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L’udienza preliminare alla luce delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia



Indice:


1. Premessa.

Nell’ambito della riforma rivolta a rendere il processo penale più efficiente, in adesione al principio costituzionale relativo alla sua ragionevole durata previsto al comma secondo dell’art. 111 Cost. e per raggiungere l’obiettivo, stabilito con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, di ridurre la durata media203 dei processi penali del 25% entro il 2026, il legislatore delegato ha profondamente innovato la disciplina dell’udienza preliminare.

L’intervento204 è stato realizzato, unitamente alla riduzione del numero dei reati per i quali è prevista l’udienza preliminare, mediante: la modifica della regola di giudizio che il giudice per l’udienza preliminare deve applicare per emettere la sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 425, comma 3, cod. proc. pen.205; l’introduzione di un controllo, con relativa disciplina, del medesimo giudice sull’imputazione formulata dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 417, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.206; la previsione di nuovi termini e diverse formalità per la costituzione di parte civile207.

Come osservato in dottrina208, la legge delega, nel fissare i principi e i criteri direttivi sui quali il legislatore delegato avrebbe potuto esercitare le sue scelte discrezionali, “è così dettagliata” che le norme attuative approvate risultano di fatto coincidenti.

Le modifiche apportate alla disciplina dell’udienza preliminare, adibita per sua natura a deflazionare il carico dibattimentale quale filtro processuale, sono finalizzate a potenziarne l’efficacia. Viene, infatti, (nuovamente) variata la regola di giudizio secondo la quale il giudice può emettere la sentenza di non luogo a procedere, così bloccando, prima del suo naturale sviluppo dibattimentale, l’azione penale esercitata dal pubblico ministero.

La finalità deflattiva è alla base della verifica che il giudice per l’udienza preliminare è ora espressamente chiamato a esercitare sulla formulazione del capo d’imputazione, sia in punto di fatto che di diritto, nonché sulla rispondenza dell’imputazione agli elementi raccolti con le indagini preliminari.

Questa azione di controllo “preventivo” rispetto al dibattimento mira ad accelerare i tempi processuali agevolando anche il diritto di difesa dell’imputato che, in questo modo, dovrebbe essere incentivato ad accedere ai riti alternativi.

Parzialmente rispondente all’esigenza di rendere più rapido lo sviluppo del processo penale è anche la modifica del termine di costituzione della parte civile la quale viene limitata esclusivamente all’udienza preliminare nei procedimenti che la prevedono, con la possibilità di estendere anche al sostituto processuale, nominato ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., il potere di sottoscrivere l’atto di costituzione e di provvedere al suo deposito. Sulla modifica dell'art. 422, comma 2, cod. proc. pen., relativo all’attività di integrazione probatoria, il quale prevede che il giudice, se non è possibile procedere immediatamente all'assunzione delle prove, fissa la data della nuova udienza e dispone la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici di cui siano stati ammessi l'audizione o l'interrogatorio, si rinvia alla più diffusa trattazione dei temi del dibattimento, di cui al Cap. 10


2. I rimedi ai vizi dell’imputazione.

Al fine di rendere più efficace l’azione di “filtro processuale” dell’udienza preliminare rispetto alla successiva fase dibattimentale, la riforma in commento ha conferito al Gup maggiori poteri di controllo sul capo d’imputazione formulato dal pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio.

La necessaria rispondenza dell’imputazione ai canoni di chiarezza e precisione del fatto contestato nella richiesta di rinvio a giudizio predisposta dal pubblico ministero era, infatti, già prevista dall’art. 417, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 18, comma 1, l. 15 dicembre 1999, n. 479 (cd. legge “Carotti” dal nome dal relatore della proposta) pur senza la previsione di un’espressa sanzione processuale per la sua violazione.

Di contro, il legislatore aveva ritenuto di prevedere la sanzione delle nullità per i casi in cui la richiesta di rinvio a giudizio non fosse stata preceduta dalla regolare notifica all’indagato dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari di cui all’art. 415-bis e dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen. e il successivo decreto che dispone il giudizio, ai sensi dell’art. 429, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., (analogamente all’art. 552, comma 1, lett. c, cod. proc. pen. modificato dall’art. 44, l. n. 479, cit.). L’accertamento sul rispetto del modello legale della contestazione all’imputato prima della riforma in commento era, quindi, differito a un momento successivo, dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, all’esito della udienza preliminare.

Con detto decreto il medesimo giudice poteva intervenire sull’imputazione modificandone la corretta qualificazione giuridica209. Questo ultimo era quindi oggetto di valutazione da parte del giudice dibattimentale che, ai sensi dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., poteva, in via esclusiva, dichiararne la difformità, dichiarandolo nullo.

La dichiarazione di nullità, da qualificarsi come nullità “relativa” ai sensi dell’art. 181, comma 3, cod. proc. pen., era rimessa, quindi, a un giudice successivo che, accertatane la sussistenza, ai sensi dell’art. 185, comma 3, stesso codice, provvedeva a ordinare la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui era stato compiuto l’atto nullo ovvero all’udienza preliminare, non rientrando tra i suoi poteri procedere alla rinnovazione del decreto (Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209605-01).

Nella successiva udienza preliminare, il pubblico ministero era tenuto ad adeguare la contestazione sulla base delle indicazioni in fatto e in diritto contenute nell’ordinanza del giudice dibattimentale. Il legislatore, nell’apportare questa importante innovazione, probabilmente, ha preso atto dell’approdo raggiunto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di abnormità del provvedimento con cui il Gup, nel dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la genericità o l’indeterminatezza dell’imputazione, avesse disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Sulla questione, la giurisprudenza di legittimità sino ad allora si era posta in maniera contrastata, in particolare dopo le modifiche apportate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, all’art. 417 cod. proc. pen., come sopra richiamate. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238239 – 01, avevano osservato210 come le novità apportate dalla legge “Carotti” alla disciplina dell’udienza preliminare ne avessero modificato funzione e struttura, attribuendo al giudice un dovere di un controllo sull’esercizio dell’azione penale per garantire l’effettività del contraddittorio e dei diritti di difesa.

Nel caso di emissione del decreto che dispone il giudizio, l’imputazione doveva effettivamente corrispondere agli atti processuali ed essere supportata da specifiche fonti di prova in ordine ai fatti storici da contestare con chiarezza e precisione.

