Misure di prevenzione: Stop alle confische fondate su denunce e informative prive di sviluppi giudiziari (Cass. Pen. n. 30552/25)
- Avvocato Del Giudice
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Introduzione
La sentenza n. 30552 del 2025 della sesta sezione penale della Corte di cassazione offre un’occasione preziosa per riflettere su un tema che da anni attraversa la giurisprudenza italiana e il dibattito dottrinale: la natura e i confini del giudizio di pericolosità sociale “generica” ex art. 1, lett. b), d.lgs. 159/2011 e la sua funzione di presupposto per la confisca di prevenzione.
Se il sistema delle misure di prevenzione è tradizionalmente segnato da un carattere “anfibio” – oscillante tra il diritto penale e l’amministrativo, tra esigenze di tutela anticipata e garanzie del giusto processo – la decisione ribadisce con nettezza un punto essenziale: non è sufficiente evocare sospetti, denunce isolate o procedimenti penali chiusi senza accertamento per legittimare l’ablazione patrimoniale.
Occorrono fatti storicamente apprezzabili, circostanziati e temporalmente perimetrati, capaci di dimostrare che il proposto abbia effettivamente vissuto di proventi illeciti in modo abituale e remunerativo.
In questo quadro, la Cassazione richiama il giudice della prevenzione a un dovere di motivazione rafforzata: spiegare il “che cosa”, il “quando” e il “quanto” delle condotte poste a base della misura, evitando formule assertive e ricostruzioni onnicomprensive.
1. La qualificazione della pericolosità sociale
Il cuore della motivazione della Suprema Corte si colloca nella qualificazione della pericolosità sociale “generica”.
La nozione, come noto, è stata oggetto di un lungo processo di “tassativizzazione” dopo la pronuncia della Corte EDU De Tommaso c. Italia (2017) e la successiva sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019.
La Cassazione si muove in linea con tali approdi, chiarendo che non è più possibile fondare la misura su condotte indeterminate, scarsamente documentate o prive di effettivo contenuto delittuoso.
La categoria di cui all’art. 1, lett. b), d.lgs. 159/2011 richiede, oggi in modo non più eludibile, tre elementi cumulativi:
– la commissione di delitti, non di meri illeciti;
– la loro reiterazione abituale, tale da connotare un tratto stabile dello stile di vita del proposto;
– la loro idoneità a generare proventi illeciti, economicamente apprezzabili e remunerativi.
Solo la convergenza di questi presupposti consente di qualificare una persona come socialmente pericolosa in senso “generico”.
Diversamente, il rischio è di ricadere in una prevenzione “dalle maglie larghe”, incompatibile con il principio di legalità sostanziale e con l’art. 13 Cost.
2. La perimetrazione temporale della pericolosità
Un aspetto qualificante della decisione è rappresentato dall’insistenza sul fattore cronologico.
La Corte ha censurato l’operato dei giudici di merito che avevano esteso la pericolosità dal 2005 al 2019 senza chiarire la rilevanza concreta dei singoli episodi e la loro collocazione in un arco temporale coerente.
La fissazione del dies a quo sul mancato pagamento di un pedaggio autostradale nel 2005, privo di riscontro economico apprezzabile, è stata giudicata arbitraria.
Lo stesso vale per condotte episodiche, contravvenzionali o prescritte, richiamate senza un reale accertamento di sostanza.
La Cassazione afferma, dunque, che il giudizio di pericolosità non può essere onnicomprensivo e indifferenziato, ma deve essere ancorato a fatti storici, collocati in un preciso intervallo temporale e dotati di un effettivo rilievo economico-criminale.
È in questa prospettiva che il concetto di “attualità” della pericolosità acquista pregnanza: non una formula rituale, ma un’esigenza di rigore che delimita la misura nel tempo e impedisce che la stessa si trasformi in una presunzione di pericolosità permanente.
3. Il rapporto con il procedimento penale
La sentenza affronta con chiarezza il nodo del rapporto tra prevenzione e processo penale.
È vero che la misura può essere disposta indipendentemente da una condanna, ma tanto più il processo penale si è chiuso senza accertamento di responsabilità (assoluzione, prescrizione, archiviazione), tanto più al giudice della prevenzione spetta un onere motivazionale rafforzato.
Non è consentito, infatti, “cucire” un giudizio di pericolosità sulla base di denunce rimaste senza seguito, informative prive di sviluppi o provvedimenti penali non di condanna.
