MAE a consegna obbligatoria: no “riqualificazione” in 280-bis per imporre la videoconferenza. Udienza a distanza fuori dai casi di legge è nulla (Cass. Pen. n. 34047/25)
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MAE a consegna obbligatoria: no “riqualificazione” in 280-bis per imporre la videoconferenza. Udienza a distanza fuori dai casi di legge è nulla (Cass. Pen. n. 34047/25)

MAE a consegna obbligatoria: no “riqualificazione” in 280-bis per imporre la videoconferenza. Udienza a distanza fuori dai casi di legge è nulla (Cass. Pen. n. 34047/25)

Il principio di diritto

Nel procedimento di mandato d’arresto europeo a consegna obbligatoria (art. 8 l. n. 69/2005; art. 2, §2, Dec. Quadro 2002/584/GAI), il giudice dello Stato di esecuzione non può riqualificare i fatti secondo il diritto interno (nella specie in art. 280-bis c.p.) al fine di incidere sul regime custodiale o di imporre la partecipazione a distanza ex artt. 45-bis e 146-bis disp. att. c.p.p.: egli è vincolato alla categoria di reato indicata dallo Stato emittente (nella specie, “sabotaggio”), dovendo limitarsi a verificarne l’appartenenza all’elenco che esclude il controllo di doppia incriminazione.

L’udienza camerale ex art. 17 l. n. 69/2005 si svolge nelle forme dell’art. 127 c.p.p.; la videoconferenza è ammissibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

Il provvedimento che la dispone fuori dai casi consentiti integra nullità generale a regime intermedio per violazione del diritto di intervento e assistenza dell’interessato (artt. 178, lett. c), 180 e 182 c.p.p.). Conseguente annullamento con rinvio.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 15/10/2025, (ud. 15/10/2025, dep. 16/10/2025), n.34047

RITENUTO IN FATTO


1.La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 16 settembre 2025, ha disposto la consegna alla Suprema Corte federale di Cassazione Bundesgerichthof della Germania di Ku.Se. nato nella (Omissis) ma cittadino ucraino, già militare di alto grado nell'esercito ucraino fino alla collocazione a riposo nell'anno 2023, destinatario del mandato di arresto europeo processuale emesso il 18 agosto 2025 dalla Suprema Corte federale di Germania per il reato


di sabotaggio. Ha disposto, altresì, la consegna alla Suprema Corte federale dei beni in sequestro di cui al verbale dei Carabinieri della stazione di Misano già custoditi presso il comando provinciale dei Carabinieri di Rimini a condizione che i beni stessi siano restituiti una volta soddisfatte le esigenze processuali.


Ku.Se. è sottoposto ad indagini nella Repubblica federale della Germania per il reato di sabotaggio anticostituzionale, provocazione dolosa di un'esplosione tramite ordigni esplosivi e distruzione di opere pubbliche, reati commessi dall'8 al 26 settembre 2022 in Lubmin e acque internazionali del Mar Baltico.


In particolare, sono contestati al ricorrente i reati di cui alle Sezioni 88, comma I, n. 3, 305, comma I e 308, comma I del StGB, reati puniti con pena massima di anni 15 di reclusione.


Lo Stato richiedente ha contrassegnato, quale menzione appropriata del reato per cui è chiesta la consegna ai sensi dell'art. 2, pgf. 2 della Decisione Quadro 2002/584/GAI, la voce sabotaggio, unico titolo di reato per il quale è chiesta la consegna.


Ku.Se. è detenuto in stato di custodia cautelare in carcere in seguito all'arresto del 21 agosto 2025 a Misano, luogo in cui si trovava in vacanza con la famiglia.


2.La Corte di merito ha ritenuto che il ricorrente è richiesto in consegna dalla Repubblica Federale di Germania perché gravemente indiziato di aver preso parte, con il ruolo di organizzatore ed esecutore, all'azione collettiva di sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2, posti alla profondità di 70/80 mt. del Mar Baltico a nord-est e sud-est dell'isola di Bornholm (Danimarca), gasdotti fatti esplodere con detonatori a tempo dopo la installazione di ordigni. Il ricorrente avrebbe raggiunto i gasdotti a bordo di uno yacht a vela sul quale si trovavano lo skipper, quattro sommozzatori e un artificiere, dopo essere partito l'8 settembre dal porto di Wiek (sull'isola di Rugen, Germania), porto ove l'imbarcazione aveva fatto ritorno il 22 settembre. In seguito il ricorrente sarebbe stato riportato in Ucraina da un autista.


L'azione era diretta ad impedire la fornitura di gas dalla Russia alla Germania perché i gasdotti raggiungevano le stazioni di rifornimento di Lubmin, che si approvvigionava con tale modalità per circa la metà del suo fabbisogno annuale.


3.La Corte di appello ha respinto con le ordinanze del 3 e 9 settembre 2025 l'eccezione di nullità del decreto di citazione emesso il 27 agosto 2025 con il quale, ai sensi degli artt. 45-bis, comma 1, e 146-bis, comma 1, disp. att. cod. proc.


pen., veniva disposta la partecipazione del ricorrente all'udienza camerale per la decisione sulla consegna, a mezzo videoconferenza.


Secondo la Corte di appello è possibile e legittimo, stante la natura camerale dell'udienza di comparizione della parte, disporre la partecipazione in videoconferenza facendo ricorso alle disposizioni di cui agli artt. 45-bis, e 146-bis cit., previa "nazionalizzazione" del parametro normativo di riferimento posto a base del mandato di arresto, il reato di sabotaggio anticostituzionale e che, ai soli fini delle valutazioni in vista della trattazione dell'udienza camerale, è stato ricondotto al reato di cui all'art. 280-bis cod. proc. pen. e, cioè una fattispecie di reato aggravato dalla finalità terroristica, aggravante richiamata dall'art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen. e in relazione alla quale può disporsi la partecipazione a distanza all'udienza camerale tenuta per decidere sulla consegna,


La Corte territoriale ha ritenuto che è nel potere del giudice dello Stato di esecuzione disciplinare la modalità di custodia e, al fine di individuare il trattamento carcerario, che per alcuni titoli di reato prevede il regime di cd. alta sorveglianza, e ha individuato, su richiesta del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, il reato di cui all'art. 280-bis cod. pen. come fattispecie che, fra le altre alle quali era riconducibile il reato di sabotaggio, consentiva il regime detentivo cd. di alta sicurezza e, quale effetto, di determinare le modalità di partecipazione all'udienza camerale "a distanza".


La Corte di appello ha ritenuto, altresì, che in concreto non fosse sussistente alcuna violazione del diritto di difesa, tenuto conto del contenuto dell'udienza di cui all'art. 17, comma 2, L. n. 69 cit., che ha carattere altamente specialistico, essendo costituito il thema decidendum della consegna da ragioni di carattere prevalentemente giuridico.


