pubblico Ministero di svolgere accertamenti anche favorevoli alla difesa non è assistito da sanzione processuale: la sua eventuale inosservanza non comporta nullità né vizio dell’ordinanza cautelare, poiché la valutazione sull’opportunità di acquisire elementi a discarico rientra nel merito dell’attività requirente ed è quindi insindacabile in cassazione.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. VI, 04/07/2025, (ud. 04/07/2025, dep. 03/09/2025), n.30196
RILEVATO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Messina, accogliendo parzialmente l'istanza di riesame presentata da Of.Do., ha annullato l'ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere limitatamente al capo 8) dell'imputazione provvisoria, confermandola per i reati di cui ai capi 3) e 5) (artt. 314 e 416 - bis cod. pen.).
2. Of.Do. propone due separati ricorsi per cassazione a firma degli Avv.ti Scattareggia Marchese e Tindaro Celi. Nei due ricorsi si deducono cinque motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione degli artt. 358 e 291, comma 2, cod. proc. pen. per l'omessa dichiarazione della nullità dell'ordinanza genetica quale effetto della mancata sottoposizione al Giudice per le indagini preliminari degli elementi favorevoli al ricorrente. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Si segnala, infatti, la presenza in atti del ricorso per cassazione presentato da Ca.Be. avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di restituzione dell'impresa, corredato dall'indicazione di numerose prove testimoniali, documentali e consulenze tecniche, ricorso che, benché accolto dalla Corte di cassazione, stato ignorato dal Pubblico Ministero e dal Giudice per le indagini preliminari e ritenuto dall'ordinanza impugnata quale espressione di una alternativa prospettazione difensiva. Il ricorrente insiste, invece, sulla decisività di tale documentazione pretermessa in quanto idonea a dimostrare: a) la non definitività della confisca; b) l'esclusione con sentenza passata in giudicato del ruolo apicale di Sa.Of.; c) la legittimità dell'attività aziendale.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla configurabilità del reato di peculato e al giudizio di gravità indiziaria. Si rileva, in particolare, che, ai fini della configurabilità del concorso omissivo nel reato di peculato, la condotta appropriativa deve essere realizzata dall'intraneus. Nel caso in esame, invece, la condotta è stata realizzata dall'extraneus approfittando dell'omessa vigilanza dell'intraneus ed a proprio esclusivo vantaggio. Si rileva, inoltre, che: a) l'amministratore non aveva alcun rapporto con la res che veniva sottratta prima di entrare nelle casse aziendali; b) ciò impediva di configurare un rapporto di possesso per ragioni del servizio o dell'ufficio; c) i soggetti estranei si sono appropriati della res, non sfruttando il rapporto con questa dell'amministratore giudiziaria, ma in virtù di un loro rapporto personale con il bene e giovandosi della sua assenza; d) tale condotta non ha determinato alcun vantaggio per l'intraneus; e) non vi è prova del dolo dell'intraneus che si è limitato ad un atteggiamento deferente verso gli Of.; f) è, a tal fine, irrilevante la richiesta di rilascio del nuovo registro, trattandosi di una richiesta che non è funzionale all'attività di commercializzazione in nero e che, comunque, ha un carattere isolato ed è, pertanto, inidonea a dimostrare l'asservimento di Vi. alle logiche degli Of. o la volontà di facilitare la loro attività di commercializzazione in nero. Quanto agli indizi a carico del ricorrente, si rileva che: a) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ch. sono generiche e in ogni caso riferiscono fatti appresi quando lo stesso lavorava in nero per l'impresa, periodo in cui, di contro, il ricorrente risultava regolarmente assunto dall'impresa; b) come risulta dalla nota della Questura, il ruolo del ricorrente si è risolto nella mera presenza fisica sul posto; c) l'intera ordinanza ruota intorno alle figure di Sa.Of., della moglie Lu.Al. e del figlio Gi. e ai loro rapporti con l'amministratore giudiziario, ma non evidenzia alcun rapporto tra il ricorrente e il fratello Sa., né spiega con quali modalità lo stesso avrebbe operato come sua longa manus, tenuto conto del fatto che la Fo. era stata regolarmente assunta.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in merito all'aggravante di cui all'art. 416 - bis. 1 cod. pen. e conseguente non operatività del regime presuntivo di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Si rileva che la motivazione al riguardo è eccentrica rispetto alla natura dell'aggravante, oltre che eccessivamente sintetica e contraddittoria, in quanto si fonda sulla funzionalità delle attività distrattive ad assicurare la prosecuzione del controllo dell'impresa confiscata e a mantenere inalterata la presenza mafiosa degli Of. sul territorio. La stessa ordinanza, prosegue ancora il ricorrente, afferma contraddittoriamente che la condotta distrattiva era voltola realizzare un fine personalistico e non la finalità agevolatrice descritta dalla norma in esame. Manca, inoltre, un adeguato esame dell'elemento psicologico dell'aggravante in esame.