Al contrario, occorre una verifica autonoma e piena della consistenza fattuale dei comportamenti, accompagnata da un’analisi della loro idoneità a produrre reddito illecito e a connotare stabilmente lo stile di vita del proposto.
In tal senso, la Cassazione opera una chiara distinzione: se il procedimento di prevenzione ha natura autonoma, non per questo è svincolato dal principio di legalità.
L’autonomia non legittima scorciatoie probatorie, ma impone, proprio per l’assenza delle garanzie proprie del processo penale, una più stringente ricostruzione fattuale e argomentativa.
4. La funzione di garanzia della motivazione
Il provvedimento valorizza infine la funzione di garanzia che assume la motivazione del giudice della prevenzione.
Non basta evocare l’astratto tenore di vita del proposto: occorre spiegare il “che cosa”, il “quando” e il “quanto” delle condotte valorizzate.
La motivazione deve, dunque, dimostrare:
– la natura delittuosa delle condotte;
– la loro effettiva capacità di generare proventi;– la loro collocazione temporale in un arco significativo e attuale;
– la connessione tra i proventi illeciti e l’acquisizione dei beni oggetto di confisca.
Si tratta di un onere che non può essere eluso con formule generiche (“numerosi precedenti”, “condotte abituali”, “stile di vita incompatibile”), pena la violazione del principio di proporzionalità e l’incompatibilità con gli artt. 41 e 42 Cost. e con l’art. 1 Prot. 1 CEDU.
5. La sentenza integrale
Cass. pen., sez. VI, ud. 15 aprile 2025 (dep. 11 settembre 2025), n. 30552
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Bari ha confermato il decreto con cui è stata disposta la confisca di una serie di beni nei confronti di Di.Ma., ritenuto socialmente pericoloso ai sensi dell'art. 4, lett. b) D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 per il periodo 2005-2019.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il proposto articolando un unico motivo con . cui deduce violazione di legge. Il tema attiene al giudizio di pericolosità sociale, alla sua perimetrazione temporale, al rapporto tra giudizio penale e procedimento di prevenzione.
Di Palma sarebbe stato condannato per reati risalenti nel tempo e non significativi perché non dimostrativi dell'accumulo illecito e duraturo di ricchezze; si tratterebbe di condotte slegate dall'acquisto dei beni, peraltro intestati a terzi.
Si evidenzia, al riguardo, che la condanna per insolvenza fraudolenta sarebbe inerente al mancato pagamento del pedaggio autostradale e sarebbe stato commesso il 14.3.2005.
Anche le contravvenzioni per le quali il proposto ha riportato condanna nonché le condotte relative al mancato pagamento delle ritenute previdenziali -per fatti risalenti al 2009-non sarebbero rivelatori del requisito della pericolosità illecita e della sua attualità.
Non diversamente, i procedimenti penali pendenti non offrirebbero elementi dimostrativi della pericolosità: i fatti sarebbero risalenti nel tempo (reato di cui all'art. 641 cod. pen., commesso il 23.8.2010) o privi di riscontro processuale "serio" (così il ricorso in cui si fa riferimento al proc. n. 13012 del 2011 che si sarebbe concluso senza accertamento dei fatti ma con una sentenza di primo grado dichiarativa di prescrizione), ovvero valutati in modo erroneo (si fa riferimento al proc. n. 15367/2012, conclusosi con una sentenza dichiarativa di prescrizione, avente ad oggetto la gestione del traffico di rifiuti, per il quale il ricorrente sarebbe stato coinvolto per avere trasportato, per conto di terzi, alcuni indumenti usati senza le necessarie autorizzazioni), ovvero, ancora, relativi a fatti intervenuti al di fuori del perimetro temporale di riferimento (si richiama il proc. n. 2520/2019 relativo a fatti avvenuti nel 2019).
Sarebbe, in particolare, errato l'assunto secondo cui "il consistente numero di delitti con finalità lucrativa, commessi nell'arco temporale di circa quindi anni (2005-2019), oltre all'assenza di adeguate lecite fonti di reddito, riconducibili al proposto e ai suoi famigliari", consentirebbero di formulare il giudizio di pericolosità sociale.