Le disposizioni degli artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., come novellate e collegate tra loro, consentivano al Gup di avere un potere di iniziativa probatoria finalizzato a rendere effettivo il principio di completezza delle indagini; allo stesso modo, il successivo art. 423 cod. proc. pen. era funzionale alla precisazione all’accusa, le cui lacune dovevano essere oggetto di verifica, anche al fine di consentire la celebrazione nella fase dell’udienza preliminare di riti alternativi. In questo modo l’udienza preliminare veniva considerata “il luogo privilegiato di stabilizzazione dell’accusa”. Da questa interpretazione, il Supremo Consesso aveva evidenziato il “poteredovere” del giudice per l’udienza preliminare, prima della conclusione della fase, di provvedere ad “attivare i meccanismi correttivi”, con apposita “ordinanza motivata e interlocutoria” diretta a sollecitare l’azione integrativa endofasica del pubblico ministero ex art. 423 cod. proc. pen., coerentemente con l’interpretazione estensiva che la Corte Costituzionale ne ha fornito nel tempo (ordinanze n. 88 del 1994211 e n. 131 del 1995212, richiamate anche dalle successive n. 265 del 1994213 e n. 384 del 2006214).

Solamente in caso di inerzia del pubblico ministero, nonostante l’invito a procedere alla richiesta integrazione della contestazione (da ritenersi doverosa anche per il disposto dell’art. 124 cod. proc. pen.), il Gup poteva concludere la fase con la restituzione degli atti, a seguito dell’applicazione analogica dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., per valutare un “nuovo esercizio dell’azione penale”, poiché, quale garante del “filtro rispetto alle imputazioni azzardate”, non poteva essere costretto dall’inattività dell’organo dell’accusa215, a emettere un decreto che dispone il giudizio passibile di una dichiarazione di nullità, ai sensi dell’art. 429 cod. proc. pen., con il ritorno del procedimento alla fase dell’udienza preliminare216.

È stato quindi sottolineato che la funzione dell’udienza preliminare, con i provvedimenti assunti in conclusione della stessa, “determinano in capo a quel giudice il dominio e la responsabilità dell’atto introduttivo del giudizio”, così come il pubblico ministero, “titolare dell’azione e dell’imputazione, l’organo vincolato allo schema contestativo” è tenuto ad adeguare la descrizione del fatto contestato all’imputato alle risultanze delle indagini preliminari.

Dette ragioni giustificano il potere del Gup, in assenza dell’iniziativa del pubblico ministero, di integrare e precisare, nei limiti della richiesta di rinvio a giudizio, il fatto storico oggetto d’imputazione “anche in sede di correlazione delle fonti di prova con i fatti cui esse si riferiscono, ai sensi dell’art. 429, comma 1, lett. d, cod. proc. pen. (vedi ancora Sez. U, n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, in motivazione), nonché, quale espressione indefettibile del principio di legalità e della funzione di ius dicere, di dare al fatto contestato una diversa definizione o qualificazione giuridica, riconducendo così la fattispecie concreta allo schema legale che le è proprio, in forza della valenza generale della regola contenuta nell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.” (Corte cost. n. 347 del 1991217 e n. 112 del 1994218; Sez. U. n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617 – 01).

L’intervento riformatore sembra aver recepito tutte queste indicazioni, pur senza che nella relazione illustrativa, come rilevato altrove, si faccia cenno agli interventi nomofilattici intervenuti con particolare riguardo a Sez. U, “Battistella”.

La relazione illustrativa, in riferimento al criterio di delega di cui all’art. 1, comma 9, lett. n)219, individua due diversi profili di invalidità della imputazione.

La prima è relativa alla cd. imputazione “generica” elaborata in violazione dell’art. 417, comma 1, lett. b, cod. proc. pen., laddove è richiesto che il fatto debba essere esposto in forma chiara e precisa, unitamente alle circostanze aggravanti220 e di quelle che possono far conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza con l’indicazione dei relativi articoli di legge221.

La seconda fa, invece, riferimento a un’imputazione che non corrisponda, anche solo parzialmente, all’esito degli atti d’indagine sia in relazione all’esposizione del fatto che alle norme richiamate.

La nuova disciplina ha previsto la possibilità, da parte del giudice per l’udienza preliminare, di effettuare una duplice verifica sull’imputazione, come contestata nella richiesta di rinvio a giudizio, con la possibilità di sollecitare il pubblico ministero a sanare, direttamente in udienza, tutti i profili d’invalidità rilevati.

Si è così introdotto, con l’art. 421, comma 1-bis, cod. proc. pen., il potere da parte del giudice – dopo gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti e quelli relativi agli adempimenti già imposti al pubblico ministero con la legge Carotti - di valutare se la richiesta di rinvio a giudizio, con particolare riferimento alla formulazione del capo d’imputazione, risulti conforme al modello legale. Se il giudice rileva la genericità o la mancanza nella contestazione di tutti gli elementi accessori ritenuti necessari, “sentite le parti”, invita il pubblico ministero d’udienza a riformularla. In caso d’inottemperanza, il giudice, “sentite le parti”, può dichiarare “anche d’ufficio” la nullità della richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen., disponendo, con ordinanza motivata, la restituzione degli atti al pubblico ministero.

La norma sollecita, quindi, un contraddittorio anticipato sulla validità della contestazione e, in caso d’inerzia da parte del titolare dell’azione penale, reiterato il contraddittorio, il Gup prende le sue determinazioni, motivando sull’eventuale regressione del procedimento alla fase precedente.

Questo potere, ora espressamente conferito al Gup, è previsto, con la medesima disciplina, anche nel caso in cui l’imputazione, pur non risultando generica, non corrisponda, anche solo parzialmente, all’esito degli atti d’indagine sia in relazione all’esposizione del fatto che alle norme richiamate, con l’introduzione del comma 1-bis all’art. 423 cod. proc. pen. Nel caso in cui il pubblico ministero si adegui all’invito del giudice, l’imputazione modificata viene inserita nel verbale d’udienza e contestata all’imputato presente in udienza, come già previsto dall’art. 423 cod. proc. pen.; se, invece, l’imputato non sia presente, in ossequio alle modifiche introdotte dalla riforma in tema di “processo in assenza”, il giudice deve disporre la notifica del verbale all’imputato con un termine non inferiore a dieci giorni prima della data di rinvio ad altra udienza222.

Sulla natura della nuova sanzione processuale introdotta con la novella, essa può qualificarsi come una nuova ipotesi di nullità di carattere speciale, non potendo essere ricompresa nella categoria di ordine generale prevista all’art. 178, comma 1, cod. proc. pen.

