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Pene sostitutive: le novità introdotte dalla Riforma Cartabia


Riforma Cartabia

Sommario:


1. Gli obiettivi della legge delega in tema di pene sostitutive delle pene detentive brevi

L’art. 1, comma 17, della legge 27 settembre 2021, n. 134, di riforma del processo penale modifica profondamente la disciplina della penalità sostanziale, processuale e penitenziaria preesistente. La ratio ispiratrice della riforma dev’essere individuata nella considerazione, da tempo diffusa anche nel contesto internazionale, secondo cui una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi in termini di risocializzazione del condannato e di riduzione dei tassi di recidiva e nell’altrettanto radicata convinzione che, nei casi di pena detentiva di breve durata, la finalità, imposta dall’art. 27 Cost., di rieducazione e di risocializzazione del condannato può raggiungersi con maggiori probabilità attraverso pene da eseguirsi nella comunità delle persone libere, in modo da escludere o ridurre l’effetto di desocializzazione della detenzione in istituti di pena, relegando questa al ruolo di extrema ratio. L’azione del legislatore delegato si snoda in una triplice direzione. Innanzitutto, si realizza una radicale rivisitazione delle tipologie sanzionatorie, con connessa estensione dell’ambito applicativo della loro sostituibilità. Si dispone, poi, l’emancipazione delle pene sostitutive dalla sospensione condizionale della pena, eliminando in tal modo una delle principali ragioni della scarsa applicazione delle previgenti sanzioni sostitutive. Da ultimo, si riorientano le sanzioni sostitutive verso finalità più accentuatamente specialpreventive. Sotto il primo dei profili elencati l’art. 1, comma 17, della legge n. 134 del 2021 delega il Governo ad abolire le sanzioni della semidetenzione e della libertà controllata, di cui alla legge n. 689 del 1981 e, contestualmente, a prevedere la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, i lavori di pubblica utilità sostitutivi e la pena pecuniaria (lett. b), che sono concepiti, sin dal nomen iuris, come “vere e proprie pene”, per quanto non edittali.

La semilibertà e la detenzione domiciliare possono sostituire la reclusione o l’arresto di durata non eccedente i quattro anni, per come risultanti all’esito della commisurazione giudiziale; il lavoro di pubblica utilità può sostituire pene detentive di durata non eccedente i tre anni sempre “in concreto”, mentre il limite di pena detentiva “in concreto” sostituibile dalla pena pecuniaria sale ad un anno (lett. e). Le prime due pene sostitutive di nuova introduzione costituiscono una sorta di anticipazione alla fase decisoria delle corrispondenti misure alternative alla detenzione carceraria (semilibertà e detenzione domiciliare), mentre il lavoro di pubblica utilità rappresenta un’estensione “generalizzata”, in veste di pena sostitutiva, dell’omonima sanzione principale del sistema del giudice di pace, peraltro già sperimentata nel sistema penale “ordinario” come sanzione sostitutiva per la contravvenzione di guida in stato d’ebbrezza e per il delitto di cui all’art. 73, comma 5-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990. Risulta escluso dal novero delle pene sostitutive l’affidamento in prova al servizio sociale. Sotto il profilo della non sovrapposizione delle nuove pene sostitutive con l’istituto della sospensione condizionale della pena, l’effetto è stato perseguito attraverso due specifici interventi. Da un lato, imponendo al legislatore delegato di «prevedere che le disposizioni degli articoli 163 e seguenti del codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applichino alle sanzioni sostitutive» (lett. h); dall’altro, elevando il limite applicativo della sostituzione sino a quattro anni, in modo da delineare un ambito operativo autonomo per le pene sostitutive, non potendo – com’è noto – operare la sospensione condizionale “ordinaria” al di sopra del limite dei due anni di pena detentiva.

La finalità specialpreventiva emerge con chiarezza dal tenore della previsione della lett. c) del comma 17, che prevede l’applicabilità delle nuove pene sostitutive a condizione che «assicurino attraverso opportune prescrizioni» la prevenzione del pericolo di recidiva.

Con tale statuizione viene eliminata la divaricazione, esistente nel campo delle sanzioni sostitutive come disciplinate antecedentemente alla vigenza della cd. riforma Cartabia, tra il momento dell’indicazione della specie e della durata della pena detentiva ad opera del giudice di cognizione (si veda l’art. 61 della legge n. 689 del 1981: condanna a pene sostitutive) e la fase della determinazione delle modalità di esecuzione ad opera del magistrato di sorveglianza (al riguardo l’art. 62 della medesima legge).

Nel testo riformato della legge n.689 del 1981 il giudice della cognizione, già al momento in cui infligge la pena, deve prefigurarsi l’applicanda pena sostitutiva e il relativo progetto attuativo. dettagliato in un regime prescrittivo adeguato e il più possibile individualizzato. In ossequio a quanto previsto dalla legge delega, il decreto legislativo attuativo n. 150 del 2022 modifica, quindi, le disposizioni della legge n. 689 del 1981 e le correlate norme del codice penale, riformulando, inoltre, talune previsioni in tema del codice di rito.


2. La disciplina delle nuove pene sostitutive

L’art. 1 del d.lgs. n. 150 del 2022 introduce, nel Libro I del codice penale, l’art. 20-bis (“Pene sostitutive delle pene detentive brevi”), collocandolo nel Titolo II (“Delle pene”), al Capo I (“Delle specie di pene in generale”), dopo la disciplina generale delle pene principali e delle pene accessorie.

Scopo della nuova disposizione è quello di includere espressamente le pene sostitutive nel sistema delle pene delineato nella parte generale del codice, richiamandone la disciplina sì da creare un raccordo con l’articolata regolamentazione delle stesse pene sostitutive, che continua ad essere prevista dalle dispsizioni della legge n. 689 del 1981, come riformulate dall’art. 71 del d.lgs. n. 150 del 2022. In particolare, i novelli artt. 53 e ss., soppressi i riferimenti alle abolite semidetenzione e libertà controllata, hanno ad oggetto la disciplina della semilibertà sostitutiva, della detenzione domiciliare sostitutiva, del lavoro di pubblica utilità sostitutivo e della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva inflitta in misura non superiore a un anno, unica tra le previgenti sanzioni sostitutive a rimanere nel sistema.