Né si sarebbe tenuto conto del fatto che nei confronti del ricorrente sarebbe stata rigettata in passato la domanda di applicazione della misura di prevenzione personale; ci si riferisce al proc. n. 63 del 2018 in cui il Tribunale non accolse la domanda proprio in ragione della mancanza di elementi dimostrativi della pericolosità sociale e della sua attualità, considerato che le condotte valorizzate in chiave accusatoria in quella occasione (molte delle quali riprese nel presente procedimento) si sarebbero fermate al 2013.
La stessa Corte di cassazione, si aggiunge, con la sentenza n. 2040 del 2020 aveva annullato il provvedimento impositivo della misura da parte delle Corte di appello -che nel procedimento n. 63 del 2018 aveva riformato la decisione del Tribunale-rimarcando come le denunce e le segnalazioni risultassero temporalmente incollocabili e di nessuna significatività a partire dal 2013.
Detto procedimento si sarebbe concluso con la rinuncia del Procuratore generale alla impugnazione proposta avverso il decreto con cui il Tribunale aveva rigettato la domanda di prevenzione.
Dunque, a fronte della definizione nel senso indicato di quel procedimento, sarebbe viziata, in assenza di elementi nuovi, l'affermazione della Corte di appello per cui la pericolosità di Di Palma si sarebbe manifestata in un periodo esteso dal 2005 al 2019.
3. Hanno proposto ricorso per cassazione anche Ca.Fr., Di.Da., Pa.Gi., Cu.Ro., Ta.An. e Di.Ni., in qualità di terzi interessati
Sono stati articolati tre motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge per avere la Corte ritenuto sussistenti le condizioni per formulare il giudizio di pericolosità sociale generica sulla base di manifestazioni comportamentali precedenti alla pronuncia della Corte Edu del 2017 nel caso De.e della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019.
La tesi è che, al momento in cui sarebbe stata manifestata la pericolosità sociale da parte del proposto, la normativa di riferimento, per la sua genericità, non avrebbe consentito ai consociati di prevederne il perimetro applicativo e di regolare di conseguenza le proprie condotte di vita.
Il tema è quello della necessità, per consentire la limitazione di diritti fondamentali, che sussista, al momento in cui le condotte sono commesse, una base legale certa e accessibile (Corte cost., n. 24 del 2019).
Nel caso di specie, si sarebbe applicata in via retroattiva l'interpretazione sanante fornita dalla Corte costituzionale, che non avrebbe dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. l, lett. b), del d. Igs n. 159 del 2011 solo perché, dopo la sentenza della Corte Edu De Tomaso, la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva proceduto a riempire di contenuto tassativizzante la fattispecie.
AI momento del compimento delle condotte, la normativa di riferimento non sarebbe stata conforme ai principi fondamentali della Costituzione e della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge; il tema attiene alla possibilità per il terzo di dedurre la insussistenza del requisito genetico della misura.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto all'asserita disponibilità per il proposto dei beni intestati ai terzi.
Considerato in diritto
1. Il ricorso proposto da Di.Ma. è fondato.
2. I Giudici di merito hanno ravvisato la pericolosità sociale del ricorrente ritenendo che lo stesso rientri nella categoria di soggetti di cui all'art.1, lett. b), D.Lgs. n. 159 del 2011; Di.Ma. sarebbe un soggetto, che, per la condotta ed il tenore di vita, vivrebbe abitualmente dal 2005 al 2019, anche in parte, con proventi di attività delittuose.
Sul tema è utile richiamare la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 24 del 2019, ha spiegato cosa debba essere accertato e come debbano essere intese le "fattispecie di pericolosità generica" -disciplinate dall'art. 1, numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956 e -oggi -dall'art. 1, lettere a) e b), del D.Lgs. n. 159 del 2011.
Ha spiegato la Corte che l'aggettivo "delittuoso", che compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, deve essere interpretato nel senso che l'attività del proposto debba caratterizzarsi in termini di "delitto" e non di un qualsiasi illecito (cfr., Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018; Sez. 2, n. 16348 del 23/03/2012), dovendosi escludere che "il mero status di evasore fiscale" sia sufficiente a fondare la misura, ben potendo l'evasione tributaria consistere anche in meri illeciti amministrativi (Sez. 5, n. 6067 del 6/12/2017, n. 6067; Sez. 6, n. 53003 del 21/09/2017).
