Irreperibilità non volontaria del testimone: ammissibile la lettura delle dichiarazioni ex art. 512 c.p.p. (Cass. Pen. n. 34962/25)
- Avvocato Del Giudice

- 30 ott
- Tempo di lettura: 8 min

La massima
È legittima la lettura ex art. 512 c.p.p. delle dichiarazioni predibattimentali di un testimone divenuto irreperibile, quando tale condizione non sia imputabile a una sua libera scelta di sottrarsi al contraddittorio.
Il divieto previsto dall’art. 526, comma 1-bis, c.p.p. opera solo se l’assenza è volontaria.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. II, 22/10/2025, (ud. 22/10/2025, dep. 27/10/2025), n.34962
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 24 marzo 2025 la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza in data 9 ottobre 2024 del Tribunale di Bergamo con la quale era stata affermata la penale responsabilità di Ou.La. in relazione al reato di rapina aggravata ex artt. 628, commi 2 e 3 n. 1, cod. pen. di un telefono cellulare di proprietà di Do.Ro.
Il fatto risale al 19 aprile 2017.
2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell'imputato, deducendo, con motivo unico, violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. in relazione all'art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen. per travisamento della prova inerente alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare alla persona offesa e degli atti successivi.
Deduce, al riguardo, la difesa del ricorrente l'illegittima acquisizione agli atti del processo, ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen., del verbale delle dichiarazioni della persona offesa Do.Ro. e si duole del fatto che la Corte di appello ha ritenuto che le modalità di notificazione dell'avviso dell'udienza preliminare a quest'ultimo non sarebbero dimostrative della volontà di sottrarsi alla testimonianza in sede di giudizio.
Aggiunge la difesa del ricorrente che, per contro, il Do.Ro. si è sempre sottratto alla possibilità di farsi notificare personalmente gli atti processuali e non ha mai fornito un indirizzo al quale gli potevano essere ritualmente notificate le comunicazioni, in tal modo rendendo evidente l'intenzione dello stesso di sottrarsi all'esame dibattimentale.
3. La difesa dell'imputato ha, poi, fatto pervenire a questa Corte una memoria in data 16 ottobre 2025 di replica alle conclusioni del Procuratore generale con la quale ha ribadito quanto già sostenuto nel ricorso circa la volontà della persona offesa dal reato di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale ed ha insistito per l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Al fine di adeguatamente valutare il motivo di ricorso in esame, risulta doveroso procedere ad una ricostruzione cronologica delle vicende relative all'iter procedimentale riguardante la notifica degli atti alla persona offesa dal reato così come nel dettaglio richiamato nelle sentenze di merito e non contestato dalla difesa del ricorrente.
In sede di denuncia, il 21 aprile 2017, la persona offesa Do.Ro. indicava la residenza e la dimora effettiva nonché il proprio recapito telefonico, con il nominativo anche della fidanzata.
La prima notifica disposta nell'ottobre 2021 nei confronti del Do.Ro. era quella relativa all'avviso di fissazione della udienza preliminare del 10 febbraio 2022.
L'esito delle ricerche del Do.Ro. (non ai fini della citazione come teste, ma come citazione della persona offesa per la udienza preliminare), era compendiato nel "verbale di vane ricerche datato 27 ottobre 2021, depositato dal Pubblico Ministero all'udienza dibattimentale del 9 ottobre 2024 la polizia locale di Brescia dava atto che Do.Ro. non era stato reperito al domicilio di via (Omissis), indirizzo relativo alla residenza della madre, dal quale la persona offesa si era trasferita per andare a vivere in via (Omissis) in B, ove abitava il padre.
L'agente notificatore aveva successivamente appreso dal genitore che il figlio si era trasferito a N, presso un domicilio sconosciuto.
Grazie al numero telefonico fornito dal genitore la polizia locale reperiva il Do.Ro. il quale, seppur non fornendo il nuovo indirizzo di reperibilità a N, ricontattato telefonicamente indicava, quale luogo ove lasciare le comunicazioni relative alle vicende procedimentali l'indirizzo del padre, cui avrebbe, a quel punto, rilasciato delega per il ritiro degli atti.