Le modifiche introdotte, incentrate sulla necessaria completezza dell’imputazione e correttezza della sua formulazione in punto di fatto e di diritto, come evidenziato dalla relazione illustrativa, consentono di risolvere in via anticipata, nel contraddittorio delle parti, i possibili profili di invalidità dell’imputazione, evitando al massimo la possibilità di una regressione del procedimento, ai sensi dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., dalla fase dibattimentale.

Al contempo, consente un più agevole accesso ai riti alternativi, soprattutto nei casi in cui sussista una preclusione normativa per la qualificazione giuridica (qual è quella prevista dalla l. 12 aprile 2019, n. 33, sull’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo) ovvero sia incerta o generica la contestazione, per la sommaria descrizione del fatto o per l’incerta qualificazione giuridica. Questa ultima, infatti, poteva essere modificata – con tutte le conseguenze del caso - dal Gup con la sentenza resa all’esito del rito alternativo ovvero solamente con il decreto che dispone il giudizio, in assenza di una modifica in udienza da parte del pubblico ministero. La possibilità di accertare e correggere nel corso dell’udienza preliminare la giusta “messa a fuoco” dell’imputazione oggetto dell’azione penale, sotto i diversi aspetti comprensivi anche della qualificazione giuridica prima dell’emissione del decreto dispositivo del giudizio, ha provocato l’abrogazione del comma 2-bis dell’art. 429 cod. proc. pen., ritenuto ormai “superfluo”.

Detta norma consentiva l’accesso al rito abbreviato, successivamente all’emissione del decreto che dispone il giudizio, quando il giudice avesse dato una qualificazione giuridica diversa, quindi compatibile con detto rito alternativo, da quella enunciata originariamente nell’imputazione per un delitto punito con la pena dell’ergastolo. Si può, a questo punto, rilevare che, a seguito della restituzione degli atti con relativa regressione del procedimento, il pubblico ministero potrebbe, in teoria, optare per una diversa definizione del procedimento preferendo la richiesta di archiviazione. In questo senso la giurisprudenza di legittimità si è espressa con più decisioni che hanno analizzato il principio di obbligatorietà dell’azione penale e la sua conseguente irretrattabilità alla luce delle diverse disposizioni che rendono possibile una retrocessione del procedimento alla fase delle indagini preliminari. Si sono così interpretate dette norme considerandole come una legittima deroga a detto principio, con conseguente riampliamento dei poteri del pubblico ministero, proprio per evitare una sovrapposizione del criterio di giudizio del giudice rispetto alle libere determinazioni dell’organo dell’accusa. In particolare, Sez. 3, n. 45708 del 26/10/2011, F., Rv. 251596-01, ha affermato che, nel caso di contestazione in dibattimento di un fatto diverso da quello descritto nell’imputazione e ritorno del procedimento alla fase delle indagini preliminari, consegue al pubblico ministero la piena facoltà di richiedere ed ottenere dal giudice per le indagini preliminari, nella ricorrenza dei presupposti di legge, l’archiviazione per il fatto diverso oggetto di contestazione.

L’arresto chiarisce che la legittimità della regressione del procedimento alla fase iniziale escluda l’abnormità del provvedimento di archiviazione, senza alcuna incidenza sull’azione penale e sul principio di irretrattabilità della stessa poiché l’art. 521 cod. proc. pen. la consente espressamente quando il giudice accerti che il fatto è diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio. In senso conforme si è espressa Sez. 3, n. 42446 del 26/03/2015, Cuoco, con riferimento al caso in cui la richiesta di decreto penale di condanna fosse stata rigettata per errato calcolo della pena con restituzione degli atti al pubblico ministero, il quale, in seguito, aveva avanzato richiesta di archiviazione, poi rigettata dal giudice in considerazione del principio d’irretrattabilità.

Tale conclusione è stata ritenuta dalla Corte in contrasto con la giurisprudenza prevalente in base alla quale con la restituzione degli atti il procedimento “retrocede fisiologicamente alla fase delle indagini preliminari e nessuno degli esiti propri di tale fase può ritenersi precluso”. Si è ritenuto, con Sez. 6, n. 8063 del 25/11/2015, Renda, che non ricorra l’abnormità dell’atto quando il giudice, rilevato che il reato concorrente oggetto di contestazione suppletiva (art. 517 cod. proc. pen.) appartiene alla competenza del tribunale piuttosto che del giudice di pace, dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero in applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen.

Anche in questo caso la Corte ha evidenziato come, una volta che gli atti siano stati ritualmente restituiti al pubblico ministero, questi può legittimamente svolgere ulteriori indagini o comunque richiedere l’archiviazione del procedimento, non operando il principio dell’irretrattabilità dell’azione penale in presenza di una piena riespansione dei poteri dell’accusa.

Da ultimo, Sez. 2, n. 36186 del 06/07/2017, Landi, Rv. 270649-01, ha ribadito il principio, più volte affermato in passato, secondo il quale, dopo la sentenza dichiarativa di incompetenza da parte del tribunale e la conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente, il pubblico ministero può liberamente determinarsi in ordine all’esercizio dell’azione penale, potendo formulare richiesta di archiviazione. In motivazione, si specifica come, sulla base della sentenza della Corte costituzionale n. 76 del 1993223 si prevede una deroga al principio di irretrattabilità dell’azione penale, con apertura di una nuova e diversa fase procedimentale. La regressione del procedimento elimina di fatto la precedente fase di giudizio e la nuova fase di indagini preliminari non viene condizionata da quanto avvenuto nel primo giudizio (nello stesso senso, Sez. 4, n. 55129 del 09/11/2017, Doriani, Rv. 271773-01).

La dottrina224, infine, si è interrogata se, a seguito della regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari per la riformulazione della richiesta di rinvio a giudizio, l’imputazione, così modificata e adeguata ai canoni di chiarezza e precisione, possa rappresentare una situazione d’incompatibilità del Gup, che ne abbia dichiarato la nullità, a tenere la nuova udienza. L’ipotesi viene considerata fondata sulla base della recente sentenza della Corte costituzionale n. 16 del 2022225.

