Riforma Cartabia: rateizzazione della pena pecuniaria fuori legge se inferiore a sei rate (Cass. pen. n. 18172/2025)
- Avvocato Del Giudice
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1. Premessa
Con la sentenza n. 18172/2025, la Quarta Sezione Penale della Cassazione annulla parzialmente una decisione del Tribunale di Bologna per violazione dell'art. 133-ter c.p., nella parte in cui aveva previsto il pagamento della pena pecuniaria in sole tre rate, in violazione della soglia minima di sei introdotta dalla riforma Cartabia.
Si tratta di una pronuncia destinata a fare scuola sulla corretta applicazione delle norme in materia di pene sostitutive e sulla personalizzazione della rateizzazione.
2. Il fatto
L’imputato era stato condannato per guida senza patente ai sensi dell’art. 116, comma 15, Codice della Strada, recidivo nel biennio, con pena di tre mesi di arresto e 3.000 euro di ammenda. Il Tribunale ha sostituito l’arresto con una pena pecuniaria di 3.600 euro (40 euro x 90 giorni) da corrispondersi in tre rate mensili da 2.200 euro.
Il difensore ha impugnato la sentenza lamentando:
l’eccesso della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche;
l’illegittimità della conversione in pena pecuniaria e della rateizzazione, ritenuta insostenibile e contraria allo spirito della riforma Cartabia.
3. La decisione della Corte
La Cassazione ha rigettato tutte le doglianze dell’imputato, ad eccezione di quella relativa alla rateizzazione della pena pecuniaria.
La Corte ha confermato la correttezza del trattamento sanzionatorio e la legittimità del diniego delle attenuanti generiche, motivato in sentenza con riferimento alla reiterazione del comportamento e alla spregiudicatezza dell’imputato, già sanzionato per condotte analoghe. Allo stesso modo, è stato ritenuto legittimo il criterio di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, stabilito nella misura di 40 euro al giorno, tenuto conto della titolarità di partita IVA e dello svolgimento di attività lavorativa regolare. Non sono stati forniti, infatti, elementi concreti che potessero rimettere in discussione tale valutazione.
Diverso discorso riguarda la rateizzazione della pena pecuniaria, che la Corte ha ritenuto illegittima nella parte in cui il Tribunale l’ha disposta in sole tre rate mensili, contravvenendo all’art. 133-ter c.p., così come riformato dal D.Lgs. n. 150/2022, il quale prevede un minimo di sei e un massimo di sessanta rate. Questa violazione ha determinato l’annullamento parziale della sentenza, con rinvio per nuova determinazione del piano di pagamento.
4. Il principio di diritto
Ai sensi dell’art. 133-ter c.p., come riformato dal D.Lgs. n. 150/2022, la rateizzazione della pena pecuniaria sostitutiva non può essere inferiore a sei rate mensili. La previsione di un numero inferiore integra violazione di legge e determina l’illegittimità della statuizione.
5. Conclusioni
La sentenza si segnala per aver chiarito un punto fondamentale nella concreta applicazione delle nuove norme Cartabia sulle pene sostitutive.
Ogni deroga al numero minimo di rate deve ritenersi illegittima e comporta l’annullamento della decisione. Il giudice è chiamato a calibrare la rateizzazione tenendo conto delle condizioni economiche del condannato, con un approccio conforme ai principi di effettività e proporzionalità della pena.
La sentenza integrale
Cassazione penale sez. IV, 07/05/2025, (ud. 07/05/2025, dep. 14/05/2025), n.18172
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bologna ha dichiarato Se.Al. responsabile del reato di cui all'art. 116, co. 15, codice strada, per avere guidato senza titolo abilitativo (mai conseguito), essendo stato contravvenzionato per la medesima violazione nel biennio precedente (come da verbali del 2020 indicati in imputazione) (fatto commesso in B il (Omissis)), condannandolo alla pena di mesi tre di arresto ed Euro tremila di ammenda, sostituita la prima con la pena pecuniaria di Euro 3.600,00 ai sensi dell'art. 20 bis, cod. pen., con rateizzazione in tre mensilità di Euro 2.200,00 ciascuna, il tutto tenuto conto dello svolgimento, da parte dell'imputato, di regolare attività lavorativa, siccome titolare di partita IVA.
2. Avverso la sentenza, ha proposto appello il difensore del Se.Al., formulando due motivi.
Con il primo, ha contestato l'eccessività del trattamento sanzionatorio che il giudice avrebbe dovuto contenere nel minimo edittale con riconoscimento delle generiche, tenuto conto del regolare svolgimento di attività lavorativa da parte del Se.Al. e della sua giovane età.
Con il secondo, ha rilevato la erroneità del criterio di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria e della operata rateizzazione, asserendo l'illegittimità del maccanismo di calcolo, con il quale il Tribunale avrebbe posto a carico dell'imputato una pena eccessiva, resa insostenibile dalla disposta rateizzazione, in base alla quale ogni rata risulterebbe di valore unitario superiore a qualsiasi stipendio medio, così minando il principio di effettività del sistema disciplinato con la riforma Cartabia, inteso ad agevolare il pagamento da parte dei condannati, in funzione delle rispettive condizioni economiche, riducendo i casi di insolvibilità.
