La massima
Non è configurabile il reato di riciclaggio del denaro provento di bancarotta fraudolenta per distrazione, bensì quello di concorso dell'extraneus nel reato di cui all' art. 216 l. fall ., nella condotta del soggetto che riceve somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, con la consapevolezza dello stato di dissesto finanziario della stessa ed in mancanza di titolo giustificativo (Cassazione penale , sez. V , 21/11/2017 , n. 2298).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. V , 21/11/2017 , n. 2298
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22/9/2016 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del 30/6/2015 del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torino, appellata dall'imputato L.D.P., con aggravio delle spese del grado e ha preso atto della revoca della costituzione della parte civile, eliminando le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado.
L'imputato era stato accusato del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 648 bis c.p. perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in qualità di amministratore della società WAM s.r.l., in data 9/10/2009, aveva ricevuto sul conto corrente societario n. (OMISSIS) Unicredit, in mancanza di rapporto giustificativo sottostante, la somma complessiva di Euro 166.000,00=, derivante da due bonifici bancari effettuati da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, società in conclamato stato di dissesto e dichiarata fallita il 6/4/2010, di cui era liquidatore M.G., e quindi aveva trasferito in data 12 e 14/10/2009, direttamente o indirettamente, tale somma ad C.A. (convivente di M.G.) nella misura di Euro 160.000,00=, provento del delitto di bancarotta fraudolenta commesso dal M. e comunque del delitto di appropriazione indebita aggravata dalla prestazione d'opera, in modo da ostacolare l'identificazione della sua provenienza.
Già il Giudice di primo grado aveva riqualificato la condotta del L., condannandolo non già per il delitto di riciclaggio contestatogli in rubrica ma per il reato di cui all'art. 110 c.p., e artt. 216 e 223 L. Fall., ossia per concorso quale extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione commesso dal liquidatore; il G.u.p. aveva infatti ritenuto che il L. avesse concorso nel reato presupposto del riciclaggio, ossia nelle condotte distrattive del liquidatore M., con la consapevolezza del grave stato di dissesto in cui versava la (OMISSIS) e della natura distrattiva dell'operazione progettata dal M..
2. Ha proposto ricorso il difensore di fiducia dell'imputato, avv. Francesco Bosco, svolgendo quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) il ricorrente denuncia inosservanza della legge penale processuale, addebitando alla Corte di appello di non aver pronunciato ordinanza ai sensi dell'art. 521 c.p.p., disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perchè il reato giudicato in sentenza (concorso esterno in bancarotta fraudolenta) era diverso rispetto a quello contestato (riciclaggio) e aveva invece confermato la sentenza di condanna.
Il ricorrente sottolinea che le due fattispecie criminose erano radicalmente differenti e proteggevano differenti beni giuridici.
Inoltre il L. non era stato posto in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa, essendo mancata qualsiasi indagine sul fallimento di (OMISSIS), sulle condizioni di tale società, sul suo ruolo di estraneo concorrente e sul suo eventuale contributo al dissesto.
Il ricorrente chiarisce inoltre che in caso di differente contestazione in termini di concorso in bancarotta fraudolenta il L. avrebbe potuto chiedere una consulenza contabile in merito alle condizioni societarie e allo stato di reale insolvenza al momento del trasferimento di denaro, nonchè precisazioni in ordine al piano economico oggetto della delibera da parte dei soci; tutto ciò nell'ottica di investigare sul contributo illecito eventualmente ipotizzabile a suo carico e sulla sua consapevolezza di agire in danno della società.
Inoltre egli avrebbe potuto accedere al rito del patteggiamento che unitamente al beneficio della sospensione condizionale gli avrebbe potuto valere la mancata applicazione delle pene accessorie previste dall'art. 216 L. Fall..
2.2. Con il secondo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e) il ricorrente denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, poichè la Corte di appello non aveva disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in considerazione della differente fattispecie di reato ritenuta configurabile (concorso esterno in bancarotta fraudolenta in luogo di riciclaggio) non accogliendo la richiesta di c.t.u. contabile in merito alle condizioni societarie, al ruolo in concreto svolto dall'imputato, all'eventuale concorso alla causazione del dissesto in forza della contestazione del concorso quale extraneus nel reato proprio.
In particolare, il ricorrente segnala la circostanza, ritenuta fondamentale, che l'ex Presidente del Collegio sindacale, dott.ssa B., in sede di interrogatorio ex art. 415 bis c.p.p. aveva riferito che la società era stata valutata circa sei milioni di Euro in virtù di perizia giurata del commercialista dott. A. e non si poteva immaginare il suo successivo fallimento, elementi questi che avrebbero potuto orientare diversamente il giudizio rispetto alle valutazioni espresse dal Curatore dott. N., peraltro espressosi prima del ritrovamento della contabilità.
2.3. Con il terzo motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello non aveva pronunciato assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p. per insussistenza del fatto o perchè il fatto non costituiva reato.
A sostegno dell'assunto il ricorrente evidenzia la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero nei confronti del L., sul presupposto che egli non avesse avuto il tempo di verificare le condizioni economiche della società nel breve periodo della sua amministrazione; caldeggia una ribaltata valutazione della lettera mail fra L. e R.C. (ove sostanzialmente non si accettava che per un debito modesto dettato dall'indebitamento con le banche, non si riuscisse a ripianare l'assetto economico della società); sottolinea l'assenza di qualsiasi vantaggio economico da parte del L..
