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Revocazione confisca di prevenzione: la prova nuova non deve essere necessariamente sopravvenuta.

In tema di misure di prevenzione, la revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione può disporsi in presenza di "elementi nuovi", non necessariamente sopravvenuti purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto che non può, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione.

Cassazione penale sez. V, 04/11/2015, (ud. 04/11/2015, dep. 07/01/2016), n.148


RITENUTO IN FATTO

1. Con il decreto impugnato la Corte d'appello di Palermo ha confermato il provvedimento con il quale era stata rigettata l'istanza di revoca di misura di prevenzione personale e patrimoniale proposta ai sensi della L. n. 1423 del 1956, art. 7 da B. A..


2. Avverso il decreto ricorre a mezzo del proprio difensore il B. articolando due motivi.


2.1 Con il primo deduce l'errata applicazione della legge penale e la mancata assunzione di una prova decisiva, lamentando che la Corte territoriale abbia rigettato il ricorso sulla base dell'erroneo presupposto del difetto di novità dell'intervenuta assoluzione del prevenuto per il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso. In particolare i giudici del merito non avrebbero considerato come la sentenza di assoluzione contenesse l'accertamento negativo degli elementi che hanno fondato la valutazione sull'appartenenza del B. al circuito mafioso, evidenziando così la carenza genetica dei presupposti per l'adozione della misura di prevenzione. In tal senso sarebbe dunque illegittimo e lesivo del diritto alla revisione il richiamo operato dai giudici dell'appello all'autonomia tra il giudizio di prevenzione e quello di cognizione, giacchè nel caso di specie si registra l'applicazione di una misura di prevenzione in relazione ad un giudizio sulla pericolosità del proposto fondata su risultanze investigative contrastanti con l'esito del secondo giudizio.


2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta errata applicazione della legge penale e difetto di motivazione in ordine alle censure svolte con l'impugnazione di merito (e ribadite con il ricorso) in ordine alla prospettata sproporzione della misura patrimoniale, rilevando che la Corte territoriale avrebbe ritenuto precluso il loro esame dal giudicato di prevenzione in violazione dei principi del giusto processo e dell'art. 4 del Protocollo 7 CEDU.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.


2. Il ricorrente ha proposto istanza di revoca delle misure di prevenzione, personali e patrimoniali, applicategli con decreto del Tribunale di Palermo del 6 ottobre 2005, appellandosi al principio affermato dalle Sezioni Unite per cui l'istituto della revisione, così come previsto dagli artt. 629 c.p.p. e segg., non può operare in via analogica con riguardo ai provvedimenti applicativi di misure di prevenzione adottati ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modificazioni, in quanto l'interesse che dovrebbe essere tutelato dall'istituto della revisione - interesse al riconoscimento dell'insussistenza originaria delle condizioni che legittimano l'adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione - può essere tutelato dall'istituto della revoca previsto dall'art. 7, secondo comma, della citata legge (Sez. Un., n. 18/98 del 10 dicembre 1997, Pisco, Rv. 210041).


2.1 Nell'affermare il predetto principio, il Supremo Collegio ha avuto modo di precisare come la revoca della misura di prevenzione disciplinata dalla L. n. 1423 del 1956, art. 7 cit. abbracci sia la revoca con efficacia ex nunc, dovuta alla sopravvenuta cessazione di pericolosità del prevenuto, sia quella con efficacia ex tunc, resa nei casi di accertamento dell'insussistenza originaria della pericolosità anche per motivi emersi dopo l'applicazione della misura.


2.2 A fondamento di tale statuizione sta il rilievo secondo il quale deve reputarsi come soluzione costituzionalmente imposta quella di configurare, attraverso la revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario teso a riparare un errore giudiziario. Dunque, un istituto chiaramente dettato (quale appunto quello delineato dalla L. del 1956, art. 7) per adeguare la misura di prevenzione personale ai mutamenti di "pericolosità" del prevenuto (alla possibilità di revoca è infatti affiancata quella di modifica della misura) è stato "plasmato" dalla giurisprudenza per annettervi la eccezionale portata di rimedio volto a determinare la rimozione ex tunc della misura, sulla falsariga di una "revisione" del relativo "giudicato".