2.4. Vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativo al reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen. Si sostiene che il Tribunale, partendo dai precedenti specifici del ricorrente e di Sa.Of. e dall'assunto, oggetto di censura, della permanente mafiosità di quest'ultimo e della natura mafiosa dell'impresa, nonostante la pendenza del giudizio per la sua restituzione, ha valorizzato elementi insufficienti a sostenere il giudizio di gravità indiziaria. Si rileva, in particolare, che sia la presenza del ricorrente e dei familiari nei locali dell'impresa, in relazione alla quale, si ribadisce, pende ancora il giudizio in merito all'istanza di restituzione, che le condotte appropriative trovano una loro giustificazione negli interessi dei familiari ed eredi dell'anziana titolare. Inoltre, le regalie in denaro riguardano, per la maggior parte, soggetti legati da un vincolo di parentela, trattandosi, ora, di una regalia per una ricorrenza, ora, di un contributo per il mantenimento dell'anziana madre, ora, infine, dell'acquisto di scarpe.
Quanto alla Ru., infine, si rileva che non vi è prova della sua affiliazione e che dalla riparazione dell'auto non può desumersi alcuna funzionalità rispetto al mantenimento in carcere del marito. Si aggiunge, ancora, che la condanna del ricorrente per il reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen. riguarda un periodo antecedente il 1995 e che nessuno dei collaboratori escussi lo ha indicato come sodale. Il ricorrente, inoltre, non aveva alcuna carica formale nell'azienda, non essendo più dipendente dal 2012, né compare tra i terzi interessati nel procedimento ablativo di prevenzione.
2.5. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa alle esigenze cautelari, stante l'avvenuta chiusura dell'impresa, la sporadica presenza del ricorrente che ha, peraltro, già saldato il proprio debito con la giustizia, e il contenuto ignoto degli incontri tra il ricorrente, il suo legale, il contabile e l'amministratore giudiziario segnalato dalla nota della Squadra Mobile del 31 gennaio 2025.
3. Il Procuratore Generale ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l'inammissibilità del ricorso, oltre ad insistere per la configurabilità del concorso omissivo nei reati di pura condotta, ha posto l'accento, quanto al primo motivo, sulla sua non deducibilità in sede di legittimità, trattandosi di una doglianza relativa ad una omissione non assistita da alcuna sanzione processuale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile in quanto formula censure non deducibili in questa Sede. Va, infatti, considerato che il dovere del Pubblico Ministero di svolgere attività di indagini a favore dell'indagato non è presidiato da alcuna sanzione processuale, essendo, peraltro, il difensore facultato a svolgere indagini difensive ai sensi degli artt. 391 - bis e ss. cod. proc. pen.; ne consegue che, sebbene ciò non autorizzi l'organo requirente a disattendere la disposizione normativa, qualsiasi doglianza in tal senso non può essere proposta con il ricorso per cassazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 47013 del 13/07/2018, Rv. 274031; Sez. 2, n. 10061 del 20/11/2012, dep. 2013, Rv. 254872). Ciò in quanto la valutazione in concreto circa la necessità o meno di accertare fatti e circostanze a favore dell'indagato, oltre ad implicare delle valutazioni di merito estranee al perimetro del giudizio di legittimità, spetta unicamente al Pubblico Ministero, che deve esercitare la facoltà anche come organo di giustizia, ossia come parte sui generis, ma che, in tale veste, non può essere vincolato alle indicazioni della difesa sul punto.
2. Il secondo motivo è infondato.
2.1. Va, innanzitutto, premesso che, secondo quanto risulta dal provvedimento impugnato, il reato di peculato è stato contestato a Of.Do., in concorso, oltre che con terzi (tra cui, il nipote Gi. Of. e la madre di costui, Lu.Al.), con Sa. Vi., amministratore giudiziario della impresa Ca.Be., sottoposta sia a confisca ai sensi dell'art. 12 - sexies legge n. 356 del 1992 che a confisca di prevenzione, entrambe disposte nei confronti di Sa.Of., fratello del ricorrente, condannato in via definitiva per la partecipazione all'associazione mafiosa dei barcellonesi per il periodo compreso tra il 1986 e il 1995 e tra il 1995 e il 2011, sul presupposto che l'impresa in questione fosse solo formalmente intestata a Ca.Be. e Lu.Al., rispettivamente madre e moglie di Sa.Of.