Ha chiarito la Corte costituzionale, inoltre, che l'avverbio "abitualmente", che pure compare sia nella lettera a) che nella lettera b) della disposizione, deve essere letto nel senso di richiedere una "realizzazione di attività delittuose... non episodica, ma almeno caratterizzante un significativo intervallo temporale della vita del proposto", in modo che si possa "attribuire al soggetto proposto una pluralità di condotte passate", talora richiedendosi che esse connotino "in modo significativo lo stile di vita del soggetto, che quindi si deve caratterizzare quale individuo che abbia consapevolmente scelto il crimine come pratica comune di vita per periodi adeguati o comunque sig nificativi".
Ha aggiunto la Corte che il riferimento ai "proventi" di attività delittuose, di cui alla lettera b) della disposizione censurata, è interpretato nel senso di richiedere la "realizzazione di attività delittuose che... siano produttive di reddito illecito" e dalle quali sia scaturita un'effettiva derivazione di profitti illeciti.
Quanto alle modalità di accertamento di detti requisiti di fattispecie, la Corte con la sentenza in esame ha precisato come sia consolidata l'affermazione secondo cui, se è vero che "il giudice della misura di prevenzione può ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici in questione -anche in assenza di procedimento penale correlato -in virtù della assenza di pregiudizialità e della possibilità di azione autonoma di prevenzione", è altrettanto vero tuttavia che:
a) "non sono sufficienti meri indizi, perché la locuzione utilizzata va considerata volutamente diversa e più rigorosa di quella utilizzata dall'art. 4 del D.Lgs. n. 159 del 2011 per l'individuazione delle categorie di cosiddetta pericolosità qualificata, dove si parla di "indiziati"";
b) l'esistenza di una sentenza di proscioglimento nel merito per un determinato fatto impedisce, alla luce anche del disposto dell'art. 28, comma 1, lett. b), che esso possa essere assunto a fondamento della misura, salvo alcune ipotesi eccezionali;
c) occorre un pregresso accertamento in sede penale, che può discendere da una sentenza di condanna oppure da una sentenza di proscioglimento per prescrizione, amnistia o indulto che, tuttavia, contenga in motivazione un accertamento della sussistenza del fatto e della sua commissione da parte di quel soggetto.
In senso conforme ed esplicativo si pone la successiva giurisprudenza della Corte di cassazione, che, in più occasioni, ha affermato, in modo condivisibile, che il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche indipendentemente dall'esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione tuttavia che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive.
Nondimeno si chiarisce, detto giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti storicamente apprezzabili, l'efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità cd. generica, con la conseguenza che la riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata, ad esempio, su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali.
In particolare, ciò che deve essere accertato è che siano delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che, pur ritenuti non sufficienti -nel merito o per preclusioni processuali -per una condanna penale, ben possono tuttavia essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, Ruffini, Rv. 284485; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, Avorio, Rv. 281862; Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Cavassa, Rv. 280027).
3. I Giudici di merito non hanno fatto corretta applicazione di detti principi.
Sotto un primo profilo, quanto ai fatti per i quali il processo penale stato definito, il Tribunale e la Corte di appello si sono limitati a indicare il titolo di reato, il suo astratto carattere lucro genetico e lo stato o la conclusione del procedimento penale.
Si è fatto riferimento al reato di insolvenza fraudolenta relativo fatti commessi nel 2005 e, successivamente, tra il 23 agosto 2008 e l'11 ottobre del 201l.
L'oggetto di tali reati riguarderebbe il mancato pagamento di pedaggi autostradali: il primo di questi fatti risalirebbe, come detto, al 2005 ei proprio in relazione èl detto fatto, si è fissato il dies a quo in ordine alla manifestazione della pericolosità sociale del proposto.
Nulla è tuttavia dato sapere sull'ammontare del mancato pagamento del pedaggio autostradale nel 2005 e su quanti sarebbero i fatti commessi nel 2005; né è stato spiegato perché il fatto del 2005 sarebbe da collocare in continuità con quelli analoghi successivamente commessi.
Si tratta di un accertamento obiettivamente rilevante che attiene non solo al giudizio di pericolosità sociale, ma, soprattutto, alla perimetrazione temporale della stessa, il cui inizio, in assenza di dati significativi, dovrebbe in realtà essere fatta decorrere da un momento successivo.
Il successivo fatto illecito preso in considerazione dai Giudici di merito è costituito da una ricettazione, commessa nel marzo 2007, certamente produttiva di profitto economico, ma sulla quale nulla è stato spiegato, nemmeno in relazione all'oggetto materiale del reato, alla sua consistenza economica.