Il ricorrente assume che l'apertura del conto era avvenuta per espletare il servizio di tesoreria a favore della società; che le operazioni di accredito e il versamento di parte della somma accreditata a favore della C. erano state effettuate da M. a sua insaputa; che il versamento della somma di Euro 110.000,00= a favore del Ma., ritenuto il soggetto subentrante nel contratto di gestione, era avvenuto su richiesta del M.; che la residua somma di Euro 6.000,00= era stata consegnata in contanti al M..
2.4. Con il quarto motivo proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente denuncia violazione o inosservanza della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento nella massima estensione della diminuzione per le attenuanti generiche, già concesse, e per la mancata applicazione del minimo della pena, disattendendo i criteri di cui all'art. 133 c.p..
3. In data 26/11/2017 il difensore di fiducia di L.P.D. ha depositato memoria contenente tre motivi aggiunti.
3.1. Con il primo motivo aggiunto il ricorrente riassume il filo delle censure svolte con il primo motivo di ricorso principale, focalizzando la nozione di "fatto diverso" ai sensi dell'art. 521 c.p.p. e sottolineando che l'imputazione di riciclaggio escludeva necessariamente le imputazioni di appropriazione indebita, poi divenuta di bancarotta fraudolenta, per la struttura stessa del reato che contempla come elemento caratterizzante il non aver concorso nel reato presupposto.
Aggiunge ancora che,se avesse potuto difendersi previa contestazione del reato per cui era stato condannato, il L. avrebbe potuto fornire prove circa i suoi rapporti con la famiglia R., avrebbe potuto far leva sul fatto che in data 30/12/2008 vi era stato un atto di fusione per un valore di Euro 4.029.000,00= alla cui redazione avevano partecipato i sindaci, il dott. A. e il Notaio B., senza l'opposizione dei creditori e senza che nessuno di questi soggetti denunciasse lo stato di decozione della società, e infine avrebbe potuto dimostrare l'esistenza di iniziative volte a rinegoziare il debito con gli istituti bancari e a valutare comportamenti anatocistici da parte loro.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) perchè la Corte di appello non aveva accolto la richiesta, successiva alla condanna di primo grado, di acquisizione della copia della lettera inviata dal M. all'Ordine dei Commercialisti di Torino, che scagionava il L., giudicandola tardiva e riguardante dichiarazioni dello stesso M.; tale documento era stato erroneamente escluso mentre era divenuto ammissibile ex art. 237 c.p.p. e utilizzabile nel suo contenuto scagionante a favore del L..
3.3. Con il terzo motivo aggiunto il ricorrente riprende il terzo motivo del ricorso principale e svolge una ricapitolazione in fatto della vicenda.
Il ricorrente reputa illogico da parte della sentenza attribuire un valore societario già negativo nel 2005 in presenza della perizia asseverata del 2006 e della fusione per 4 milioni di Euro del dicembre 2008; in secondo luogo, stante la completa sottrazione della documentazione contabile" L. non poteva essere a conoscenza della reale situazione del gruppo, allorchè l'aveva amministrato; in meno di un mese il L., senza contabilità, in difetto di azioni dei creditori e sulla base delle perizie sul valore della società non poteva logicamente rendersi conto della situazione fallimentare; egli, poi, aveva ammesso di essere stato a conoscenza delle vicende della famiglia R. e non della loro amministrazione.
Era illogico ritenere il L. correo del M. che aveva raggirato tutti i protagonisti della vicenda e attribuire all'imputato altro che un qualche grado di colpa nella sua conduzione della vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo principale e il primo motivo aggiunto, dedicati al tema della asserita violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza/ sono strettamente connessi e debbono essere esaminati congiuntamente.
1.1. Il ricorrente lamenta inosservanza della legge penale processuale e addebita alla Corte di appello di non aver pronunciato ordinanza ex art. 521 c.p.p., disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perchè il reato giudicato in sentenza (concorso dell'estraneo in bancarotta fraudolenta) era diverso rispetto a quello contestato (riciclaggio).
Il ricorrente insiste sulla radicale differenza fra le due fattispecie criminose poste a protezione di differenti beni giuridici e sulle ripercussioni negative sull'esercizio del diritto di difesa, dolendosi che fosse mancata qualsiasi indagine sul fallimento di (OMISSIS), sulle condizioni di tale società, sul suo ruolo di estraneo concorrente e sul suo eventuale contributo personale al dissesto.
1.2. L'art. 521 c.p.p., rubricato "Correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza", enuncia al primo comma il principio riassumibile nel brocardo latino iura novit curia, in base al quale il giudice, nella sentenza, può dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, purchè il reato non ecceda la propria competenza o non sia affidato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale anzichè monocratica.
Al fine di tutelare il diritto di difesa dell'imputato, però, l'art. 521, comma 2 impone al giudice che accerti che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio (ovvero nella contestazione effettuata a norma degli artt. 516 e 517 c.p.p. e art. 518 c.p.p., comma 2) di pronunciare un'ordinanza con cui dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero.
L'art. 518 c.p.p. invece considera l'ipotesi dell'emersione nel corso del processo di un fatto nuovo a carico dell'imputato, non enunciato nel decreto che dispone il giudizio e perseguibile d'ufficio, prevedendo che in tal caso si proceda nelle forme ordinarie, salva l'autorizzazione alla contestazione suppletiva con il consenso dell'imputato e purchè non ne derivi pregiudizio per la speditezza dei procedimenti.
1.3. La giurisprudenza di legittimità è costante nell'affermare che per "fatto nuovo", regolato dall'art. 518 c.p.p., si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo.
Invece, per "fatto diverso", considerato dall'art. 521 c.p.p., comma 2, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una correlativa puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Tonietti, Rv. 256861; Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015 - dep. 2016, p.c.in proc.Marafioti, Rv. 266019; Sez. 5, n. 10310 del 25/08/1998, Capano, Rv. 211477).
