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Riforma Cartabia: Le indagini preliminari nel processo penale



Indice:


Articolo tratto da "La riforma Cartabia: Relazione su novità normativa dell'Ufficio del Massimario"


1. Criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale.

Tra gli interventi più significativi della riforma del processo penale, sicuramente, è da annoverarsi l’introduzione dei “criteri di priorità per la trattazione delle notizie di reato e per l’esercizio dell’azione penale”.

Attraverso la previsione di siffatti criteri non si esclude la trattazione di alcuni reati, ma si regolano solo i tempi di esercizio dell’azione penale. Il legislatore si è determinato a intervenire al fine di dare risposta alla «diffusa insoddisfazione per lo stato delle cose esistenti, nel quale, in assenza di criteri, il puro e semplice richiamo all’obbligatorietà dell’azione penale finisce con il celare una più o meno ampia discrezionalità, esercitata di fatto e non accompagnata da una chiara assunzione di responsabilità per le inevitabili scelte compiute dai capi degli uffici e dai singoli magistrati del pubblico ministero»161.

Di qui l’esigenza di razionalizzare e rendere trasparenti l’assegnazione e la trattazione dell’enorme carico di notizie di reato che si riversa negli uffici di procura.

L'articolo 1, comma 9, lettera i) della legge delega, nell’indicare i principi e i criteri direttivi a cui il legislatore delegato deve attenersi, dispone che «gli uffici del pubblico ministero per garantire l'efficace uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e determinati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e l'utilizzo efficiente delle risorse disponibili [e che] la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica [venga allineata] a quella delle tabelle degli uffici giudicanti.» Il procedimento per l’individuazione di siffatti criteri prevede il combinarsi di fonti e criteri diversi; sono stati sostanzialmente e parzialmente riprodotti dei modelli già attuati da alcune procure che, in considerazione delle (scarse) risorse disponibili e dei fini da perseguire, hanno da qualche tempo introdotto, attraverso apposite circolari, dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale.

Il procedimento che si delinea dalla lettura della legge delega prende le mosse da una legge approvata dal Parlamento che individua i criteri generali 162, prosegue con la predisposizione, da parte dei singoli uffici inquirenti, degli specifici criteri di priorità da individuarsi entro tale cornice legislativa, tenendo conto delle condizioni organizzative dei singoli uffici e delle risorse umane e materiali disponibili, e si conclude con il controllo e l’approvazione dei documenti organizzativi da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Nell’individuazione dei criteri di priorità viene di fatto ribaltata l'impostazione preesistente, che riservava alla sola discrezionalità tecnica l’individuazione dei criteri di priorità, in direzione di valutazioni che attengono piuttosto al piano della discrezionalità politica163, che porta le scelte al di fuori della giurisdizione e dell'autogoverno e le ricolloca nell'ambito delle prerogative parlamentari. La legge, quindi, dovrà tracciare “la cornice” stabile, chiara e vincolante per tutto il territorio nazionale, entro cui i singoli uffici inquirenti dovranno individuare e indicare nei progetti organizzativi altri criteri selettivi di maggior dettaglio, trasparenti e predeterminati, che tengano conto delle condizioni organizzative dei singoli uffici, delle risorse umane e materiali disponibili, facendo in modo comunque di non eludere le indicazioni legislative. La delega è stata quindi attuata mediante due distinti provvedimenti.

Il legislatore è intervenuto, innanzitutto, in sede di riforma dell’ordinamento giudiziario, riscrivendo, attraverso l’art. 13 della l. n. 71 del 2022, i commi 6 e 7 dell’art. 1 del d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106, in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero. La novella individua nello strumento del progetto organizzativo la sede in cui il procuratore della Repubblica definisce i criteri di priorità. Per un verso, il procuratore della Repubblica deve fissare i «criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre».

La loro definizione deve essere operata «nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili».

Per altro verso, sulla scorta di tali criteri, è tenuto a determinare «le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, tenendo conto dei criteri di priorità».

La procedura di approvazione del progetto, da rinnovarsi ogni quadriennio, prevede che vadano sentiti il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e che il consiglio giudiziario dia il proprio parere. Il legislatore è poi intervenuto inserendo, nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – dove già risultano allocati i criteri di priorità̀ nella trattazione dei processi (art. 132-bis disp. att.)164 –, l’art. 3-bis recante la rubrica «Priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale» e con cui si stabilisce che «Nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio».

È stato inoltre inserito, sempre nelle disposizioni attuative, l’art. 127-bis – rubricato «Avocazione e criteri di priorità» – il quale prevede che «nel disporre l’avocazione delle notizie di reato nei casi previsti dagli articoli 412 e 421-bis, comma 2, del codice, il procuratore generale presso la corte d’appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato».

Ciascun pubblico ministero, quindi, dovrà attenersi alle regole previste nel progetto organizzativo dell’Ufficio, al fine di individuare quali siano le notizie di reato iscritte a cui dare la precedenza.

Nel silenzio della norma, ci si chiede cosa consegua al mancato rispetto dei criteri di priorità ossia nel caso in cui i singoli sostituti non diano precedenza alla trattazione delle notizie di reato indicata come prioritarie rispetto alle altre.

Non sembrerebbero azionabili gli strumenti che il legislatore ha previsto per i casi in cui il pubblico ministero non assuma le sue determinazioni circa l'esercizio dell'azione entro i termini previsti dalla legge (art. 407-bis, comma 2, cod. proc. pen.) ovvero non invii entro i termini prescritti l'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex articolo 415-ter del codice di rito.

In dottrina165 si è ritenuto che nel caso di «inerzia investigativa su un reato prioritario, la forma di reazione dell'ordinamento va trovata nel procedimento di archiviazione.

L'opposizione della parte offesa per l'inerzia investigativa è la sede elettiva per lamentare la mancata indagine sul reato prioritario.

Senza contare che in sede di udienza di archiviazione il giudice, anche d'ufficio, con l'ordine di indagare, può stimolare il supplemento investigativo su un reato prioritario».

Sicuramente deve ritenersi che possa essere esercitato il controllo, eventuale e sostitutivo, da parte del procuratore generale azionando lo strumento dell’avocazione.»

Attraverso l’allineamento della procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti dovrebbe attuarsi un utile dialogo tra gli uffici requirenti e quelli giudicanti con conseguente facilitazione del compito del C.S.M. di verifica della corretta organizzazione. Il Consiglio, infatti, è chiamato ad approvare gli schemi organizzativi delle procure e degli organi giudicanti considerando, per un verso, le esigenze di uniformità dell’azione e, per altro verso, le motivate ragioni di differenziazione delle singole realtà organizzative.

L’individuazione di siffatti criteri potrebbe porre il dubbio pregiudiziale della loro compatibilità con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., posto che non vengono disciplinati solo i criteri in ordine alla gestione delle indagini, ma vengono individuati anche i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione.

Siffatta astratta previsione può, però, giustificarsi ove si considerino, sul piano pratico, la scarsità delle risorse, il numero ingente di indagini astrattamente esperibili, la differente gravità, il diverso impatto sociale dei singoli reati e la necessità di assicurare uguaglianza, imparzialità, efficienza e velocità nell’amministrazione della giustizia, in ossequio ai principi di buon andamento e imparzialità dell'azione giudiziaria desumibili dall'art. 97, comma 1, Cost.

Sul punto è stato osservato che «l’obiettivo da raggiungere sta nel promuovere la transizione – culturale e istituzionale insieme – da un’obbligatorietà dell’azione penale postulata in astratto, ma di fatto scarsamente controllabile e deresponsabilizzata, a un’obbligatorietà temperata e realistica e, proprio per questo, esercitabile secondo canoni di trasparenza e corredata da assunzione di responsabilità sociale e istituzionale per le scelte compiute»166.


2. La notitia criminis: nozione, iscrizione tempestiva e controllo del giudice.

L’art. 15 del d. lgs n. 134 del 2021 ha modificato l’art. 335 cod. proc. pen. e ha introdotto due nuovi articoli (335-ter e quater) volti a garantire la correttezza anche temporale dell’iscrizione.

Tali modifiche si riflettono, ovviamente, anche sui termini di durata delle indagini in quanto questi decorrono dalla formale e corretta iscrizione. Con le modifiche apportate all’art. 335 cod. proc. pen., recante la rubrica “Registro delle notizie di reato”, il legislatore precisa i presupposti per l’iscrizione della notizia di reato e del nome della persona a cui lo stesso è attribuito.

Con l’art. 335 cod. proc. pen., il legislatore, prima della riforma, si limitava a prevedere l'obbligo del pubblico ministero di iscrivere “immediatamente” nell’apposito registro ogni notizia di reato pervenutagli o acquisita di propria iniziativa e, contestualmente o dal momento in cui risultava, il nome della persona alla quale il reato era attribuito. Il pubblico ministero aveva poi il dovere di aggiornare l'iscrizione (senza procedere, quindi, a una nuova iscrizione) quando, nel corso delle indagini preliminari, veniva a mutare la qualificazione giuridica del fatto o questo risultava diversamente circostanziato.