Si è poi fatto riferimento alle contravvenzioni in tema di ispettorato del lavoro, ex art. 4 L. 22 luglio 1961, n. 628 (fatti del 2008 e del 2010), che, tuttavia, non assumono diretto rilievo.
Comporta invece, seppur in astratto, un risparmio di spesa, e, quindi, un potenziale reinvestimento nell'acquisizione di beni, l'omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali commesso nel dicembre 2009, ma anche in questo caso, tuttavia, non si rinviene nessun dato sulla portata economica del mancato esborso.
Indubbio rilievo può senza dubbio assumere il riferimento, contenuto nel decreto di primo grado, all'attività di evasione fiscale riconducibile alla società cooperativa "MD trasporti", di cui il Di.Ma. era amministratore, e che sarebbe ammontata tra il 2008 e il 2010 a quasi 4.000.000 di euro; un'attività che si sarebbe accompagnata alla emissione di fatture per operazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro.
Si tratta di reati per i quali è stata dichiarata l'estinzione per prescrizione in primo grado, con sentenza del Tribunale di Foggia del 9.7.202l.
Sul tema il Tribunale ha spiegato come nella sentenza penale sia espressamente affermato, per escludere il proscioglimento nel merito ai sensi dell'art.129, comma 2, cod. proc. peno che le risultanze probatorie "non destituiscono di fondamento l'ipotesi accusatoria'.
Si tratta tuttavia di un'affermazione a cui deve essere riconosciuta una inesistente capacità dimostrativa al fine della formulazione del giudizio di pericolosità sociale e della sua perimetrazione temporale in tema di misure di prevenzione.
Si è fatto poi riferimento ad un reato di truffa commesso il 5.3.2014 da cui l'imputato sarebbe stato assolto "mancando elementi certi del suo coinvolgimento".
Considerazioni analoghe devono essere compiute anche in relazione agli altri procedimenti pendenti e, in particolare; per il procedimento n. 15367/2012 nel quale il proposto è stato condannato in primo grado per il delitto di cui all'art. 452-quaterdecies cod. peno e poi prosciolto in appello per intervenuta prescrizione del reato.
Sul tema vi è un breve riferimento nel decreto del Tribunale da cui si apprende che il proposto sarebbe stato condannato per aver preso parte "ad una complessa ed articolata attività non autorizzata di gestione di rifiuti non pericolosi" in quanto la sua società, che si occupava del trasporto di detti rifiuti, insieme ad altri, "non era iscritta nell'Albo nazionale gestori ambientali. Il profitto sarebbe stato costituito dalla mancata attivazione delle procedure di gestione prescritte dalla legge e la confisca avrebbe avuto ad oggetto i mezzi di trasporto strumentali.
Dunque, pare di comprendere, un profitto molto limitato e una confisca avente ad oggetto solo i mezzi strumentali.
Nulla di più è dato sapere.
Si è infine fatto riferimento ad un ulteriore procedimento penale del 2012 nell'ambito del quale il proposto sarebbe stato raggiunto da una ordinanza custodiale per aver fatto parte di un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di rapine e furti; al proposto sarebbe stato contestato nell'occasione anche il riciclaggio di "un mezzo pensante" e il Tribunale ha spiegato che il titolo cautelare sarebbe stato annullato per difetto di esigenze cautelari.
Anche in questo caso nulla di più è stato spiegato, in ordine a ciò che è stato in concreto contestato, alla sua perimetrazione temporale, ai fatti concreti posti a fondamento delle imputazioni provvisorie, ai comportamenti soggettivi.
In tale contesto, la Corte di appello ha spiegato come la mancata adozione della misura di prevenzione personale nell'ambito del precedente procedimento di prevenzione, di cui si è detto -conclusosi con la rinuncia alla impugnazione da parte del Pubblico ministero dopo che il Tribunale aveva rigettato la domanda e dopo che la decisione della Corte di appello di riformare il decreto di rigetto e di disporre la misura di prevenzione personale era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione -fu causata non per difetto del requisito costitutivo della pericolosità sociale, ma per assenza di attualità della pericolosità sociale, esaurendosi i fatti al 2013.
È utile sul punto fare riferimento alla sentenza n. 2040 del 11/12/2019, allegata al ricorso, con cui la Corte di cassazione annullò il decreto della Corte di appello che, in riforma di quello del Tribunale, aveva disposto la misura di prevenzione personale; nell'occasione la Corte di cassazione, pur polarizzando il suo ragionamento sul requisito dell'attualità della pericolosità sociale, evidenziò nondimeno come: a) il ragionamento della Corte di appello fosse stato privo di adeguata base fattuale, b) non fosse nemmeno possibile individuare a quale categoria di soggetti socialmente pericolosi dovesse essere ricondotto il ricorrente.