3. La Corte d'Appello di Bologna, ritenuta l'inappellabilità della sentenza, ha dichiarato inammissibile il gravame, disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte di cassazione.
4. Il Procuratore generale, in persona della sostituta Francesca Costantini, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va in parte accolto.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale ha determinato la pena, ritenendo che, nella specie, non fossero riconoscibili le circostanze attenuanti generiche, alla stregua della spregiudicatezza della condotta, atteso che il Se.Al. aveva guidato senza titolo abilitativo su strade a ordinario scorrimento, mettendo in pericolo sé e gli altri utenti della strada, manifestando anche una certa consuetudine a tale tipo di comportamenti, senza alcuna resipiscenza collegata alle precedenti sanzioni irrogategli.
Il motivo si palesa del tutto silente rispetto a tali ragioni e generico, quanto al richiamo all'elemento che si assume pretermesso, quello cioè dello svolgimento di attività lavorativa da parte di soggetto in giovane età, cosicché deve ribadirsi quanto affermato dal diritto vivente a proposito della aspecificità dei motivi d'impugnazione: infatti, l'appello, così come il ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 - 01).
Peraltro, quanto al relativo onere motivazionale, con riferimento alla dosimetria della pena, va ribadito che la determinazione della stessa tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197 - 01; n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, RV. 265283 - 01). A tal fine, il giudice può ricorrere a espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", o richiamare la gravità del reato o la capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243 - 01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356 - 01). Quanto, poi, alla individuazione del medio edittale, è stato chiarito che esso va calcolato non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, RV. 276288 - 01). Nella specie, la dosimetria della pena è del tutto coerente con tali principi, avendo il Tribunale individuato quella di mesi tre di arresto ed Euro tremila di ammenda, rientrante nei parametri sopra richiamati.
Quanto, invece, al diniego delle generiche, va richiamata la ratio della disposizione di cui all'art. 62-bis, cod. pen., quella cioè di adeguare la pena al caso concreto: è in ragione di ciò che al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva (essendosi, peraltro, la difesa limitata a richiamare lo svolgimento di attività lavorativa e la giovane età dell'imputato), rientrando il riconoscimento delle circostanze generiche nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737 - 01; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201 - 01; Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Villani, Rv. 275640 - 01).
3. Il secondo motivo è solo in parte fondato.
Quanto alla individuazione del criterio di ragguaglio, la censura è infondata.
Va, intanto, precisato che, a norma dell'art. 545-bis, cod. proc. pen., inserito dall'art. 31 co. 1, D.Lgs. n. 150/2022, "Il giudice, se ritiene che ne ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Quando non è possibile decidere immediatamente, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, sentite le parti, acquisito, ove necessario, il consenso dell'imputato, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti e provvede ai sensi del comma 3, ultimo periodo. Se deve procedere agli ulteriori accertamenti indicati al comma 2, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso". In base al disposto di cui all'art. 56-quater della legge n. 689/1981, inserito dall'art. 71 co. 1, D.Lgs. n. 150/2022, poi, "Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 Euro e superiore a 2.500 Euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'articolo 133-ter del codice penale" e, in base alla norma da ultimo richiamata, il giudice, con la sentenza di condanna o con il decreto penale, può disporre, in relazione alle condizioni economiche e patrimoniali del condannato, che la multa o l'ammenda venga pagata in rate mensili "da sei a sessanta" (così sostituite le originarie parole da "tre a trenta" dall'art. 1, co. 1 lett. e), D.Lgs. n. 150/2022).
La difesa si è limitata a dissentire rispetto al criterio seguito dal giudice in ordine alla conversione, assumendone la contrarietà al sistema delle pene sostitutive introdotto dalla riforma, ma - sebbene debba convenirsi quanto alla stringatezza del ragionamento al quale il criterio è stato agganciato - va pure rilevato che rispetto a esso (titolarità di partita IVA e svolgimento di regolare attività lavorativa da parte dell'imputato) la difesa non ha introdotto alcun elemento indicativo di un vizio deducibile, essendosi limitata ad asserire l'eccessività della somma di Euro 40 giornalieri, rispetto a un valore che la legge stima tra un minimo di 5 e un massimo di 2.500,00 euro.
Viceversa, coglie nel segno la censura difensiva, laddove si è contestata la legittimità del criterio seguito per la rateizzazione che, in base al richiamato disposto di cui all'art. 133-ter, cod. pen., deve essere stabilita tra un minimo di sei e un massimo di sessanta rate, la fissazione di tre rate mensili integrando la dedotta violazione di legge e risultando illegittimo, pertanto, il criterio utilizzato.
4. La sentenza deve essere, dunque, annullata limitatamente alla individuazione del criterio di rateizzazione della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 133-ter, cod. pen., con rigetto del ricorso nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla individuazione del criterio di rateizzazione della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 133-ter c.p., con rinvio al Tribunale di Bologna in diversa composizione. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025.
Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2025.