1.4. Sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali, così da provocare una situazione di incertezza e di cambiamento sostanziale della fisionomia dell'ipotesi accusatoria capace di impedire o menomare il diritto di difesa dell'imputato (Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012,2013, Domizi e altri, Rv. 254888); occorre quindi una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; l'indagine volta ad accertare la violazione del principio non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010,Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco Rv. 205619).
1.5. Indubbiamente i due reati (riciclaggio e concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione) sono strutturalmente inconciliabili per la clausola di esclusione espressa nell'esordio dell'art. 648 bis c.p..
Tuttavia il Collegio ritiene corretto il ragionamento della Corte Torinese che, nel convalidare l'operato del primo Giudice, afferma che il fatto contestato era rimasto sostanzialmente immutato, nonostante la diversa qualificazione giuridica, giacchè nel capo di imputazione, al di là dell'etichetta del nomen iuris, figurano tutti gli elementi costitutivi che vanno ad integrare l'ipotesi di reato accertata del concorso dell'estraneo nel reato fallimentare proprio del liquidatore ex art. 110 c.p. e L. Fall., artt. 216 e 233 (inclusa la conoscenza dello stato di conclamato dissesto di (OMISSIS) e la consapevolezza del reato posto in essere da M.).
Si verte quindi nella presente fattispecie in un caso di mera riqualificazione giuridica della fattispecie nell'esercizio del potere del giudice di applicare la norma di diritto al fatto sottopostogli (narra mihi factum, dabo tibi ius).
1.6. Il concorso esterno in bancarotta fraudolenta distrattiva richiede la consapevolezza del concorrente estraneo, destinatario dei valori distratti dall'amministratore intraneo, circa l'esposizione a rischio della garanzia patrimoniale spettante ai creditori dell'impresa e la natura illecita dell'operazione a cui partecipa. L'una e l'altra erano contestati in fatto.
Il riciclaggio presuppone la non compartecipazione nel fatto distrattivo e quindi la consumazione della bancarotta fraudolenta distrattiva a monte (ovvero dell'appropriazione indebita commessa dal liquidatore prima della dichiarazione di fallimento che integra la fattispecie del reato fallimentare de determina il mutamento del titolo di reato) mediante una operazione diversa da quella implicata nel riciclaggio.
1.7. Il delitto di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. è reato pluri-offensivo contro il patrimonio, l'amministrazione giustizia e l'ordine pubblico; l'agente - riciclatore non deve aver in alcun modo concorso nel delitto presupposto anche solo istigando al reato o promettendo il "lavaggio" delle cose di provenienza delittuosa; il dolo è generico e consiste nella volontà di compiere le attività relative ad impedire l'identificazione delle cose di provenienza delittuosa sia la consapevolezza della provenienza (Sez. 4, n. 6350 del 30/01/2007, Cazzella e altri, Rv. 236111).
In tema di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, il criterio per distinguere la responsabilità in ordine a tale titolo di reato dalla responsabilità per il concorso nel reato presupposto- che esclude la prima - non può essere solo quello temporale ma occorre, in più, che il giudice verifichi, caso per caso, se la preventiva assicurazione di "lavare" il denaro abbia realmente (o meno) influenzato o rafforzato, nell'autore del reato principale, la decisione di delinquere. (Sez. 5, n. 8432 del 10/01/2007, Gualtieri, Rv. 236254).
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che i delitti di ricettazione e riciclaggio riguardanti il provento del reato di bancarotta fraudolenta sono configurabili anche nell'ipotesi di condotte distrattive compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali condotte erano ab origine qualificabili come appropriazione indebita ai sensi dell'art. 646 c.p., per effetto del rapporto di progressione criminosa esistente fra le fattispecie che comporta l'assorbimento di tale ultimo delitto in quello di cui alla L. Fall., art. 216 quando il soggetto, a danno della quale l'agente ha realizzato la condotta appropriativa, venga dichiarato fallito. (Sez. 5, n. 572 del 16/11/2016 - dep. 2017, P.M. in proc. Spendolini e altro, Rv. 268600;Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Dessì e altri, Rv. 267497).
1.8. La condotta distrattiva fraudolenta ex art. 216 L. Fall., involge di per sè lo storno indebito di una risorsa patrimoniale a favore di un terzo al di fuori della società. Se questi è conscio del contenuto dell'operazione e della sua natura distrattiva, che implica altresì sotto il profilo psicologico, la consapevolezza che essa espone a rischio la garanzia offerta ai creditori dal patrimonio dell'impresa, la sua condotta ricade nel concorso in bancarotta, con automatica preclusione della configurabilità del riciclaggio.
Nella fattispecie l'addebito mosso al L. consisteva nell'aver ricevuto su di un conto corrente da lui intrattenuto, in difetto di giustificazione alcuna, somme di denaro provenienti dalla società poi fallita, in una situazione di conclamato e conosciuto dissesto, riversandole a poi a terzi privi di titolo a riceverle: è del tutto evidente l'erroneità della configurazione in termini di riciclaggio, giustamente abbandonata dai Giudici del merito, poichè lo stesso reato di bancarotta fraudolenta si è consumato solo con l'apprensione delle somme da parte del L. ed è quindi divenuto perseguibile come tale per effetto della dichiarazione di fallimento; non esisteva quindi il reato presupposto a monte ed anzi il L. ha partecipato all'operazione di distrazione costituente il proprium del reato fallimentare che è stato correttamente configurato dai Giudici del merito.