La scelta di denominare le nuove pene aggiungendo l’aggettivo “sostitutive” nasce dall’esigenza di rendere immediatamente distinguibili le predette sanzioni sostitutive dagli istituti analoghi, ma aventi diversa natura giuridica e disciplina, costituiti dalle misure alternative alla detenzione della semilibertà, della detenzione domiciliare, del lavoro di pubblica utilità previsto come pena principale irrogabile dal giudice di pace o disposto nell’ambito della sospensione condizionale della pena o della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Le rinominate “pene” mantengono, quanto al rapporto con la pena sostituita, una dimensione funzionale di accessorietà, atteso che, trattandosi di sanzioni restrittive della libertà personale, la mancata esecuzione della pena sostitutiva o la violazione delle prescrizioni in essa contenute comportano, in ultima istanza, il recupero, in tutto o in parte, della pena detentiva originaria (art. 66 della legge n. 689 del 1981). In ossequio al principio di proporzione tra pena irroganda o irrogata e regime cautelare, l’art. 13, comma 2, lett. e), del decreto attuativo, nel prevedere modifiche al Titolo I del Libro IV del codice di procedura penale, al comma 1, lett. e), ha introdotto il comma 4-bis all’art. 300, sancendo l’incompatibilità della prosecuzione delle misure custodiali in caso di condanna a pena sostitutiva non detentiva.

In particolare, si è stabilito che quando è pronunciata sentenza di condanna alla pena pecuniaria sostitutiva o al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, di cui alla legge n. 689 del 1981, anche in grado di appello, o sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ancorché sottoposte a impugnazione, non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere.

L’art. 67 della legge n. 689 del 1981 prevede l’inapplicabilità delle misure alternative alla detenzione di cui al capo VI della legge n. 354 del 1975 al condannato in espiazione di pena sostitutiva, salvo quanto previsto dall’art. 47, comma 3-ter, della medesima legge.

L’art. 70 della medesima legge disciplina l’esecuzione delle pene sostitutive concorrenti, integrando e adeguando alle nuove pene sostitutive la disciplina già esistente. Il successivo art. 76 sancisce l’applicabilità alle pene sostitutive del comma 12-bis dell’art. 47 ord. pen., che estende il beneficio della liberazione anticipata all’affidamento in prova, ciò da cui consegue l’applicabilità di tale beneficio anche alle pene sostitutive. Il riformato art. 57 della legge n. 689 del 1981 introduce la regola generale sulla durata delle pene sostitutive e adegua la disciplina degli effetti e dei criteri di ragguaglio delle pene sostitutive al nuovo assetto delineato dalla riforma.

Soffermando l’attenzione su quest’ultimo aspetto, va posto in rilievo che il secondo comma mutua, per le pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità, la disciplina prevista, nel primo e nel terzo comma del previgente art. 57, per la semidetenzione e per la libertà controllata.

Si prevede anzitutto, come già per la semidetenzione e la libertà controllata, che «per ogni effetto giuridico, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita».

Ciò significa che ogni riferimento alla reclusione e all’arresto, previsto da norme di parte generale od ovunque ubicate, deve intendersi esteso alle tre nuove pene sostitutive ad ogni effetto giuridico.

Si aggiunge poi, in linea con quanto disposto dal primo comma, che, ad ogni effetto giuridico, un giorno di pena detentiva equivale a un giorno di semilibertà sostitutiva, di detenzione domiciliare sostitutiva o di lavoro di pubblica utilità sostitutivo. Il terzo comma, infine, ribadisce la regola stabilita dal previgente secondo comma dell’art. 57, stabilendo che la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva.


3. I requisiti oggettivi e soggettivi di applicazione delle pene sostitutive della pena detentiva breve

L’articolo 53 della legge n. 689 del 1981, come novellato dal decreto attuativo, prevede che il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quelle della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell'articolo 56-quater.

Con il decreto penale di condanna, il giudice, su richiesta dell’indagato o del condannato, può sostituire la pena detentiva determinata entro il limite di un anno, oltre che con la pena pecuniaria, con il lavoro di pubblica utilità; si applicano le disposizioni dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 459 cod. proc. pen. Ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva entro cui possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’art. 81 cod. pen., il che significa che il giudice potrà sostituire la pena detentiva solo se, dopo aver determinato l’aumento di pena per il concorso formale o per la continuazione dei reati, la pena detentiva risulti irrogata in misura non superiore a quattro anni, costituendo questo il limite massimo insuperabile, posto che trattasi della massima estensione possibile del concetto di pena detentiva “breve”. Il rapporto tra le pene sostitutive ricalca la previgente disciplina, potendo esse concorrere, entro i rispettivi limiti massimi di pena detentiva sostituibile. Pertanto, quando la pena detentiva è irrogata entro il limite di un anno, tutte le pene sostitutive possono essere applicate; quando la pena detentiva è irrogata in un quantum compreso tra un anno e un giorno a tre anni, possono concorrere il lavoro di pubblica utilità, la detenzione domiciliare e la semilibertà; quando, infine, la pena detentiva è irrogata in un quantum compreso tra tre anni e un giorno a quattro anni, possono trovare applicazione, quali pene sostitutive, solo la detenzione domiciliare e la semilibertà. Quanto al lavoro di pubblica utilità, va precisato che il mancato riferimento, nell’art. 53, comma 1, alla non opposizione del condannato, pur indicato nell’art. 1, comma 17, lett. e), della legge delega, si giustifica in ragione della disciplina processuale adottata nel nuovo art. 545-bis cod. proc. pen., che dà espresso rilievo, anche e proprio per il lavoro di pubblica utilità, alla non opposizione del condannato quale condizione per l’applicazione della pena sostitutiva, in ossequio al divieto di lavori forzati od obbligatori di cui all’art. 4 Convenzione EDU. Il secondo comma dell’art. 53 è interamente sostituito: la disciplina della pena pecuniaria sostitutiva, contenuta in quel comma nel testo previgente, è infatti trasferita nel nuovo art. 56-quater, che il primo comma dell’art. 53 richiama in chiusura. L’art. 59 prevede specifiche preclusioni soggettive alla applicazione delle pene sostitutive, non operanti nei confronti dei condannati minorenni.

Le prime tre condizioni rispondono, per un verso, alla logica sanzionatoria del fallimento nell’esecuzione della precedente pena sostitutiva applicata per un reato diverso da quello per cui si procede o per un reato analogo (lett. a e c) e, per altro verso, all’esigenza di contenere la pericolosità sociale del soggetto accertata dal giudice (lett. d).