In attuazione dell’art. 1, comma 9, della legge delega, in nome delle esigenze di garanzia, certezza e uniformità dell’iscrizione, il decreto attuativo è intervenuto nell’ottica di evitare, come evidenziato nella relazione illustrativa, il rischio che si proceda a iscrizioni (a modello 21, ossia a carico di noti) arbitrarie ed eccessive, esclusivamente formali e generiche di fatti, ma soprattutto di soggetti solo sospettati e che dall'iscrizione potrebbero subire un grave documento.

Al tempo stesso, il legislatore ha evitato di introdurre requisiti troppo stringenti che potrebbero comportare la tardività o la mancata iscrizione con conseguente dilatazione del termine di decorrenza delle indagini, violazione del diritto alla conoscenza delle stesse da parte dell’interessato e ritardo nell’attivazione delle garanzie riconosciute all’indagato. In tale ottica è stato lasciato inalterato l'obbligo del pubblico ministero, che era e permane il dominus dell’iscrizione e dell’attività di indagine, di immediata iscrizione della notizia di reato che, però, è “atto dovuto” solo ove contenga «la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice»167.

Il legislatore pone poi a carico del pubblico ministero il dovere di indicare nell'iscrizione, qualora risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto.

La lettera della norma, che richiede siffatta indicazione solo «ove [tali circostanze] risultino», indurrebbe a ritenere che esse non siano indispensabili ai fine della determinatezza della notizia, anche se sicuramente è da considerarsi doverosa l’indicazione delle stesse e l’integrazione della notitia criminis non appena di esse si abbia conoscenza. Nel nuovo comma 1-bis si stabilisce che l'iscrizione del nome della persona alla quale il reato (rectius, la notizia di reato) è attribuito sia subordinata alla sussistenza di indizi a suo carico e, in tal caso, il pubblico ministero provvede a tale iscrizione «non appena» essi risultino.

Secondo la relazione illustrativa il termine “indizi”, mutuato per coerenza sistematica dall’art. 63 cod. proc. pen., non deve confondersi con quello di “meri sospetti” anche se ai fini dell'iscrizione non occorre un particolare livello di gravità indiziaria a carico della persona alla quale il reato è attribuito. Tali esigenze, peraltro, erano state da tempo avvertite dalla giurisprudenza di legittimità tant’è che le Sezioni Unite, già nel 2000, sia pure tramite un obiter dictum (Sez. U, n. 16 del 21/6/2000, Tammaro, Rv. 216248-01), e poi nel 2009 (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244378 – 01 secondo cui l’iscrizione nominativa della persona a cui si attribuisce il reato deve avvenire solo quando l’identificazione del soggetto e l’attribuibilità a questo del reato hanno «una certa pregnanza»), hanno precisato che l’obbligo dell’iscrizione «nasce solo ove a carico di una persona emerga l'esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti».

L’individuazione dell’esatta nozione di “notizia di reato”, per altro verso, rileva anche al fine di evitare il rischio di omesse iscrizioni anche a fronte di notizie di reato che potrebbero comportare il ritardo sia del termine di decorrenza delle indagini, sia dell’attivazione delle garanzie previste a favore dell’indagato.

La norma porta ad escludere, quindi, l’iscrizione nel registro degli indagati (modello 21) nel caso in cui l’autore del reato sia da indentificare ossia nell’ipotesi in cui sia sconosciuto o sia indicato con generalità incomplete o quando manchi un “quadro indiziario soggettivamente indirizzato”168.

A tal proposito, il C.S.M. nel parere del 22 settembre 2022169, dopo avere affermato che «l’iscrizione della notizia di reato è, infatti, doverosa quando il fatto denunciato o del quale il P.M. sia venuto a conoscenza presenti, nella sua storicità, connotati di verosimiglianza e, giuridicamente, gli elementi costitutivi di una fattispecie di reato», ha ritenuto che «l’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito si impone, invece, quando gli elementi a carico della stessa abbiano un grado di consistenza tale da attingere la soglia della probabilità di fondatezza dell’accusa».

Tale ultima affermazione desta, infatti, non poche perplessità là dove si consideri che il tempo concesso per le indagini comincia a decorrere proprio dall’inserimento del nome dell’indagato nel registro (art. 405, comma 2, cod. proc. pen.) e l’iscrizione costituisce il punto di partenza delle attività istruttorie mentre la «fondatezza dell’accusa» costituisce, invece, il punto di arrivo delle indagini. L’ultima modifica apportata all’art. 335 cod. proc. pen. è costituita dall’introduzione del comma 1-ter, ove si prevede che, nel caso di tardiva iscrizione, il pubblico ministero, «può indicare la data anteriore a partire dalla quale essa deve intendersi effettuata».

Con siffatta previsione si è data veste legislativa a una prassi già invalsa in alcuni Uffici di procura e ha l’obiettivo, come segnalato nella relazione illustrativa, di consentire al pubblico ministero, ove riconosca un ritardo delle iscrizioni, di porvi rimedio «senza la necessità di attendere l'attivazione del meccanismo giurisdizionale previsto dalle successive lettere q) ed e) della delega»170. Il verbo “può”, utilizzato nella previsione normativa, potrebbe far intendere che è nella facoltà del pubblico ministero indicare una data anteriore, anche se si è condivisibilmente osservato171, che non si ravvisano ragioni per non ritenere che, quando ne sussistano i presupposti, il pubblico ministero sia tenuto all’indicazione.

Come osservato dal C.S.M. nel citato parere, siffatta disposizione deve essere valutata favorevolmente in quanto, soprattutto nei procedimenti di maggiore complessità e con una pluralità di posizioni, «una ponderata lettura degli atti di indagine richiede tempo, e solo all’esito dell’esame complessivo degli stessi, il P.M. è in grado di valutare se sussista o meno un quadro indiziario a carico dei singoli.

La regola posta al comma 1-ter del novellato art. 335 cod. proc. pen., nel conferire riconoscimento ad una siffatta esigenza, intende al contempo responsabilizzare il pubblico ministero e richiamarlo alla massima diligenza nell’effettuare l’iscrizione, al fine di rendere residuale l’attivazione del meccanismo giurisdizionale disciplinato dall’art. 335-quater cod. proc. pen., che, quale condizione per l’accoglimento della domanda di retrodatazione, richiede anche la non scusabilità del ritardo».

In relazione all’esercizio officioso del potere di retrodatazione, in considerazione del tempo che spesso deve essere impiegato per l’attenta lettura delle informative e per l’espletamento delle incombenze di registrazione da parte della segreteria, il ritardo di alcuni giorni nell’iscrizione pare potersi considerare fisiologico e tale da non comportare la necessità di retrodatazioni da effettuarsi, invece, «in presenza di ritardi “patologici” e, soprattutto, nelle ipotesi in cui il pubblico ministero ravvisi un proprio precedente errore di qualificazione che lo abbia portato a iscrivere impropriamente un fascicolo a modello 45 ovvero che lo abbia portato a non valorizzare la sussistenza (già) di indizi a carico di una persona»172.

Nell’ottica di dare seguito alle finalità di semplificazione, speditezza e razionalizzazione dei tempi di indagine perseguite dal legislatore delegante, è stato introdotto nel codice di rito l’art. 335-quater rubricato “Accertamento giudiziale della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato” e che contiene disposizioni completamente innovative delle regole previgenti. Tali regole venivano interpretate dalla pacifica giurisprudenza di legittimità nel senso che «Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al giudice per le indagini preliminari sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma 3, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del pubblico ministero che abbia ritardato l'iscrizione». (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 4844 del 14/11/2018, dep. 2019, Ludovisi, Rv. 275046–01; Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv. 244378 - 01 e Sez. U “Tammaro”, cit.).

Con l’introduzione del nuovo articolo 335-quater muta completamente tale angolo prospettico. Ed invero, a norma della novella, la persona sottoposta alle indagini può chiedere al giudice che procede173 o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari, di accertare la tempestività dell’iscrizione della notitia criminis (oggettiva e soggettiva) e di retrodatare l’iscrizione, indicando a pena di inammissibilità, le ragioni che sorreggono la richiesta e gli atti del procedimento174 dai quali è desumibile il ritardo e ciò ai fini e per gli effetti di cui all’art 407, comma 3, cod. proc. pen. (inutilizzabilità degli atti compiuti fuori termine).

La richiesta, che introduce un procedimento incidentale ad hoc ove i presupposti della domanda siano maturati prima dell’udienza preliminare, deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di conoscere gli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione; salvo che sia proposta in udienza oppure ai sensi del comma 5, deve essere depositata nella cancelleria del giudice, con l’avvenuta prova della notifica al pubblico ministero.

Nei sette giorni successivi, il pubblico ministero può presentare memorie delle quali il difensore può prendere visione ed estrarre copie.

Entrambe le parti possono poi presentare ulteriori memorie nei sette giorni successivi. Il procedimento per la retrodatazione è di norma meramente cartolare. E’ fatta salva, tuttavia, la facoltà per il giudice, che ritenga necessario approfondire alcuni aspetti, di fissare un’udienza camerale175, dandone avviso al pubblico ministero e al difensore dell’indagato.

Nessun termine è previsto per la fissazione dell’udienza e per la conclusione del procedimento incidentale. Il legislatore si limita a stabilire che il pubblico ministero e di difensore «sono sentiti se compaiono».