Né sussisteva la necessità o la opportunità di derogare alla partecipazione a distanza in ragione delle competenze linguistiche del ricorrente che era stato assistito da una interprete, della quale nel corso dell'udienza era stata più volte sollecitata la sostituzione, trattandosi, ad avviso del ricorrente, di persona che non era in grado di ragguagliarlo sulle questioni giuridiche e sulle procedure di udienza, richieste respinte dalla Corte di appello.


La Corte di appello ha infatti affermato che l'interprete, di provata esperienza, era andata ben oltre la mera assistenza prevista dall'articolo 143 cod. proc. pen. ed ha ritenuto pretestuose le critiche avanzate, anche personalmente dal consegnando, il quale sostanzialmente pretendeva di ottenere una spiegazione giuridica di quanto avveniva in udienza, lamentando la carenza di competenze tecniche della interprete che, invece, aveva provveduto alla traduzione letterale e simultanea degli interventi delle parti e dei provvedimenti resi dalla Corte.


4.Tornando al reato oggetto di richiesta con il mandato di arresto europeo, la Corte ha rilevato che il delitto di sabotaggio è un reato per il quale è prevista la consegna obbligatoria perché ricompreso nell'elenco dell'art. 2, pgf. 2, Decisione Quadro 2002/ 584/GAI e per il quale non sussistono altri motivi di rifiuto.


5.La Corte di appello ha ritenuto insussistente la violazione del principio di ne bis in idem europeo, e, quindi del motivo di rifiuto di cui all'art. 18, lett. b), L. n. 69 cit., divieto che ha come presupposto la formazione di un giudicato penale su un medesimo fatto nei confronti della medesima persona e ha respinto la richiesta di applicazione della causa di non punibilità perché il fatto sarebbe consistito in un atto legittimo di natura militare, in quanto compiuto da militari dell'esercito ucraino agli ordini del potere politico e militare di uno stato di guerra, con conseguente operatività del principio della immunità funzionale dei relativi autori, la cui fonte risiederebbe nel diritto internazionale consuetudinario riconosciuto nell'ordinamento italiano dall'art.10 Cost., secondo il principio di immediata conformazione e la cui violazione assumerebbe rilevanza ai sensi dell'art. 2 L. n. 69 cit.


6.Sul primo punto la Corte, ha respinto, innanzitutto, la richiesta difensiva di acquisizione, ai sensi dell'art. 16, L. n. 69 cit., della pertinente documentazione presso le autorità della Danimarca in relazione al provvedimento di archiviazione per accertarne contenuto e portata effettiva, osservando che si trattava di richiesta fondata su notizie di stampa, anche autorevoli, dalle quali risultava che la Danimarca aveva respinto la richiesta di procedere per i fatti connessi alla esplosione dei gasdotti e che il portavoce del Cremlino - Dmitri Peskov - aveva, invece, sostenuto che la decisione della Danimarca celava una precisa scelta politica, addirittura essendo stato accertato il coinvolgimento nel sabotaggio di propri alleati.


La Corte di appello ha rilevato che le notizie di stampa erano generiche, riferite ad un provvedimento giudiziario intervenuto in una fase del procedimento in cui non vi era alcuna individuazione dei responsabili e, men che mai del ricorrente, e ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il principio del "ne bis in idem" si configura come garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo, ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto nei confronti della stessa persona (Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, Resneli, Rv. 268931-01), evidenziando, altresì che, secondo la giurisprudenza, il decreto di archiviazione emesso da un'autorità giudiziaria straniera non costituisce un provvedimento definitorio del giudizio con efficacia di giudicato (Sez. 2, n. 51221 del 15/06/2018, Feil, Rv. 275064 - 01).


7.Sul secondo aspetto la Corte di appello, disattendendo anche a tal riguardo la richiesta della difesa di informazioni ulteriori, ha rilevato che, secondo il diritto internazionale, non sussistono i presupposti per l'inquadramento del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream nell'ambito del conflitto russo-ucraino, e, quindi, per il riconoscimento della immunità funzionale al ricorrente che era all'epoca - come attestato dalla carta d'identità - militare ucraino.


Osserva la Corte che il tema è stato oggetto di numerose indagini giornalistiche e di speculazioni politiche diffusamente illustrate dalla difesa ma che non è intervenuta alcuna rivendicazione dell'Ucraina.


Secondo la difesa del ricorrente, l'attacco, in quanto compiuto in tempo di guerra, costituisce atto di guerra legittimo contro un "obiettivo militare", come nel caso in esame, le infrastrutture strategiche dello Stato ostile.


La richiesta di acquisizione di informazioni non è stata accolta sul rilievo che da alcun elemento illustrato dallo Stato richiedente risulta che l'attacco sia stato compiuto nell'ambito di un'operazione militare posto che gli inquirenti tedeschi, nel mandato di arresto, non esplicitano che i fatti oggetto dell'accusa siano stati commessi da un militare, nell'ambito di un'operazione ordinata dall'esercito dello Stato ucraino in vigenza della legge marziale in quanto in guerra contro la Russia.


Il sabotaggio, soprattutto, era stato commesso al di fuori del teatro di guerra, in un Paese terzo, in acque internazionali e in danno di un Paese non coinvolto nel conflitto.


La stessa qualificazione del fatto, come sabotaggio, implica una negativa valutazione dell'azione quale atto di guerra così il ricorso al mandato di arresto europeo per l'atto di sabotaggio oggetto della richiesta, porta ad escludere un simile inquadramento.


Le valutazioni sollecitate dalla difesa determinerebbero una "indebita invasione di campo" poiché è solo all'esito del processo e da parte dell'Autorità dello Stato emittente che potrà essere valutata la diversa natura dell'atto.


8.La Corte di appello ha escluso, infine, che il ricorrente, se consegnato, possa essere esposto al rischio di trattamenti inumani o degradanti avendo acquisito, a fronte della documentazione prodotta dalla difesa, precise attestazioni dallo Stato procedente circa lo stato di detenzione al quale il consegnando sarà sottoposto.


È stato precisamente individuato sia il luogo di detenzione (il penitenziario per la custodia cautelare di Ho. 3, ad Amburgo) sia il regime "chiuso" di restrizione che, tuttavia, è diverso dal regime di isolamento dedotto dalla difesa, detenzione che avrà luogo in un istituto penitenziario che assicura, sotto il profilo igienico e trattamentale, il godimento di tutti i diritti fondamentali del detenuto


nonché la fruizione di spazi adeguati, come specificato nella documentazione ufficiale trasmessa.


È assicurato, in particolare, lo spazio di tre mq, poiché la risposta dell'autorità tedesca è congruente, nella indicazione degli spazi delle celle, con la richiesta nella quale si sottolineava la necessità di assicurare al detenuto tale minima fruizione.


È stata indicata nella relazione ricevuta anche la presenza di celle duplex di 9 o 10 mq. ma, tenuto conto del numero di detenuti e del numero delle celle duplex, l'eventualità che il consegnando sia assegnato a una cella doppia è praticamente inconsistente e sarà inevitabilmente collocato in quella di 10 mq. perché più spaziosa e destinata ad ospitare due detenuti in concomitanza.