La quarta condizione ha la finalità di coordinare le preclusioni previste con quelle dell’ordinamento penitenziario. Una particolare questione riguarda, ancora, la compatibilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi con i reati inclusi nell’elenco di cui all’art. 4- bis ord. pen., per i quali – com’è noto – la concessione di misure alternative alla detenzione, quali la semilibertà e la detenzione domiciliare, è possibile solo se subordinata alla collaborazione ed agli altri stringenti limiti ivi previsti. Sul punto, si segnala che, nella Relazione illustrativa, si è affermato che «un ragionevole e opportuno coordinamento con le preclusioni all’accesso alle misure alternative, previste dalla l. n. 354/1975, debba essere realizzato escludendo la sostituzione della pena detentiva in caso di condanna per uno dei reati di cui all’art. 4-bis ord. penit. Se non si prevedesse una simile preclusione, infatti, la disciplina dell’art. 4-bis ord. penit. (e dell’art. 656, co. 9 c.p.p.) risulterebbe sostanzialmente elusa: sarebbe irragionevole limitare la concessione della semilibertà e della detenzione domiciliare, quali misure alternative alla detenzione, subordinandole alla collaborazione e alle ulteriori stringenti condizioni sostanziali e procedurali previste dall’art. 4 bis e, per altro verso, consentire al giudice all’esito del giudizio di cognizione di applicare la semilibertà sostitutiva o la detenzione domiciliare sostitutiva o, addirittura, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo».

In realtà la questione relativa alla applicazione delle pene sostitutive in relazione ai reati di cui all’art. 4-bis e della necessità di un coordinamento con la relativa disciplina, sembra essere superata dalla intervenuta modifica del citato art. 4-bis, ad opera della legge 30 dicembre 2022, di conversione del d.l. 31 ottobre 2022 n. 162, recante, tra l’altro, misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, che ha escluso, quale condizione di accesso ai benefici per i condannati per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, l’applicazione in sede di giudizio di cognizione della circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 323-bis, comma secondo, cod. pen.

La modifica normativa è intervenuta mediante la soppressione, in sede di conversione, al comma 1 dell’art. 4-bis ord. pen., dell’inciso relativo alla collaborazione «a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale » e la corrispondente soppressione dall’elenco dei reati ostativi alla concessione dei benefici, soggetti alla citata condizione della collaborazione, dei delitti dìi cui agli artt. « 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis».

In senso del tutto simmetrico è stato modificato il nuovo comma 1-bis.1 dell’art. 4-bis ord. pen., che prevede la possibilità di concedere i suddetti benefici penitenziari, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purché i detenuti od internati per reati ostativi dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile.

Al fine della concessione dei benefìci, il giudice di sorveglianza è tenuto ad accertare altresì la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. In sede di conversione, dal citato comma 1-bis.1 è stato espunto il riferimento alla collaborazione a norma “dell'articolo 323-bis del codice penale” e ai delitti contro la pubblica amministrazione “di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis”.


4. Le modifiche al codice di rito

Sotto il profilo processuale, l’art. 31 del decreto attuativo inserisce, al titolo III del Libro VII del codice di procedura penale, dopo l’art. 545, l’art. 545-bis.

Secondo la nuova previsione, quando non è stata disposta la sospensione condizionale della pena e ricorrono le condizioni per la sostitutibilità della pena detentiva, il giudice, dopo la lettura del dispositivo, ne dà avviso alle parti. L’imputato può, personalmente o tramite un procuratore speciale, acconsentire alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa da quella pecuniaria; se, invece, può aver luogo la sostituzione con tale pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa un’apposita udienza entro sessanta giorni, ne dà contestualmente avviso alle parti e al cometente Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e sospende il processo.

La necessità di raccogliere informazioni quanto più possibile attuali e dettagliate induce a ritenere che l’udienza, prevista quale mera eventualità, divenga, nei fatti, la prassi più diffusa. Il secondo comma dell’art. 545-bis cod. proc. pen. disciplina, poi, i poteri istruttori del giudice, prevedendo che, ai fini della decisione sulla possibilità di applicazione della pena sostitutiva, lo stesso ex officio possa acquisire dall’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna, dalla polizia giudiziaria o dai soggetti indicati nell’articolo in disamina, informazioni sulle condizioni soggettive del condannato.

Agli stessi fini, il giudice può altresì acquisire dai soggetti indicati dall’art. 94 del d.P.R. n. 309 del 1990 la certificazione di disturbo da uso di sostanze stupefacenti o di alcol ovvero da gioco d'azzardo e il programma terapeutico che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi.

La partecipazione delle parti alla descritta procedura si estrinseca nella facoltà di presentare documentazione presso l’Ufficio dell’Esecuzione Penale Esterna e memorie presso la cancelleria del magistrato procedente, fino a cinque giorni prima dell’udienza.

La disposizione non prevede un limite per il deposito della documentazione, a differenza di quanto sancito per le memorie, la qual cosa induce a ritenere che essa debba essere interpretata nel senso che anche il deposito della documentazione deve avvenire in tempo utile alla trasmissione di quanto depositato dall’Ufficio Esecuzione Penale Esterna al magistrato, in vista dell’udienza.


5. Le nuove pene sostitutive

Gli artt. 55, 56, 56-bis e 56-quater della legge n. 689 del 1981, come riformulati dal decreto attuativo, disciplinano, rispettivamente, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva.


5.1. La semilibertà sostitutiva

La semilibertà sostitutiva è la più severa tra le pene sostitutive, comportando l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in uno degli istituti di pena ordinari di cui all’art. 48, comma 2, della legge n. 354 del 1975, situati nel comune di residenza, di domicilio, di lavoro o di studio del condannato o in un comune vicino, nonché l’obbligo di svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o, comunque, utili alla rieducazione e al reinserimento sociale, in conformità al programma di trattamento predisposto dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e approvato dal giudice.

La permanenza minima di otto ore al giorno nell’istituto penitenziario e l’ubicazione di esso costituiscono limiti alla predisposizione del programma di trattamento inesistenti nell’omologo istituto della semilibertà, quale misura alternativa alla detenzione.

All’assenza della previsione di un limite massimo di ore da trascorrere all’interno dell’istituto ordinario sembrerebbe potersi ovviare, in via interpretativa, in conformità alla ratio di risocializzazione sottesa all’istituto, ritenendo che il giudice possa considerare congruo solo un programma che non preveda un tempo di permanenza eccessivo rispetto a tale finalità. Altro punto meritevole di attenzione è quello relativo all’ubicazione dell’istituto penitenziario prescelto: onde favorire la rieducazione del condannato, è stabilito che l’istituto sia individuato in prossimità del luogo di residenza, di lavoro, di domicilio o di studio, ove dovranno trascorrersi le rimanenti ore durante le quali si svolgeranno le attività oggetto del trattamento. L’esecuzione del trattamento programmato costituisce, per il condannato, un obbligo al pari di quello relativo alla permanenza in istituto. La mancanza di una disposizione che preveda che la scelta dei luoghi di svolgimento delle attività del condannato avvenga tenendo conto delle esigenze della persona offesa è criticità cui sembrerebbe potersi ovviare in sede di valutazione della idoneità del trattamento, considerato anche il rilievo attribuito a tale aspetto dalla disciplina dettata dall’art. 55 della medesima legge, relativa alla detenzione domiciliare sostitutiva.