Ulteriori richieste possono essere avanzate solo se proposte nello stesso termine e se siano fondate su atti diversi, non conoscibili in precedenza. Ove i presupposti della domanda siano maturati quando è in corso l’udienza preliminare o il dibattimento, la richiesta può anche essere presentata nell’ambito del relativo procedimento e trattata e decisa nelle forme di questo. L’accertamento, da parte del giudice, del rispetto del termine di venti giorni può risultare complesso, potendo essere plurimi, e depositati in momenti diversi, gli atti dai quali l’indagato assume di aver tratto la prova della tardività dell’iscrizione. Non vanno, peraltro, sottaciute le difficoltà connesse alla valutazione della rilevanza di ognuno ai fini dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine previsto a pena di inammissibilità in detta fase.

La decisione è adottata in ogni caso con ordinanza; in caso d’accoglimento della richiesta, possibile solo, ai sensi del comma 2, ove il ritardo sia “inequivocabile” e “non giustificato”,176 il giudice indica la data nella quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito.

A norma del comma 9 dell’art. 335-quater, l’imputato (nel caso in cui l’istanza sia stata rigettata), il pubblico ministero e la parte civile (nel caso in cui sia stata accolta) possono chiedere, entro determinati termini, stabiliti a pena di decadenza, che la questione sia nuovamente esaminata prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen. Nel dibattimento preceduto da udienza preliminare, la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione può essere proposta solo se già avanzata all’udienza preliminare. L’ordinanza adottata dal giudice del dibattimento può essere impugnata nei casi e nei modi di cui all’art. 586, comma 1 e 2, cod. proc. pen. La decisione sulla retrodatazione, dunque, sembrerebbe impugnabile solo insieme alla decisione che ha definito il giudizio o la fase incidentale nell’ambito della quale è stata proposta ossia con la sentenza di primo grado, con la sentenza di proscioglimento ovvero con la decisione adottata in sede di incidente cautelare. Il sistema congegnato dall’art. 335-quater appare alquanto macchinoso e potrebbe rivelarsi non idoneo ad incentivare la maggiore auspicata rapidità del procedimento penale. Rilievi e preoccupazioni sono stati sollevati nel citato parere dal C.S.M. in ordine al verosimile incremento del lavoro giudiziario e dell’aggravio processuale che deriverebbe dal procedimento, tale da determinare «la protrazione sino alla conclusione del giudizio delle incertezze collegate alla questione della tardiva iscrizione, con aumento esponenziale del rischio di decisioni difformi».


3. L’iscrizione coattiva.

Le disposizioni di cui all’art. 335-ter, anch’esso introdotto ex novo nel codice di rito, attribuiscono al giudice per le indagini preliminari il potere, anche officioso, qualora ritenga che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, di ordinare al pubblico ministero, con decreto motivato, di provvedere all’iscrizione.

Il pubblico ministero deve essere sentito e ciò potrebbe evitare sia il rischio di ordini adottati su temi non riguardanti le investigazioni o temi e soggetti che il pubblico ministero consapevolmente ha scelto di trattare separatamente, sia quello di straripamenti del giudice nell’attività propria dell’autorità inquirente e, quindi, di atti abnormi, censurabili, in quanto tali, in Cassazione.

Il decreto legislativo ha previsto l'inserimento dell'art.110-ter disp. att. cod. proc. pen., rubricato “Informazioni sulle iscrizioni”, secondo cui il pubblico ministero è tenuto, ogni qualvolta avanza una richiesta, a indicare tutti i soggetti a cui si riferisce la notizia di reato e ciò al fine di scongiurare il rischio che il giudice possa non esercitare il dovere di ordinare l’iscrizione coatta non sapendo se il nome dei soggetti attenzionati sia stato o meno iscritto nel registro di cui all'articolo 335 cod. proc. pen.177 A norma dell’art. 335-ter, l’ordine del giudice comporta il dovere del pubblico ministero di provvedere all’iscrizione, indicando la data178 a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini, senza poter contestare (non essendogli stata attribuita siffatta facoltà avendo previsto il primo comma dell’art. 335-ter solo l’obbligo del giudice di “sentire” il p.m.) la legittimità (per assenza dei presupposti che rendevano doverosa l’iscrizione della persona come indagato) dell’ordine impartitogli dal giudice per le indagini preliminari.

E’ sempre salva la possibilità per l’indagato di proporre la richiesta di retrodatazione. L’ampia formulazione della disposizione consente di ritenere che il giudice possa emettere detto ordine non solo quando il procedimento sia a carico di ignoti (come era già previsto in tema vaglio della richiesta di archiviazione nei confronti di ignoti), ma anche quando sia iscritto a carico di noti, nel caso in cui individui ulteriori nominativi da iscrivere.

Coerentemente, dunque, è stata prevista l’abrogazione dell’art. 415, comma 2, secondo periodo, e comma 2-bis, cod. proc. pen. secondo cui, nel procedimento a carico d’ignoti, il giudice per le indagini preliminari a cui è chiesta l’archiviazione ovvero l’autorizzazione a proseguire le indagini, qualora ritenga che il reato sia ascrivibile ad una persona già individuata, ordina l’iscrizione del nome nell’apposito registro e il termine di chiusura delle indagini preliminari decorre dal provvedimento del giudice. Il potere del giudice di ordinare l’iscrizione ovviamente riguarda unicamente i soggetti a cui venga addebitato il medesimo fatto che forma oggetto della richiesta indirizzata al giudice in quanto, come è dato leggere nella Relazione tecnica al decreto legislativo «ove si trattasse di fatti illeciti diversi, potrebbe semmai venire in gioco la disciplina sull'obbligo di denuncia» rispetto al quale il pubblico ministero conserva il proprio potere discrezionale di iscrizione a norma dell’art. 335, commi 1 e 1-bis cod. proc. pen. Attraverso siffatte precisazioni, dunque, si è inteso sottolineare i limiti propri dell’attività del giudice.

La Sesta Commissione del C.S.M., nel citato parere del settembre 2022, ha sottolineato criticamente che «il pubblico ministero è portatore dell’interesse a ottenere una siffatta verifica, in specie nel caso in cui gli elementi valutati dal giudice di fatto implichino che l’iscrizione debba essere retrodatata, con effetti di inutilizzabilità degli atti di indagine già compiuti (così, ad esempio, nel caso in cui il gip abbia ordinato l’iscrizione di una persona in precedenza assunta a ‘sit’, sulla scorta di elementi già nella disponibilità del p.m. alla data in cui detto atto è stato compiuto).»

La previsione della necessaria interlocuzione del pubblico ministero induce a ritenere che il legislatore abbia inteso scongiurare la possibilità che la sussistenza del potere del giudice di ordinare l’iscrizione e l’apertura delle cosiddette “finestre giurisdizionali” per l’accertamento della data esatta di iscrizione possano comportare uno straripamento del controllo giudiziario nell’ambito dei poteri propri del pubblico ministero quale titolare dell’azione penale snaturando quindi, o comunque intaccando, la natura accusatoria del nostro processo penale e il ruolo di terzietà del giudice. Potrebbe in astratto profilarsi il rischio di un’abnormità del provvedimento del giudice ― censurabile in quanto tale in sede di legittimità ― con cui si ordini, sia pure dopo aver sentito il pubblico ministero, l’iscrizione per fatti diversi rispetto a quello di cui alla richiesta di iscrizione. Il potere del giudice, infatti, è circoscritto unicamente all’indicazione di soggetti diversi oltre a quelli iscritti con riferimento però sempre all’identico fatto; non può indicare la data a partire dalla quale decorrono o avrebbero dovuto decorrere termini delle indagini. Tale prerogativa è propria del pubblico ministero (cfr. art. 335-ter, comma 2) e l’eventuale “retrodatazione” dell’iscrizione, come stabilito nell’art. 335-quater, presuppone una domanda della parte interessata.

Sempre nella citata relazione del C.S.M. si sottolinea che «A meno di non voler ritenere che il GIP, nel richiedere al P.M. di interloquire, debba preventivamente motivare in ordine agli indizi ritenuti sussistenti a carico della persona di cui ritiene doverosa l’iscrizione (ipotesi da escludere, dovendo essere motivato solo il decreto che ordina l’iscrizione), non sarà agevole per il P.M. argomentare l’esclusione della ricorrenza delle condizioni per iscrivere. Inoltre, i tempi ― peraltro non determinati ― dell’interlocuzione potrebbero poi determinare un ritardo nell’esecuzione dell’atto richiesto dal P.M. al GIP, essendo la soluzione della questione dell’iscrizione sicuramente pregiudiziale nel caso in cui esso abbia carattere ‘garantito’ e potendo, negli altri casi, comunque, porsi un problema di utilizzabilità degli atti compiuti prima di procedere alla iscrizione. Le evidenziate criticità non sono neppure compensate dal vantaggio di evitare successive contestazioni in ordine alle iscrizioni e di preservare l’utilizzabilità degli atti di indagine, poiché l’indagato può contestare successivamente la tempestività dell’iscrizione».