Secondo il Giudice delle leggi, “le norme sulla incompatibilità del giudice, derivante da atti compiuti nel procedimento, sono poste a tutela dei valori della terzietà e della imparzialità della giurisdizione, presidiati dagli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., risultando finalizzate ad evitare che la decisione sul merito della causa possa essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione - ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa o mantenere un atteggiamento già assunto - scaturente da valutazioni cui il giudice sia stato precedentemente chiamato in ordine alla medesima res iudicanda” 226.

Da questa affermazione discende che l’incompatibilità può sussistere in tutti i casi in cui l’attività del giudice si atteggi come oggettivamente sostitutiva del potere-dovere di iniziativa del pubblico ministero. Laddove, quindi, il giudice si “sostituisce” al ruolo del pm si può realizzare una commistione dei diversi ruoli con evidenti ripercussioni sulla necessaria imparzialità del giudice.

Nel caso di specie, secondo la Corte costituzionale si è realizzata una forma di incompatibilità cd. “orizzontale” di cui al comma 2 dell’art. 34 cod. proc. pen., che potrebbe replicarsi nel caso in cui il giudice, che abbia ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi del nuovo art. 421, comma 1-bis, cod. proc. pen., a cui abbia fatto seguito nuovamente l’esercizio dell’azione penale con le modifiche richieste, si trovi a celebrare nuovamente l’udienza preliminare la cui valutazione di merito espressa nel precedente provvedimento potrebbe essere ritenuto “pregiudicante”. Una conferma sembra rinvenirsi nella sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2002 in diversa fattispecie227.

La Corte ha, infatti, ivi affermato che «alla stregua della fisionomia che l'udienza preliminare è venuta assumendo - in relazione alla completezza del quadro probatorio di cui il giudice deve disporre e al potenziamento dei poteri riconosciuti alle parti in materia di prova - le decisioni che ne costituiscono l'esito devono essere annoverate tra quei “giudizi” idonei a pregiudicarne altri ulteriori e a essere a loro volta pregiudicati da altri anteriori, con la conseguenza che l'udienza preliminare deve essere compresa, al fine di assicurare la protezione dell'imparzialità del giudice, nel raggio d'azione dell'istituto dell'incompatibilità disciplinato dall'art. 34 del codice di procedura penale, anche al di là della limitata previsione del comma 2-bis dell'articolo stesso» 228.


3. La nuova regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere.

In attuazione del criterio della legge delega, con la modifica dell’art. 425 cod. proc. pen.229, come affermato dalla relazione illustrativa, si è creata un’inedita regola di giudizio secondo la quale “il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Si è disposta contestualmente l’abrogazione della parte relativa alla “inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio” e alle più specifiche ipotesi di “insufficienza” e “contraddittorietà” degli elementi raccolti.

La parte abrogativa della norma è giustificata con possibili “dubbi di conformità con il criterio di delega” e un “non giustificabile disallineamento” con l’omologa regola dettata in tema di archiviazione.

Nell’impianto originario del codice di rito, l’art. 425 cod. proc. pen. prevedeva, in tema di regola di giudizio, al primo comma, una sorta di richiamo all’eventuale successivo esito dibattimentale favorevole all’imputato, indicando le cause di estinzione del reato (art. 531 cod. proc. pen.) o di improcedibilità (art. 529 cod. proc. pen.), nonché le formule di proscioglimento (art. 530 cod. proc. pen.) quando esse fossero risultate come “evidenti” al Gup. Ciò in coerenza con l’originario disegno legislativo ispirato al modello di processo accusatorio che considerava il dibattimento quale nucleo centrale dell’intero procedimento e sede propria della formazione della prova nel contraddittorio delle parti.

All’udienza preliminare, invece, era affidato un ruolo esclusivamente processuale230. La constatazione, tuttora attuale, che tale filtro processuale fosse in realtà del tutto inefficace rispetto alle intenzioni del legislatore, ha ispirato le successive novelle legislative. Con una successiva mirata modifica231, il legislatore ha proceduto esclusivamente a elidere il riferimento a detta “evidenza”232. Con l’art. 23 della citata legge “Carotti” si sono aggiunti i commi 2, 3 e 4 ancora presenti.

Per quanto qui d’interesse, la modifica intervenuta al comma 3, ha in particolare esteso la possibilità di pronunciare la sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti fossero risultati insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Si è così voluto richiamare, per la sentenza di non luogo a procedere, ampliandone teoricamente l’applicabilità, il comma 2 dell’art. 530 cod. proc. pen. e l’art. 125 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).

La valutazione sulla fondatezza dell’addebito contestato non è stata considerata, dalla giurisprudenza di legittimità, in contrasto con la natura processuale dell’udienza preliminare233.

La “regola di giudizio” attuale è incentrata sulla “inidoneità” degli elementi raccolti a “sostenere l’accusa in giudizio”. Detto criterio è stato interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 1991 la quale ha specificato che il “quadro acquisitivo” va valutato “non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento giudiziale, che è l’autentica prospettiva di un pubblico ministero, il quale, nel sistema, è la parte pubblica incaricata di instaurare il processo”. Il vaglio da parte del Gup è stato, quindi, ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità composto da un giudizio “diagnostico” sulla completezza delle indagini e, successivamente, “prognostico” sull’utilità del dibattimento, accertando se l’insufficienza o la contraddittorietà degli elementi, raccolti dal pubblico ministero o acquisibili in udienza preliminare, potessero essere integrati o riportati a coerenza durante la successiva fase dibattimentale.

Va ricordato, ancora, che il Gup, già con l’art. 422 cod. proc. pen., poteva assumere, anche d’ufficio, le “prove evidentemente decisive” per il proscioglimento dell’imputato in un contraddittorio “debole”, e che, quindi, con l’art. 421-bis cod. proc. pen., gli era stata data anche la possibilità di indicare al pubblico ministero i profili ritenuti lacunosi da integrare con nuove indagini.

All’interno della stessa udienza preliminare era possibile, quindi, svolgere ulteriori approfondimenti certamente attinenti a una “valutazione di merito sulla consistenza dell’accusa, consistente in una prognosi sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale”, anche se la decisione veniva considerata ancora meramente processuale (come processuale è la richiesta di rinvio a giudizio), non essendo equiparabile a quella del giudice del dibattimento che decide sulla colpevolezza dell’imputato nel contraddittorio “pieno” delle parti, con “una sentenza chiamata a definire direttamente il merito della regiudicanda”234. Queste valutazioni sono affermate da Sez. U., n. 25695 del 29/05/2008, P.C. in proc. D'Eramo, Rv. 239701–01.