1.9. Nel caso di specie, gli elementi caratterizzanti il concorso esterno del L. nel reato proprio del M. inoltre emergevano chiaramente dagli atti presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero, il che esclude violazioni del diritto di difesa in merito all'accertamento circa la sussistenza di un accordo tra le parti; in particolare la Corte d'Appello valorizza una mais, con cui il ricorrente omette di confrontarsi, rinvenuta dal Curatore, in cui il M. scriveva al L. ipotizzando che questi (come di lì a poco accadrà) assuma la carica di amministratore unico delle (OMISSIS) S.r.l. Il M. parla del proprio compenso come consulente, ed assicura all'imputato che, come pattuito tra loro, esso sarà ripartito "5.000 a testa").
Inoltre, la Corte territoriale osserva che un professionista come il L., già occupatosi di curatele fallimentari, non potesse non essere consapevole quanto meno del fatto che non tutti i creditori sarebbero stati soddisfatti per l'intero, con la conseguente concreta possibilità che gli stessi chiedessero poi il fallimento delle (OMISSIS) S.r.l..
Ancora, specie in totale assenza di documentazione scritta debitamente motivata che istituisse la pretesa tesoreria esterna, il L. non poteva non avere piena consapevolezza del fatto che la stessa apertura del conto corrente in nome della WAM per farvi confluire somme di denaro della (OMISSIS) s.r.l. costituiva di per sè un atto deliberatamente distrattivo.
La Corte territoriale ha rilevato che, anche volendo seguire la linea difensiva dell'imputato, dichiaratosi del tutto estraneo all'operazione di bonifico nei confronti della C., non vi sarebbe alcuna spiegazione dell'assegno circolare emesso in favore del Ma., stante la perdurante assenza di una scrittura che giustificasse il rapporto contrattuale di tesoreria tra la WAM e la fallita, e il venir meno del rapporto fiduciario nei confronti del M., così come asserito dallo stesso L.. L'imputato era, perciò, perfettamente cosciente di commettere una distrazione.
Infine, il suggello finale della colpevolezza dell'imputato è rappresentato dalla presunta consegna dei 6.000 Euro rimanenti al M., posto che, in questo caso, anche la forma della dazione e la destinazione del denaro, appartenente alla fallita, contribuiscono a colorare in senso distrattivo la natura dell'atto.
1.10. La Corte non ritiene che nella fattispecie l'imputato possa invocare i principi della c.d. sentenza Drassich della Corte Europea diritti dell'uomo, sez. 2, 11/12/2007, n. 25575, che mirano a tutelare l'imputato dal disorientamento difensivo procurato anche dalla mera riqualificazione giuridica del fatto storico contestato.
Secondo tale importante arresto della Corte Europea, il diritto ad essere informato comprende anche la qualificazione giuridica dei fatti contestati e pertanto, alla luce di un'interpretazione sistematica delle lett. a) e b) dell'art. 6, par. 3, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, quando il diritto nazionale preveda la possibilità di attribuire ai fatti contestati all'imputato una diversa qualificazione giuridica, l'imputato deve essere informato di tale qualificazione giuridica in tempo utile per poter esercitare i diritti di difesa riconosciuti dalla Convenzione in modo concreto ed effettivo; secondo la Corte il mezzo più appropriato per rimediare a tale violazione è riapertura del processo.
Questa Corte ha pertanto adeguato la sua giurisprudenza a tali principi affermando che nel giudizio di legittimità, il potere della Corte di attribuire una diversa qualificazione giuridica ai fatti accertati non può avvenire con atto a sorpresa e con pregiudizio del diritto di difesa, imponendo, per contro, la comunicazione alle parti del diverso inquadramento prospettabile, con concessione di un termine a difesa, in attuazione del principio di diritto espresso dalla Corte Europea Diritti dell'Uomo con la sentenza 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia (Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015 - dep. 2016, Caruso, Rv. 266953); ovvero ha ravvisato la violazione irrimediabile del diritto di difesa nel caso in cui sia ritenuta in sentenza l'ipotesi aggravata del reato di falso in atto pubblico, ex art. 476 c.p., comma 2, non adeguatamente e correttamente esplicitata nella contestazione, considerato che, anche alla luce dei vincoli posti dalla giurisprudenza della Corte EDU è diritto dell'imputato essere informato tempestivamente e dettagliatamente tanto dei fatti materiali posti a suo carico, quanto della qualificazione giuridica ad essi attribuiti (Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Amoroso e altri, Rv. 260209)
La giurisprudenza di questa Corte ha però in varie prospettive circoscritto la portata del principio.
Da un lato, ha escluso che esso valga allorchè la riqualificazione operi in bonam partem., ossia a favore dell'imputato non ravvisando in tal caso alcun obbligo di preventiva informazione all'imputato per consentirgli l'esercizio del diritto al contraddittorio. (Sez. 6, n. 24631 del 15/05/2012, Cusumano, Rv. 253109).
D'altro canto, ha ritenuto allorchè la riqualificazione giuridica del fatto sia stata espressamente richiesta dal Pubblico Ministero, l'omessa informazione all'imputato da parte del giudice della eventualità che il fatto contestatogli possa essere diversamente definito non comporta violazione dell'art. 6 così come interpretato dalla Corte Edu nel proc. Drassich c/ Italia (Sez. 2, n. 35678 del 15/05/2013, Scuderi, Rv. 257104; Sez. 5, n. 231 del 09/10/2012 - dep. 2013, Ferrari, Rv. 254521).