Alla persona sottoposta alle indagini, infatti, è consentito promuovere il procedimento di cui all’art. 335-quater, volto a verificare la tempestività della iscrizione (art. 335-ter, ult. co.). Nell’art. 335-bis di nuovo conio si stabilisce, infine, che l’iscrizione nel registro degli indagati non può «da sola» produrre effetti pregiudizievoli in sede civile e amministrativa. Con tale disposizione, in attuazione dello specifico criterio di delega di cui all’art. 1, comma 9, lett. s) della legge n. 134, si è inteso circoscrivere nell’ambito del procedimento penale la rilevanza della valutazione compiuta dall’autorità inquirente al momento dell’iscrizione della persona sottoposta a indagini nel registro. «Ad essere precluso [come è dato leggere nella relazione illustrativa] è l'utilizzo, in via esclusiva, del solo dato relativo all'iscrizione che, da solo, non può essere posto a fondamento della motivazione di provvedimenti o in ogni caso di determinazioni pregiudizievoli per il cittadino».

La disposizione di cui all’art. 335-bis, espressione della volontà del legislatore di limitare gli effetti pregiudizievoli dell’iscrizione della notizia nel registro degli indagati, potrebbe rivelarsi non effettivamente utile, in quanto, se è vero che l’autorità amministrativa o civile non può valorizzare il solo dato dell’iscrizione nell’adozione dei provvedimenti, non è espressamente impedito l’utilizzo autonomo in sede civile o amministrativa degli elementi indiziari valutati dal pubblico ministero all’atto dell’iscrizione né, d’altra parte, la divulgazione mediatica dell’iscrizione.

L’anzidetto principio stabilito nell’art. 335-bis può essere derogato (con conseguente possibilità, ad esempio, della sospensione del servizio o dell’attivazione di un procedimento disciplinare), a norma dell’art. 110-quater disp att. cod. proc. pen., nei casi in cui l’indagato sia sottoposto ad una misura cautelare personale o il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale.

A tal proposito, deve evidenziarsi che il legislatore delegato non ha abrogato espressamente tutte le norme dell’ordinamento che fanno discendere effetti pregiudizievoli dalla mera sottoposizione a procedimento penale, ma si è limitato a introdurre l’art. 110-quater disp. att. cod. proc. pen. secondo cui «Fermo quanto previsto dall'articolo 335-bis del codice, le disposizioni da cui derivano effetti pregiudizievoli in sede civile o amministrativa per la persona sottoposta a indagini devono intendersi nel senso che esse si applichino comunque alla persona nei cui confronti è stata emessa una misura cautelare personale o è stata esercitata l’azione penale». In tal modo l’art. 335-bis cod. proc. pen. finisce per rivestire una valenza integrativa di tutte le disposizioni, già presenti nell’ordinamento, che riconnettono alla qualità di indagato effetti pregiudizievoli di tipo amministrativo o civile, limitandone l’applicazione ai soli casi in cui sia stata adottata una misura cautelare o sia stata esercitata l’azione penale.

In sostanza, ferma restando la possibilità, desumibile dall’art. 335-bis del codice, di far discendere effetti pregiudizievoli da una valutazione basata sulla sottoposizione a procedimento penale più altri elementi, quando la disposizione preveda un effetto pregiudizievole automatico (si pensi a quanto disposto nell’art. 463-bis cod. civ., secondo cui «sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile indagati per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile»), questo, di regola, deve essere ricondotto alla sottoposizione a una misura cautelare personale o al processo vero e proprio179.


4. La nuova disciplina dei termini e il “termine di riflessione”.

Il legislatore, nel richiedere che la notizia di reato presupponga una solida base fattuale e soggettiva al tempo stesso, ha inteso evitare che l’iscrizione della stessa comporti ingiustificati ritardi nell’attivazione delle garanzie riconosciute agli indagati.

Quindi, oltre a prevedere il meccanismo di controllo giurisdizionale sull’effettiva datazione dell’iscrizione della notizia di reato e il potere del giudice delle indagini preliminari di ordinare al pubblico ministero l’iscrizione del nome della persona a cui le indagini sono riferite, ha inteso dare una risposta efficace all’esigenza di celerità delle indagini preliminari onde evitare stasi intollerabili del procedimento già portate all’attenzione dalla Corte di Strasburgo e da questa sanzionate per violazione dell’art. 6 CEDU180.

L’intervento di riforma rimodula i termini di durata delle indagini preliminari, in funzione della natura dei reati per cui si procede, disciplinando altresì la proroga dei termini (che può essere ora richiesta una sola volta e solo per “la complessità delle indagini” configurabile, potrebbe ritenersi, nei casi indicati nelle lettere b), c) e d) del secondo comma dell’art. 407 cod. proc. pen.) e la loro durata massima.

Sono stabiliti i termini entro i quali il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale181 o richiedere l’archiviazione182. Con riferimento alla richiesta di archiviazione, inoltre, l’“l’infondatezza della notizia di reato” è stata sostituita dall’impossibilità di formulare, sulla base degli elementi acquisiti nel corso delle indagini, una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

Viene escluso l'obbligo di notifica alla persona offesa che abbia rimesso la querela dell'avviso della richiesta di archiviazione183 e viene introdotto l’obbligo di inserire nell’avviso del mancato accoglimento della richiesta di archiviazione, l’informazione alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa184. Viene configurata l’avocazione da parte del procuratore generale presso la corte d’appello in termini di discrezionalità, prevedendo tra i presupposti dell’avocazione stessa la mancata notifica dell’avviso della richiesta di archiviazione o di conclusione delle indagini preliminari entro i termini di legge.

È stata, inoltre, modificata la disciplina della riapertura delle indagini, autorizzata dal giudice su richiesta del pubblico ministero, prevedendo che la richiesta sia respinta quando non è ragionevolmente prevedibile l’individuazione di nuove fonti di prova che possano determinare l’esercizio dell’azione penale185.

Altri profili di novità sono il coordinamento della disciplina sulle indagini relative a reato commesso da persone ignote con la nuova disciplina in materia di iscrizione nel registro delle notizie di reato, l’introduzione della nuova disciplina del differimento della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, con specifica individuazione dei casi in cui il pubblico ministero può presentare richiesta motivata di differimento al procuratore generale presso la corte di appello (art. 415-bis, comma 5-bis ).

Si prevede, infine, la facoltà per la persona sottoposta alle indagini e per la persona offesa di chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale quando quest’ultimo, alla scadenza dei termini, non abbia esercitato l’azione penale (art. 415-bis, comma 5-quater e individuati i rimedi alla stasi del procedimento dovuta alla mancata tempestività dell’esercizio dell’azione penale (art. 415-ter).

Il novellato art. 405 cod. proc. pen., rubricato ora “Termini per la conclusione delle indagini preliminari”, stabilisce che, «salvo quanto previsto dagli articoli 406 e 415-bis, il pubblico ministero conclude le indagini preliminari entro il termine di un anno dalla data in cui il nome della persona alla quale ha attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di sei mesi, se si procede per una contravvenzione, e di un anno e sei mesi, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma due».

L’ articolo 406 cod. proc. pen. rubricato “Proroga dei termini” prevede che possa essere richiesta una sola proroga e stabilisce che il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice, quando le indagini sono complesse [in precedenza il testo originario faceva riferimento alla nozione più fluida “per giusta causa” o all’ “oggettiva impossibilità di concludere le indagini” e la “complessità” di queste ultime rilevava solo per le ipotesi di proroga successive alla prima], la proroga del termine previsto dall'articolo 405 per un tempo non superiore a sei mesi.

La richiesta contiene l'indicazione della notizia dei reato e l'esposizione dei motivi che la giustificano; il successivo art. 407, sempre rubricato “Termini di durata massima delle indagini preliminari”, stabilisce che «salvo quanto previsto dall'articolo 393, comma quattro [che prevede la proroga del termine delle indagini preliminari ai fini dell’esecuzione dell’incidente probatorio], la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi o, se si procede per una contravvenzione, un anno».

E’ stato sostituito l’originario terzo comma stabilendo ora che «Salvo quanto previsto dall'articolo 415-bis, non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice».

Per le contravvenzioni, dunque, il termine ordinario di durata delle indagini preliminari è di sei mesi, prorogabile per altri sei mesi. Il termine finale non può essere superiore ad un anno. Il richiamo all’art. 407, comma 2, cod. proc. pen. deve ritenersi limitato solo ai delitti ivi specificatamente indicati nella lettera a) in quanto le successive lettere b), c) ed e) si riferiscono genericamente a notizie di reato, indagini e procedimenti penali particolarmente complessi in relazione ai quali trova applicazione la nuova disciplina dei termini di durata e della proroga costruita appunto sulla “natura” del reato.

Dunque, per i delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a) cod. proc. pen. il termine di durata ordinaria è fissato in un anno e sei mesi, prorogabile una sola volta per un tempo non superiore a sei mesi. Il termine finale non può essere superiore a due anni. Per tutti gli altri casi, ossia per i delitti “ordinari”, cioè diversi (meno gravi) rispetto a quelli elencati alla suddetta lett. a), il termine di durata massima è un anno prorogabile di soli sei mesi.

Per essi e per quelli di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), il termine massimo di durata delle indagini preliminari rimane pertanto inalterato rispetto al sistema previgente.

Una netta riduzione del termine di durata delle indagini è stata prevista, invece, come si è visto, per i reati contravvenzionali.

Tale scelta del legislatore di circoscrivere l’operatività del più breve termine di durata delle indagini alle sole contravvenzioni, secondo le osservazioni espresse dal C.S.M. sempre nella richiamata relazione, «suscita perplessità in ragione del fatto che taluni reati contravvenzionali destano particolare allarme sociale, come ad esempio quelli in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, e postulano in determinati casi lo svolgimento di indagini articolate, difficilmente esperibili nell’arco del breve termine anzidetto».