4. Si tratta di un impianto ricostruttivo violativo della legge. È necessario perseguire in questa materia anfibia un punto di equilibrio tra legalità sostanziale e processuale.
Il procedimento di prevenzione si caratterizza, da una parte, per il diverso e inferiore standard probatorio necessario e sufficiente per disporre la confisca, attesa la natura giudica di questa e la sua non riconducibilità -secondo l'orientamento, allo stato, del tutto consolidato -alla "materia penale" e alla nozione di "pena", e, dall'altra, per uno statuto processuale obiettivamente "debole", in cui l'alleggerimento degli oneri probatori del pubblico ministero si accompagna ad un più basso livello di garanzie fondamentali inerenti al diritto di difesa e ad un sindacato da parte della Corte di cassazione limitato alla sola violazione di legge.
Ciò rende necessaria, come ha spiegato la Corte costituzionale e al fine di scongiurare il rischio di un'ablazione sganciata da criteri di adeguatezza e proporzionalità e di dubbia compatibilità con i principi costituzionali, una valutazione rigorosa e "di garanzia" della consistenza degli indizi, della loro connotazione strutturale, della loro capacità dimostrativa del "fatto" da provare e, soprattutto, della pericolosità sociale.
Una valutazione della piattaforma indiziaria che si faccia carico, quasi in funzione compensativa della struttura del procedimento e degli alleggerimenti probatori per il pubblico ministero, della necessità di spiegare in modo puntuale le ragioni per cui si ritengono sussistenti i requisiti di legittimità della pericolosità sociale e, quindi, della ablazione.
Detta esigenza si impone soprattutto quando, come si dirà, il procedimento penale a carico del proposto non si concluda con una sentenza di condanna ovvero, comunque, con un accertamento dei fatti poi posti a fondamento della proposta di applicazione della misura di prevenzione.
La legalità delle misure di prevenzione "passa" dalla necessità che i "fatti" e i presupposti legittimanti il provvedimento ablatorio siano accertati lasciando alle spalle e abbandonando impalpabili sospetti, pseudo elementi indiziari, denunce non seguite da accertamenti investigativi, segnalazioni di polizia rimaste mute, dichiarazioni instabili di collaboratori di giustizia, rivoli inconsistenti di motivazioni di informative di polizia giudiziaria, elementi assunti in palese violazione di regole probatorie discendenti da principi costituzionali.
Una motivazione, quella del giudice della prevenzione, non solo non apparente e non assertiva, ma che, invece, deve esplicitare in concreto perché l'ablazione non è adottata in violazione di legge e che dia conto della conformità delle conclusione cui si giunge rispetto al contenuto degli atti e delle argomentazioni difensive.
Un rigore che si giustifica, come detto, oltre che per le caratteristiche strutturali di tale tipo di ablazione, per la esigenza primaria che essa si mantenga in linea con i principi della Costituzione -con i diritti di cui agli artt. 41-42 Cost.-e si riveli rispettosa del principio di proporzionalità: una confisca che, da una parte, come quella che si dispone all'esito del processo penale, ha tra i suoi presupposti la commissione di reati da parte del soggetto che ne è colpito, ma che, dall'altra, è disposta "al di fuori" dell'accertamento penale di detti reati e delle regole del processo e non richiede una sentenza di condanna.
Una via parallela alla regiudicanda penale che porta, con moduli accertativi meno garantiti, allo stesso risultato.
Ciò impone rigore argomentativo.
Una confisca che si distingue anche dalle ipotesi di c.d. confisca senza condanna, pure disciplinate dal diritto dell'Unione, che si riferiscono essenzialmente alle ipotesi in cui, essendo stato avviato un procedimento penale nei confronti di un soggetto, il processo non possa concludersi in ragione della morte, della malattia o della fuga dell'imputato, ma, nondimeno, i fatti sui quali la confisca si basa risultano accertati.