La natura “anfibia” dell’istituto rende applicabili, in quanto compatibili, in relazione alla permanenza in carcere, le disposizioni dell’ordinamento penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975 e al regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. n. 230 del 2000. Il compito della vigilanza e dell’assistenza del condannato in libertà è assegnato all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, secondo le modalità previste dall’art. 118 del d.P.R, n. 230 del 2000. Per favorire l’inserimento sociale del condannato, l’art. 55 prevede che la semilibertà sostitutiva non è di ostacolo al conseguimento o al mantenimento della patente di guida. Tale previsione sembra potersi interpretare nel senso che non è, comunque, preclusa l’applicabilità delle sanzioni accessorie relative alla patente di guida nei casi espressamente previsti dalla legge.


5.2. La detenzione domiciliare sostitutiva.

Il novellato art. 56 disciplina la detenzione domiciliare sostitutiva, che si caratterizza per lo svolgimento dell’esecuzione della pena in parte in stato di detenzione e in parte in condizione di libertà. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 275-bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen. e 100 del d.P.R. n. 230 del 2000.

Tale pena comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, di assistenza o di accoglienza ovvero in comunità o in case-famiglia protette per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita e di salute. Il giudice dispone la detenzione domiciliare sostitutiva “tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna”, che prende in carico il condannato e riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale. Il programma di trattamento è sottoposto a precisi limiti in relazione al luogo di esecuzione della pena, che dev’essere individuato tenendo conto, innanzitutto, delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato. La norma riproduce formulazioni già presenti nell’ordinamento (si pensi al disposto dell’art. 284, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), del d.l. n. 78 del 2013) e sembrerebbe potersi affermare che la cautela, di certo maggiormente necessaria con riguardo alle vittime di violenza domestica o di genere, operi indistintamente per tutti i reati con persona offesa. Si stabilisce, altresì, che la pena non può essere eseguita in un immobile occupato abusivamente.

La disposizione sembrerebbe riferirsi a situazioni di occupazione di cui sia agevolmente percepibile l’illegittimità.

Nel caso in cui il condannato non disponga di un domicilio idoneo, l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna predispone il programma di trattamento individuando soluzioni abitative, anche comunitarie, adeguate alla detenzione domiciliare. Il giudice, se lo ritiene necessario per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità.

È previsto, altresì, che la temporanea indisponibilità di tali mezzi non possa ritardare l’inizio della esecuzione della detenzione domiciliare.

Ai fini della corretta applicazione della nuova disciplina, conserva piena attualità l’elaborazione giurisprudenziale in ordine alle misure cautelari personali. Si è affermato, in particolare, che “il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen. (così: Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, Marsili, Rv. 277762-01; Sez. 2, n. 31572 dell’08/06/2017, Caterino, Rv. 270463-01; Sez. 3, n. 43728 dell’08/09/2016, L., Rv. 267933-01). Allo stesso modo, sembrerebbe potersi ritenersi assolto l'onere motivazionale sulla inadeguatezza della detenzione domiciliare con controllo elettronico laddove il giudice della cognizione reputi opportuna l’applicazione della semilibertà sostitutiva. All’indomani dell’entrata in vigore della Riforma, potrebbe porsi, a livello interpretativo e applicativo, la questione relativa alla possibilità di eseguire la detenzione domiciliare sostitutiva in territorio estero ai sensi del d.lgs. n. 38 del 2016, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008, avendo la tematica di recente interessato la giurisprudenza di legittimità, che si è pronunciata, con decisioni difformi, in relazione alle misure alternative alla detenzione dell’affidamento in prova e della detenzione domiciliare. Si è premesso che oggetto di riconoscimento nello Stato membro può essere una decisione definitiva, emessa da un organo giurisdizionale di altro Stato membro, con la quale è applicata, in luogo di una pena detentiva, una sanzione che non esclude, ma limita, la libertà personale, mediante imposizioni di ordini o di prescrizioni. Nell’impossibilità di procedere ad un’elencazione compiuta, sono stati individuati criteri generali che delimitano la categoria, comprensiva (ex art. 2 del d.lgs. n. 38 del 2016, che replica le definizioni dell’art. 2 della relativa decisione quadro) di istituti che importano:

1) la sospensione condizionale, concessa al momento della condanna, di pena detentiva o di misura restrittiva della libertà personale e la corrispondente imposizione di obblighi e prescrizioni;

2) la condanna a pena condizionalmente differita, accompagnata dall’imposizione similare di obblighi e prescrizioni;

3) la sanzione sostitutiva, diversa da pena detentiva, da misura restrittiva della libertà e da pena pecuniaria, che parimenti stabilisce obblighi e impartisce prescrizioni;

4) la liberazione condizionale, che prevede la liberazione anticipata di persona condannata, dopo che abbia scontato parte della pena detentiva, anche attraverso l’imposizione di obblighi e prescrizioni.

Gli obblighi e le prescrizioni, che dànno contenuto alla fattispecie, sono elencati nell’art. 4 del decreto legislativo (nonché della decisione quadro) e comprendono: a) l’obbligo di comunicare i cambiamenti di residenza o di posto di lavoro;

b) il divieto di frequentare determinati locali, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione;