Con questa decisione la Corte ha, dapprima, richiamato le novità normative intervenute nel tempo, la precedente Sez. U, “Vottari” sopra già citata, e le pronunce della Corte costituzionale n. 224 del 2001, n. 335 del 2002 e n. 4 del 2008, “circa la diversa natura della sentenza di non luogo a procedere e della sentenza di proscioglimento in senso stretto, quanto ad oggetto dell'accertamento, base decisionale, regime di stabilità ed efficacia extrapenale”. Si è, quindi, affermato che “la fondamentale regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere, nonostante l'obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell'orizzonte cognitivo del giudice, resta tuttavia qualificata da una delibazione, di tipo prognostico, di sostenibilità dell'accusa in giudizio, con riferimento al maggior grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all'effettiva utilità della fase dibattimentale”. Si è aggiunto che le valutazioni del Gup sono prognostiche e, pur essendo “intrise di fatto e di merito”, non gli consentono di giudicare sull’effettiva colpevolezza o innocenza dell’imputato235. Fra le ultime pronunce della Corte appaiono rilevanti quelle di Sez. 5, n. 37322 del 28/01/2019, che ripercorre in sintesi, partendo dalle Sezioni Unite del 2008 sopra citate, lo sviluppo giurisprudenziale di legittimità sulla regola di giudizio del Gup, nonché di Sez. 6, n. 17385 del 24/02/2016, P.G. e P.M. in proc. Tali, Rv. 267074–01236, sulla natura dell’udienza preliminare, anche alla luce dell’attuale riforma.

Da queste decisioni ha tratto origine il canone interpretativo “in dubio pro actione”, che individua proprio in esso la ragione principale dell’inefficacia dell’udienza preliminare quale “concreto” filtro processuale dell’azione penale.

La nuova regola di giudizio amplia ulteriormente il potere prognostico del Gup.

Egli, verificata la validità della richiesta di rinvio a giudizio ed eventualmente precisata la contestazione all’imputato, come detto nel paragrafo precedente, procederà alla discussione e, con gli elementi raccolti dal pubblico ministero durante le indagini preliminari e quelli eventualmente acquisiti con i suoi poteri d’iniziativa (artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., rimasti immutati) ovvero indicati dalla difesa (art. 391-octies cod. proc. pen.), dovrà “pronosticare” se essi consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna.

La “diversa” prognosi dovrebbe consentire una maggiore capacità di ridurre il carico dibattimentale.

L’intenzione del legislatore è certamente quella di ampliare i casi in cui il proscioglimento dell’imputato può essere dichiarato direttamente in udienza preliminare (considerata la percentuale elevata di assoluzioni rilevate nei gradi di merito) aumentando il grado di “cognizione” del Gup nella prospettiva della successiva fase dibattimentale, agevolato anche dalla precisazione in fatto e in diritto dell’accusa.

Tale innovazione dovrebbe influire anche sulle prospettive del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale237.

La dottrina238 ha espresso forti critiche alla formulazione della nuova regola di giudizio che, pur apparendo favorevole ai diritti dell’accusato, sposta ancora una volta il baricentro del procedimento dal dibattimento alle indagini preliminari, sia pure con tutti i rimedi correttivi previsti. In particolare, si è ritenuto che in sostanza i parametri di valutazione del giudice dell’udienza preliminare siano rimasti immutati, non essendo variata la regola di giudizio, in quanto sarebbero mutati solo i presupposti per adottare una sentenza di non luogo a procedere. Per tale via si rileva che vi sia una sostanziale coincidenza tra “gli elementi non idonei a sostenere l’accusa” del testo vigente e gli elementi che non consentono una ragionevole previsione di condanna” del nuovo testo239. Non mancano le posizioni ancora più critiche che vedono nella nuova regola di giudizio un pericolo per la presunzione di non colpevolezza, quale stigma per l’imputato di cui sia stato disposto il giudizio, nonché una “strisciante forma di coercizione dell’imputato alla scelta di riti alternativi”.240


4. La costituzione di parte civile.

La riforma, come previsto dalla legge delega241, interviene anche sulle modalità e i termini di costituzione di parte civile. L’art. 78 cod. proc. pen., come modificato, punta a facilitarne le modalità aggiungendo il comma 1-bis242, che consente al difensore munito di procura speciale “a norma dell’art. 100” cod. proc. pen. e di “procura per la costituzione di parte civile a norma dell’art. 122” cod. proc. pen., salvo la volontà ivi espressa contraria della parte interessata, di “conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione”, senza mutare la titolarità del procuratore ovvero della parte costituita.

Si tratta di una norma, “complessa e particolare” diretta ad agevolare il difensore, normalmente “penalista”, in relazione ai tratti distintivi dell’azione civile che distingue la legittimatio ad causam (la titolarità del diritto) da quella ad processum (la capacità di stare in giudizio), mantenuti dal codice di rito penale nel caso di “innesto” dell’azione civile del danneggiato all’interno del processo penale. Come ricordato da Sez. U, n. 44712 del 27/10/2004, P.C. in proc. Mazzarella, Rv. 229179-01, si deve tenere distinto il profilo della legitimatio ad causam, ovvero la titolarità del diritto sostanziale in capo al danneggiato come indicato dall'art. 74 cod. proc. pen., quale indispensabile presupposto per la costituzione di parte civile con le modalità previste dagli artt. 76 e 78 cod. proc. pen.., dalla legitimatio ad processum, ovvero la rappresentanza processuale che risponde alla regola delineata dall'art. 100 cod. proc,. pen., in virtù della quale il danneggiato, per potere stare in giudizio, sia esso costituito personalmente o a mezzo di procuratore speciale, deve conferire al difensore la necessaria procura alle liti. Con la procura speciale prevista dagli artt. 76 e 122 cod. proc. pen. il soggetto titolare del diritto al risarcimento dei danni attribuisce al procuratore la capacità di disporre delle posizioni giuridico-soggettive del rappresentato, comprensiva della possibilità di costituirsi quale parte civile in nome e per conto del soggetto danneggiato; la procura speciale di cui all'art. 100 cod. proc. pen. conferisce, invece, il solo mandato processuale di rappresentanza in giudizio. Essa è necessaria perché imposta dalla disciplina processuale, recepita dal processo civile che non consente alla parte di costituirsi in giudizio personalmente, se non attraverso di un procuratore speciale.