In particolare, la condotta appropriativa ha riguardato il denaro della cassa dell'impresa ed è stata contestata sulla base della condotta dell'amministratore giudiziario che avrebbe consentito al ricorrente e agli altri parenti di continuare a gestire l'impresa, soprattutto attraverso la vendita in nero di pezzi di ricambio per autovetture.
2.2. La questione che il ricorrente pone richiede una preliminare analisi della qualifica e degli obblighi gravanti sull'amministratore giudiziario dei beni sottoposti a confisca, nel caso in esame sia di prevenzione che per sproporzione.
In primo luogo, osserva il Collegio che dalla ricostruzione contenuta nell'ordinanza impugnata risulta con certezza che Vi. è stato nominato amministratore giudiziario dell'impresa nell'ambito del procedimento di cognizione poi definito con la confisca per sproporzione del bene. Non è, invece, chiaro se il medesimo Vi. sia stato anche investito del medesimo ruolo anche nell'ambito del procedimento di prevenzione.
Volendo, tuttavia, considerare il duplice ruolo, va, inoltre, rilevato che, quanto alla misura di prevenzione, dall'ordinanza impugnata non risulta la data di presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ciò ai fini della individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie in esame, nè emerge se l'amministratore giudiziario, nonostante la confisca, sia rimasto provvisoriamente in carica (in attesa dell'approvazione del rendiconto) o sia stato, invece, investito dall'Agenzia Nazionale del ruolo di coadiutore nella gestione del bene, ai sensi dell'art. 38, comma 3, D.Lgs. n. 159 del 2011.
Tuttavia, va considerato che, sia che si faccia riferimento agli artt. 2 - quinquies e ss., legge n. 575 del 1965 sia che si consideri, invece, la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 159 del 2011 (artt. 35 e ss.), è indiscutibile la qualifica pubblicistica dell'amministratore giudiziario, quale figura direttamente investita dal tribunale della prevenzione di provvedere alla gestione, custodia e conservazione dei beni, sottoposti a sequestro di prevenzione e poi a confisca.
Anzi, l'art. 35, comma 5, D.Lgs. n. 159 del 2011 lo definisce espressamente quale pubblico ufficiale, tenuto ad adempiere con diligenza ai compiti del proprio ufficio.
Va, inoltre, aggiunto che la medesima disciplina prevista dal D.Lgs. n. 159 del 2011 (libro I, titolo III) trova applicazione, ai sensi dell'art. 104 - bis disp. att. cod. proc. pen., in tutti i casi di sequestro preventivo e di confisca aventi ad oggetti aziende, società o beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione. Anche in tale ipotesi, infatti, si prevede la nomina da parte dell'autorità giudiziaria di un amministratore giudiziario scelto nell'albo di cui all'art. 35 D.Lgs. cit. e investito dei medesimi compiti ed obblighi previsti da tale normativa.
2.3.Ciò premesso, nella fattispecie in esame si contesta all'amministratore giudiziario di avere abdicato allo svolgimento dei propri compiti e, in particolare, di avere consegnato la gestione dell'impresa ai familiari del proposto, consentendo loro di appropriarsi del denaro della cassa, frutto della vendita in nero dei pezzi di ricambio.