c) le restrizioni al diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; d) le istruzioni riguardanti il comportamento, la residenza, l’istruzione e la formazione, le attività ricreative o l’obbligo di presentarsi nelle ore fissate presso una determinata Autorità; f) l’obbligo di evitare contatti con determinate persone; g) l’obbligo di evitare contatti con determinati oggetti che sono stati usati o che potrebbero essere usati dalla persona condannata a fini di reato; h) l’obbligo di risarcire finanziariamente i danni causati dal reato; i) l’obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile; l) l’obbligo di cooperare con un addetto alla sorveglianza della persona o con un rappresentante di un servizio sociale; m) l’obbligo di assoggettarsi a trattamento terapeutico o di disintossicazione. Sulla base dei criteri generali sopra richiamati e focalizzando l’attenzione sugli obblighi e le prescrizioni che caratterizzano gli istituti che li riflettono, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’affidamento alla prova, quale trattamento in libertà alternativo alla detenzione, è assimilabile a una «sanzione sostitutiva», secondo la definizione ricavabile dall’art. 2 del decreto legislativo e della decisione quadro, implicando detta misura limitazioni del tutto compatibili con quelle elencate nel successivo art. 4 di tali testi normativi (così: Sez. 1, n. 15091 del 2019, seguita da Sez. 1, n. 16942 del 25/05/2020, Mancinelli, Rv. 279144-01 e da Sez. 1, n. 20977 del 15/06/2020, Arrighi, Rv. 279338-01). La giurisprudenza di legittimità è pervenuta, invece, a conclusioni opposte con riguardo all’istituto della detenzione domiciliare, osservando che essa non fa cessare lo stato detentivo del condannato, posto che, pur permettendogli di lasciare l’istituto penitenziario, comunque «istituisce un meccanismo di autocustodia, presso l’abitazione del medesimo, o altro luogo di pubblica o privata dimora, che esclude, e non semplicemente limita o riduce, la libertà personale». Ha aggiunto che «… trattasi di un regime di espiazione che, già alla luce di tali caratteristiche ontologiche, fuoriesce dal campo di applicazione della decisione quadro, delimitato dai suoi artt. 1 e 2», che «… sotto il profilo strutturale, la detenzione domiciliare si svolge, a norma dell’art. 47-ter, comma 4, ord. pen., secondo le modalità stabilite dall’art. 284 cod. proc. pen., sicché al condannato è fatto assoluto divieto di allontanarsi dal luogo domestico (ovvero di cura e di assistenza) ove ne è imposta la restrizione, se non (ex comma 3 dell’art. 284, cit.) per il soddisfacimento delle indispensabili esigenze di vita, o per svolgere attività lavorativa ma in rapporto a situazioni di assoluta indigenza, e per il tempo strettamente necessario a far fronte alle stesse esigenze e situazioni» e che «… l’allontanamento non autorizzato è punito a titolo di evasione (comma 8 dell’art. 47-ter cit.)».

Tanto premesso, sembrerebbe possibile ritenere che sussista la possibilità di eseguire la detenzione domiciliare sostitutiva alla luce delle differenze di disciplina esistenti tra questo istituto e la detenzione domiciliare/misura alternativa, disciplinata all’art. 47-ter ord. pen.

Ai fini dell’esecuzione della pena sostitutiva è sufficiente che si trascorrano nell’abitazione dodici ore, a fronte di una permanenza che l’ordinamento penitenziario prevede possa estendersi fino a ventiquattro ore. L’art. 47-ter, comma 4, ord. pen., poi, rinviando, quanto alle modalità esecutive della misura, all’art. 284 cod. proc. pen., consente l’allontanamento dall’abitazione, su autorizzazione del giudice, «per il tempo strettamente necessario per provvedere alle… indispensabili esigenze di vita ovvero per esercitare una attività lavorativa», mentre il condannato che sconta la detenzione domiciliare sostitutiva «in ogni caso... può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute».

Il condannato a tale sanzione, inoltre, a differenza di chi sia stato ammesso alla detenzione domiciliare ex art. 47-ter citato, potrà fruire di licenze «per giustificati motivi, attinenti alla salute, al lavoro, allo studio, alla formazione, alla famiglia o alle relazioni affettive», disponendo in tal senso l’art. 69, comma 1, della legge n. 689 del 1981, che individua in quarantacinque giorni l’anno la durata massima complessiva delle licenze. I caratteri descritti sembrerebbero tali da poter far ritenere che la detenzione domiciliare, come configurata dalla cd. riforma Cartabia, partecipi del denominatore comune delle misure previste dall’art. 4 del d.lgs. n. 38 del 2016, che – giova ricordarlo – sono caratterizzate dallo svolgersi nella comunità esterna, ove il condannato è collocato con margini più o meno estesi di libertà; dall’imporre allo stesso comportamenti positivi variamente configurati, comunque volti al reinserimento sociale, sotto la promozione, la consulenza e l’assistenza di organi pubblici, eventualmente accompagnati da prescrizioni e limitazioni capaci di contribuire alla sicurezza pubblica; dal condizionare la risoluzione dell’espiazione penale in atto alla tenuta e alla riuscita di tali comportamenti.


5.3. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo.

Il novellato art. 56-bis della legge n. 689 del 1981 disciplina il lavoro di pubblica utilità, che, per la prima volta nel nostro ordinamento, è previsto quale pena sostitutiva della pena detentiva irrogata, per qualsiasi reato, in misura non superiore a tre anni.

Come è noto, attualmente il lavoro di pubblica utilità non è previsto quale pena sostitutiva in via generalizzata, ma solo per un ristretto numero di contravvenzioni (guida sotto l’influenza dell’alcool, di cui all’art. 186, comma 9- bis, del d.lgs. n. 285 del 1992 e guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, di cui all’art. 187, comma 8-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992) e per il delitto di produzione o traffico di stupefacenti, laddove il fatto sia di lieve entità e sia commesso da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope (di cui all’art. 73, comma 5-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990).

La disciplina prevista dall’art. 56-bis è disegnata sul modello della pena principale del lavoro di pubblica utilità irrogabile dal giudice di pace, sebbene, per la peculiare funzione svolta dalla pena sostitutiva, il richiamo sia mediato dalla verifica di compatibilità delle disposizioni.

Tra gli aspetti comuni alla pena principale del giudice di pace e alla nuova pena sostitutiva vanno segnalati il massimo di ore giornaliere – otto – che possono essere dedicate alla prestazione di lavoro, nonché il valore di un giorno di pena attribuito alla prestazione di due ore di lavoro. Il primo comma definisce il lavoro di pubblica utilità, riproducendo la nozione prevista dall’art. 54, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000.

Unica novità, rispetto alla richiamata disposizione relativa al giudice di pace, è rappresentata dall’espressa menzione delle città metropolitane, che si impone dopo la riforma del Titolo quinto della Costituzione, avvenuta nel 2001. Il secondo comma dispone in ordine al luogo di esecuzione e alla durata del lavoro di pubblica utilità.

Il legislatore ha previsto che la durata ordinaria della prestazione di lavoro spazi tra le sei e le quindici ore settimanali, potendo aumentare oltre le quindici ore su richiesta del condannato; ciò a differenza del limite massimo di sei ore previsto per la pena applicabile dal giudice di pace. Il terzo e il quarto comma disciplinano, rispettivamente, il sistema di computo della pena e le modalità di predisposizione del lavoro di pubblica utilità

Il quinto comma prevede che, qualora il lavoro di pubblica utilità sostitutivo sia stato disposto con decreto penale di condanna o con sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen., sia possibile, per l’autore del reato, ottenere la revoca della confisca.

Il sesto comma esclude infine, anche in reazione a tale pena sostitutiva, l’applicabilità dell’art. 120 del d.lgs. 285 del 1992.


