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Pedopornografia: 600 ter e quater concorrono se il materiale detenuto è diverso da quello diffuso.

Non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600-quater c.p. ed il reato di distribuzione, divulgazione e diffusione di materiale pornografico di cui all'art. 600-ter c.p., comma 3, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600-quater c.p., la più grave fattispecie di cui all'art. 600-ter c.p., a condizione che vi sia sovrapposizione o, comunque, tendenziale identità tra materiale detenuto e materiale divulgato; ne consegue che, quando il primo sia talmente ingente da doversi escludere - con accertamento di fatto riservato al giudice del merito - che sia stato integralmente divulgato, la clausola di riserva non opera, poiché la condotta di detenzione si prospetta come autonoma ed ulteriore, sotto il profilo cronologico e naturalistico, ed è dotata di una carica di offensività propria rispetto alle condotte tipizzate dall'art. 600-ter c.p. (sez. III, 22/03/2022).

Cassazione penale sez. III, 22/03/2022, (ud. 22/03/2022, dep. 04/04/2022), n.12250


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 aprile 2021 la Corte d'appello di Roma, provvedendo sulla impugnazione proposta da A.M. nei confronti della sentenza del 23 gennaio 2019 del Tribunale di Roma, con la quale lo stesso A. era stato condannato alla pena di sei anni di reclusione e 12.000,00 Euro di multa, in relazione al reato continuato di cui all'art. 600 ter c.p. e art. 600 quater c.p., commi 1 e 2 (ascrittogli per aver detenuto e diffuso, mediante gli applicativi what's app e telegram, utilizzati anche quali canali di comunicazione, 1705 immagini di contenuto pedopornografico, relative anche a soggetti di giovanissima età), ha ridotto tale pena a quattro anni di reclusione e 4.000,00 Euro di multa, revocando l'interdizione legale, applicando, in luogo di quella perpetua, l'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e confermando nel resto la sentenza impugnata.


2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la violazione dell'art. 81 c.p., art. 600 ter c.p., comma 4, e art. 600 quater c.p., nonché degli artt. 13,24 e 111 Cost. e dell'art. 6CEDU, a causa della esclusione da parte della Corte d'appello del prospettato assorbimento del reato di cui all'art. 600 quater c.p. in quello di cui all'art. 600 ter c.p..


La Corte territoriale avrebbe escluso l'assorbimento della condotta di detenzione del materiale pedopornografico in quella di divulgazione del medesimo materiale sulla base del rilievo che era stata accertata la diffusione di sole tre immagini tra quelle detenute e che l'ingente numero delle altre immagini nella disponibilità dall'imputato escludeva che queste ultime fossero tutte destinate alla diffusione.


Tale affermazione sarebbe, però, in contrasto con il principio fissato dalle Sezioni Unite nella sentenza Galtelli (n. 51815 del 2018), secondo cui le condotte di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, pur integrando due distinti reati, rappresentano due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato e quindi non possono concorrere se riguardano il medesimo materiale, potendo configurarsi la continuazione di reati solo nel caso in cui il materiale pedopornografico sia stato procurato in momenti diversi e poi detenuto, mentre nel caso in esame avrebbe dovuto essere applicata la clausola di riserva di cui all'art. 600 quater c.p., risultando altrimenti violati i principi di cui agli artt. 13,24 e 111 Cost. e art. 6 CEDU, principio di cui la Corte d'appello aveva escluso l'applicabilità con argomenti di carattere formale, senza adeguatamente considerare le due fattispecie di reato contestate e la condotta in concreto realizzata dall'imputato e a lui addebitata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.


2. Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte, proprio con la sentenza n. 51815 del 2018 citata dal ricorrente (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087), con la quale è stato affermato il principio di diritto secondo cui "ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1), con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, l'accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale", hanno anche chiarito, in motivazione, che la disposizione di cui all'art. 600 quater c.p. ha l'evidente scopo di chiudere il sistema, in modo che siano sanzionate, sostanzialmente, tutte le possibili aggressioni al bene primario del libero e corretto sviluppo psicofisico del minore e, più in particolare, della sua sfera sessuale; tale ipotesi delittuosa rappresenta l'ultimo anello di una catena di condotte antigiuridiche, di lesività decrescente, che iniziano con la produzione e proseguono con la commercializzazione, cessione e diffusione punite dall'art. 600 ter - sanzionando il "procurarsi" o "detenere" materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto.