Non una condotta meramente omissiva (nel qual caso, secondo la giurisprudenza di questa Corte - si veda, ad esempio, Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829 - non è, comunque, ravvisabile alcun ostacolo giuridico alla configurabilità del concorso nel reato di pura condotta, come quello contestato nel caso in esame), ma, secondo la ricostruzione del quadro indiziario contenuta nell'ordinanza impugnata, anche una condotta attiva, di piena collaborazione all'attuazione degli interessi degli Of., dallo stesso più volte incontrati nei locali dell'impresa, anche in circostanze in cui costoro si relazionavano con potenziali clienti. Risulta, ad esempio, che:
a) Vi. è stato ripreso in atteggiamenti familiari con gli Of. e, in particolare, il 15/2/2024, mentre si appartava con Lu.Al., estromessa dall'organigramma aziendale nel settembre 2023, dopo essersi sbarazzato del telefono cellulare, condotta, quest'ultima che, unitamente all'appellativo con il quale definiva la donna ("padrona"), con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha considerato quale espressione della sua contiguità con gli Of.;
b) il medesimo Vi., a partire da giugno 2024, informava la Al. di tutte le novità riguardanti la ditta e, in una occasione, accompagnava la donna presso il suo difensore;
c) Vi. provvedeva ad informare gli Of. della richiesta del rendiconto del Giudice per le indagini preliminari, circostanza, questa, che metteva in allarme la famiglia;
d) Vi., nell'ambito di una vicenda dai contorni opachi, connotata anche da accordi tra lo stesso e Pa., al fine di ottenere il rilascio di un nuovo registro ex art. 264 D.P.R. n. 495 del 1992, delegava Sa. a denunciare la distruzione dei libri contabili dell'azienda in occasione di una calamità naturale, evento che, con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale ha escluso essersi mai verificato (cfr. le pagine da 18 a 20 del provvedimento impugnato.)
2.4. Una volta chiarita la qualifica pubblicistica dell'amministratore giudiziario e la natura della condotta provvisoriamente contestata a Vi., può procedersi ad esaminare la seconda questione relativa ai presupposti, erroneamente ritenuti inesistenti dal ricorrente, per la configurabilità del concorso dell'extraneus nel reato di peculato.
L'ammissibilità di una siffatta ipotesi di concorso è stata già affrontata, in termini positivi, da una precedente pronuncia di questa Corte, dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi (cfr. Sez. 6, n. 36566 del 21/06/2024, Fusco, Rv. 287025).
Si è, infatti, condivisibilmente affermato che al delitto di peculato possono certamente concorrere con l'agente pubblico, ai sensi dell'art. 110 cod. pen., anche soggetti non qualificati i quali, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, possono anche essere gli esecutori materiali della condotta appropriativa, come avvenuto nel caso in esame. In tal caso, è, tuttavia, indispensabile che il correo privo di qualifica soggettiva, per appropriarsi della cosa, sfrutti la relazione "di possesso per ragioni di ufficio o di servizio" del pubblico agente con la res, potendosi, in caso contrario, configurare, non il peculato, ma, al più, altri reati, quali il furto o l'appropriazione indebita.
L'ordinanza in esame, conformandosi a tale principio di diritto, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, saldamente ancorata alle risultanze investigative di cui si è dato conto nel provvedimento (in particolare, le riprese delle videocamere installate all'esterno dei locali della impresa, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ch. e le intercettazioni, telefoniche e ambientali, ha dato ampiamente conto della sussistenza nel caso in esame di tale condizione.
Si è, innanzitutto, sottolineata la quotidiana presenza nei locali dell'impresa del ricorrente, censito tra i lavoratori solo sino all'anno 2012 e ripreso dalle videocamere installate sia, in data 21/5/24, nell'atto di relazionarsi con un autotrasportatore, peraltro, alla presenza di Vi. (cfr. pagina 24 dell'ordinanza), sia nell'atto di impossessarsi del denaro ricavato dalla vendita in nero dei pezzi di ricambio, denaro che, secondo quanto si afferma nell'ordinanza impugnata, i dipendenti, ben consapevoli della prassi predatoria adottata dagli Of. (descritti in una conversazione da Pa. come "un'aspirapolvere"), erano soliti lasciare in un portafoglio (cfr. pagina 16).
Tali risultanze investigative sono state considerate quale riscontro alle dichiarazioni del collaboratore Ch. che ha riferito, non solo della gestione dell'azienda parte della Al. nel periodo dal 2011 al 2013, quando già era stato nominato l'amministratore giudiziario Vi., ma anche delle circostanze direttamente apprese da Gi. Of. (nel periodo in cui erano ristretti nel medesimo istituto) in merito alle gestione dell'impresa, anche da parte di Sa.Of., e agli ingenti profitti conseguiti dall'attività in nero.
Il ricorrente, dunque, ben consapevole della misura ablatoria disposta sull'impresa e del ruolo di Vi. (circostanze, entrambe, non contestate dal motivo in esame), senza avere alcun titolo, sfruttando la relazione di possesso conseguente alla formale investitura di Vi. da parte dell'Autorità giudiziaria, si è ingerito nella gestione dell'impresa e, circostanza anche questa non contestata, si è impossessato delle entrate derivanti dalla vendita dei pezzi di ricambio.