Si è anche osservato186 che tale «lasso temporale può rivelarsi particolarmente stringente rispetto ai procedimenti aventi ad oggetto le associazioni criminali specie di tipo mafioso o assimilato, caratterizzati normalmente da una complessa attività di intercettazione da catalogare e analizzare e da un'attenta attività di riscontro delle eventuali dichiarazioni di collaboratori di giustizia: ovviamente non per il termine in sé ― identico a quello previsto in precedenza ― ma per il complesso degli adempimenti che il novum pretende, introducendo la disciplina della retrodatazione dell'iscrizione, fissando il periodo di riflessione entro cui il pubblico ministero deve assumere determinazioni definitive, prevedendo l'obbligo del deposito degli atti a carico del pubblico ministero e l'intervento coattivo del giudice, ecc.

E’ tematica che il legislatore non ha compiutamente considerato, non essendo certamente bastevole la disciplina derogatoria stabilita per il termine di riflessione entro cui il pubblico ministero deve assumere le sue determinazioni definitive dopo il decorso dei termini per le indagini (“nove mesi”, secondo il disposto del comma 2 dell'articolo 407-bis cod. proc. pen.)». Il C.S.M., nella relazione già menzionata, ha evidenziato che l’elevato carico di lavoro gravante sui singoli sostituti procuratori della Repubblica in moltissimi uffici giudiziari, specie di dimensioni medio-piccole e con scarse dotazioni di personale amministrativo e di polizia giudiziaria, potrebbe comportare non poche difficoltà nella tempestiva conclusione delle indagini comportando che «i criteri di priorità di trattazione degli affari saranno improntati a privilegiare il contrasto a fenomeni criminali connotati da maggiore gravità, con inevitabile sacrificio di quelli minori».

Tale rilievo sembra essere sostanzialmente condiviso da chi, in dottrina, ha osservato187 che, per modernizzare il sistema, oltre a schemi procedurali nuovi e più snelli occorre «un'ampia rete di risorse umane, tecnologiche e finanziarie, rinnovate formazione e deontologia professionale degli operatori, capacità e responsabilità di gestione, organizzazione e controllo del funzionamento della macchina, diffusione di best practies e adozione di appropriate misure di soft law. Insomma: un orizzonte culturale di intesa su obiettivi e valori condivisi fra magistrati, avvocati e funzionari, i quali, nei rispettivi ruoli e secondo gli specifici contributi, sono chiamati a rimeditare i tradizionali arnesi del mestiere e a farsi reali protagonisti di un'audace stagione riformatrice».

A norma del menzionato art. 405 cod. proc. pen., rubricato originariamente “Inizio dell'azione penale.

Forme e termini” e ora, a seguito dell'intervento del legislatore delegato, “Termini per la conclusione delle indagini preliminari”, si stabilisce, nel secondo comma, che «i termini di conclusione delle indagini preliminari vanno computati dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato».

Nel caso di differenti fatti iscritti sotto lo stesso numero in momenti diversi, continuerà a trovare applicazione la regola di cui all'articolo 335, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui, solo ove muti la qualificazione giuridica dei fatti ovvero questi risultino diversamente circostanziati si procederà all'aggiornamento delle iscrizioni e non a nuove iscrizioni a cui, invece, si deve procedere sia quando si acquisiscono elementi in ordine a ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona, sia quando vengono raccolti elementi in relazione al medesimo reato ma nei confronti di persone diverse dall'originario indagato.

Ne deriva che il termine per le indagini preliminari decorre autonomamente per ciascun indagato dal momento dell'iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato e, per la persona originariamente sottoposta alle indagini, da ogni singola iscrizione che non concerna una circostanza aggravante o una diversa qualificazione giuridica poiché in tali ultime ipotesi, trattandosi di un mero aggiornamento dell’iscrizione, il termine decorre dall’(originaria) iscrizione (in tal senso anche la costante giurisprudenza di legittimità, ex multis, e da ultimo, Sez. 2, n. 22016 del 06/03/2019, Nicotra, Rv. 276965 – 01).

Così, nel caso di reati permanenti, deve ritenersi che continuerà a trovare applicazione il principio secondo cui trattandosi di fatti successivi, ancorché collegati con i fatti precedentemente iscritti, viene a modificarsi il momento consumativo del reato con la conseguenza che ogni “aggiornamento” dell’iscrizione deve considerarsi nuova iscrizione con conseguente spostamento in avanti del dies a quo dell’iscrizione (arg. da Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, Caponera, Rv. 264923 – 01).

A norma dell'art. 415-ter cod. proc. pen., se alla scadenza dei termini di cui all'articolo 407-bis, comma 2, il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, non ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione, la documentazione relativa alle indagini viene depositata nella segreteria dell'organo inquirente con facoltà della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente abbia dichiarato di voler essere informata della conclusione delle indagini, di esaminarla e di estrarne copia (art. 415-ter, comma 1).

Attraverso siffatta previsione il legislatore ha inteso rimediare all’eventuale stasi del procedimento, determinata dall’inerzia del pubblico ministero, che dopo lo scadere del termine di durata delle indagini, eventualmente prorogato, non assuma le determinazioni relative all’esercizio o meno dell’azione penale.

Già con la “Riforma Orlando” si era cercato di rimediare a questa situazione assegnando al pubblico ministero il cosiddetto termine di riflessione (art. 407, comma 3-bis cod. proc. pen.) al fine di consentirgli di valutare i risultati delle indagini già svolti senza però poter compiere nuove indagini a pena di inutilizzabilità (art. 407, comma 3, cod. proc. pen.) ed era stato fissato un diverso “termine di riflessione” a seconda della gravità del reato.

Si era resa altresì obbligatoria l’avocazione in capo al procuratore generale presso la corte d'appello nei casi di stasi processuale per lo sforamento del termine di riflessione. Nella pratica però si era registrata la difficoltà per gli uffici della procura generale di svolgere le necessarie attività investigative con il conseguente ulteriore prolungamento della durata delle indagini188.

A tale disciplina, rivelatasi nella pratica inefficace, la riforma “Cartabia” ha opposto una diversa soluzione valorizzando, da un lato, il ruolo e le prerogative del giudice per le indagini preliminari attraverso l’introduzione delle “finestre di giurisdizione” al fine di garantire il rispetto dei termini di fase e i termini di azione e, dall’altro, rafforzando i diritti di difesa dell’indagato e della persona offesa sia pure nel dovuto rispetto delle esigenze di tutela del segreto investigativo.

Con l’art. 407-bis cod. proc. pen. di nuovo conio, con il dichiarato obiettivo di ridurre i tempi della fase preprocessuale, al comma 2, sono stati fissati i nuovi termini entro i quali il pubblico ministero deve decidere se esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. In tale comma è previsto che il pubblico ministero abbia il cd .“termine di riflessione”189, superato il quale il procuratore generale potrà esercitare il potere di avocazione per inerzia (art. 412, comma 1, cod. proc. pen.) e le parti, avendo diritto al deposito degli atti, potranno chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere (art. 415-ter cod. proc. pen.).

Come sottolineato in dottrina190 «lo spatium deliberandi per la pubblica accusa risulterà ben più dilatato rispetto al sistema vigente, potendo estendersi fino a nove mesi non solo quando le indagini riguardano delitti gravissimi o risultano di particolare complessità, ma anche quando sono stati compiuti atti all'estero ovvero è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'articolo 371 cod. proc. pen. (art. 407, comma 2, lett. c) e d)». Si è quindi osservato che, pur essendo siffatta modifica «giustificabile alla luce dell'inserimento della più gravosa regola di valutazione addossata al pubblico ministero in ordine alla richiesta di archiviazione, un così esorbitante tempus cogitationis finirà per rallentare e per acuire uno dei più problematici tempi morti procedurali».191

Alla scadenza del “termine di riflessione”, il pubblico ministero, se non ha disposto alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione, è tenuto a depositare in segreteria la documentazione delle indagini espletate e ad avvisare immediatamente l'indagato, la persona offesa che abbia richiesto di conoscere lo svolgimento del procedimento e il procuratore generale presso la Corte d'appello che ha un ruolo di controllo sui corretti comportamenti del pubblico ministero. L'indagato e la persona offesa devono essere informati della facoltà loro spettanti e possono esaminare e trarre copia della documentazione depositata (art. 415-ter, comma 1, cod. proc. pen.).

Trattasi di un atto dovuto, con il quale, come precisato nella relazione illustrativa, il legislatore ha inteso sia dissuadere il pubblico ministero da ingiustificati temporeggiamenti decisori, sia favorire l'individuazione e la chiusura dei procedimenti suscettibili d'essere definiti grazie a possibili apporti conoscitivi ad opera delle parti.


5. I rimedi contro l’inerzia del pubblico ministero in merito all’esercizio dell’azione penale.

Decorsi infruttuosamente i “termini di riflessione”, dunque, è prevista la possibilità di intervento del giudice per le indagini preliminari su richiesta dell’indagato o della persona offesa che abbia dichiarato di voler essere informata dello svolgimento del procedimento.

Tale intervento è preceduto, di regola, da una discovery degli atti d’indagine a favore di questi ultimi.