Come stabilito espressamente dall'art. 100, comma 1, cod. proc. pen., la parte civile, come le altre parti private, “stanno in giudizio con ministero di un difensore, munito di procura speciale”. La procura alle liti, quindi, consente la rappresentanza tecnica in giudizio, ossia esclusivamente lo jus postulandi, conferendo il potere di "compiere e ricevere ... tutti gli atti del procedimento" (art. 100, comma 4, cod. proc. pen.), necessari allo svolgimento dell'azione civile che è richiesta anche in sede di costituzione nel processo penale, perché delineata come l'omologo istituto civilistico di cui all’art. 83 cod. proc. civ. Sez. U, “Mazzarella”, ha, inoltre affermato la legittimità del cumulo delle due procure in un unico atto, pur non escludendone l’autonomia sostanziale. L’intervento di riforma ha inteso evitare le frequenti ipotesi d’invalidità della costituzione di parte civile dovute alla sottoscrizione e al deposito243 ovvero alla presenza in udienza del sostituto processuale, delegato ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen., senza le richieste formalità tra cui la manifestazione di volontà della parte rappresentata - attraverso l’inserimento della sua specifica volontà nelle procure speciali sopra indicate (come detto cumulabili in un unico atto) - ovvero attraverso la presenza personale del soggetto titolare del diritto risarcitorio al momento della costituzione in udienza - come affermato da Sez. U, n.12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272169-01244, citata all’uopo nella relazione illustrativa e le cui affermazioni rappresentano il presupposto dell’intervento riformatore.

La questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite era infatti relativa ad una dichiarazione di costituzione di parte civile non sottoscritta dal difensore titolare, in un caso di assenza di coincidenza delle facoltà di subdelega nelle due procure, infatti, la facoltà di subdelega era relativa solo alla procura alle liti e non alla procura all'esercizio dell'azione civile, con conseguente esclusione del potere del sostituto processuale di sottoscrivere la costituzione di parte civile. Sulla legittimità della sostituzione in sede di costituzione, si è quindi chiarito che perché “tale potere sia legittimamente conferito appare necessario e sufficiente che il danneggiato preveda una tale possibilità in capo al difensore-procuratore speciale all'interno della procura di cui agli artt. 76 e 122 cod. proc. pen.”245. Con Sez. 6, n. 1228 del 21/11/2019, dep. 2020, Massironi, si è ulteriormente specificato come “la presentazione in udienza della dichiarazione di costituzione di parte civile, ove ritualmente sottoscritta dal difensore, munito di procura speciale alle liti, possa essere delegata al sostituto processuale, non assumendo tale atto la natura di atto dispositivo del diritto conteso, ma costituendo mera esplicazione dello stesso mandato alle liti, ove conferito con l'espressa facoltà di avvalersi di sostituti processuali”, nonché come sia possibile solo per il difensore, titolare della procura alle liti di cui all’art. 100 cod. proc. pen. e anche della procura per l'esercizio della azione civile in sede penale ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen., il potere di delegare ad altri di sottoscrivere l'atto di costituzione, sempre che tale facoltà non si ponga in contrasto con la volontà della parte rappresentata “che abbia escluso la facoltà di nominare altro difensore diverso da quello incaricato”. La modifica all’art. 79 cod. proc. pen., invece, limita il momento processuale riservato alla costituzione della parte civile all’interno dell’udienza preliminare, ove prevista. Si prevede specificamente che la stessa debba intervenire “prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o, quando manca l’udienza preliminare, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’art. 484 cod. proc. pen. o dall’art. 554-bis, comma 2, cod. proc. pen.”. Detti termini sono perentori, essendo previsti, al comma 2 dell’art. 79 cod. proc. pen., a pena di decadenza. Con l’art. 5-ter della legge n. 30 dicembre 2022 n. 199, di conversione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, si è inoltre introdotto l'art. 85-bis al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con cui si aggiunge una disposizione transitoria in materia di termini per la costituzione di parte civile nei procedimenti penali. Esso stabilisce che detto limite temporale non operi per i procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 cit., in udienza preliminare siano già stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ma continuino ad applicarsi le disposizioni dell'art. 79 cod. proc. pen. e, limitatamente alla persona offesa, dell'art. 429, comma 4, cod. proc. pen. nel testo previgente246. L’applicazione del nuovo termine, senza detta disposizione transitoria, avrebbe precluso la costituzione di parte civile quando, al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, in udienza preliminare si fosse già svolta l’attività di controllo del giudice sulla regolare costituzione delle parti, così stabilendosi l'ultrattività delle disposizioni dell'art. 79 e, limitatamente alla persona offesa, dell'art. 429, comma 4, cod. proc. pen. nella formulazione antecedente alla entrata in vigore della riforma.



 

Note

203

Nel biennio 2017-2018 la durata media dei giudizi di primo grado è stata di 378 giorni rispetto alla media europea di 122 giorni, in secondo grado la differenza aumenta con 871 giorni rispetto a 104, fonte www.coe.int.

204

Come delineato dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, e attuato con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

205

art. 1, comma 9, lett. m, l. 27 settembre 2021, n. 134, trasfuso nell’art. 23, comma 1, lett. l, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

206

art. 1, comma 9, lett. n, l. 27 settembre 2021, n. 134, trasfuso nell’art. 23, comma 1, lett. g, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

207

art. 1, comma 9, lett. o, l. 27 settembre 2021, n. 134, trasfuso nell’art. 5, comma 1, lett. b e c, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

208

P. FERRUA, Brevi appunti in tema di udienza preliminare, appello e improcedibilità, in DisCrimen del 9 dicembre 2021, pag. 1.

209

Per tutte, vedi Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017, Tosi, Rv. 270521-01, così massimata: “Non incorre in abnormità, sotto il duplice profilo strutturale e funzionale, né in eccesso di potere il decreto con cui il giudice per l'udienza preliminare dispone il giudizio modificando la qualificazione giuridica del fatto posta dal pubblico ministero nella propria richiesta, atteso che lo "ius variandi" in punto di diritto è potere tipico attribuito al giudice in ogni fase e grado del procedimento, il cui esercizio non incide sull'autonomo potere - riservato in via esclusiva al pubblico ministero - di modificare il fatto contestato e di procedere a nuova contestazione qualora esso risulti diverso da come è descritto nell'imputazione. (Fattispecie in cui il G.U.P., previa modifica, in assenza di richiesta del P.M., dell'imputazione contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio per tentata estorsione continuata ex artt. 81 cod. proc. pen., 56 e 629 cod. pen., aveva disposto il giudizio per l'ipotesi meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in continuazione ex artt. 81 e 393 cod. pen.).”