5.4. La pena pecuniaria sostitutiva

L’art. 56-quater regolamenta la pena pecuniaria sostitutiva, congegnando la disciplina in modo funzionale a quanto affermato recentemente dalla Corte costituzionale nelle decisioni n. 22 del 2022 e n. 15 del 2020, nelle quali si è rilevato che la previgente quota giornaliera di conversione di 250 euro aveva determinato, nella prassi, una drastica riduzione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, sì da trasformarla in un privilegio per i soli condannati abbienti, in contrasto con l’art. 3 Cost.

L’attuale valore minimo giornaliero è stato, quindi, individuato in 5 euro, in maniera indipendente dall’art. 135 cod. pen. Il riformato art. 57 della legge 689 del 1981 ha introdotto la regola generale sulla durata delle pene sostitutive, adeguandone la disciplina degli effetti e dei criteri di ragguaglio al nuovo assetto delineato dalla riforma. Soffermando l’attenzione su quest’ultimo aspetto, il secondo comma adegua alle nuove pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità la disciplina prevista nel primo e nel terzo comma del previgente art. 57 per la semidetenzione e per la libertà controllata.

Si prevede anzitutto, come già per la semidetenzione e la libertà controllata, che “per ogni effetto giuridico, la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva e il lavoro di pubblica utilità sostitutivo si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita”.

Ciò significa che ogni riferimento alla reclusione e all’arresto, previsto da norme di parte generale od ovunque ubicate, deve di norma estendersi alle tre nuove pene sostitutive ad ogni effetto giuridico. Si aggiunge poi, in linea con quanto disposto dal primo comma, che, ad ogni effetto giuridico, un giorno di pena detentiva equivale a un giorno di semilibertà sostitutiva, di detenzione domiciliare sostitutiva o di lavoro di pubblica utilità sostitutivo.

Il terzo comma, infine, ribadisce la regola stabilita dal previgente secondo comma dell’art. 57, stabilendo che la pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva.


6. Le prescrizioni delle pene sostitutive

L’art. 56-ter della legge n. 689 del 1981 prevede prescrizioni comuni per le tre pene sostitutive dianzi esaminate. Il primo comma elenca le prescrizioni obbligatorie, che devono sempre accompagnare la pena sostitutiva anche, eventualmente, in aggiunta alle prescrizioni di volta in volta stabilite dal giudice. il secondo comma prevede, quale prescrizione facoltativa, “il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”, richiamando, in quanto compatibile, la disciplina di cui all’art. 282-ter cod. proc. pen. Nell’applicazione della nuova disposizione sembrerebbe si debba tener conto della recente decisione del Supremo Consesso, Sez. U, n. 39005 del 29/04/2021, G., Rv. 281957-01, in cui si è affermato il principio di diritto secondo cui «il giudice che, con provvedimento specificamente motivato e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disponga, anche cumulativamente, le misure cautelari del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente, mentre, nel caso in cui reputi necessaria e sufficiente la sola misura dell’obbligo di mantenersi a distanza dalla persona offesa, non è tenuto ad indicare i relativi luoghi, potendo limitarsi a determinare la stessa».


7. Il potere discrezionale del giudice nell’applicazione delle pene sostitutive

L’art. 58 della legge n. 689 del 1981 disciplina il potere discrezionale del giudice nell’applicazione delle pene sostitutive, attuando i criteri di delega cui si è fatto cenno. La disposizione evoca i criteri contenuti nell’art. 133 cod. pen. e configura la scelta in ordine all’applicazione della pena sostitutiva quale possibile alternativa alla sospensione condizionale della pena. Il problema della possibile convergenza delle scelte sulla sospensione condizionale della pena detentiva e sulla sostituzione della stessa si pone, di norma – come specificato nella Relazione illustrativa – solo quando la pena detentiva inflitta non è superiore a due anni, ovvero a tre anni, se si tratta di minore degli anni diciotto, o a due anni e mezzo, se si tratta di giovani adulti (persone di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni) ovvero di ultrasettantenni (così l’art. 163, commi 1 e 3, cod. pen.).

Non a caso, l’art. 61-bis, in attuazione dell’art 1, comma 17, lett h), della legge n. 134 del 2021, prevede che le disposizioni degli artt. 163 e ss. cod. pen. non si applicano alle pene sostitutive. Salvi i casi in cui la sospensione condizionale non possa essere concessa, difettandone i presupposti soggettivi di cui all’art. 164 cod. pen., entro i limiti oggettivi in cui l’esecuzione della pena detentiva è sospendibile ex art. 163 cod. pen., il giudice, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., può scegliere se ordinare la sospensione condizionale della pena, eventualmente subordinata agli obblighi di cui all’art. 165 cod. pen., ovvero disporre la sostituzione della pena detentiva (che – giova ricordarlo – presuppone la non opposizione del condannato). L’an dell’applicazione è collegato all’idoneità della pena sostitutiva rispetto alla finalità rieducativa del condannato e alla prognosi che questi, seppur tramite l’imposizione di opportune prescrizioni, non commetta in futuro nuovi reati, in attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1, comma 7, lett c), finalizzato a contemperare le esigenze rieducative del singolo e la difesa sociale.

Dunque, la sussistenza di fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute preclude l’applicazione della misura.

Effettuata la scelta sul se, al giudice è,poi, demandata l’ulteriore scelta della pena sostituiva da applicare. Il criterio previsto dalla norma è quello della gradualità della limitazione della libertà personale, che impone di optare per le pene maggiormente restrittive solo ove non sussista la concreta possibilità di raggiungere l’obiettivo rieducativo in maniera meno invasiva. Il modello di disciplina adottato riprende quello previsto in tema di misure cautelari, dove si prevede che, nel disporre la custodia cautelare in carcere – cioè la più afflittiva tra le misure cautelari – “il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo elettronico di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen.”.

L’ultimo comma della disposizione impone, infine, al giudice di tener conto dell’individualità del condannato e della sua situazione soggettiva, con un’elencazione specifica di condizioni che sembrerebbe essere esemplificativa e

non esaustiva.


8. L’esecuzione delle pene sostitutive

L’esecuzione delle pene sostitutive è disciplinata dagli artt. 62 e 63 della legge n. 689 del 1981.

Il legislatore delegato ha attribuito al pubblico ministero il compito della messa in esecuzione della semilibertà e della detenzione domiciliare sostitutiva, onerandolo della trasmissione della sentenza al magistrato di sorveglianza, che, a sua volta, dopo la verifica dell’attualità delle prescrizioni, entro 45 giorni dalla trasmissione della pronuncia, conferma o modifica, con ordinanza, le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena.