Infine il principio è stato confinato nei soli ambiti che non consentono all'imputato di rielaborare la propria linea difensiva sostenendo che la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte Europea dei diritti con la sentenza Drassich, consentendo all'imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 17782 del 11/04/2014, Salsi, Rv. 259564); ed inoltre che l'osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l'imputato è chiamato a rispondere, sancito dall'art. 111 Cost., comma 3, e dall'art. 6 CEDU, comma 1 e 3, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione. (Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012 - dep. 2013, Manara e altro, Rv. 254135).
Il più recente orientamento di questa Corte esclude che vi sia una lesione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, laddove la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato, ovvero non abbia portato ad una concreta menomazione della difesa sui profili di novità da essa scaturiti, anche nei casi in cui la nuova definizione giuridica non fosse stata di per sè prevedibile per l'imputato.
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, pur nella estrema varietà degli accenti dovuta al suo tipico intervento casistico, ha spesso escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell'addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa. Accanto a ciò, la stessa Corte non ha mancato di sottolineare come il diritto di difesa e quello al contraddittorio non fossero vulnerati nei casi in cui i fatti costitutivi del nuovo reato fossero già presenti nella originaria imputazione: e ciò, evidentemente, anche nella ipotesi in cui la nuova definizione giuridica non fosse stata di per sè prevedibile per l'imputato (v. fra le tante, sentenze 1 marzo 2001, Dallos c. Ungheria; 3 luglio 2006, Vesque c. Francia; 7 gennaio 2010, Penev c. Bulgaria; 12 aprile 2011, Adrian Constantin c. Romania; 3 maggio 2011, Giosakis c. Grecia; 15 gennaio 2015, Mihei c. Slovenia, nella quale ultima si è in particolare rilevato come l'imputato fosse pienamente a conoscenza degli elementi fattuali posti alla base della contestazione originaria, dai quali era possibile desumere l'oggetto della contestazione così come modificata nel corso del dibattimento).
La violazione, dunque - secondo la impostazione tutt'altro che formalistica della Corte di Strasburgo - deve aver comportato un concreto e non meramente ipotetico regresso sul piano dei diritti difensivi, attraverso un mutamento della cornice accusatoria che abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tali da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti. (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 26443801, in motivazione).
Ai fini della valutazione circa la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, è necessario adottare un concetto ampio di imputazione, che non si limiti al dato letterale, ma ricomprenda tutti quegli atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongano l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito. La violazione è esclusa laddove l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi; il principio di correlazione tra sentenza e accusa contestata è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità di effettiva difesa (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438, nonchè Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
Va infine ricordato come non sia ravvisabile alcuna incertezza sulla imputazione, quando il fatto sia stato contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali, in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa. La contestazione poi non va riferita soltanto al capo d'imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli atti, che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l'imputato in condizione di conoscere in modo ampio l'addebito (Sez. F, n. 43481 del 7 agosto 2012, Ecelestino e altri, Rv. 253582). In tal senso, dunque, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi, mentre non è necessaria un'indicazione assolutamente dettagliata dell'oggetto della contestazione (Sez. 5, n. 6335/14 del 18/10/2013, Morante, Rv. 258948; Sez. 2, n. 16817 del 27/3/2008, Muro e altri, Rv. 239758; Sez. 5, n. 21226 del 15/09/2016 - dep. 2017, Di Giovanni, Rv. 270044, in motivazione).
1.11. I principi della sentenza Drassich non vengono quindi in considerazione nella presente fattispecie innanzitutto perchè la riqualificazione giuridica è stata effettuata in favore dell'imputato con la configurazione di reato meno grave, qual è il concorso in bancarotta fraudolenta, punito -a titolo di pena principale (criterio preferenziale a cui si deve aver riguardo) - con la reclusione da 3 a 10 anni, rispetto al riciclaggio, punito con la reclusione da 4 a 12 anni e con la multa da Euro 1.032 a Euro 15.493 (all'epoca dei fatti: ora da Euro 5.000 a Euro 25.000).
Inoltre la riqualificazione è stata effettuata già nel giudizio di primo grado e il ricorrente ha avuto modo di reagire sia in appello sia in sede di legittimità (fra l'altro, senza spendere argomenti in ordine all'erroneità della predetta operazione di riqualificazione giuridica).
Nè rileva l'argomentazione del ricorrente che sostiene che si sarebbe difeso in modo diverso a fronte di una diversa imputazione: dopo la sentenza di primo grado il ricorrente ha reindirizzato le proprie difese, e le sue richieste istruttorie sono state disattese e respinte nel merito; la sentenza Drassich non garantisce il doppio grado di giurisdizione di merito sul diverso profilo riqualificato e per vero consente solo l'esplicazione del diritto al contraddittorio.
1.12. Il ricorrente tenta di argomentare il proprio disorientamento difensivo conseguente alla riqualificazione giuridica censurata.
Tuttavia, sulle richieste istruttorie prospettate dall'appellante come consequenziali al mutamento di qualificazione giuridica, la Corte di appello ha puntualmente e analiticamente motivato (e cioè a pag. 11, p. 5: in ordine alla superfluità e irrilevanza degli accertamenti peritali; a pag. 11, p. 6: in ordine alla consapevolezza del dissesto da parte del L.; alla rilevanza almeno nel senso della bancarotta preferenziale dell'istituzione del preteso "servizio di tesoreria"; alla valenza pesantemente indiziante dell'operazione C.; a pag.12, p. 6.2.: in ordine alla mancanza di riscontri circa l'apertura dei contenziosi bancari; alla mancanza di giustificazione e di documentazione del preteso "servizio di tesoreria"; alla inspiegabilità del contegno successivo del L. all'emersione dell'affare C.; alla mancanza di qualsiasi valido elemento atto ad escludere la prospettiva fallimentare; a pag.12-13, p. 6.3.: in ordine alla deposizione del Curatore fallimentare dott. N. circa la consapevolezza da parte del L. degli artifici contabili pregressi; alla oppressiva situazione bancaria; all'acclarata indisponibilità dei soci alla ricapitalizzazione della società; alla rilevanza della situazione economica e finanziaria della società non solo nel 2008 e nel 2009 ma in particolare ad ottobre 2009, quando era in corso la sua semplice liquidazione e mancava ogni possibilità di mantenimento operativo dell'impresa; all'intensa collaborazione con M.).