Analogo meccanismo è previsto in caso di stasi del procedimento successiva alla notificazione dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen.

La scelta del legislatore è dunque di aprire anche in questo caso “una finestra di giurisdizione” alla scadenza dei termini massimi di durata delle indagini, che, rispetto al passato, in cui era prevista la sola avocazione da parte del Procuratore generale, offre all’indagato maggiori garanzie di non restare tale per tempo indefinito, senza altra sanzione diversa dall’inutilizzabilità degli elementi acquisiti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari.

Al giudice può essere rivolta unicamente la richiesta di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale.192

Il giudice, dunque, su richiesta dei soggetti di cui sopra, che non risulta debba essere notificata al pubblico ministero, decide, senza contraddittorio e con decreto motivato, entro venti giorni. In caso di accoglimento ordina al pubblico ministero di assumere le determinazioni in un tempo non superiore a venti giorni.

Copia del decreto deve essere notificata, a norma dell’art. 415-bis, comma 5-quater, ultimo periodo, al pubblico ministero, al procuratore generale e alla persona che ha formulato la richiesta (e non anche, quindi, alla persona offesa legittimata a formulare la richiesta). Il pubblico ministero, quindi, dovrà trasmettere al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti assunti in conseguenza dell'ordine emesso dal giudice per le indagini preliminari.

A norma del secondo comma dell'articolo 415-ter, ove il procuratore generale, decorsi 10 giorni dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 407-bis, comma 2, non abbia ricevuto l'avviso dell'avvenuta discovery, ordinerà con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell'avviso entro un termine non superiore ai venti giorni e, a norma del primo comma (di nuovo conio) dell’art. 412 cod. proc. pen., potrà disporre l’avocazione delle indagini preliminari193.

Ove il procuratore generale non intenda avocare a sé l'indagine, con decreto motivato ordinerà al pubblico ministero di notificare l'avviso di deposito della documentazione delle indagini preliminari entro un termine non superiore a venti giorni.

L'art. 9, comma 1, lett. f) della legge delega esprime la necessità che il legislatore delegato tenga conto delle esigenze di tutela del segreto investigativo nelle indagini relative ai reati di cui all'articolo 407 cod. proc. pen. e di eventuali ulteriori esigenze di cui all'art. 7, § 4 della direttiva 2012 /13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede, purché non venga leso il diritto a un processo equo, una deroga al diritto di accesso alla documentazione relativa all'indagine qualora «tale accesso possa comportare una grave minaccia per la vita o per i diritti fondamentali di un'altra persona o se tale rifiuto è strettamente necessario per la salvaguardia di interessi pubblici importanti».

In attuazione di siffatti principi, l'articolo 415-ter, ultimo comma, cod. proc. pen., prevede che il pubblico ministero possa presentare, prima della scadenza dei termini di riflessione, istanza motivata di differimento della notifica dell'avviso di deposito degli atti di indagine alla persona indagata e alla persona offesa194.

Sulla richiesta di differimento provvede il procuratore generale presso la Corte d'appello il quale dovrà basare la propria decisione esclusivamente sulle circostanze evidenziate dal richiedente.

Nel caso di accoglimento di tale istanza da parte del procuratore generale, deve ritenersi che il giudice, adito dall’indagato o dalla persona offesa ex art. 415- ter, comma 3, non dovrebbe accogliere la richiesta.

Opportunamente, nell'ottica di non diluire eccessivamente il procedimento, si è stabilito, nell'ultima parte del quarto comma dell'articolo 415-ter cod. proc. pen., che la richiesta di differimento della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari non è cumulabile con la richiesta relativa al differimento dell'avviso di deposito degli atti di indagine.

Nella relazione illustrativa il rimedio della discovery degli atti esemplifica la volontà del legislatore di «abbandonare la via dell’avocazione» e di sollecitare «soluzioni ad essa marcatamente alternative fondate sulla discovery forzosa quale strumento volto per un verso a dissuadere ingiustificati temporeggiamenti decisori del pubblico ministero e per altro verso a favorire l'individuazione la chiusura dei procedimenti suscettivi di essere definiti grazie a possibili apporti conoscitivi ad opera delle parti del procedimento».

Come si è visto, l'ordine giurisdizionale è vincolante per il pubblico ministero ed è soggetto alla sorveglianza del procuratore generale, che continua ad essere titolare del potere, sia pure discrezionale, di avocare le indagini preliminari sia in seguito alla comunicazione del decreto del giudice per le indagini preliminari, sia nel caso in cui la pubblica accusa non si adegui a tale ultimo provvedimento nei termini prescritti dell’art. 412, commi 1 e 2, cod. proc. pen.


6. Le nuove regole di giudizio per l’archiviazione.

In base alle previgenti disposizioni (art. 408 cod. proc. pen. e 125 disp. att. cod. proc. pen.), il pubblico ministero presentava al giudice la richiesta di archiviazione nel caso di infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non erano idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

Secondo la nuova prospettiva del legislatore delegato, viene a mutare la regola di giudizio per la presentazione della richiesta di archiviazione in quanto il pubblico ministero è tenuto a richiedere l'archiviazione «quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca»195.

Si abbandona dunque il favor actionis e, con esso, la regola comportamentale per cui nei casi dubbi l’azione deve essere esercitata e non omessa e si privilegia la valutazione in ordine al risultato dell’azione.

Anche ora, come in precedenza, si tratterà di effettuare una valutazione prognostica che però si collega alla previsione di cui al primo comma dell’art. 533 cod. proc. pen., secondo cui il giudice pronunzia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Si richiede, quindi, al pubblico ministero di effettuare una valutazione non più della generica sostenibilità dell’accusa in giudizio, ma dell’esistenza, anche in caso di fondatezza della notizia di reato, di elementi sufficienti per giustificare, appunto, al di là di ogni ragionevole dubbio, una sentenza di condanna.

Ogni scenario probatorio dubbio, secondo siffatta impostazione, parrebbe condurre verso l’archiviazione.

A tal proposito deve rilevarsi che, se per un verso, tale mutamento dell’angolo prospettico dovrebbe portare a un aumento delle richieste di archiviazione, per converso è prevedibile anche l’aumento delle opposizioni alle richieste di archiviazione.

Il pubblico ministero non potrà più fare affidamento sull'utilità del dibattimento quale momento di completamento di acquisizioni istruttorie parziali, ma su di lui graverà l’onere di dimostrare la probabilità di condanna.

Anche il difensore delle parti private sarà chiamato a diventare, prima del dibattimento e con lo scopo di propiziarlo (se difensore della parte offesa) o di evitarlo (se difensore dell'indagato) interlocutore attivo e dialogante del pubblico ministero (prima) e del giudice (poi), facendo emergere quegli elementi di prova a favore del proprio assistito in grado di determinare una decisione favorevole per questo, rispetto alla probabilità, ragionevole o meno, di una futura condanna.

La ratio della riforma è quella di rendere «più rigoroso il filtro all’esito delle indagini preliminari, per evitare che procedimenti male istruiti o poco istruiti in fase d’indagine possano essere avviati alla fase processuale, con inutile dispendio di tempo ed energie e, naturalmente, con danni per le persone sottoposte ad indagini, che sopportano “la pena del processo”.

L’elevata percentuale delle assoluzioni in primo grado è una spia di inefficienza del sistema che il legislatore ha tenuto in considerazione, cercando di porvi un rimedio».196 La necessità di siffatta “diagnosi prognostica” valorizzerebbe l'istanza di efficienza processuale propria dell'istituto dell'archiviazione, senza incidere sul canone di obbligatorietà dell'azione penale, che viene tutelato, per un verso, dal controllo del giudice la completezza delle indagini e, per altro, dalla possibilità di una loro riapertura. In merito a tale ultima evenienza il legislatore è intervenuto, su invito del legislatore delegante a prevedere in argomento criteri più rigorosi, modificando il testo del primo comma dell’art. 414 cod. proc. pen. e stabilendo che «la richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l'esercizio dell'azione penale».

Dopo il secondo comma poi è stato introdotto il comma 2-bis secondo cui «gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili».

Tali disposizioni trovano applicazione solo per il procedimento nei confronti di soggetti individuati dovendosi ritenere, invece, che nel procedimento contro ignoti, «ove sia stato emesso provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, non è richiesta l'autorizzazione alla riapertura delle indagini del giudice per le indagini preliminari» e ciò in quanto, per tali procedimenti, l'archiviazione ha solo la funzione di legittimare il congelamento delle indagini e non preclude lo svolgimento di ulteriori attività investigative (ex multis, Sez. 1, n. 42518 del 14/07/2022, Beneduce, Rv. 283686 – 01).