La verifica dell’attualità delle prescrizioni sembrerebbe imporsi come necessaria alla luce delle modifiche soggettive e di fatto che potrebbero intercorrere tra la sentenza di merito applicativa della pena sostitutiva e la sua irrevocabilità all’esito di tre gradi di giudizio.

Si tratta, come precisato nella Relazione illustrativa, della norma “cardine” dell’esecuzione delle pene sostitutive, ispirata al principio dell’immediata esecutività, senza meccanismi sospensivi simili a quelli previsti dall’art. 656 cod. proc. pen. per le pene detentive, finalizzate a evitre nuove forme di cd. “liberi sospesi”.

La modificabilità delle prescrizioni in sede di esecuzione della misura sembrerebbe limitata, atteso il tenore del quarto comma dell’articolo in esame, che prevede, quali adempimenti collegati all’esecuzione della pena sostitutiva, il

ritiro delle armi, delle munizioni, degli esplosivi e del passaporto, unitamente all’apposizione sui documenti dell’annotazione “documenti non valido per l’espatrio”, attività che costituiscono esecuzione delle prescrizioni di cui all’art. 56,

comma 1, nn. 1 e 4.

Il silenzio sulle altre prescrizioni obbligatorie di cui al comma 1 dell’articolo

citato sembrerebbe consentire una modifica in senso derogatorio delle stesse, almeno nell’avvio dell’esecuzione della pena.

Dopo la decisione del magistrato di sorveglianza, la relativa ordinanza è rimessa all’ufficio di pubblica sicurezza del comune ove è domiciliato il condannato ovvero, in mancanza, al comando dell’arma dei carabinieri territorialmente competente per la trasmissione al condannato ed all’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna.

Nel caso di condannato detenuto, il provvedimento di conferma o modifica è trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario.

La procedura per la messa in esecuzione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità sostitutivo differisce leggermente da quella illustrata.

In essa, il legislatore ha optato per il non coinvolgimento del pubblico ministero e del giudice di sorveglianza, attribuendo al giudice della cognizione la competenza dell’esecuzione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, secondo modalità che ricalcano le previsioni contenute nell’art. 186, comma 9-bis, e 187, comma 8-bis, del codice della strada.

La sentenza penale irrevocabile o il decreto penale esecutivo che applicano la pena sostitutiva sono quindi trasmessi per estratto, a cura della cancelleria del giudice, all’ufficio di pubblica sicurezza o dell’arma dei carabinieri competente in relazione al domicilio del condannato ed all’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna, che deve prenderlo in carico. Successivamente, tali uffici ne danno comunicazione all’interessato e al suo difensore o al direttore dell’istituito penitenziario, nel caso di soggetto internato. L’ultimo comma dell’art. 63 prevede che, al termine del lavoro di pubblica utilità, l’esito positivo dello stesso sia comunicato dall’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna al giudice della cognizione, che, salvo che ricorrano le circostanze di cui all’art. 66 della medesima legge, dichiara l’estinzione della pena e di ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue e dispone la revoca della confisca nei casi di cui all’art. 56-bis.

L’art. 5-terdecies del d.l. n. 162 del 2022, come convertito dalla legge 30 dicembre 2022 n. 199, ha anche dettato una specifica disciplina transitoria per le iscrizioni nel casellario giudiziale dei provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive, prevedendo che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previsti dalla disciplina previgente al d. lgs. medesimo) e a quelli provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le previgenti disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale, di cui al d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313 (“nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale”, ossia del 30 dicembre 2022).


9. Le ipotesi di modifica delle modalità di esecuzione delle pene sostitutive

L’art. 64 della legge n. 689 del 1981 disciplina le ipotesi di modifica delle modalità di esecuzione delle pene sostitutive. La disposizione si applica per le modifiche, richieste dal condannato, di pene sostitutive già in esecuzione ed è riferita alle sole prescrizioni. La modifica delle prescrizioni può avvenire solo “per comprovati motivi” Nell'interpretazione della locuzione, giova ricordare che il legislatore ha sostituito la precedente formulazione relativa alle pene sostitutive, che prevedeva la possibilità di modifica delle prescrizioni “per sopravvenuti motivi di assoluta necessità”. La nuova disposizione, dunque, potrebbe essere letta nel senso di un maggiore favore del legislatore per la mutabilità delle prescrizioni rispetto a quanto in precedenza previsto. Sembrerebbe possibile, ad esempio, modificare le prescrizioni non più solo per motivi sopravvenuti, ma anche per esigenze preesistenti all’applicazione della pena, ma non debitamente considerate in quel momento, ovvero non solo per ragioni oggettive e necessarie, ma anche di mera opportunità soggettiva, collegata al perseguimento delle finalità rieducative della pena sostitutiva imposta. Una seconda limitazione alla discrezionalità del giudice è contenuta nell’ultimo comma della disposizione in esame, in cui si stabilisce l’immodificabilità delle prescrizioni obbligatorie di cui all’art. 56-ter, comma 1, nn. 1, 2 e 4. Immodificabili risultano, pertanto, la prescrizione relativa al divieto di detenere e portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se sia stata concessa la relativa autorizzazione da parte della polizia; la prescrizione relativa al divieto di frequentare abitualmente, senza giustificato motivo, pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza, a misure di prevenzione o comunque persone che espongano concretamente il condannato al rischio di commissione di reati, salvo si tratti di familiari o di altre persone conviventi stabilmente; la prescrizione relativa al ritiro del passaporto e alla sospensione di validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente.

Modificabili risultano, invece, la prescrizione relativa all’obbligo di permanere nell’ambito territoriale, di regola regionale, stabilito nel provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva; la prescrizione relativa all’obbligo di conservare, di portare con sé e di presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia il provvedimento che applica o dà esecuzione alla pena sostitutiva e l’eventuale provvedimento di modifica delle modalità di esecuzione della pena, adottato a norma dell’articolo 64; la prescrizione relativa al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Nei casi di semilibertà sostitutiva e di detenzione domiciliare sostitutiva la richiesta, inoltrata dal condannato tramite l’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna, dev’essere valutata dal magistrato di sorveglianza, che provvede, senza formalità, ai sensi dell’art. 678, comma 1-bis, cod. proc. pen. Tale ultima disposizione richiama l’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., rendendo applicabile la procedura ivi prevista, secondo la quale la decisione è resa senza formalità, con ordinanza comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato.

Contro l’ordinanza possono proporre opposizione, davanti allo stesso giudice, il pubblico ministero, l’interessato e il difensore; in tal caso, si procede a norma dell’art. 666 cod. proc. pen. L’opposizione dev’essere proposta, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza.