In conclusione, il trattamento previsto per il consegnando afferisce alla fase cautelare, provvisoria, prevede l'assegnazione in regime chiuso, ad una cella singola con spazio libero non inferiore a 3 mq., in un istituto nel quale sono organizzate attività sportive e ricreativo-collettive e usufruirà del tempo da trascorrere quotidianamente all'aperto. Poiché le criticità rilevate nella relazione del 2022 afferiscono a sezioni speciali (celle protette; reparto di psichiatria) dell'istituto di Ho. non vi è alcun pericolo di sottoposizione a trattamenti umani e degradanti durante la carcerazione.


9.Infine, la Corte ha respinto l'ulteriore eccezione difensiva secondo la quale non era stato consentito al ricorrente l'accesso a tutti gli atti al fine di preparare la difesa in vista della consegna.


Al riguardo, la Corte di appello, richiamando giurisprudenza della Corte di giustizia con la sentenza 28 gennaio 2021, C-649 IR, ha rilevato come il diritto ad un ricorso effettivo non è inficiato dalla parziale ostensione degli atti nel corso del procedimento di consegna tenuto conto che la persona oggetto di un mandato di arresto europeo emesso ai fini di esercizio dell'azione penale, acquisisce solo dal momento della consegna alle autorità dello Stato di emissione la qualità di imputato e da questo momento avrà diritto di accesso agli atti.


Il diritto all'effettivo ricorso è sufficientemente garantito dalla previsione di presentare mezzi di ricorso disponibili nello Stato membro emittente e ottenere così l'accesso alla documentazione del fascicolo dopo la consegna.


10.Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., Ku.Se. chiede l'annullamento della sentenza impugnata e delle ordinanze del 3 settembre e 9 settembre 2025, aventi ad oggetto la questione della partecipazione in videoconferenza all'udienza di consegna e la qualità, inidonea fini difensivi, della traduzione delle attività di udienza.


Denuncia:


Motivo 1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 2, pgf. 2 della Decisione Quadro 584/2002/GAI, agli artt. 8 e 17 della legge 69 del 2005, all'art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen., all'art. 178, lettera c) cod. proc. pen., parametri normativi assunti a base della denuncia di carenza di motivazione.


Il primo punto è relativo alla ritenuta illegittima qualificazione dei fatti oggetto del mandato di arresto nel reato di cui all'art. 280-bis cod. pen. in presenza di una ipotesi di consegna obbligatoria, tema strettamente connesso alla illegittimità della disposta partecipazione del ricorrente in videoconferenza alle udienze del 3 e del 19 settembre 2025. Deduce la nullità dell'ordinanza adottata dalla Corte di merito anche per carenza assoluta di motivazione su una delle argomentazioni difensive addotte a sostegno della eccezione di nullità. Rileva il ricorrente come, in presenza di un caso di consegna obbligatoria rispetto al quale l'autorità dello Stato emittente aveva espressamente qualificato i fatti unicamente come reato di sabotaggio, e scegliendo di non qualificare tali fatti in una fattispecie che rinviava a quelle di terrorismo, il reato per il quale era chiesta la consegna veniva, invece, sussunto nella fattispecie di cui all'articolo 280-bis cod. pen. in carenza, nei fatti contestati, delle caratteristiche proprie della finalità di terrorismo così come definite dalla giurisprudenza di legittimità, con la conseguente illegittima l'applicazione dell'art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen. poiché veniva estesa automaticamente alle disposizioni del procedimento in materia di mandato di arresto europeo, regolato da sue proprie ed autonome regole processuali sancite dall'art. 17, L. n. 69 cit., tale modalità di partecipazione del consegnando.


Rileva, a tal riguardo, un duplice profilo di illegittimità sia perché l'art. 17 L. n. 69 cit. fa riferimento "alla comparizione" della persona richiesta in consegna, da intendersi, secondo i principi convenzionali e costituzionali, come comparizione personale sia perché, indebitamente, sono state estese alla procedura, che si tiene in "camera di consiglio", le disposizioni in materia di udienza camerale di cui all'art. 127 cod. proc. pen.


Sotto altro aspetto, la riqualificazione è erronea e non è pertinente il riferimento alla giurisprudenza di legittimità (Sez. F, n. 36844 del 27/08/2019, Lorenzon, Rv. 276784 - 01) operato nella sentenza impugnata, perché tale pronuncia si riferisce alla formulazione dell'art. 8 L. n. 69 cit., antecedente alle modifiche operate dal D.Lgs. n. 10 del 2021 che ha abrogato il secondo comma dell'art. 8 cit. poiché, in caso di consegna obbligatoria è, invece, inibito all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione il controllo sulla cosiddetta doppia incriminazione dei fatti oggetto del mandato di arresto europeo.


In tal senso si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità (con la sentenza n. 22376 dell'11 giugno 2025, Ruba, non mass.), che, in linea con i precedenti in materia di consegna obbligatoria, ha affermato che i limiti ai poteri dello Stato di esecuzione operano in una duplice direzione, cioè, che la consegna va disposta indipendentemente dalla doppia incriminazione e che l'autorità giudiziaria è vincolata alla valutazione effettuata dall'autorità dello Stato emittente per quanto concerne la questione se il reato rientri in una delle categorie di reati che figurano nell'elenco.


Ne consegue la illegittimità della disposizione di partecipazione di Ku.Se. al procedimento mae tramite video collegamento in quanto fondata unicamente sulla qualificazione dei fatti oggetto del mandato di arresto nel reato di cui all'articolo 280-bis cod. pen., nullità tempestivamente dedotta nel corso della prima udienza fissata per la discussione del 3 settembre.


Né sono dirimenti le argomentazioni che la Corte richiama in materia di verifica di doppia incriminazione, inficiate dai riferimenti giurisprudenziali in materia antecedenti alla riforma del 2021.


Solo in parte, correggendo la motivazione delle precedenti ordinanze, la Corte di appello, con la sentenza impugnata, nella parte in cui distingue la fase cautelare e, comunque, quella relativa alle modalità di esecuzione della misura e quella di merito, ha introdotto un duplice canale di regolamentazione in materia di consegna obbligatoria nella parte in cui ha precisato che si possono adottare, in materia di procedimento cautelare, regole diverse da quelle sulla decisione di consegna, interpretazione che è tuttavia priva di qualsivoglia riferimento normativo.


Allega, infine, a comprova della valenza personale della partecipazione della persona richiesta in consegna, il contenuto dei verbali di udienza la cui lettura consente inoltre di rilevare plasticamente la fondatezza delle eccezioni difensive di nullità per le continue e notevoli difficoltà dell'intervento di Ku.Se. e della comprensione di quanto stesse accadendo nell'udienza.


Motivo 2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 2 e 5, Direttiva 2010/64/UE e all'art. 143 cod. proc. pen. in relazione alla insufficiente qualità dell'interpretazione in lingua ucraina fornita nel corso delle udienze.