1.13. Non convince neppure l'argomentazione del ricorrente imperniata sul pregiudizio asseritamente subito per non aver potuto accedere al rito del "patteggiamento" e ai correlativi benefici, non solo per la natura ipotetica ed eventuale della deduzione ma soprattutto perchè nulla vietava al ricorrente di leggere in filigrana l'accusa, così come prospettata in fatto, in relazione al corretto nomen juris, poi applicato dal giudicante nell'esercizio dei poteri officiosi, e proporre l'applicazione concordata della pena con riferimento al reato di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva.
2. Il secondo motivo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, poichè la Corte di appello non aveva disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in considerazione della differente fattispecie di reato ritenuta configurabile (concorso esterno in bancarotta fraudolenta in luogo di riciclaggio) non accogliendo la richiesta di c.t.u. contabile che avrebbe dovuto approfondire le condizioni societarie, il ruolo in concreto svolto dall'imputato e l'eventuale concorso alla causazione del dissesto.
2.1. Non sussiste alcun diniego di pertinente prova decisiva, con riferimento alla richiesta " c.t.u. (rectius: perizia) contabile".
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di una perizia non assume mai valore di prova decisiva: infatti la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre l'art. 606, lett. d)" attraverso íl richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A e altro, Rv. 270936); inoltre il relativo provvedimento di diniego non è censurabile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione. (Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Rv. 268815; Sez. 4, n. 7444 del 17/01/2013, Sciarra, Rv. 255152).
Nella fattispecie, inoltre, la Corte ha puntualmente motivato il proprio diniego, a pag. 11 della sentenza impugnata, sia con riferimento all'accertamento della situazione economica dell'azienda eseguito pochissimi mesi dopo i fatti di causa da parte della Curatela fallimentare sulla base della documentazione contabile ampiamente deficitaria, sia con riferimento alla prova documentale proveniente dal verbale d'assemblea del 18/9/2009 che dimostrava che all'epoca dei fatti i ventilati piani economici dei soci erano ormai definitivamente tramontati e non vi erano alternative alla chiusura liquidativa della società.
2.2. Il ricorrente segnala poi la circostanza, ritenuta fondamentale, che l'ex Presidente del Collegio sindacale, Dott.ssa B., in sede di interrogatorio ex art. 415 bis c.p.p. aveva riferito che la società era stata valutata circa sei milioni di Euro in virtù di perizia giurata del commercialista dott. A. e non si poteva immaginare il suo successivo fallimento, elementi questi che avrebbero potuto orientare diversamente il giudizio rispetto alle valutazioni espresse dal Curatore dott. N., peraltro espressosi prima del ritrovamento della contabilità.
Al proposito, a prescindere dalla risalenza della perizia redatta dal dott. A. al 2006, il ricorrente trascura completamente di affrontare i molteplici elementi addotti nella sentenza di secondo grado (p. 2.8. e 6.3.) per suffragare la convinzione che L. conoscesse benissimo le condizioni disperate in cui versava la (OMISSIS) già al momento del suo insediamento come amministratore unico, essendo ben informato circa l'inaffidabilità dei bilanci adulterati dagli artifici contabili (come le fatture intergruppo), circa l'oppressività del rapporto con il sistema bancario e circa l‘indisponibilità di soci a rilanciare la società con apporti finanziari ulteriori; inoltre egli stesso aveva concluso il proprio breve mandato con la messa in liquidazione della società che era in corso all'epoca dei fatti con riferimento a macchinari, magazzino e stabilimento, senza alcuna possibilità, non solo di rilancio, ma anche di mantenimento operativo.
3. Con il terzo motivo principale il ricorrente aggredisce la tenuta logica della motivazione per la mancata pronuncia di assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p. per insussistenza del fatto o perchè il fatto non costituiva reato.
Il ricorrente evidenzia la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero nei confronti del L., sul presupposto che egli non avesse avuto il tempo di verificare le condizioni economiche della società nel breve periodo della sua amministrazione; caldeggia una diversa valutazione della corrispondenza per posta elettronica fra L. e Claudio R. (visto che in essa sostanzialmente non si accettava che per un debito modesto dettato dall'indebitamento con le banche, non si riuscisse a ripianare l'assetto economico della società); sottolinea l'assenza di qualsiasi vantaggio economico conseguito dal L..
Il ricorrente assume che l'apertura del conto era avvenuta per espletare il servizio di tesoreria a favore della società, che le operazioni di accredito e il versamento di parte della somma accreditata a favore della C. erano state effettuate da M. a insaputa del L. e che il versamento della somma di Euro 110.000,00= a favore del Ma., ritenuto soggetto subentrante nel contratto di gestione, era avvenuta su richiesta del M.; che la residua somma di Euro 6.000,00= era stata consegnata in contanti al M..
3.1. Con il terzo motivo aggiunto si censura inoltre l'illogicità dell'attribuzione di un valore societario già negativo nel 2005 in presenza della perizia asseverata del 2006 e della fusione per 4 milioni di Euro del dicembre 2008.