L'udienza preliminare si celebrava così senza la presenza della persona offesa, dandosi atto che nei suoi confronti la notifica si era perfezionata ai sensi dell'art. 154 cod. proc. pen. (v. decreto di rinvio a giudizio).
Ha osservato sul punto la Corte di appello che, in relazione a tale notifica, che peraltro non concerneva la citazione a giudizio del teste ma semplicemente la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, non poteva affermarsi che la persona offesa si fosse resa irreperibile o avesse liberamente scelto di non presentarsi a rendere testimonianza il contatto con la persona offesa vi era stato, questa aveva indicato la casa paterna come luogo dove effettuare le notifiche ed aveva risposto al telefono una volta contattato dagli agenti della polizia locale di Brescia. La circostanza che non risulti rilasciata delega al padre per il ritiro dell'atto se, da un lato, non era impeditiva della notifica al genitore dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, dall'altro - ha osservato ancora la Corte di appello - non sarebbe dimostrativa della volontà della persona offesa di sottrarsi alla testimonianza (che non si sarebbe in ogni caso certo svolta nella udienza preliminare) in giudizio.
Sempre la Corte di appello ha altresì chiarito che negli atti non vi è traccia della notifica al Do.Ro. del decreto di rinvio a giudizio (notifica pure disposta dal G.u.p.) per l'udienza dibattimentale del 21 settembre 2022.
Do.Ro. era, per detta udienza, indicato come teste nella lista del Pubblico Ministero.
In tale udienza il Tribunale si limitava alla ammissione delle prove. Solo a seguito di plurimi rinvii fuori udienza si perveniva a quella di trattazione del 9 ottobre 2024 (celebrata quindi oltre sette anni dai fatti).
In quest'ultima udienza il Pubblico Ministero dava atto che il Do.Ro. non era stato rintracciato, come da verbale di vane ricerche del 13 marzo 2024.
In tale atto, la polizia locale di Centrisola (BG) riferiva come le ricerche del Do.Ro. erano negative il personale del comando della polizia locale si era recato presso l'indirizzo di residenza del Do.Ro. (S - BG - piazza (Omissis)), ove lo stesso non risultava reperibile (sulla cassetta postale non vi era alcuna indicazione del nominativo del soggetto e i vicini riferivano di non vederlo da tempo); neppure sul numero telefonico rilevato dagli archivi anagrafici del Comune di Suisio ((Omissis)) era possibile rintracciare il Do.Ro. in quanto detto numero di telefono risultava inattivo.
Quanto detto portava all'acquisizione ex art. 512 cod. proc. pen. del verbale di denuncia della persona offesa nonché del verbale di positiva individuazione fotografica operata dal Do.Ro. nei confronti dell'odierno imputato, atti sul contenuto dei quali è stata fondata in principalità l'affermazione della penale responsabilità dell'Ou.La.
Il Tribunale (v. pag. 2 della relativa sentenza) a giustificazione del provvedimento acquisitivo degli atti indicati evidenziava che la sopravvenuta irreperibilità del Do.Ro. emergeva da ben due verbali di vane ricerche (del 27/29 ottobre 2021 e del 11 marzo 2024) che comprovavano l'espletamento di "accurate ricerche".
3. Ritiene il Collegio di concordare con quanto affermato dalla Corte di appello, laddove ha ritenuto che i due verbali di vane ricerche attestano una irreperibilità sopravvenuta rispetto al fatto, non prevedibile, né riconducibile alla volontà del Do.Ro. di sottrarsi al contraddittorio nell'ambito del processo, dato che ciò che emerge dagli atti è che, a sette anni di distanza dai fatti, l'utenza telefonica reperita negli archivi risultava inattiva e Do.Ro. da tempo non era reperibile presso l'indirizzo di residenza in Suisio dove peraltro nel passato aveva risieduto, aggiungendo che nessun elemento legittima ad affermare che la volontà della persona offesa fosse quella di sottrarsi al contraddittorio la mancata reperibilità al numero telefonico risultante dagli atti del Comune di Suisio non è riconducibile alla volontà della persona offesa di sottrarsi al contraddittorio ma semmai alla lunga distanza della celebrazione del processo rispetto al fatto.