Prive di pregio sono, inoltre, le obiezioni relative alla mancanza di possesso del denaro sottratto dalle casse dell'impresa, trattandosi di proventi di attività in nero, o all'assenza di Vi. al momento dell'appropriazione del denaro.
Rileva, a tal fine, il Collegio che dall'ordinanza impugnata risulta che l'attività in nero, al pari delle successive appropriazioni del denaro (note anche ai dipendenti), veniva svolta, non occasionalmente, ma in via continuativa, con il sostanziale assenso di Vi., il quale, dunque, aveva la disponibilità diretta del denaro ricavato dalle vendite in nero, di cui consentiva il "prelievo" da parte del ricorrente e dei familiari.
Tali circostanze, unitamente al contenuto della conversazione tra Vi. e la moglie, interpretata in termini non illogici dal Tribunale e, dunque, non censurabile in questa Sede (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715), quale ulteriore conferma del pieno dominio degli Of. in merito a tutte le decisioni che riguardavano l'impresa, sono state valutate, con motivazione persuasiva e priva di vizi logici, quale sintomo della consapevole abdicazione di Vi. allo svolgimento dei propri compiti e della sua sudditanza agli Of. in funzione della piena realizzazione dei loro interessi.
3. Il terzo motivo è infondato. Dalla complessiva trama argomentativa dell'ordinanza impugnata risulta, infatti, che il Tribunale, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha desunto la finalità agevolatrice della condotta appropriativa, combinando sinergicamente la valenza decisiva, nell'ottica mafiosa e della persistente manifestazione della forza del sodalizio e del suo potere di controllo del territorio, della prosecuzione, da parte degli Of., della gestione dell'impresa (ritenuta, sia in sede di prevenzione che dall'ordinanza in esame, quale impresa mafiosa in ragione dei metodi utilizzati sia verso i dipendenti che nei confronti dei terzi), i cui proventi, oggetto della condotta appropriativa, venivano, in parte, destinati anche al mantenimento dei sodali ristretti in carcere (circostanza, quest'ultima, che è stata valorizzata quale elemento sintomatico della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso.
4. Il quarto motivo è inammissibile in quanto contiene delle censure di merito volte a sollecitare una non consentita diversa valutazione degli elementi fattuali valorizzati dal Tribunale quali indici sintomatici della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso.
In primo luogo, va stigmatizzato l'evidente errore giuridico in cui incorre il ricorrente nell'insistere diffusamente sulla rilevanza, ai fini della insussistenza delle condotte criminose ascritte, della pendenza dell'incidente di esecuzione. Tale tesi difensiva risulta nettamente in contrasto con il carattere definitivo del provvedimento ablatorio del bene, che ne determina il passaggio al patrimonio dello Stato e che non è in alcun modo destabilizzato, legittimando le condotte gestorie e appropriative del ricorrente e dei familiari, dalla mera pendenza dell'incidente di esecuzione.
Rileva, inoltre, il Collegio che dalla lettura congiunta dell'ordinanza genetica e del provvedimento impugnato risulta che i Giudici di merito, senza incorrere in alcun vizio logico o giuridico, muovendosi nel solco ermeneutico tracciato da questa Corte regolatrice in tema di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (cfr. (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231670), hanno desunto l'intraneità del ricorrente al sodalizio, in primo luogo, dalla particolare rilevanza dell'attività di controllo e gestione dell'impresa confiscata da parte del ricorrente e dei familiari, considerati quali longa manus dell'effettivo titolare del bene, Sa.Of. (rispetto al quale sono state segnalate la lunga militanza mafiosa nella famiglia dei barcellonesi e l'assenza di condotte sintomatiche di un suo recesso dal sodalizio), quale espressione dell'immutato potere del sodalizio mafioso a dispetto dei provvedimento ablatori emessi dall'Autorità giudiziaria. Si è, inoltre, valorizzata la condotta tenuta dal ricorrente, costantemente presente nei locali dell'impresa.
A conferma del penetrante controllo esercitato da Sa.Of. sulla gestione dell'impresa, l'ordinanza impugnata ha considerato sia la vicenda relativa al mancato acquisto di un terreno da parte di Vi., benché autorizzato dal giudice, in esecuzione di una specifica disposizione del medesimo Of., sia la vicenda relativa al licenziamento del dipendente Cotugno e alla spendita del carisma criminale di Of. presso coloro che lo avevano assunto.
