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L’interdizione dai pubblici uffici va commisurata alla pena principale inflitta per il solo reato più grave e non a quella complessiva (Cass. Pen. n. 11130/2025)

Corte di Cassazione

Con la sentenza n. 11130/2025, la Corte di Cassazione ha chiarito il criterio da adottare per l’applicazione delle pene accessorie nel caso di reati unificati sotto il vincolo della continuazione.

La pronuncia ribadisce che l’interdizione dai pubblici uffici deve essere commisurata alla pena principale inflitta per il solo reato più grave e non a quella complessiva risultante dall’aumento per la continuazione.


Il fatto

Il ricorso riguardava due imputati: O. e N., condannati per reati in materia di stupefacenti con applicazione della pena concordata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 7 giugno 2024, aveva disposto nei confronti di O. l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Quest’ultimo, nel proprio ricorso, lamentava l’erronea applicazione dell’art. 29 c.p., sostenendo che la misura dell’interdizione doveva essere calcolata sulla pena base stabilita per il reato più grave e non su quella complessiva derivante dall’aumento per continuazione.

Per quanto riguarda N., il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile, poiché non rientrava nelle doglianze proponibili contro una sentenza di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p.


La decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di O., ritenendo fondata la doglianza in merito all’applicazione dell’interdizione dai pubblici uffici.

In particolare, la Suprema Corte ha precisato che il criterio corretto per l’applicazione delle pene accessorie è quello di fare riferimento alla pena principale determinata per il reato più grave, eventualmente ridotta per la scelta del rito, e non alla pena complessiva risultante dall’aumento per continuazione.

Nello specifico, nel caso in esame la pena base per il reato più grave ammontava a due anni, otto mesi e venti giorni di reclusione, inferiore al limite di tre anni previsto dall’art. 29 c.p. per l’applicazione dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici.

Pertanto, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, eliminando l’interdizione disposta nei confronti di O.

Per quanto concerne N., la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo che non vi fossero vizi della sentenza impugnata né profili di illegittimità nella pena concordata.


Il principio di diritto

L'interdizione dai pubblici uffici, ai sensi dell’art. 29 c.p., nei casi di più reati unificati dal vincolo della continuazione, deve essere commisurata alla pena principale stabilita per il reato più grave e non a quella complessiva risultante dall'aumento per la continuazione.

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