210

Come già affermato da Sez. U., n. 39915, 30/10/2002, Vottari, in motivazione.

211

Con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 424 cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari possa, all'esito dell'udienza preliminare, trasmettere gli atti al pubblico ministero per descrivere il fatto diversamente da come ipotizzato nella richiesta di rinvio a giudizio.

212

Con cui la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 417, comma 1, lett. b, cod. proc. pen. in riferimento agli artt. 24, 111 e 112 Cost., nella parte in cui, in ipotesi di contestazione generica del fatto, non prevede la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, avendo il giudice per l’udienza preliminare il potere di sollecitare il pubblico ministero a integrarla.

213

Con la sentenza n. 265 del 1994, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni; contestualmente ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 520 e 516 cod. proc. pen., relativamente alla preclusione al giudizio abbreviato in ordine alle nuove contestazioni dibattimentali, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.

214

Con la sentenza n. 384 del 2006, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 423, comma 1, cod. proc. pen. sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, Cost.

215

Sul punto si richiama Sez. 1, n. 3375 del 05/05/2000, PM in proc. Ferrentino, Rv. 216422 – 01, escludendo che possa sussistere una sorta di “sudditanza” del giudice nei confronti del pubblico ministero.

216

Nel caso di regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari a seguito di ordinanza emessa ai sensi dell'art. 521, comma secondo, cod. proc. pen., non è dovuta la rinnovazione dell'avviso di cui all'art. 415 bis cod. proc. pen. se, rispetto alla fase procedimentale anteriore alla regressione in cui l'imputato ha avuto piena conoscenza delle accuse a suo carico, non sia intervenuto un "quid novi" in relazione al quale egli avrebbe diritto di calibrare diversamente l'esercizio del suo diritto di difesa (Sez. 5, n. 7292 del 5/12/2014, dep. 2015, Messina, Rv. 262317–01.

217

Con tale sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 429 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 25, comma primo e 101, comma secondo, Cost.

218

Con tale sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, cod. proc. pen., sollevata in riferimento all'art. 101, comma secondo, Cost.; contestualmente ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 429 (in combinato disposto con gli artt. 417 e 423) cod. proc. pen. e 2, n. 52, legge 16 febbraio 1987, n. 81, ("Delega al governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale") sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101, comma secondo, Cost.

219

La disposizione di delega così recita: « prevedere che, in caso di violazione della disposizione dell’articolo 417, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, il giudice, sentite le parti, quando il pubblico ministero non provvede alla riformulazione dell’imputazione, dichiari, anche d’ufficio, la nullità̀ e restituisca gli atti; prevedere che, al fine di consentire che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, nonché́ i relativi articoli di legge, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, sentite le parti, ove il pubblico ministero non provveda alle necessarie modifiche, restituisca, anche d’ufficio, gli atti al pubblico ministero». 220

A titolo d’esempio, sulla specifica aggravante di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., vedi Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 – 01, secondo cui non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma. (Si è escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, fosse sufficiente a tal fine in quanto l'attribuzione a esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione).

221

Sul punto vedi anche Sez. U, n. 18 del 21/06/2000, Franzo e altri, Rv. 216430–01, e successivi conformi sulla prevalenza, per l’imputazione, della compiuta descrizione del fatto rispetto all'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati.

222

Art. 421, comma 1-bis, cod. proc. pen. richiamato dall’art. 423, comma 1-ter, cod. proc. pen

223

Dichiarativa dell'illegittimità costituzionale, dell'art. 23, comma 1, cod. proc. pen. nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo.

224

G. SPANGHER, Gli incerti orizzonti della giustizia penale tra la forza della politica e quella della volontà: spargere l’ottimismo non basta, in Penale Diritto e Procedura, febbraio 2022.

225

La pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante, sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.

226

Sul punto si richiamano, tra le tante le precedenti sentenze n. 183 del 2013, n. 153 del 2012, 177 del 2010 e n. 224 del 2001.

227

La Corte costituzionale, con la citata sentenza, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 cod. proc. pen. sollevata, in riferimento all'art. 111, comma secondo, Cost., nella parte in cui detta norma non prevede, come caso di incompatibilità all'esercizio di funzioni giudiziarie, quello del magistrato che nell'udienza preliminare ha pronunciato il decreto che dispone il giudizio e che, a seguito di dichiarazione di nullità del decreto stesso, si trova nuovamente a celebrare nello stesso procedimento l'udienza preliminare, con poteri identici a quelli già precedentemente esercitati.

228

Sono richiamate, ancora una volta, le precedenti pronunce n. 155 del 1996, 115 del 2001 e 88 del 1991, sul rapporto tra l'udienza preliminare e le altre fasi del giudizio nonché la sentenza n. 224 del 2001 e le ordinanze n. 207 del 1998, 112 del 2001 e 185 del 2001, in relazione al principio di imparzialità del giudice e alla sua operatività nell'ambito dell'udienza preliminare.

229

Art. 23, comma 1, lett. l, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha modificato l’art. 425, comma 2, cod. proc. pen.

230

Vedi Sez. 3, n. 4851 del 20/11/1990, Gambino, Rv. 186002 – 01, con cui, negli primi anni di vigenza del nuovo codice, si confermava come la funzione dell'udienza preliminare, non fosse quella di acquisire o formare la prova, ma di delibare il fondamento della accusa allo stato degli atti. Il giudice per l’udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio. Per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere occorre, come espressamente previsto dall’art. 425 cod. proc. pen., una prova positiva evidente di non colpevolezza non essendo sufficiente la mancanza di prove, fatto negativo che è invece sufficiente per il giudice dibattimentale ai sensi dell’art. 530 dello stesso codice.

231

Art. 1, l. 8 aprile 1993, n. 105.

232

Vedi Sez. 1, n. 1490 del 18/11/1998, dep. 1999, P.M. in proc. Gabriele, Rv. 212335–01, con la quale “in tema di sentenza di non luogo a procedere, a seguito della modifica apportata all'art. 425 cod. proc. pen. dell'art. 1 della Legge 8 aprile 1993 n. 105 (soppressione del requisito dell'"evidenza" dei presupposti per l'emissione del provvedimento), va affermato il principio della necessità di pronunziare sentenza di non luogo a procedere sia nel caso di prova positiva della innocenza, sia nel caso di mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza, sempre che essa non appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento.