Deduce che l'interprete presente non effettuava alcuna traduzione di quanto stava accadendo durante l'udienza limitandosi a tradurre i documenti presentati (la relazione della consigliera relatrice e le ordinanze).


La traduzione effettuata non era sufficientemente dettagliata e precisa e conteneva anche degli errori in particolare sul corso di studi della interprete, omissione che aveva comportato la correzione di errore materiale da parte del


Collegio. La Corte respingeva l'eccezione difensiva e, richiamando l'art. 127, comma 10, cod. proc. pen., evidenziava la sufficienza della verbalizzazione in forma riassuntiva rigettando sia la richiesta di redazione del verbale in forma stenotipica sia la richiesta di sostituzione della interprete in quanto "persona non debitamente qualificata".


La sentenza impugnata, nella parte in cui rileva che l'imputato aveva preteso "una spiegazione giuridica" di quanto accadeva in udienza viola i principi contenuti nell'art. 5 della Direttiva 2010/64 secondo i quali gli Stati membri devono non solo prevedere che gli indagati o imputati abbiano la possibilità di contestare la qualità della interpretazione in quanto insufficiente a tutelare l'equità del procedimento ma devono adottare misure volte ad assicurare la qualità sufficiente dell'interpretazione in modo da garantire, da un lato, che gli interessati siano a conoscenza delle accuse a loro carico e siano in grado di esercitare i loro diritti di difesa, e, dall'altro lato, la buona amministrazione della giustizia. L'art. 5 cit. impone agli Stati membri l'adozione di misure concrete idonee ad assicurare la qualità dell'interpretazione e il controllo del giudice, qualità sufficiente che involge non solo la capacità di interpretazione nella lingua dell'indagato - nel caso, peraltro approssimativa - ma anche la qualità tecnico-giuridica dell'interpretazione, funzionale all'esercizio del diritto di difesa nel quadro del giusto processo e alla quale fa riferimento la comprovata esperienza dell'interprete, che non era assicurata dall'interprete sia per i corsi professionali frequentati (un corso di marketing in Italia e la laurea in ingegneria meccanica in Ucraina), né la comprovata esperienza era avvalorata dalla consultazione dell'elenco di cui all'art. 67, disp. att. cod. proc. pen. in cui la interprete non compare.


Precisa che la questione di interpretazione aveva formato oggetto di ricorso (iscritto al n. 28315), in relazione all'udienza di convalida dell'arresto, ricorso deciso, con sentenza di rigetto, all'udienza del 17 settembre 2025.


Motivo 3. Erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 10 Cost., agli artt. 2 e 16 L. n. 69 cit. e motivazione apparente della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la richiesta di informazioni supplementari allo Stato della Germania al fine di comprendere se i fatti oggetto del mandato di arresto costituissero o meno "atto di guerra", compiuti "iure imperii" contro un obiettivo legittimo.


La richiesta di informazioni supplementari risultava dirimente al fine di comprendere se potesse o meno ritenersi applicabile il principio generale di diritto consuetudinario della immunità funzionale degli autori dei cosiddetti sabotaggi riconducibili ad atto di guerra.


L'immunità funzionale degli autori di atti di guerra è compresa tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale, il cui mancato rispetto determinerebbe una violazione nell'art. 2 L. n. 69 nella parte in cui vieta che la consegna sia disposta quando la legge la legge confligge con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano.


Il ricorrente ha richiamato i noti fatti di guerra che coinvolgono l'Ucraina a seguito di invasione subita dalla (Omissis) evidenziando che l'Ucraina ha promulgato la legge marziale di mobilitazione generale con decreti presidenziali nn. 64 e 65 del 2022 prorogati fino a novembre 2025 ed ha evidenziato che numerose inchieste giornalistiche indipendenti e autorevoli hanno individuato nei militari dell'esercito ucraino - e il ricorrente era, all'epoca dei fatti, titolare di una carta di identità militare ucraina - precisando che i responsabili materiali e organizzativi dell'operazione agivano sotto il comando del generale Valery Zaluizhny e il coordinamento dei servizi segreti in un'operazione militare funzionale allo scopo di privare la (Omissis) di una risorsa strategica per finanziare la guerra e per esercitare pressioni politiche sull'Europa.


Il ricorrente ha illustrato il quadro normativo e giurisprudenziale della materia desumibile dalla cd. Convenzione di Ginevra, per la protezione dei civili in tempo di guerra, che, all'art. 4, individua, distinguendoli dagli obiettivi militari, i beni di carattere civile che non possono essere oggetto di attacco in tempo di guerra nonché l'art. 52 del Protocollo aggiuntivo alla convenzione di Ginevra del 12 agosto 1989, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionale.


In particolare, l'art. 52 cit. stabilisce, da un lato, che i beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie ma, dall'altro lato, precisa che sono beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2 e, ribadisce che gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari, precisando, tuttavia, che, "per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all'azione militare e la cui distruzione totale o parziale conquista o neutralizzazione offre nel caso concreto un vantaggio militare preciso".


L'art. 4, invece, prescrive che non le zone di sicurezza e sanitarie, dovranno essere realizzate prevedendone la distanza da ogni obiettivo militare e impianti industriali importanti.


Tale ricostruzione, secondo il ricorrente, conduce a ritenere che i gasdotti Nord Stream sono considerati obiettivi legittimi di attacco in guerra, trattandosi di strutture civili che dovrebbero sorgere a distanza delle zone di sicurezza e sanitarie, sia perché gli "obiettivi militari" sono individuabili in ogni bene che in


modo diretto o indiretto contribuisca al rafforzamento dello Stato ostile e la cui neutralizzazione determina un vantaggio anche solo sul piano militare e dunque non strettamente economico.


Nel caso di specie la natura di infrastruttura energetica industriale e strategica dei gasdotti Nord Stream e il conseguente impatto sulla stabilità della (Omissis) a seguito della loro distruzione, se considerata unitamente alla circostanza del mancato coinvolgimento di qualsivoglia bene o persone civili o danni ambientali nei fatti, rende chiaro che l'attacco debba considerarsi rispondente alle caratteristiche previste dal diritto internazionale dei conflitti armati e dal diritto internazionale umanitario non configurando - in negativo - un crimine di guerra o crimine contro l'umanità, previsti dagli artt. 7 e 8 dello Statuto di Roma, bensì un atto di attacco legittimo di un obiettivo militare e strategico dello Stato ostile in tempo di guerra.


Il ricorso richiama numerose sentenze della Corte di Cassazione (in particolare quella della prima sezione penale relativa all'omicidio del funzionario del Servizio di sicurezza Nicola Calipari, la quale ha stabilito la mancanza di giurisdizione civile e penale dell'Italia per giudicare penalmente il militare statunitense autore dell'omicidio in ragione dell'affermato principio di immunità funzionale degli autori di reato nell'ambito di un atto bellico compiuto in tempo di guerra iure imperii e cioè su ordine e in rappresentanza del proprio Stato) e le affermazioni di principio sulla applicabilità dell'immunità agli atti di guerra (con eccezione dei crimini di guerra, crimini contro l'umanità o genocidio), principio riconosciuto dalla Corte costituzionale, dalla giurisprudenza di legittimità, dalle pronunce di altre corti supreme nonché della Corte europea dei diritti l'uomo.