Ritiene, ancora, il Collegio che le decisioni assunte al riguardo dai Giudici di merito risultano rispettose dei principi giurisprudenziali in materia.
È, innanzitutto, pacifico nella giurisprudenza di legittimità che "In tema di letture dibattimentali ex art. 512 cod. proc. pen., l'imprevedibilità dell'evento che rende impossibile la ripetizione dell'atto deve essere accertata dal giudice secondo il criterio della "prognosi postuma", mediante l'ideale riproduzione della valutazione effettuata dalla parte interessata all'acquisizione delle dichiarazioni, verificandone la correttezza secondo canoni di ragionevolezza, tenuto conto delle circostanze di fatto allora note o conoscibili, a prescindere dagli accadimenti in concreto intervenuti" (ex ceteris Sez. 5, n. 11248 del 13/03/2025, P., Rv. 287755 - 01) ed è un dato di fatto che il Do.Ro., cittadino italiano residente in Italia, aveva inizialmente fornito elementi idonei non solo alla sua identificazione ma anche alla sua reperibilità, tanto è vero che le prime ricerche procedimentali finalizzate alla notifica allo stesso dell'avviso di celebrazione dell'udienza preliminare ebbero esito positivo.
Alla luce degli elementi descritti, nulla portava pertanto a ritenere, alla luce delle circostanze ai tempi note o conoscibili, che lo stesso in un secondo tempo divenisse irreperibile.
Non vi è poi alcuna contestazione e comunque non emerge alcun elemento per ritenere l'inidoneità o l'inadeguatezza delle ricerche successivamente esperite in due occasioni e che portarono a ritenere il soggetto non più reperibile.
Il fatto che al Do.Ro., stante la sopravvenuta irreperibilità non abbia mai potuto essere notificato il decreto di citazione a comparire in giudizio per rendere testimonianza non consente di per sé di ritenere che lo stesso si sia sottratto volontariamente a tale obbligo.
Al riguardo, infatti, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che "Ai fini della lettura e dell'utilizzabilità di dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, al dato della condizione di irreperibilità del teste, in sé neutro, deve aggiungersi la valutazione degli elementi indicativi del carattere volontario o meno del suo allontanamento, con la precisazione ulteriore che la volontarietà dell'assenza, che comporta l'operatività del divieto di cui all'art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen., può essere determinata da una qualsiasi libera scelta e non necessariamente dall'intenzione di sottrarsi al contraddittorio" (Sez. 3, n. 3068 del 08/09/2016, dep. 2017 L.R., Rv. 269055 - 01; Sez. 2, n. 1945 del 22/12/2014, dep. 2015, Capozzo, Rv. 261825 - 01).
A ciò si aggiunge che sempre questa Corte ha chiarito che "Ai fini della lettura e della utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese da un soggetto divenuto successivamente irreperibile, è necessario che il giudice abbia svolto ogni possibile accertamento sulla causa dell'irreperibilità e che risulti esclusa la riconducibilità dell'omessa presentazione del testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso" (Sez. 5, n. 13522 del 18/01/2017, S., Rv. 269397 - 01).
In applicazione di detti principi appare, pertanto, doveroso rilevare non solo che non risulta provato il Do.Ro. si è volontariamente sottratto a rendere la deposizione testimoniale non essendo, come detto, mai stato notificato allo stesso un decreto di citazione a comparire quale testimone, ma neppure il fatto che lo stesso si è volontariamente reso irreperibile, non emergendo alcuna ragione per ritenere sussistente anche quest'ultimo profilo ed essendo totalmente priva di riscontro l'affermazione contenuta nel ricorso secondo la quale egli si sarebbe volontariamente reso irreperibile "per il timore di vedersi notificato un atto inerente ad un processo in cui lui rivestiva la qualità di imputato".
4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 22 ottobre 2025.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2025.