In particolare, quanto al rapporto tra le due fattispecie, cioè quelle di cui agli artt. 600 ter e 600 quater c.p., contestate anche al ricorrente, le Sezioni Unite hanno chiarito che "si tratta di condotte che non integrano due distinti reati (sul punto si veda anche, ancor prima della sentenza Galtelli, Sez. 3, n. 38221 del 25/05/2017, F., Rv. 270994; Sez. 3, n. 43189 del 09/10/2008, T., Rv. 241425), ma rappresentano due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato e, quindi, non possono concorrere tra loro se riguardano il medesimo materiale, ricorrendo la continuazione fra reati nel caso in cui il materiale pedopornografico sia stato procurato in momenti diversi e poi detenuto".


La giurisprudenza successiva ha ribadito che il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600 quater c.p. e quello di pornografia minorile ex art. 600 ter c.p., che incrimina la produzione e la diffusione di detto materiale, non integrano due distinti illeciti ma due diverse modalità di realizzazione del medesimo reato, con la conseguenza che non possono concorrere tra loro se riguardano il medesimo materiale, chiarendo che può sussistere il concorso se il materiale oggetto della produzione e quello oggetto della detenzione siano diversi (così Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020, dep. 2021, C., 280825, che ha ritenuto configurabile il concorso tra i due reati in quanto la condotta di detenzione aveva ad oggetto immagini di "repertorio" della vittima e, pertanto, diverse da quelle che l'imputato aveva tentato di produrre fornendo alla minore specifiche indicazioni sulla sua realizzazione).


Già in precedenza, del resto, era stato affermato che "non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600-quater c.p. ed il reato di distribuzione, divulgazione e diffusione di materiale pornografico di cui all'art. 600-ter c.p., comma 3, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600-quater c.p., la più grave fattispecie di cui all'art. 600-ter c.p., a condizione che vi sia sovrapposizione o, comunque, tendenziale identità tra materiale detenuto e materiale divulgato; ne consegue che, quando il primo sia talmente ingente da doversi escludere - con accertamento di fatto riservato al giudice del merito - che sia stato integralmente divulgato, la clausola di riserva non opera, poiché la condotta di detenzione si prospetta come autonoma ed ulteriore, sotto il profilo cronologico e naturalistico, ed è dotata di una carica di offensività propria rispetto alle condotte tipizzate dall'art. 600-ter c.p." (così, ancor prima della decisione delle Sezioni Unite, questa Sez. 3, n. 20891 del 11/01/2017, P., Rv. 270512).


3. Nel caso in esame la Corte territoriale, in accordo con il Tribunale, ha escluso che il delitto di detenzione di materiale pedopornografico potesse essere ritenuto assorbito in quello di diffusione di parte dello stesso materiale di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, in considerazione dell'ingente quantitativo di materiale detenuto dal ricorrente e del fatto che solo un esiguo numero (pari a 3) di immagini era stato divulgato, escludendo che il solo intendimento dell'imputato, peraltro solo enunciato, di voler diffondere anche il restante ingente materiale detenuto, potesse consentire di ritenere assorbita la condotta di detenzione in quella di diffusione.


Si tratta di rilievi, alla luce dei ricordati criteri interpretativi, univoci nella giurisprudenza di legittimità e che il Collegio condivide e ribadisce, del tutto corretti, posto che l'assai ingente quantitativo di immagini pedopornografiche detenute dall'imputato (pari a 1705), diverse e ulteriori rispetto a quelle diffuse (in numero di 3), costituisce condotta distinta da quella di divulgazione, dotata di una sua propria carica di offensività, diversa e autonoma rispetto a quella derivante dalla condotta di diffusione, cosicché, del tutto correttamente, è stata affermata la configurabilità di entrambe le fattispecie di reato, in considerazione della autonomia delle condotte e della loro indipendente idoneità a compromettere, in modo diverso, il bene interesse protetto.


4. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, a cagione della infondatezza dell'unico motivo al quale è stato affidato.


PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 22 marzo 2022.


Depositato in Cancelleria il 4 aprile 2022

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