Sono censurabili, anche per apparenza di motivazione, le ragioni indicate nella sentenza per escludere che si sia in presenza di un atto di guerra e sulla necessità di chiedere informazioni aggiuntive in quanto, osserva la Corte di appello, non "esplicitate" nel mandato di arresto. Si tratta di una motivazione circolare anche perché non è esaminata, rispetto al diritto tedesco, la sussistenza delle immunità funzionali, viceversa poste a fondamento dell'art. 10 Cost.


Impropriamente la sentenza impugnata definisce "invasione di campo" tale accertamento che non è funzionale alla verifica della doppia incriminazione ma alla operatività di una causa ostativa alla consegna, rinvenibile nell'art. 10 Cost.


Motivo n. 4. Erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 3 e 8 CEDU, all'art. 4 del CDFUE, all'art. 1 Decisione Quadro 584/2002/GAI e mancanza di motivazione sulla sussistenza del rischio di trattamenti inumani o degradanti in caso di consegna anche con riferimento al tema dei diritti di visita dei figli minorenni della persona richiesta in consegna.


Sulla base delle allegazione difensive (la difesa aveva prodotto il Rapporto stilato dall'Agenzia Nazionale per la Prevenzione della Tortura tedesca), la Corte di appello ha chiesto informazioni supplementari che sono state portate a conoscenza della difesa in un breve termine, 24 ore, per la proposizione di osservazioni.


Le informazioni fornite sono generiche e carenti su aspetti fondamentali sul trattamento detentivo e la Corte di appello ha fatto ricorso ad una vera e propria integrazione delle informazioni ricevute, che non erano idonee e adeguate al fine di verificare il rischio di trattamenti inumani e degradanti ai quali il consegnando sarebbe stato esposto perché sarebbe detenuto "in regime chiuso", di cui non è indicata la durata e le modalità concrete del trattamento né l'accesso, e a quali condizioni, alle attività ricreative e sociali.


Nelle informazioni trasmesse non veniva, inoltre, indicata la effettiva destinazione del consegnando ad una cella singola o duplex, le cui misure, se destinate ad ospitare più detenuti, sarebbero oggettivamente inferiori a tre metri quadrati.


È una supposizione della Corte di merito quella che, visto il tenore della richiesta che richiamava la giurisprudenza sullo spazio minimo, sarebbe assegnato ad un cella, anche duplex, che assicuri il rispetto di tale spazio.


Il consegnando, collocato in regime chiuso, sarebbe esposto a un regime detentivo che il Rapporto specifica essere molto duro di detenzione (i detenuti sono costretti a trascorrere 23 ore al giorno in cella senza poter accedere ad attività ricreativa o lavorativa), in un penitenziario di cui il citato Rapporto segnalava gravi carenze strutturali di arredi, celle e dei servizi comuni, docce, ad es., e gravi problemi di sovraffollamento.


Del tutto pretermessa è stata la verifica delle modalità del rapporto del consegnando con i figli minori, di 5 e 9 anni, tema esaminato dalla Corte di Giustizia con riguardo al rapporto delle madri con i figli minori affermando principi validi in generale per il rapporto genitoriale.


Motivo n. 5. Erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 51 e 54, Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, all'art. 3, pgf. 2, Decisione Quadro 584/2022/GAI, all'art. 18, lett. b) L. n. 69 del 2005 e motivazione apparente in merito al rigetto della richiesta di acquisizione di informazioni ai fini della verifica della sussistenza del bis in idem in ragione del provvedimento di archiviazione adottato dalle autorità della Danimarca per gli stessi fatti.


La Corte di appello ha ritenuto che fosse sufficiente la notizia di stampa secondo la quale le autorità danesi avevano disposto l'archiviazione del


procedimento, ritenendo che non ci sono basi sufficienti per avviare un procedimento penale in merito ai fatti.


Tuttavia la richiesta difensiva era funzionale alla verifica della sussistenza del bis in idem europeo e cioè una decisione di merito di archiviazione per gli stessi fatti assunta da altra autorità giudiziaria europea e la documentazione richiesta, in presenza del segreto istruttorio apposto sul procedimento, risultante dalle stesse notizie di stampa, rendeva necessaria l'acquisizione del provvedimento onde verificare se fosse riferibile all'odierno ricorrente. La notizia non poteva essere acquisita dalla difesa ma avrebbe potuto essere acquisita dalla Corte di appello tramite Eurojust.


Anche in questo caso, la incompletezza delle informazioni era integrata attraverso la motivazione apparente della Corte.


È erronea anche l'affermazione della inidoneità del provvedimento di archiviazione adottato dall'autorità giudiziaria di un altro stato dell'Unione, a fondare il bis in idem poiché tale provvedimento, se reso a seguito di decisione nel merito che riguardi gli stessi fatti, costituisce decisione rilevante.


A questo riguardo il ricorrente riporta una sentenza di questa Corte (Sez. 6, n. 27384 del 06/06/2022, M., Rv. 283329 - 01) e giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte di Strasburgo sulla nozione di ne bis in idem europeo in relazione a provvedimenti di archiviazione.


Motivo n. 6. Erronea applicazione della legge penale con riferimento all' art. 6, CEDU, agli artt. 24 e 111, Cost. e all'art. 2, L. n. 69 cit. in merito alla violazione del diritto di Ku.Se. all'accesso al proprio fascicolo personale.


La Corte ha rigettato la tesi difensiva sul presupposto che l'accesso integrale agli atti sarebbe stato garantito dopo la consegna alla Germania trascurando che il diritto alla conoscenza degli atti di accusa costituisce un aspetto rilevante del diritto ad un equo processo, di cui all'art. 6 CEDU perché la mancata indicazione degli atti può compromettere la possibilità di presentare contro argomentazioni nonché una violazione dei principi supremi dell'ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti e che acquisiscono valore preminente rispetto ad ogni obbligo discendente dal diritto Ue come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (13274/2025 del 3 aprile 2025) e dalla Corte di Giustizia (28 gennaio 2021, C-649/19, IR).


La Corte di appello ha tuttavia, trascurato che la richiesta difensiva era proposta dalla difesa con riguardo ai differenti e sovraordinati principi, di cui agli artt. 6 CEDU e 24 e 111 Cost., i cui standard di tutela, se maggiori rispetto a quelli accordati dal diritto comunitario, devono sempre e comunque trovare applicazione secondo quanto stabilito dall'art. 2 L. n. 69 cit. che impedisce la consegna quando la stessa determinerebbe una violazione dei principi supremi dell'ordine


costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla costituzione o dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.


11. I motivi sono stati ribaditi con la memoria depositata l'8 ottobre 2025 con allegazione di ulteriore documentazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. È fondato, con rilievo assorbente e per le ragioni di seguito precisate, il primo motivo di ricorso.