Inoltre, stante la completa sottrazione della documentazione contabile, il L. non poteva essere a conoscenza della reale situazione del gruppo allorchè l'aveva amministrato; del resto, in meno di un mese il L., senza contabilità, in difetto di azioni dei creditori e sulla base delle perizie sul valore della società) non poteva logicamente rendersi conto della situazione fallimentare.
Il L. aveva ammesso di essere stato a conoscenza delle vicende della famiglia R. ma non della loro amministrazione.
Era illogico ritenere il L. correo del M. che aveva raggirato tutti i protagonisti della vicenda e attribuirgli più che un rimprovero colpa nella sua conduzione della vicenda.
3.2. I due motivi sono strettamente complementari e possono essere trattati congiuntamente: essi sono tuttavia inammissibili perchè articolano censure in fatto che mirano a una ricostruzione alternativa senza denunciare vizi logici manifesti della sentenza impugnata.
Le recriminazioni circa la ricostruzione del fatto storico accolta nella sentenza impugnata mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del merito, senza passare, come impone l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza, contraddittorietà, illogicità manifesta) o denunciarne in modo puntuale e specifico la contraddittorietà estrinseca con "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
I limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione, si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, giacchè altrimenti) anzichè verificare la correttezza del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi, all'apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Da qui, il ripetuto e costante insegnamento (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile e altri, Rv. 245103) in forza del quale, alla luce dei precisi confini che circoscrivono, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
3.3. In ogni caso la Corte ha fondato la propria diversa ricostruzione su elementi probatori molteplici, coerentemente e lucidamente argomentati (vedi supra p. 1.6.) e, fra gli altri, sugli accertamenti riferiti dal Curatore dott. N., sulle stesse dichiarazioni dell'imputato L., sul contenuto dei verbali assembleari della società, sulla corrispondenza fra i soci storici della famiglia R. e l'imputato, sulla totale implausibilità della asserita istituzione di un "servizio di tesoreria esterna", privo del benchè minimo riferimento documentale e comunque dichiaratamente orientato alla gestione di un sistema di pagamenti preferenziali in situazione di dissesto, sui comportamenti inequivocabilmente rivelatori tenuti dal L. dopo la dichiarata apprensione della distrazione in favore di C.A., ossia la più grave distrazione delle risorse economiche provenienti dalla società fallita a mani dello sconosciuto ing. Ma. e il preteso riversamento del residuo a mani dello stesso M..
3.4. Affinchè si configuri il concorso del c.d. extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta è necessaria la contemporanea presenza di alcuni elementi, individuati dalla giurisprudenza: l'attività tipica di almeno un intraneus (prevista dall'imputazione); l'influenza causale, sul verificarsi del fatto, della condotta dell'extraneus; la consapevolezza da parte dell'extraneus della qualifica del soggetto intraneus.
La sussistenza di tutti questi elementi emerge dalle risultanze probatorie. Il L. ha avuto modo di illustrare una propria ricostruzione alternativa dei fatti, che però non è stata ritenuta attendibile dai Giudici di merito.
3.5. Quanto all'elemento soggettivo richiesto in capo all'extraneus, nella giurisprudenza di legittimità si registrano due indirizzi differenti.
Secondo un primo orientamento, più risalente nel tempo, il giudice deve dare rigorosa dimostrazione del contenuto rappresentativo dell'elemento psicologico, focalizzato sul rischio di insolvenza. In particolare, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione si è affermata la necessità della sussistenza della consapevolezza del percettore della somma, versata dall'imprenditore successivamente dichiarato fallito, in ordine allo stato di decozione dell'impresa da cui il denaro proviene e, quindi, in ordine al rischio cui siano esposte le ragioni creditorie (Sez. 5, n. 41333 del 27/10/2006, Tisi e altro, Rv. 235766; Sez. 5, n. 23675 del 22/04/2004, Rv. 228905; Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, Rosace, Rv. 250409).
Il secondo e più moderno orientamento, condiviso dal Collegio e coerente con i principi generali in tema di concorso di persone nel reato, invece, afferma l'irrilevanza della specifica conoscenza del dissesto della società, ritenendo che il dolo dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori (Sez. 5, n. 12414 del 26/01/2016, Morosi e altri, Rv. 267059; Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume e altro, Rv. 246879).
In particolare, con riferimento ad un caso analogo a quello trattarnel presente processo, questa Sezione ha affermato che risponde di bancarotta il collaboratore dell'imprenditore che appresti un conto corrente per raccogliervi proventi della vendita dei prodotti dell'azienda destinati ad una gestione extracontabile dell'imprenditore, ciò indipendentemente dalla conoscenza dell'effettiva destinazione delle somme, essendo sufficiente che il collaboratore sia consapevole che le somme vengono sottratte alle ragioni dei creditori (Sez. 5, n. 10941 del 23/10/1996, Sessegolo, Rv. 206543).
3.6. In ogni caso i Giudici di merito hanno valorizzato tutta una serie di elementi da cui risulta la conoscenza in capo al L. dello stato di decozione della fallita.
A differenza di quanto affermato dal ricorrente nei motivi aggiunti, infatti, ciò non si fonda esclusivamente sulla sua dichiarazione di essere a conoscenza delle vicende della famiglia R., che peraltro, letta nel contesto, suona comunque riferita alla situazione economico-finanziaria della famiglia.
La sopra citata mais, a firma del R., indirizzata al L., contrariamente a quanto affermato da quest'ultimo, è indicativa della gravità della situazione in cui si trovava la società, posto che, nonostante fosse stata stimata per 4 milioni di Euro, essa non era in grado di coprire uno scompenso di "appena" 500.000 Euro. Il R. informava il L. dell'assenza di soggetti disposti a finanziare la società, segno che, già all'epoca della comunicazione, la famiglia R. non era più disposta ad una ricapitalizzazione.