Il complesso di norme che ora regolano l’archiviazione dovrebbe comportare «una maggiore responsabilizzazione degli uffici di Procura» e l’esaltazione dell’«appartenenza del pubblico ministero alla cultura della giurisdizione», che assumerebbe «nel corso delle indagini preliminari un approccio ‘terzo’ rispetto alla notitia criminis, ponendo in essere tutte le attività necessarie ad accertare compiutamente lo svolgimento del fatto e a individuare il responsabile, ricercando, quindi, anche elementi a favore dell’indagato», così da potersi ravvisare nel titolare della pubblica accusa «il primo giudice del materiale investigativo raccolto» che dovrà essere valutato «con obiettività e nell’ottica del futuro dibattimento» da chi non sarebbe «titolare di alcun interesse di parte, se non quello volto all’accertamento del fatto-reato e all’individuazione di chi l’ha commesso».197

Come evidenziato dal C.S.M.198,«tale vaglio preliminare sotteso al controllo circa la ragionevole prognosi di condanna (comune alla verifica svolta dal giudice dell’udienza preliminare) non pare porsi in contrasto con il principio di non colpevolezza; e ciò in quanto i caratteri costitutivi del dibattimento, quale luogo ove si forma, si costituisce cioè, dinanzi ad un giudice che è “diverso” e dunque non partecipe del precedente vaglio, la prova su cui si fonda, in maniera del tutto autonoma, il giudizio di condanna, garantiscono che la fase dibattimentale si mantenga quale sede ove dimostrare la colpevolezza dell’imputato senza alcuna inversione dell’onere probatorio e tantomeno della regola di giudizio costituzionalmente cristallizzata (art. 27)».

Sul punto, la dottrina199 ha osservato che cui «proiettare il pubblico ministero nella logica della decisione dibattimentale significa collocarlo in una dimensione lontana anni luce dalla fisionomia di un processo accusatorio: non è più la ragionevole evoluzione degli atti investigativi verso la condanna che muove la scelta tra azione e inazione; ciò che rileva ai fini dell'alternativa posta a carico del dominus è piuttosto l'attitudine degli atti investigativi, nella loro dimensione statica, a fondare un giudizio di condanna.

Si eclissa, in tal modo, il valore del contraddittorio come meccanismo epistemico fondamentale per la formazione della prova e, con esso, il valore del dibattimento come sede di operatività di un principio ― quello della prova della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio ― che può razionalmente concepirsi e funzionare come garanzia ― anche della qualità dell'accertamento ― solo se l'interessato sia stato messo nelle condizioni di poter compiutamente esercitare il proprio diritto di difesa».

Infine, non è da sottacersi il rilievo che siffatte previsioni normative avranno sulla fase delle indagini.

L’alleggerimento del carico delle notizie di reato destinate al giudizio determinerà un sovraccarico delle indagini preliminari che, invece, nell’ottica della riforma dovrebbero avere una minore e, comunque, più certa durata massima.


7. Le disposizioni transitorie.

In ordine alle disposizioni transitorie si richiama quanto oggetto di relazione dell’Ufficio del Massimario200.

Deve, inoltre, rilevarsi che la legge 30 dicembre 2022 n. 199, di conversione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i reati cosiddetti ostativi nonché in materia di obblighi di vaccinazione anti COVID-19 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, oltre a disporre (art. 6) in via di urgenza il differimento al 30 dicembre 2022 dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 150 del 2022, ha introdotto il nuovo art. 88-bis, recante disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo (art. 5-sexies).

La norma disciplina un’articolata fase transitoria per l'entrata in vigore del nuovo processo penale.

Al fine di evitare eventuali distorsioni in sede applicativa in conseguenza della contestuale applicazione di regimi diversi nell’ambito di un medesimo procedimento ovvero effetti negativi sulle indagini in corso per effetto dell’introduzione dei nuovi rimedi e meccanismi previsti dalla riforma in relazione all’esercizio dell’azione penale, la norma prevede il differimento per tali procedimenti dell’applicazione delle nuove disposizioni procedurali introdotte dal decreto in materia di: retrodatazione su richiesta di parte in caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo nell’iscrizione nel registro delle notizie di reato (art. 335- quater); forme e termini per l’avvio dell'azione penale (art. 407-bis); rimedi alla stasi del procedimento dovuta alla mancata tempestività dell’esercizio dell’azione penale (art. 415-ter).

Le nuove disposizioni non trovano applicazione per i «procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto ed in relazione alle notizie di reato delle quali il pubblico ministero ha già disposto l'iscrizione nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale», nonché in relazione alle notizie di reato iscritte successivamente in caso di connessione o di collegamento investigativo quando le indagini riguardano i reati gravi per i quali sono già previsti, dalla previgente disciplina, termini più ampi (comma 1).

Per tali procedimenti continuano ad applicarsi, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo, il pregresso regime processuale (comma 2), in tema di esercizio dell’azione penale ovvero richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero (art. 405 c.p.p.); proroga dei termini delle indagini preliminari (art. 406 c.p.p.);

▪ termini di durata massima delle indagini preliminari (art. 407 c.p.p.); ▪avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell'azione penale (art. 412 c.p.p.); avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis c.p.p.); e ▪ comunicazione delle notizie di reato al procuratore generale (art. 127 disp. att. c.p.p.). Come precisato nella relazione illustrativa alla legge di conversione n. 199 del 2022201, le nuove disposizioni sulla retrodatazione a richiesta di parte, nel caso di inequivocabile ritardo nell’iscrizione della notizia di reato nel relativo registro, di cui all'articolo 335-quater, si applicheranno solo con riferimento alle iscrizioni di reati commessi dopo l'entrata in vigore della riforma.202

Si osserva, in proposito, anche sulla scorta delle indicazioni fornite nella citata Relazione n. 68/2022 di questo Ufficio del Massimario e del Ruolo, che l’applicazione immediata della nuova disciplina in tema di indagini preliminari e, più in particolare, di rimedi alla stasi del procedimento a tutti i fascicoli pendenti (e scaduti) alla data di entrata in vigore della riforma potrebbe determinare effetti giuridici sugli atti d’indagine compiuti precedentemente, sotto il pregresso regime, incidendo sul fatto generatore in guisa da renderlo ex post “sanzionabile” coi rimedi previsti dalla nuova disciplina, con effetti di sostanziale retroattività.


 

161

Così, N. ROSSI, I “criteri di priorità” tra legge cornice e iniziative delle procure, in Questione giustizia, 2021,4.

162

V. MAFFEO, I criteri di priorità dell’azione penale tra legge e scelte organizzative degli uffici inquirenti, in Processo penale e giustizia, 1, 2022 osserva che «la riserva di legge non può essere ridotta a una riserva di intervento parlamentare atteso che le procedure di formazione della legge costituiscono un tassello dell'importante funzione nella regolazione dei rapporti con i titolari di un Potere di garanzia sottratti a forme di responsabilità politica. E, da quanto sembra potersi rilevare dal dato testuale, dovrà trattarsi di legge rinforzata, di legge parlamentare appunto, con assai dubbia legittimità per eventuali interventi con decreto-legge o con decreti delegati. […] Non sembra preoccupazione peregrina quella di ritenere che la generale previsione di legge, ove troppo stringente, finirebbe con lo svuotare di significato molte delle disposizioni incriminatrici, rendendo assai incerta l'effettività del principio di obbligatorietà, e, all'opposto, se generica o meramente programmatica, sarebbe inevitabilmente destinata a essere superata nei fatti dalle emergenze concrete».

163

Così, E. ALBAMONTE, I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale in www.il penalista.it

164

Nella fase investigativa la materia era disciplinata solo da atti amministrativi di incerta natura giuridica (delibere del Csm, circolari dei presidenti delle corti d’appello e dei procuratori).

165

R. APRATI, I criteri di priorità per la trattazione delle indagini preliminari per l'esercizio dell'azione penale, in (a cura di) G. SPANGHER, La Riforma Cartabia, Pacini Giuridica, 2022, p. 195.

166

N. ROSSI, I “criteri di priorità” tra legge cornice e iniziativa delle procure, in Questione Giustizia, 2021, 4. L’A. osserva che per «Nel parlare di concezione realistica dell’azione penale, ci si riferisce a un approccio all’esercizio dell’azione penale caratterizzato da una pluralità di fattori, tra cui: a) una ben calibrata valutazione, nell’ambito di ciascun ufficio di procura, dei mezzi disponibili per operare efficacemente nell’area di competenza, accompagnata da una esplicita determinazione di “criteri di priorità” nella trattazione degli affari, giustificata in nome dell’efficacia operativa, di un impiego oculato delle risorse disponibili e del rapporto tra il numero di procedimenti e il personale e i mezzi di cui dispone l’ufficio; b) una valutazione di sostenibilità dell’accusa particolarmente rigorosa nel discernere i procedimenti di cui chiedere l’archiviazione e quelli per i quali sollecitare il giudizio, sulla scorta di indicazioni del capo dell’ufficio e/o di orientamenti maturati a seguito di confronti collegiali tra magistrati (in particolare, dei gruppi specializzati) e di confronti con altri uffici (criterio di selezione oggi reso dalla riforma più stringente, con la previsione che sia richiesta, e disposta, l’archiviazione o che non sia disposto il giudizio, ma emessa sentenza di non luogo a procedere, quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque non consentano una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria in giudizio; con l’effetto di sostituire alla sostenibilità dell’accusa in giudizio, quale parametro per l’esercizio dell’azione penale o per il rinvio a giudizio, una ragionevole previsione del pubblico ministero e del giudice dell’udienza preliminare che il giudizio dibattimentale si concluda con una sentenza di condanna del responsabile dei fatti addebitati); c) una attenta valutazione sull’effettiva offensività di determinate condotte – astrattamente riconducibili a fattispecie di reato – oggi istituzionalmente reclamata dall’introduzione dell’istituto dell’archiviazione per tenuità del fatto per reati che si collocano entro limiti di pena legislativamente prefissati; d) la ricerca di una linea di condotta comune e coerente in ordine a soluzioni patteggiate dei procedimenti».