2. La Corte di appello ha respinto, con le ordinanze del 3 e del 9 settembre 2025 ribadite, sia pure con precisazioni, nella sentenza impugnata, l'eccezione di nullità del decreto di citazione emesso il 27 agosto 2025 con il quale, ai sensi degli artt. 45-bis, comma 1 e 146-bis, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., veniva disposta la partecipazione del ricorrente all'udienza camerale per la decisione sulla consegna, a mezzo videoconferenza.


3. Secondo la Corte di appello è possibile e legittimo, stante la natura camerale dell'udienza di comparizione della parte, disporre la partecipazione in videoconferenza, facendo ricorso alle disposizioni di cui agli artt. 45-bis e 146-bis cit., previa "nazionalizzazione" del parametro normativo di riferimento posto a base del mandato di arresto, il reato di sabotaggio anticostituzionale, che, ai soli fini delle valutazioni in vista della trattazione dell'udienza camerale, è stato ricondotto al reato di cui all'art. 280-bis cod. proc. pen. e, cioè una fattispecie di reato aggravato dalla finalità terroristica, aggravante richiamata dall'art. 407, comma 2, lett. a) cod. proc. pen. e in relazione alla quale può disporsi la partecipazione a distanza.


La Corte territoriale ha ritenuto che se l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione deve recepire la classificazione del reato operata dallo Stato di emissione del mandato di arresto europeo ai fini della valutazione dei presupposti per la consegna obbligatoria, non può ad essa essere preclusa una qualificazione dei fatti come descritti dal mandato ai sensi della legge italiana, ai fini di determinare le modalità esecutive della misura cautelare in applicazione della Circolare Ministeriale n. 3619/2009, relativa alle prescrizioni sulle modalità di esecuzione della carcerazione negli istituti di custodia italiani, per ragioni di sicurezza del consegnando sottoposto a custodia cautelare a seguito del mandato di arresto.


È, pertanto, nel potere del giudice dello Stato di esecuzione disciplinare la modalità di custodia fra le quali il trattamento carcerario, che per alcuni titoli di reato, prevede il regime di cd. alta sorveglianza e, nel caso in esame, su richiesta del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, la Corte di appello, dopo l'adozione della misura di custodia cautelare in carcere a seguito di convalida dell'arresto, ha individuato il reato di cui all'art. 280-bis cod. pen. come fattispecie che, fra le altre alle quali era riconducibile il reato di sabotaggio, consentiva il regime detentivo cd. di "alta sicurezza" e, quale ulteriore conseguenza, di determinare le modalità di partecipazione all'udienza camerale "a distanza".


Il ricorrente ha denunciato l'illegittimità delle ordinanze del 3 e del 9 settembre 2025 e della sentenza, deducendo la nullità, conseguente alla partecipazione a distanza del consegnando - dunque, la violazione di legge ex art. 178, lett. c) cod. proc. pen. - sotto un duplice profilo.


Sostiene che, vertendosi in un caso di consegna obbligatoria ai sensi dell'art. 8, L. n. 69 del 2005, rispetto al quale l'autorità dello Stato emittente aveva espressamente qualificato i fatti come reato di sabotaggio, in relazione all'art. 2, pgf.2 della Direttiva - e, anzi, scegliendo di non qualificare tali fatti in una fattispecie che rinviava a quelle di terrorismo, prevista sia dalla legislazione tedesca sia nel medesimo pgf.2 della Direttiva, sempre a consegna obbligatoria-l'autorità giudiziaria dello stato di esecuzione non aveva il potere di riqualificazione del fatto che, invece, la Corte di appello di Bologna aveva sussunto nella fattispecie di cui all'articolo 280-bis cod. pen., peraltro in carenza, nei fatti contestati, delle caratteristiche proprie della finalità di terrorismo, così come definite dalla giurisprudenza di legittimità e, quindi, aveva fatto erronea applicazione degli artt. 45-bis, comma 1, e dell'art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen.


Sotto altro e connesso profilo il collegamento in videoconferenza era stato disposto in violazione della disposizione di cui all'art. 17, L. n. 69 cit., disciplinata da sue proprie ed autonome regole processuali che non prevedono tale forma di partecipazione perché l'art. 17 L. n. 69 cit. fa riferimento "alla comparizione" della persona richiesta in consegna, comparizione da intendersi, secondo i principi convenzionali e costituzionali, come comparizione personale.


In sintesi, secondo il ricorrente, indebitamente sono state estese alla procedura prevista dall'art. 17 L. n. 69 cit. le disposizioni in materia di udienza camerale di cui all'art. 127 cod. proc. pen.


4.I rilievi della difesa, sotto tale ultimo aspetto, sono infondati.


L'art. 17, comma 1, L. n. 69 cit. prevede che, salvo i casi in cui l'interessato abbia prestato il consenso alla consegna, "la corte di appello decide con sentenza in camera di consiglio sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della


richiesta di consegna, sentiti il procuratore generale, il difensore, e, se compare, la persona richiesta in consegna, nonché, se presente, il rappresentante dello Stato richiedente."


Il procedimento descritto, al di là del sintetico riferimento al momento di adozione della sentenza in camera di consiglio, rinvia alla procedura camerale che, nel codice di rito, è disciplinata dall'art. 127 cod. proc. pen. che regolamenta, in maniera uniforme, tutti i procedimenti che devono svolgersi, per l'appunto, in camera di consiglio con il contraddittorio tra le parti e che consente di assicurare in tale sede il diritto di difesa dell'imputato/indagato/arrestato e, nel caso della procedura di consegna, appunto del consegnando.


Una sentenza di questa Corte (Sez. 6, n. 22064 del 10/06/2025, Grimaldi, non mass.), in linea con affermazioni di principio ricorrenti nella giurisprudenza di questa Corte (ex multis Sez. F., n. 36397 del 29/08/2023, Brunchea, Rv. 28509601), ha espressamente affermato che il procedimento dinanzi alla Corte di appello, e non solo quello in cassazione, si svolge nelle forme camerali di cui all'art. 127 cod. proc. pen. chiarendo anche le ragioni per le quali l'art. 17, L. n. 69 cit. non richiama espressamente la disposizione di cui all'art. 127 cod. proc. pen. alla quale fa, invece, rinvio l'art. 22, L. n. 69 cit. che regola il giudizio di impugnazione dinanzi alla corte di legittimità in ragione della peculiarità del rito ordinario (la trattazione ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen. quale procedura non partecipata) in relazione ai provvedimenti non emessi a seguito di dibattimento.