Il procedimento di prevenzione è autonomo ma non insensibile all'accertamento penale ed ai suoi esiti e tuttavia, tanto più il procedimento penale si conclude con un esito assolutorio o con una valutazione di inconsistenza dei fatti e della loro attribuibilità soggettiva al proposto (che può sfociare anche in un provvedimento di archiviazione o in una sentenza dichiarativa della prescrizione che, tuttavia, non accerti alcunchè), quanto più il giudice della prevenzione è tenuto a provare "tutto" e ad accertare in modo più rigoroso i presupposti di legittimità della confisca.
Nel sistema della prevenzione, si è osservato in dottrina, l'avvio di un procedimento penale nei confronti del titolare del bene è un dato quasi accessorio, nel senso che la possibilità che nei riguardi del soggetto proposto si stiano svolgendo indagini o un processo penale, costituisce un fatto possibile o probabile, ma non necessario e neppure decisivo rispetto al procedimento parallelo che conduce alla confisca, che ha proprie regole di giudizio, propri moduli accertativi, coinvolge giudici diversi e può essere impermiabile alle sorti di quello penale, ben potendo, come detto, la confisca di prevenzione essere disposta anche in caso di demolizione e di inconsistenza dalle accuse penali eventualmente formulate nei confronti del titolare dei beni.
E tuttavia, è stato evidenziato, il procedimento di prevenzione si distingue da quello penale non tanto per l'oggetto della prova quanto, piuttosto, per il modo con cui si accerta, per come, cioè, si deve "provare".
Tanto il procedimento penale quanto quello di prevenzione hanno infatti ad oggetto sostanzialmente la prova di una pregressa attività criminosa del soggetto; solo nel processo di prevenzione, tuttavia, l'oggetto della prova è più generico, più lato, dovendo essere provata "solo" una "attività" criminosa compiuta nel passato della quale non è tuttavia necessario avere specifici riferimenti temporali e spaziali.
Ciò è consentito in ragione della natura giuridica della confisca di prevenzione, ma ciò deve essere compensato da un valutazione accertativa che è tanto maggiore quanto più l'esito del procedimento penale è favorevole al proposto.
In tale contesto, la motivazione dei Giudici di merito è mancante: 'da una parte, nulla è stato spiegato sul piano dell'accertamento delle condotte, ma, dall'altra, si sono utilizzati provvedimenti non di condanna per cucire fatti molteplici e diversi tra loro, per allineare sul piano temporale un severo giudizio di pericolosità sociale onnicomprensivo e totalizzante, per dare "per accertato" ciò che invece doveva essere accertato.
Un provvedimento, quello impugnato, che, in assenza di un accertamento dei fatti per cui si procede nell'ambito del procedimento penale, avrebbe dovuto spiegare "tutto" e che, invece, si è limitato a richiamare genericamente il contenuto astratto di provvedimenti senza spiegare alcunchè in relazione, come chiarito dalla Corte costituzionale, alla oggettiva sussistenza del fatto e alla sua commissione da parte del proposto.
La Corte di cassazione non è affatto in grado di escludere che in atti vi siano elementi per formulare un giudizio di pericolosità sociale nei riguardi del proposto e questo giustifica il rinvio per nuovo giudizio; la Corte di appello di Bari, applicherà i principi indicati e verificherà se e in che termini sia possibile formulare un giudizio di pericolosità sociale nei riguardi del proposto e, posto che ciò sia possibile, perimetrerà con rigore sul piano temporale detta pericolosità con conseguente verifica della relazione di detta pericolosità con l'acquisto dei singoli beni oggetto di confisca.
5. Quanto ai ricorrenti terzi interessati, sono inammissibili i primi due motivi si tratta di motivi che presuppongono la possibilità per il terzo di dedurre sui presupposti genetici della misura di prevenzione.
Il 27 marzo 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla questione del se il terzo intestatario di un bene possa limitarsi a rivendicare l'effettiva titolarità e proprietà dei beni confiscati o se sia legittimato a contestare anche i presupposti per l'applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità del proposto, la sproporzione tra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, hanno enunciato il seguente principio di diritto: "In caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità dei beni confiscati. A tale fine può dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum".
Il terzo motivo, relativo alla analisi di specifiche questioni riguardanti la riferibilità al ricorrente di cespiti patrimoniali intestati a terzi, è, allo stato, assorbito in quanto il suo esame presuppone l'accertamento della pericolosità sociale e della sua perimetrazione temporale e, dunque, l'esito della valutazione che la Corte di appello, in sede di rinvio, è chiamata a compiere su tali temi a seguito dell'accoglimento del ricorso del proposto.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.