233

Sez. 4, n. 26410 del 19/04/2007, Giganti, Rv. 236800–01, la quale afferma che, anche dopo le modifiche apportate all'art. 425 cod. proc. pen. dall'art. 23 L. 16 dicembre 1999, n. 479, l'udienza preliminare ha conservato la sua natura processuale. Il giudice dell'udienza preliminare non può pronunziare sentenza di non luogo a procedere quando l'eventuale insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti appaiano ragionevolmente superabili nel dibattimento, non dovendo egli accertare l'innocenza o la colpevolezza dell'imputato, ma solamente la sostenibilità dell'accusa nel giudizio.

234

In questo senso le già richiamate decisioni della Corte cost. n. 224 del 2001 e n. 185 del 2002

235

Si veda, a esempio, due sentenze del 2015 oggetto di massimazione: Sez. 2, n. 46145 del 05/11/2015, P.O. in proc. Caputo, Rv. 265246–01, secondo cui “attesa la funzione di "filtro" svolta dall'udienza preliminare, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, il Gup deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, esprimendo un giudizio prognostico circa l'inutilità del dibattimento, senza poter effettuare una complessa ed approfondita disamina del merito. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il proscioglimento deve essere escluso in tutti i casi in cui gli elementi acquisiti a carico si prestino a letture alternative o aperte, o comunque ad essere diversamente valutati in dibattimento, anche alla luce delle future acquisizioni probatorie) e la sua difforme Sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015, P.M. in proc. Quintavalle, Rv. 264427–01, così massimata “il giudice dell'udienza preliminare è chiamato ad una valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell'accusa, eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle indagini, e, ove ritenga sussistere tale necessaria condizione minima, deve disporre il rinvio a giudizio dell'imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per ritenere che il materiale individuato, o ragionevolmente acquisibile in dibattimento, non consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza.”

236

Così massimata: “La sentenza di non luogo a procedere è una sentenza di merito su di un aspetto processuale, in cui il giudice dell'udienza preliminare è chiamato a valutare non la fondatezza dell'accusa, bensì la capacità degli elementi posti a sostegno della richiesta di cui all'art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai sensi degli artt. 421 bis e 422 cod. proc. pen., di dimostrare la sussistenza di una "minima probabilità" che, all'esito del dibattimento, possa essere affermata la colpevolezza dell'imputato. (In motivazione la Corte ha chiarito che la valutazione del giudice dei dati probatori è finalizzata a verificare l'esistenza di un livello "serio" di fondatezza delle accuse, ma restano escluse da tale sindacato quelle letture degli atti di indagine o delle prove connotate da un significato "aperto" o "alternativo", suscettibile, dunque, di diversa interpretazione da parte del giudice del dibattimento).”

237

COMMISSIONE LATTANZI, Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435, in www.giustizia.it, 24 maggio 2021, 20:”Con particolare riguardo al parametro per le determinazioni sull’esercizio dell’azione penale, la Commissione ritiene che, alla luce dell’evoluzione della fase preliminare, vada superato il criterio dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale; a seguito di indagini che – in linea con quanto richiesto dalla Corte costituzionale – devono risultare tendenzialmente complete (e possono avere una durata significativa), il pubblico ministero sarà chiamato a esercitare l’azione penale solo quando gli elementi raccolti risultino – sulla base di una sorta di «diagnosi prognostica» – tali da poter condurre alla condanna dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, tanto in un eventuale giudizio abbreviato, quanto nel dibattimento. Al contrario, laddove il quadro cognitivo si connoti per la mancanza di elementi capaci di sorreggere una pronuncia di condanna, il pubblico ministero dovrà optare per l’inazione. In tal modo viene valorizzata l’istanza di efficienza processuale propria dell’istituto dell’archiviazione, senza intaccare il canone di obbligatorietà dell’azione penale, che viene tutelato, per un verso, dal controllo del giudice sulla completezza delle indagini e, per l’altro, dalla possibilità di una loro riapertura”.

238

Per tutti, P. FERRUA, Appunti critici sulla riforma del processo penale secondo la Commissione Lattanzi, in DisCrimen, 2/2021, pag. 65 e ss.

239

P. FERRUA, Brevi appunti in tema di udienza preliminare, appello e improcedibilità, in DisCrimen del 9 dicembre 2021, pag. 2, ripreso da molti altri autori.

240

G. CIVITA, La riforma Cartabia, a cura di G. Spangher, pag. 327.

241

Art. 1, comma 9, lett. o:“prevedere che, nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile debba avvenire, a pena di decadenza, per le imputazioni contestate, entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti, a norma dell’articolo 420 del codice di procedura penale; prevedere che, salva contraria volontà espressa della parte rappresentata e fuori dei casi di mancanza di procura alle liti ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura penale, la procura per l’esercizio dell’azione civile in sede penale, rilasciata ai sensi dell’articolo 122 del predetto codice, conferisca al difensore la legittimazione all’esercizio dell’azione civile con facoltà di trasferire ad altri il potere di sottoscrivere l’atto di costituzione per garantire il potere di costituirsi parte civile.”

242

“Il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’articolo 100, nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’articolo 122, se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione.”

243

Va rilevato, sulla specifica ipotesi del deposito in cancelleria dell’atto di costituzione di parte civile, che sia sottoscritto dal difensore nominato, ai sensi dell’art. 78, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., in realtà non rileva la titolarità del potere di rappresentanza in capo alla persona incaricata, trattandosi di un adempimento meramente materiale (cfr. Sez. 6, n. 1128 del 21/11/2019, dep. 2020, Massironi).

244

Così massimata: “il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l'azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente.”

245

Prosegue la sentenza specificando ulteriormente i termini "necessario", “perché solo tale ambito formale garantisce che al sostituto venga delegato il diritto sostanziale di cui il mandante è titolare”, e "sufficiente" “perché non può pretendersi, all'estremo opposto, che il danneggiato conferisca una ulteriore apposita procura speciale direttamente in capo al sostituto.”

246

L'articolo 98, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022 dispone proprio l'abrogazione, alla data di entrata in vigore della riforma, del comma 4 dell'art. 429 cod. proc. pen.



 

FONTE: Articolo tratto da "La riforma Cartabia: Relazione su novità normativa dell'Ufficio del Massimario - 2022"

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