Si è, infine, valorizzato il contributo offerto dal ricorrente e dai familiari al mantenimento di sodali in carcere. Rispetto a tale ultimo elemento, il ricorrente propone una sua rilettura in una mera prospettiva di solidarietà familiare, valorizzando il rapporto di parentela tra gli Of. e i materiali percettori del denaro, protagonisti della c.d. "processione" presso l'impresa confiscata. Così facendo, oltre a prospettare una mera censura di merito di contenuto confutativo, il ricorrente incorre in una duplice omissione: i) non considera che nessuno degli Of. aveva alcun titolo per appropriarsi e disporre delle entrate dell'impresa; ii) non si confronta criticamente con il contenuto dell'ordinanza impugnata che, nel considerare le obiezioni difensive, con motivazione persuasiva e non manifestamente illogica, ancorata alle risultanze delle videoriprese e delle conversazioni intercettate, ha ritenuto che le somme di denaro consegnate ai parenti fossero in realtà destinate ai loro familiari detenuti per titoli relativi al reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen. Si è, in particolare, sottolineato che: a) Sa.Of., sorella del ricorrente e, al contempo, moglie di Sa.Di., esponente di vertice della famiglia barcellonese, si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il ragioniere Sa. e riscuoteva il denaro (1000 Euro) con cadenza mensile (il giorno 15), per il mantenimento del marito detenuto. Tale destinazione del denaro è stata desunta dal contenuto delle conversazioni intercettate (cfr. le pagine 31 e 32) in una delle quali, ad esempio, Sa.Of., parlando con la figlia, distingueva tra le somme ricevute a titolo di regalia per il matrimonio della ragazza, da quelle oggetto di riscossione mensile. L'ordinanza impugnata ha anche considerato il contenuto di un colloquio in carcere tra Sa.Di. e il figlio Nu. (il quale, riferisce l'ordinanza, è stato ripetutamente ripreso dalle videocamere mentre prelevava pezzi di ricambio senza pagare) in cui quest'ultimo riferiva al genitore che il ricorrente "si era particolarmente prodigato per le loro esigenze"; b) anche Va.Ci., moglie di Lo.Ma., condannato per il reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen., sempre in relazione alla famiglia barcellonese, si recava per visite di pochi minuti presso l'impresa dove si relazionava non solo con i familiari, ma anche con il contabile Pa. e con il dipendente fidato, Mu. A conferma della destinazione al familiare detenuto delle somme riscosse, il Tribunale ha, inoltre, considerato i riscontri emersi dalle intercettazioni, in particolare, la conversazione telefonica, avvenuta durante il colloquio in carcere tra Ci. e il marito, in cui Gi. Of. chiedeva se gli erano piaciute "le scarpe" e se avesse bisogno di altro; c) Fe.Si., parente di Of. e figlio di uno storico esponente del clan determinatosi alla collaborazione, riceveva soldi sia da Al. che da Gi. Of.; d) Ve.Ru., moglie del capomafia Ga., detenuto, e figlia del boss Ru., ucciso in un attentato, veniva accolta con grande rispetto dal ricorrente, da Of.Do. e dal contabile Sa. e, alla sua richiesta di un carroattrezzi, Of.Do. si offriva di ripararle l'autovettura.
5. Il quinto motivo è inammissibile in quanto generico. L'ordinanza impugnata, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici, con la quale il ricorrente omette il dovuto confronto critico, ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, considerando che l'allegazione difensiva relativa alla chiusura dell'impresa, su cui continua ad insistere il motivo in esame, non è idonea a superare la doppia presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Oltre a richiamare gli argomenti valorizzati nell'ordinanza genetica (la non comune gravità delle condotte, poste in essere nell'ambito di un contesto malavitoso, e la loro consumazione sino ad epoca recente rispetto all'emissione dell'ordinanza cautelare), il Tribunale ha posto l'accento sui seguenti elementi: a) la nota della Squadra Mobile di Messina del 31/1/2025 dalla quale è emerso che gli Of. e Vi. hanno tramato fino all'ultimo per impedire il passaggio dell'impresa all'Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati; b) la negativa personalità del ricorrente, già condannato per il reato di cui all'art. 416 - bis cod. pen. e sottoposto a un lungo periodo di detenzione; c) l'assenza di elementi sintomatici del suo recesso o della cessazione dell'attività del sodalizio.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 - ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025.
Depositata in Cancelleria il 3 settembre 2025.