167

Tale prospettiva, a ben vedere, non è nuova nella visione del legislatore. L’art. 358 cod. proc. pen , invero, già prevede che «il pubblico ministero […] svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini » e la Corte costituzionale, con sentenza del 26/3/1997, n. 96, da tempo, ha sottolineato che « il principio di obbligatorietà dell'azione penale, non comporta l'obbligo di esercitare l'azione ogni qualvolta il pubblico ministero sia raggiunto da una notizia di reato, ma va razionalmente contemperato al fine di evitare l'instaurazione di un processo superfluo».

168

Si pensi, ad esempio, a fatti in materia ambientale, sanitaria, antinfortunistica, riconducibili a organizzazioni complesse.

169

Parere C.S.M. 22 settembre 2022 in www.csm.it

170

Meccanismo ora esplicitato negli artt. 335-ter e 335-quater cod. proc. pen.

171

R. BRICHETTI, Diritto di difesa. Iscrizione della notizia di reato senza effetti civili e amministrativi, in I Focus del Sole 24 ore, 12 ottobre 2022, n. 25.

172

G. AMATO, La correttezza dell’iscrizione: stop a quelle tipo “atto dovuto”, in Guida al diritto, 2022, n. 41, 37.

173

Ai sensi del comma 4, competente a decidere è il giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari il giudice per le indagini preliminari. A norma del successivo comma 5, la richiesta può essere presentata nell'ambito del relativo procedimento e trattata con le forme di questo durante le indagini preliminari quando il giudice deve adottare una decisione con l'intervento del pubblico ministero e della persona sottoposta alle indagini e la retrodatazione rilevante ai fini della decisione. L'ipotesi tipica è quella della domanda di riesame. Come specificato nella relazione illustrativa il legislatore ha inteso attribuire all'indagato la facoltà di scegliere, proprio perché trattasi di procedimento incidentale caratterizzato da ritmi serrati, se presentare la domanda di retrodatazione all'udienza ovvero se riservarsi di presentarla ordinariamente davanti al giudice delle indagini preliminari.

174

Nella relazione introduttiva si osserva che il riferimento ad “atti del procedimento” deve essere inteso secondo la nozione “sostanziale” di procedimento come intesa dalle Sez. U, n. 51, del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395 e, quindi, valorizzando anche atti desumibili da procedimenti connessi ex articolo 12 cod. proc pen con quello oggetto della domanda.

175

C’è da chiedersi se, con l'espressa menzione dell’"udienza in camera di consiglio", il legislatore abbia inteso fare o meno riferimento alle forme procedimentali previste dall'art. 127 cod. proc. pen. e, segnatamente, alla possibilità di impugnare l’ordinanza conclusiva in sede di legittimità a norma del comma 7 del citato articolo. Il mancato espresso richiamo a tale disposizione farebbe propendere per la tesi negativa in conformità a quanto da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimità anche nella sua massima espressione (Sez. U, n. 17 del 06/11/1992, Bernini, Rv. 191786; e in motivazione, Sez. U, n. 46898 del 26/09/2019, Ricchiuto, Rv. 277156).

176

Nella relazione tecnica si precisa che il ritardo può ritenersi giustificato non dal sovraccarico dell'ufficio inquirente, ma solo dalla complessità della vicenda oggetto del procedimento, desumibile dalla complessità della notizia di reato ovvero delle risultanze delle investigazioni, come ad esempio, nel caso di esposto molto lungo o del complicato collegamento tra gli esiti di intercettazioni risalenti a tempi diversi.

177

Ciò induce a ritenere che la prassi di indicare negli atti il nome del primo indiziato con l'annessa dicitura “ed altri” dovrebbe essere abbandonata.

178

Il giudice ha il solo potere di ordinare l’iscrizione, ma non anche quello, come si desume dal comma 2 dell’art. 335-ter, di indicare la data da cui decorrono i termini delle indagini, potere quest’ultimo che è, e resta, del pubblico ministero, salvo il successivo potere di controllo da parte del giudice.

179

Come notato nella menzionata relazione del C.S.M. «dalla lettura congiunta delle due disposizioni si dovrebbe desumere il divieto di escludere dai concorsi o dalle gare di appalto i soggetti per la sola circostanza di essere coinvolti in un procedimento penale».

180

Corte EDU, 18 marzo 20121, Petrella c. Italia ; Corte EDU, 7 dicembre 2017, Arnoldi c. Italia che hanno accertato la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo per essersi i reati prescritti prima della chiusura delle indagini.

181

È stato introdotto il nuovo art. 407-bis rubricato “Inizio dell’azione penale. Forme e termini”.

182

Sono stati modificati i commi 1, 2 e 8 dell’art. 408 sempre rubricato “Richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato” ed è stato soppresso l'articolo 125 disp. att. cod. proc. pen. (Richiesta di archiviazione) avendo il legislatore ritenuto opportuno trasferire nel corpo del codice la regola di giudizio che governa la scelta del pubblico ministero tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell'azione penale.

183

Così il modificato secondo comma dell’art. 408 cod. proc. pen.

184

Così il modificato terzo comma dell’art. 408 cod. proc. pen. . Tale indicazione è prevista anche nel novellato comma 2 dell’art. 409 “Provvedimenti del giudice sulla richiesta di archiviazione”.

185

Così il modificato primo comma dell’att. 414 cod. proc. pen.

186

Così, G. AMATO, Una rivoluzione “temporale” sui tempi dei procedimenti. Indagini preliminari: i nuovi termini, in Guida al diritto, 2022, 41.

187

G. CANZIO, Il modello “Cartabia”: una riforma di sistema tra rito e organizzazione, in Guida al diritto, 2022, 42.

188

Così, V. MAFFEO, Tempi e nomina juris nelle indagini preliminari. L’incertezza del controllo, Cacucci, 2020, 9.

189

Tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'articolo 405, comma 2 o, se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415-bis, comma 3 e 4. Il termine è di nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2, ossia quando la durata massima delle indagini preliminari può giungere a due anni.

190

G.M. BACCARI, I nuovi meccanismi per superare le stasi procedimentali dovute all'inerzia del pubblico ministero, in (a cura di) G. SPANGHER, La Riforma Cartabia, cit., p. 265.

191

G.M. BACCARI, I nuovi meccanismi, cit.

192

In particolare, non potrà essere richiesto al giudice di sollecitare il pubblico ministero a compiere nuove indagini, a interrogare l’indagato o a formulare l’imputazione.

193 Come precisato nella relazione illustrativa (pag. 95), l'ipotesi di avocazione per inerzia da parte del procuratore generale ex articolo 412 cod. proc. pen. viene realisticamente riconfigurata in termini di “discrezionalità” atteso l’utilizzo del verbo “può” dall’inequivocabile significato.

194

A norma dell’art. 415-bis, comma 5-bis, cod. proc. pen. la richiesta al procuratore generale di differimento può essere proposta: a) quando è stata richiesta l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita; b) quando la conoscenza degli atti di indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l'incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione del procedimento o in altro modo, per atti e attività di indagine specificatamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all'accertamento dei fatti, all'individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di danaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca.

195

La relazione illustrativa chiarisce che l'esplicito riferimento all'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca trova la sua ragion d'essere nell'esigenza di coordinamento derivante dalla necessaria celebrazione del dibattimento in tutti i casi in cui appunto debba essere applicata una misura di sicurezza diversa dalla confisca, essendo preclusa, in tal caso, la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere in udienza preliminare (art. 425, comma 4, cod. proc. pen.) o all'udienza filtro (art. 554- ter, comma 1, cod. proc. pen.).

196

Così, G.L. GATTA , Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’. 197 Parere C.S.M., 29 luglio 2021, allegato 4, 3, in www.csm.it.

198

Così, nel cit. parere del 22 settembre 2022.

199

K. LA REGINA, L’archiviazione nel vortice efficientista, in (a cura di) G. SPANGHER, La Riforma Cartabia, Pacini Giuridica, 2022, p. 286; E. MARZADURI, La riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflattivi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in www.lalegislazione penale.eu, 25 gennaio 2022.

200

Relazione n. 68 del 22 novembre 2022 (pp. 50 e ss.).

201

Dossier XIX Legislatura sul D.L. n. 162/202 – A.S. n. 274/A, pp. 41 e ss.

202

Nell’analisi alle modifiche introdotte in sede ci conversione di cui al D. L. n. 162/22 (A.S. n. 274-A) si evidenzia il pericolo, rispetto alle notitiae criminis iscritte ed a quelle connesse o collegate d nuova iscrizione, di una discovery forzosa degli atti di indagine. Si condivide, inoltre, la criticità – di rilevante impatto pratico, perché investe centinaia di migliaia di fascicoli pendenti presso gli uffici requirenti ed interessa anche aspetti organizzativo-gestionali delle Procure e del personale dell’amministrazione da impiegare per il disbrigo degli adempimenti – dell’individuazione dell’esatto momento temporale di applicazione della nuova disciplina di cui al decreto legislativo n. 150 del 2022.


 

FONTE: Articolo tratto da "La riforma Cartabia: Relazione su novità normativa dell'Ufficio del Massimario - 2022"

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