Nel caso di lavoro di pubblica utilità sostitutiva, la competenza è del giudice che ha applicato la pena, che provvede, senza formalità, ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. In entrambe le ipotesi, il legislatore ha optato per l’adozione di una procedura camerale de plano.

Gli iter delineati dal legislatore sembrerebbero presentare profili di criticità nella parte in cui non sono previste forme di interlocuzione con la pubblica accusa, che, non essendo stata notiziata dell’istanza, sembrerebbe poter prospettare il proprio punto di vista solo in sede di opposizione.

L’omessa partecipazione del pubblico ministero all’istruttoria presenta maggiori criticità nelle ipotesi di modifica della prescrizione di cui all’art. 56-ter, comma 2, relativa al divieto di avvicinamento alla persona offesa, eventualità per la quale non è stato previsto l’avviso alla persona offesa o la facoltà della stessa di interlocuzione sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 299, commi 2-bis e 4- bis, cod. proc. pen. in materia di misure cautelari.

Tale omissione sembrerebbe recuperabile nella prassi, fornendo indicazioni all’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna di trasmettere per conoscenza al pubblico ministero e alla persona offesa l’istanza del condannto, così da consentire alla pubblica accusa e alla vittima, laddove ve ne fosse la necessità, il tempestivo invio di elementi utili alla valutazione da parte del giudice competente, onde assicurare quantomeno un contraddittorio cartolare.


10. Adempimento, revoca e sospensione delle prescrizioni

Gli art. 65 e 66 della legge n. 689 del 1981 prevedono, rispettivamente, il controllo sull’adempimento delle prescrizioni e la revoca per inosservanza delle stesse. Soffermando l’attenzione sulla seconda delle disposizioni citate, è a dirsi che in essa si stabilisce che, salvo quanto previsto dall’art. 71 in ordine alla pena pecuniaria, la mancata esecuzione della pena sostitutiva ovvero la violazione grave e reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti ne determina la revoca, mentre la parte residua si converte nella pena detentiva sostituita ovvero in altra pena detentiva più grave. Le competenze per la revoca sono attribuite al magistrato di sorveglianza per la semilibertà sostitutiva e per la detenzione domiciliare sostitutiva e al giudice che ha applicato la pena sostituiva per il lavoro di pubblica utilità sostitutivo.

L’art. 68 regolamenta la sospensione dell’esecuzione delle pene sostitutive. Il primo comma prevede che, in caso di notifica di un ordine di carcerazione o di consegna, di arresto (anche nei casi non flagranti previsti dalla legge), di fermo del condannato o di applicazione, anche provvisoria, di una misura di sicurezza detentiva, la pena sostitutiva sia sospesa, ma non revocata.

In tal modo si afferma il criterio della prevalenza dell’esecuzione carceraria sulla pena sostitutiva, mentre, in caso di misura di sicurezza detentiva, concorre anche il criterio della maggiore pericolosità sociale del soggetto.

Il secondo comma dispone che l’esecuzione della semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità nei confronti dell’imputato che, per altra causa, si trovi detenuto o internato non sospende l’esecuzione di pene detentive o l’esecuzione, anche provvisoria, di misure di sicurezza detentive, né il corso della custodia cautelare.

Il terzo comma concerne la determinazione della pena sostitutiva residua da espiare e inserisce la mera indicazione della competenza concorrente del giudice della cognizione per l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità a lui demandata.

Il quarto comma riguarda la disciplina della nuova decorrenza delle pene sostitutive, indicate in generale.


11. Ipotesi di responsabilità penale e revoca

In attuazione dell’art. 1, comma 17, lett. n), della legge n. 134 del 2021, il legislatore delegato, nel riformulare l’art. 72 della legge 689 del 1981, ha esteso alla violazione delle prescrizioni inerente alle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità le norme incriminatrici previste per la violazione degli obblighi relativi alla semilibertà, alla detenzione domiciliare e al lavoro di pubblica utilità, di cui alla legge n. 354 del 1975 e al d.lgs. n. 274 del 2000. Nel medesimo articolo sono previste ipotesi di revoca, correlate alla commissione di nuovi reati da parte del condannato durante l’esecuzione delle misure, che si affiancano a quelle già illustrate, previste dall’art. 66.

Il primo comma punisce con la reclusione da uno a tre anni il condannato alla pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare per più di dodici ore che, senza giustificato motivo, rimanga assente dall’istituto di pena ovvero si allontani da uno dei luoghi indicati nell’art. 56. Nella relazione illustrativa si precisa che «la norma incriminatrice viene mutuata, per la semilibertà sostitutiva, dall’art. 51, co. 3 l. n. 354/1975; per la detenzione domiciliare sostitutiva, dall’art. 47 ter, co. 8 l. n. 354/1975… in attuazione del già menzionato criterio di delega di cui all’art. 1, co. 17, lett. n) l. n. 134/2021 che, per un evidente refuso (per omissione), quanto alla detenzione domiciliare richiama l’art. 47 l. n. 354/1975 anziché l’art. 47 ter», aggiungendosi che «… il mancato rientro in carcere del semilibero, o l’allontanamento dal luogo di esecuzione della pena del detenuto domiciliare, se ingiustificati e protratti per più di dodici ore, integrano una condotta penalmente rilevante di evasione». Il secondo comma punisce con la reclusione fino a un anno «il condannato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità che, senza giustificato motivo, non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro ovvero lo abbandona». Il terzo comma introduce un’ipotesi di revoca della pena sostitutiva – relativa a semilibertà, detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità – conseguente alla condanna (che parrebbe doversi intendere come definitiva) per uno dei delitti di cui al primo e al secondo comma.

Si fa salva l’ipotesi, rimessa alla valutazione del giudice, che il fatto sia di lieve entità. Il quarto comma riformula la disciplina prevista dal previgente primo comma dell’art. 72, stabilendo che la condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso durante l’esecuzione di una pena sostitutiva diversa dalla pena pecuniaria ne determina la revoca e la conversione, per la parte residua, nella pena detentiva sostituita, quando la condotta tenuta sia incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 58. Sembrerebbe, dunque, che si sia voluto evitare, al riguardo, ogni possibile automatismo, ritagliando un ambito di valutazione discrezionale in capo al giudice. Il quinto e ultimo comma aggiorna, infine, la disciplina processuale connessa al comma precedente, stabilendo che la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna di cui al quarto comma informa, senza indugio, il magistrato di sorveglianza competente per l’esecuzione della detenzione domiciliare sostitutiva o per la semilibertà sostitutiva, ovvero il giudice competente per l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo.


 

FONTE: Articolo tratto da "La riforma Cartabia: Relazione su novità normativa dell'Ufficio del Massimario - 2022"



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