E da ciò si è tratto spunto per giustificarne l'ulteriore, sensibile "passaggio" della identica estensione interpretativa anche nel campo delle misure di prevenzione patrimoniali, sempre nella prospettiva di colmare un vuoto normativo derivante dalla inesistenza, nel settore qui preso in esame, di una impugnazione straordinaria corrispondente a quella della revisione del giudicato, posto che, altrimenti, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi che dessero attuazione al disposto costituzionale (art. 24, u.c.), il quale impone che la legge determini le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.


2.3 Nell'impostazione seguita dalle Sezioni Unite, il minimo comune denominatore delle due cause che legittimano l'attivazione dell'istanza di revoca è costituito dal carattere di novità degli elementi che vengono prospettati a sostegno della medesima. Peraltro, nel caso in cui venga invocato il difetto genetico dei presupposti per l'adozione della misura di prevenzione, non è invece necessario che gli stessi si riferiscano ad eventi sopravvenuti alla sua disposizione, purchè si tratti in ogni caso di circostanze non già valutate nel corso del relativo giudizio, che altrimenti la procedura di revoca assumerebbe la veste di un anomalo strumento ordinario di impugnazione la cui previsione sarebbe in palese - e irragionevole - contrasto con quello che è il numerus clausus dei mezzi di impugnazione tassativamente configurato dalla normativa di riferimento.


2.4 In tal senso si è condivisibilmente osservato, infatti, come l'alveo all'interno del quale è consentita la eccezionale "revoca" della misura di prevenzione, va dunque concettualmente ragguagliato alla straordinarietà del rimedio ed ai fini che esso deve soddisfare, restando, dunque, ontologicamente incompatibile con tale istituto, qualsiasi possibilità di "riesame" dello stesso quadro fattuale già delibato in sede di applicazione della misura, posto che, ove così non fosse, pur restando immutati i "fatti" oggetto del giudizio di prevenzione, le relative statuizioni giurisdizionali sarebbero rivedibili sine die e ad nutum (Sez. 2, n. 4312 del 13 gennaio 2012, Penna e altri, Rv. 251811).


2.5 D'altra parte, ciò è tanto vero che il nuovo codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), ha espressamente previsto (art. 28) l'istituto della "revocazione della confisca", stabilendo che tale rimedio avverso le decisioni definitive sulla confisca di prevenzione, può essere richiesto, nelle forme previste dall'art. 630 c.p.p., "a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludono in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca;


c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato".


2.6 Non di meno lo stesso 2 dell'art. 4 del Protocollo 7 della CEDU invocato dal ricorrente connette il diritto di revisione alla prospettazione di elementi che si devono caratterizzare per la loro capacità di innovare la piattaforma cognitiva valutata nel precedente giudizio, talchè l'interpretazione dei limiti applicativi della L. n. 1423 del 1956, art. 7 qui accolta appare in linea anche con la normativa sovranazionale.


3. Alla luce dei principi rassegnati, le doglianze del ricorrente si rivelano pertanto manifestamente infondate, giacchè con l'istanza di revoca era stata prospettata una circostanza - l'intervenuta assoluzione del B. nel processo di cognizione relativo al reato di cui all'art. 416-bis c.p. - già dedotta nel giudizio di prevenzione e compiutamente valutata in quello di prevenzione dalla stessa Corte d'appello di Palermo nel provvedimento con cui aveva rigettato il ricorso avverso a quello genetico e il cui impianto giuridico era stato poi ritenuto corretto dal giudice di legittimità con sentenza del 30 gennaio 2009, peraltro proprio in relazione all'applicazione dei principi di cui l'odierno ricorso lamenta il malgoverno. Correttamente dunque la Corte territoriale ha ritenuto insussistenti i presupposti per l'accoglimento dell'istanza di revoca delle misure di prevenzione disposte nei confronti del ricorrente.


4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle ammende.


PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 4 novembre 2015.


Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2016

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