Altre decisioni di questa Corte in materia di consegna, analizzando il procedimento dinanzi alla Corte di appello, richiamano la disposizione di cui all'art. 127 cod. proc. pen. sia quando rinviano alla necessità del contraddittorio tecnico (Sez. 6, n. 11983 del 30/03/2022, Perica, Rv. 283053 - 02), sia, soprattutto, quando prevedono la necessità del rinvio dell'udienza in caso di legittimo impedimento del consegnando che abbia chiesto di essere sentito all'udienza fissata per la decisione di consegna (Sez. 6, n. 48013 del 12/12/2008, Barachini, Rv. 241926 - 01): chiaro il riferimento al contraddittorio tecnico, con la partecipazione del difensore, alla fase delle conclusioni in contrapposizione al rito cd. de plano.


È, dunque, attraverso tali garanzie che trova attuazione la "partecipazione personale" della persona richiesta in consegna, partecipazione che, ricorrendone i presupposti di cui all'art. 45-bis, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., può svolgersi anche attraverso il sistema della videoconferenza ove siano garantiti le forme di assistenza, tecnica e linguistica, in applicazione del disposto dell'art. 39, comma 1, L. n. 69 cit. (secondo cui "per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili").


5.Sono, invece, fondate le deduzioni difensive nella parte in cui denunciano l'erronea applicazione degli artt. 45-bis, comma 1, e 146-bis, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., perché la partecipazione a distanza della persona richiesta in consegna è stata disposta per un caso non consentito, come tempestivamente eccepito dalla difesa del consegnando in vista della trattazione dell'udienza del 3 settembre 2025, eccezione respinta con le ordinanze, pure impugnate, del 3 e 9 settembre 2025.


È pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il provvedimento con cui il giudice dispone la partecipazione a distanza dell'imputato al dibattimento, fuori dei casi previsti dalla legge, è affetto da nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 180 cod. proc. pen., in quanto relativa all'osservanza delle disposizioni concernenti l'intervento e l'assistenza dell'imputato, di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e pertanto, quando la parte vi abbia assistito, tale nullità deve essere eccepita nei termini di cui all'art. 182, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 22039 del 12/04/2018, Trovato, Rv. 272750 - 01).


Nel caso in esame la partecipazione a distanza è stata disposta per motivi riconducibili al regime penitenziario applicabile al consegnando, cioè l'assegnazione al regime di "alta sorveglianza" in relazione al reato di cui all'art. 280-bis cod. pen., reato in cui, secondo la Corte di appello, poteva essere inquadrato il reato di sabotaggio posto a base del mandato di arresto della Suprema Corte Federale di Cassazione Bundesgerichthof e che, quale reato aggravato dalla finalità di terrorismo, anche contro stati stranieri, giustificava, con riferimento al regime carcerario, quello di "alta sorveglianza" e la partecipazione a distanza, attraverso videoconferenza, con riferimento alla modalità di partecipazione alla procedura camerale, ai sensi dell'art. 45-bis, comma 1, cit.


La motivazione dispiegata in merito dalla Corte di appello è priva di basi normative e giurisprudenziali sia nella parte in cui ha operato una lettura bifasica dei poteri della Corte di appello in materia di consegna distinguendo, in relazione alle ipotesi di consegna obbligatoria ai sensi del vigente art. 8 L. n. 69 cit., la fase cautelare da quella più prettamente relativa alla consegna, disciplinata dagli artt. 8 e 17 L. n. 69 cit. sia nella enucleazione dei poteri del Giudice dello Stato di esecuzione in relazione al mandato di arresto europeo cd. obbligatorio.


Quanto alla fase cautelare, pur ribadendo che la misura custodiale, così come richiesto dallo Stato di emissione del mandato di arresto europeo, era stata applicata solo per il reato di sabotaggio, ha ritenuto sussistenti ulteriori poteri di controllo dell'autorità giudiziaria ai fini di determinare le modalità esecutive della misura cautelare e ha individuato "esclusivamente a fini descrittivi" le fattispecie di reato in cui, secondo la legislazione italiana, avrebbe potuto essere inquadrato


il fatto storico descritto dal mandato di arresto europeo, fra altri reati, in quello di cui all'art. 280-bis cod. pen.


Per vero, ad onta dell'apparente chiarezza della distinzione tra la fase cautelare e quella di decisione della consegna, la Corte di merito ha, comunque, richiamato l'art. 8, L. n. 69 cit. affermando che tale inquadramento, sia pure a fini cautelari, era stato compiuto "quantomeno per escludere l'ipotesi di errore manifesto", il solo che consentirebbe all'autorità del paese di esecuzione la mancata consegna, errore manifesto, nel caso, escluso.


La Corte di appello ha, poi, esteso automaticamente, alla fase della consegna e, quindi, al procedimento di consegna regolato dall'art. 17 della L. n. 69 cit. e in relazione al diritto di partecipazione del consegnando alla procedura a suo carico, la configurabilità del reato di cui all'art. 280-bis cod. pen. in relazione al fatto posto a base della consegna obbligatoria, trascurando che i poteri del giudice e i diritti delle parti, si modellano sulle previsioni recate dall'art. 8 L. n. 69 cit., poteri che la giurisprudenza di questa Corte, in seguito all'abrogazione del secondo comma dell'art. 8 L. n. 69 cit., ha precisamente ricostruito e delimitato.


Va ricordato che la disposizione di cui all'art. 8 L. n. 69 cit., nella formulazione introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 prevede che " in deroga all'articolo 7, comma 1, il mandato di arresto europeo è eseguito indipendentemente dalla doppia punibilità per i reati che, secondo la legge dello Stato membro di emissione, rientrano nelle categorie di cui all'articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro e sono puniti con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale pari o superiore a tre anni".


La norma in oggetto deve essere letta congiuntamente all'art. 2 della Decisione Quadro 2004/757/GAI del Consiglio dell'unione Europea del 25 ottobre 2004, in cui è precisamente previsto il reato di sabotaggio, voce in cui il mandato di arresto europeo emesso dalla Suprema Corte Federale di Cassazione Bundesgerichthof aveva sussunto il fatto che era a base della procedura di consegna.


Orbene si è affermato che "qualora il reato rientri nella elencazione che dà luogo alla consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione, per un verso, non occorre che le condotte debbano essere inquadrate in una specifica disposizione incriminatrice del diritto interno dello Stato richiesto e, per altro verso, che l'Autorità Giudiziaria - a cui è rivolta la richiesta di consegna- è vincolata alla valutazione effettuata dall'autorità dello Stato emittente per quanto concerne la questione se il reato rientri in una delle categorie di reati che figurano nell'elenco" (Sez. 6, n. 22376 dell'11 giugno 2025, Ruba, non mass.).