La stessa nomina del L. quale amministratore unico della società era finalizzata a "verificare la possibilità di continuità aziendale nell'interesse dei figli R.", e si è conclusa con la messa in liquidazione delle (OMISSIS) S.r.l., in quanto l'attività di impresa non era in grado di proseguire a fronte delle gravi difficoltà finanziarie in cui la società versava.
Significativa è inoltre la presenza di una mail, anch'essa rinvenuta dal curatore, in cui il L. invita B.R., commercialista della società a ritirare le proprie dimissioni, rese in quanto la società non le aveva saldato le parcelle, visto "il momento di tale gravità" della società.
Altri elementi che evidenziano chiaramente la consapevolezza in capo al L. dello stato di dissesto emergono dalle sue dichiarazioni fatte al Curatore, mentre l'iter logico-giuridico della sentenza non è affatto intaccato dalla considerazione del testo della richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, con riferimento al procedimento in cui il L. era indagato di bancarotta fraudolenta quale amministratore unico della (OMISSIS) S.r.l., per aggravamento del dissesto, ove viene valorizzata la circostanza della brevità del suo mandato comunque volto semplicemente a verificare la possibilità di continuità aziendale nell'interesse dei figli R..
La conoscenza dello stato di grave difficoltà in cui versava l'impresa, infatti, è qualcosa di radicalmente diverso rispetto all'ipotesi descritta dal n. 2) dell'art. 223 L. Fall., ove si richiede la violazione di un dovere specifico che abbia concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della società.
La Corte territoriale ha inoltre sottolineato anche gli elementi che consentono di affermare in capo al L., la consapevolezza circa la situazione della società nell'autunno del 2009, epoca in cui sono stati commessi i fatti distrattivi, sottolineando che l'irreversibilità della liquidazione e l'impossibilità di rilancio dell'attività operativa dell'impresa era resa evidente dal fatto che in tale momento era in corso una pura e semplice liquidazione dei macchinari, del magazzino e dello stesso stabilimento, che rendeva la prospettiva del fallimento del tutto concreta.
Prive di concretezza e non supportate (anzi smentite) dai dati probatori sono poi le affermazioni dell'imputato circa la disponibilità dei soci a coprire gli eventuali disavanzi e le iniziative volte a contenere i debiti nei confronti delle banche, prive del benchè minimo riscontro, come del resto emerso nel corso dell'interrogatorio del L., in evidente imbarazzo sul punto.
4. Con il quarto motivo principale il ricorrente deduce violazione della legge penale e vizio logico della motivazione per la mancata applicazione della diminuzione di pena per le concesse attenuanti generiche nella massima estensione e per la mancata graduazione della pena nel minimo, in contrasto con i criteri di cui all'art. 133 c.p..
4.1. Le attenuanti generiche sono state riconosciute in primo grado e confermate in appello, sia pure non nella massima estensione (con riduzione della pena di un sesto e non di un terzo).
A fronte della generica recriminazione mossa in appello, la Corte territoriale ha ampiamente motivato la conferma della decisione di primo grado sia osservando che la condotta processuale del L., pur del tutto legittima, era stata costantemente caratterizzata da un totale rigetto delle proprie responsabilità e da tentativi di sviamento dell'attenzione processuale su fattori secondari e irrilevanti o su circostanze inesistenti ed era comunque connotata da un un atteggiamento di reticenza quanto ai rapporti con il M., sia stigmatizzando la scarsa linearità e correttezza della condotta professionale del L..
4.2. Quanto alla graduazione della pena, la doglianza suona del tutto incomprensibile poichè il Giudice di primo grado e conseguentemente la Corte territoriale hanno irrogato al L. il minimo della pena, ulteriormente riducendolo di un sesto in ragione della concessione delle attenuanti generiche e poi di un terzo in relazione alla scelta del rito abbreviato.
5. Con il secondo motivo aggiunto il ricorrente lamenta la mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) perchè la Corte di appello non aveva accolto la richiesta, successiva alla condanna di primo grado, di acquisizione della copia della lettera inviata dal M. all'Ordine dei Commercialisti di Torino, che scagionava il L., giudicandola tardiva e riguardante dichiarazioni dello stesso M.; tale documento era stato erroneamente escluso mentre era divenuto ammissibile ex art. 237 c.p.p. e utilizzabile nel suo contenuto scagionante a favore del L..
5.1. Il motivo è inammissibile innanzitutto perchè sviluppa una censura totalmente estranea a quelle articolate con i motivi di ricorso principale andando a investire un punto della decisione rimasto esente dal fuoco dell'impugnazione del ricorso principale.
Infatti i motivi nuovi proposti a sostegno dell'impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di impugnazione a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. a); la presentazione di motivi nuovi è quindi consentita entro i limiti in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell'atto originario di gravame, poichè la "novità" è riferita ai "motivi", e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso. (Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, Califano e altri, Rv. 251482; Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011 - dep. 2012, Aguì, Rv. 251780; Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, Bono ed altri, Rv. 210259).
5.2. In secondo luogo il motivo è inammissibile perchè la mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2, sicchè il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione.
(Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016 - dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270; Sez. 2, n. 41744 del 06/10/2015, D'Attilo, Rv. 264659).
5.3. In terzo luogo, la prova richiesta è palesemente priva del carattere della decisività, per vero neppur argomentata, attenendo a dichiarazioni asseritamente scagionanti rese da imputato di reato connesso in sede disciplinare, comunque neppur allegate nel loro specifico contenuto dichiarativo.
6. Il ricorso va quindi respinto e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018