
1. Premessa
2.La calendarizzazione delle udienze
3.1 L’illustrazione delle richieste istruttorie
3.2 La prova scientifica: le relazioni scritte
3.3. La rinnovazione della istruzione dibattimentale
4. Nuove contestazioni e diritti delle parti
5. Altre disposizioni di coordinamento. Rinvii
1. Premessa
Le modifiche apportate dall’art. 30 del l d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 alla disciplina del dibattimento – contenuta nel Titolo II del Libro VI del codice di rito – incidono su poche, ma significative, aree tematiche.
Esse si muovono lungo la direttrice, tracciata dalla legge delega 27 settembre 2021, n. 134, di razionalizzare i tempi del processo di primo grado e di restituire ad esso standards più elevati di efficienza, così da assicurarne la ragionevole durata – che è garanzia di equità processuale ai sensi dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU, ma anche esigenza imperativa, alla luce degli obiettivi del P.N.R.R. concordati dal governo italiano con la Commissione europea282 – e di rinvigorire, al tempo stesso, la garanzia del contraddittorio nella formazione della prova, nelle sue declinazioni di oralità ed immediatezza.
2. La calendarizzazione delle udienze
La nuova formulazione dell’art. 477 cod. proc. pen., attuativa dell’art. 1, comma 11, lett. a) della legge n. 134 del 2021, ha ad oggetto il calendario delle attività processuali redatto dal giudice.
La norma mutua dal rito civile283 e da prassi virtuose, incentivate da taluni protocolli locali, ma comunque circoscritte, uno strumento di programmazione cui intende attribuire generale operatività, giacchè l’impossibilità di esaurire il dibattimento in unica udienza – costituente il presupposto della redazione del calendario - riguarda la stragrande maggioranza dei processi.
Eppure tale presupposto – già presente nella norma, ma in termini più stringenti e meno realistici, giacchè il rinvio della trattazione al giorno successivo era subordinato alla “assoluta impossibilità” di esaurire il dibattimento in una sola udienza – conferma l’opzione culturale per un modello di dibattimento che, in linea con la struttura accusatoria del rito, non può che essere “fortemente concentrato nel tempo, idealmente da celebrarsi in un'unica udienza o, al più, in udienze celebrate senza soluzione di continuità”284.
Il calendario è, dunque, strumento pensato nell’ottica della “ragionevole durata” e gli è affidato espressamente l’ambizioso obiettivo di imprimere “celerità e concentrazione” alle cadenze dibattimentali, essenziali per restituire efficienza - e dunque credibilità - alla giurisdizione.
Affinchè non si risolva in una mera dichiarazione di intenti, la norma prescrive che il calendario sia predisposto dopo l’ammissione delle prove, quando il processo è entrato nel vivo ed è possibile dare alla pianificazione effettività e concretezza di contenuti, con indicazione per ciascuna udienza, fino a quella conclusiva della discussione, delle specifiche attività da espletare285.
La norma in commento prevede, ancora, che ai fini della redazione del cronoprogramma siano sentite le parti, sul presupposto che un preventivo momento di interlocuzione possa aiutare a contemperare le diverse esigenze, scongiurando la celebrazione di udienze meramente interlocutorie e differimenti per impedimento dei diversi attori del processo.
Ora, pur apparendo verosimile che, nei fatti, si tratterà di uno strumento orientativo, rispetto al quale si renderanno non di rado necessari aggiustamenti successivi - e ciò sia per l’impossibilità di formulare ex ante una previsione attendibile dei tempi di espletamento delle prove orali, sia per l’estrema difficoltà di governare carichi di ruolo ai limiti dell’inesigibile – non può sottacersi il valore altamente simbolico del novum: se la riforma intende ridurre, con interventi di sistema, i tempi del processo, il calendario rende il giudice garante del ritmo - oltre che delle regole – della singola vicenda processuale.
E poiché il calendario impegna la capacità di ciascun giudice del dibattimento286 nella gestione del proprio ruolo di udienza, il successo dello strumento dipenderà anche dalla capacità che avrà la magistratura – in tutte le sue componenti, abbiano o meno ruoli di governance287 - di implementare al proprio interno una cultura diffusa dell’organizzazione288.
3. Lo statuto della prova
Seguendo le indicazioni della legge delega, la riforma è attenta allo statuto della prova.
Valorizza il contraddittorio - pilastro fondativo del processo adversary – nella sua duplice valenza, oggettiva e soggettiva: come metodo euristico di accertamento del fatto imputativo (in senso epistemologico, il miglior metodo possibile), ma anche come diritto dell’imputato al confronto – informato - con le fonti di accusa (right of confrontation), in funzione del pieno esercizio dei diritti di difesa. In questo ambito il decreto attuativo n. 150 spazia da modifiche di impatto modesto ad altre più incisive, che codificano il portato delle pronunce delle Corti interne e dei Giudici anche eurounitari, intervenute in questi ultimi decenni sui principi di immediatezza e concentrazione289.
3.1 L’illustrazione delle richieste istruttorie
In attuazione del criterio di delega enunciato dall’art.1, comma 11, lett. b) della legge n. 134, il decreto attuativo ridefinisce l’oggetto delle richieste di prova, a modifica del primo comma dell’art. 493 cod. proc. pen. Le parti dovranno d’ora in avanti illustrare, dopo l’indicazione dei fatti da provare, i profili di ammissibilità delle prove di cui è domandata l’assunzione, secondo i parametri enunciati dall’art. 189 cod. proc. pen. quanto alle prove atipiche – per le quali è necessario verificare che siano idonee ad assicurare l’accertamento dei fatti e tali da non pregiudicare la libertà morale della persona – e, per tutte le altre prove, alla stregua dei canoni di legalità, non manifesta superfluità o irrilevanza, come indicati dall’art. 190, comma 1, cod. proc. pen.
La modifica enfatizza l’introduzione di un momento dialettico che accompagni le richieste istruttorie, che si vuole sia funzionale in via esclusiva al sindacato giudiziale, e ciò al fine di evitare che attraverso le esposizioni delle parti abbia luogo – come si legge nella Relazione illustrativa, pag. 309 – “un ingresso incontrollato di prove nel dibattimento”.
L’uso dell’avverbio “esclusivamente” ha, dunque, un chiaro significato selettivo: quel che si vuole evitare è che siano veicolati al giudice elementi cognitivi che non sono strettamente necessari se non ai fini della verifica dei presupposti normativi stabiliti per l’ammissione.
La novella si muove, in ciò, in linea di continuità con la già avvenuta soppressione, nel nuovo codice, della esposizione introduttiva, della quale rimane una sbiadita traccia nell’incipit dell’art. 494 cod. proc. pen.; norma, questa, che non è stata novellata, ma che, letta in disposto combinato con quella in commento, non può che intendersi ora riferita alla illustrazione dei fatti da provare e delle richieste di prova sotto il profilo dell’ammissibilità.
Complessivamente, la modifica non appare di grande impatto: ma dà il segno che permane, ancora viva, l’esigenza di preservare la “verginità conoscitiva” del decisore, sul presupposto che il luogo deputato alla formazione della prova sia il dibattimento e che non debba esservi permeabilità con la fase delle indagini preliminari.