Tale soluzione, già prospettabile nella vigenza del testo originario della L. n. 69 del 2005, avendo la Corte di cassazione ritenuto che, in caso di deroga alla


doppia incriminabilità, occorre verificare l'appartenenza ad una categoria di delitti, "secondo una tecnica descrittiva che tenga conto della necessità di rendere comprensibile l'oggetto del procedimento penale nei rapporti tra ordinamenti dei diversi Paesi dell'Unione europea" (Sez. 6, n. 43536 del 14/10/2014, Gonzalez, Rv. 260441; Sez. 6, n. 39772, del 24/10/2007, Bulibasa, Rv. 237425), è, nel sistema attuale, dopo la novella del 2021, ancora più valida sicché l'àmbito di sindacato del giudice interno si è ulteriormente ristretto con il D.Lgs. n. 10 del 2021 che ha, infatti, abrogato - per quel che interessa - il comma 2 dell'art. 8 legge n 69, con il quale si faceva carico all'Autorità Giudiziaria italiana di accertare la definizione dei reati per i quali veniva richiesta la consegna, secondo la legge dello Stato di emissione del mandato, e se la stessa corrispondesse alle figure di reato oggetto di consegna obbligatoria.


Se, sulla base di tali coordinate normative, l'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione "deve" recepire la classificazione del reato operata dallo Stato di emissione del mandato di arresto ai fini della valutazione dei presupposti per la consegna obbligatoria, non residua alcuno spazio di valutazione della qualificazione giuridica del fatto per cui il mandato è stato emesso né nella fase della fase di valutazione della consegna né nella fase della convalida e cautelare a quella strumentale e che della prima mutua i presupposti.


Del resto, nella fase cautelare, il presidente della Corte di appello o il magistrato da lui delegato dispone, con decreto motivato, che il fermato sia posto immediatamente in libertà se risulta evidente che l'arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge operando una valutazione (art. 13, L. n. 69 cit.) funzionale alla decisione sulla esecuzione del mandato, sebbene provvisoria.


Nel caso in esame l'operazione ermeneutica compiuta dalla Corte di appello trasmoda in una vera e propria operazione di riqualificazione giuridica del fatto sussunto in una fattispecie incriminatrice, quella di cui all'art. 280-bis cod. pen. che risulta del tutto eccentrica rispetto alla qualificazione del fatto posta a base del mandato di arresto europeo della Suprema Corte federale di Cassazione Bundesgerichthof della Germania.


Come rilevato dalla difesa anche i reati per finalità di terrorismo rientrano nel perimetro applicativo dell'art. 2, pgf. 2 della Decisione Quadro 584/2002/GAI, oltre ad essere previsti in varie fattispecie aggravate del diritto penale tedesco, fattispecie alle quali, tuttavia, con il mandato di arresto, l'Autorità che ha chiesto la consegna non ha fatto ricorso pur richiamando, tra le varie disposizioni in materia di sabotaggio, le Sezioni 88, comma I, n. 3, 305, comma I e 308, comma I del StGB; una fattispecie incriminatrice che, sebbene intitolata, in particolare quella di cui alla Sezione 88 Sabotaggio anticostituzionale, prevede varie


fattispecie di danneggiamento tra le quali, al comma I, n. 3, il danneggiamento di imprese o strutture che forniscono al pubblico acqua, luce, calore o energia elettrica o sono in altro modo vitali per l'approvvigionamento della popolazione, "beni" ai quali è riconducibile l'approvvigionamento del gas assicurato tramite i gasdotti Nord Stream.


In materia di consegna obbligatoria è, dunque, necessario e sufficiente che il fatto - per come in concreto descritto - corrisponda sul piano qualificatorio ad una delle ipotesi di consegna previste dalla legge.


La Corte di appello ha, dunque, manifestamente ecceduto nella verifica della sussumibilità del fatto in una fattispecie legale - quella di cui all'art. 280-bis cod. pen.- di cui, peraltro, non ricorrevano i presupposti costitutivi secondo la fattispecie legale contestata poiché la finalità di terrorismo, anche in danno di uno Stato estero, è ravvisabile, in presenza delle condizioni precisate dall'art. 270-sexies, cod. pen. secondo cui "Sono considerate condotte con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia".


La definizione citata ha recepito la Decisione Quadro 2002/475/GAI che, secondo l'11 Considerando esclude dal proprio ambito di applicazione, i fatti commessi dalle forze armate in tempo di conflitto armato, sicché, attualmente, la definizione di cui alla Convenzione di New York del 1999, continua ad applicarsi all'area lasciata 'scopertà dalla definizione della Decisione Quadro 2002/475/GAI e dall'art. 270-sexies, cod. pen., ossia l'area dei fatti commessi in tempo di guerra.


Tali fatti sono, dunque, qualificabili come terroristici se destinati a cagionare la morte o lesioni personali gravi a un civile o a qualsiasi altra persona che non partecipi attivamente alle ostilità nel corso di un conflitto armato, quando lo scopo, per la natura o il contesto dell'atto, sia di intimidire la popolazione o costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere od omettere un atto, e si tratti di fatti motivati da ragioni politiche, religiose o ideologiche.


6.Nel caso di specie, la Corte di appello di Bologna non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati perché, in materia di consegna obbligatoria disciplinata dall'art. 8 della L. n. 69 del 2005 e dall'art. 2, pgf.2, Decisione Quadro 584/2002/GAI, ha proceduto alla qualificazione giuridica del fatto attraverso il


riferimento ad una disposizione incriminatrice di diritto interno - l'art. 280-bis cod. pen.- e non rispettando la valutazione effettuata dall'autorità dello Stato emittente nell'inquadramento del reato in una delle categorie di reati che figurano nell'elenco di cui all'art. 2, pgf.2 cit., cioè il sabotaggio, erronea qualificazione che ha determinato, sul piano della costituzione del rapporto processuale, il ricorso alla trattazione dell'udienza in videoconferenza non consentito in relazione al reato oggetto del mandato di arresto: la Corte doveva, invece, limitarsi alla verifica se il reato di sabotaggio rientri nella elencazione che dà luogo alla consegna obbligatoria, indipendentemente dalla doppia incriminazione.


La difesa ha tempestivamente eccepito la nullità dell'udienza camerale che si è svolta violando il diritto di assistenza e intervento del consegnando, violazione che si pone come preliminare e, pertanto, assorbente ai fini dell'esame degli ulteriori motivi di ricorso sia in relazione all'assistenza linguistica e di accesso agli atti del procedimento di consegna sia in relazione alle ulteriori deduzioni difensive che concernono la rilevanza della questione della violazione del bis in idem, dell'allegata immunità funzionale concernente il compimento di un "atto di guerra", compiuti "iure imperii" contro un obiettivo legittimo e, infine, al rischio di sottoposizione, in caso di consegna, a trattamento inumano e degradante.


Si tratta, infatti, di aspetti rispetto ai quali, al di là delle componenti tecniche e di stretto diritto sulle quali si esprime la difesa tecnica della persona richiesta in consegna, è data piena interlocuzione alla difesa personale del consegnando che, pertanto, deve essere messo in condizione di comprendere la dinamica dell'udienza alla quale partecipa, udienza che nel caso di specie si è tenuta violando la integrità e pienezza del contraddittorio in ragione delle concrete modalità di partecipazione personale della persona chiesta in consegna.


7. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. La Cancelleria è delegata agli adempimenti indicati in dispositivo.


P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.


Così deciso il 15 ottobre 2025.


Depositato in cancelleria il 16 ottobre 2025.

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