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Riforma Cartabia: Relazione sulla disciplina transitoria a cura del Massimario della Cassazione

Riforma Cartabia


SOMMARIO:



1. Premessa: l’entrata in vigore [differita] del d.lgs. n.150 del 2022 (art. 99-bis) e le direttrici generali della riforma.

È stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 243 del 17 ottobre 2022 il decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, recante «Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» [cd. “riforma Cartabia”, d’ora in poi indicato, breviter: d.lgs. n. 150] 1.

Il provvedimento sarebbe dovuto entrare formalmente in vigore il 1° novembre 2022, dopo l’ordinario periodo di vacatio legis di quindici giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta (art. 73 Cost.).

Tuttavia, il decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162 – intervenuto proprio alla vigilia della scadenza del suddetto termine di vacatio, entrato in vigore il 31 ottobre scorso 2, ha aggiunto, all’art. 6, un inedito art. 99-bis al d.lgs. n. 150 per rinviarne l’entrata in vigore al 30 dicembre 2022. 3

Il differimento d’urgenza – varato dal nuovo esecutivo frattanto insediatosi e su cui taluno, in dottrina, ha già espresso dubbi di legittimità costituzionale 4 – è giustificato dall’esecutivo «per la riscontrata necessità di approntare misure attuative adeguate a garantire un ottimale impatto della riforma sull’organizzazione degli uffici» e per consentire, altresì, «un’analisi delle nuove disposizioni normative, agevolando l’individuazione di prassi applicative uniformi ed utile a valorizzare i molti aspetti innovativi della riforma» 5.

Il disposto rinvio dell’entrata in vigore è «contenuto» entro la suddetta data del 30 dicembre 2022, «in quanto si tratta di un lasso di tempo certamente sufficiente ai fini indicati e che permette di mantenere gli impegni assunti in relazione al PNRR» 6.

Quanto ai contenuti dell’odierna riforma di sistema, definita «penale-processuale insieme» perché intreccia il diritto sostanziale e il processo 7, essi poggiano essenzialmente su tre pilastri: le modifiche al regime sanzionatorio, la riforma del processo penale e l’introduzione della giustizia riparativa. Il filo conduttore degli interventi attuativi della legge delega (art. 1 della legge 27 settembre 2021 n. 134) è rappresentato – come declamato dall’intitolazione del d.lgs. n. 150 – dall’efficienza del processo e della giustizia penale 8, in vista della piena attuazione dei principi costituzionali, convenzionali e unionali in tema di “giusto processo” nonché del raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R., che vede la sua milestone finale collocarsi nel 2026 con la riduzione del 25% della durata media del processo penale nei tre gradi di giudizio 9.

A queste finalità di deflazione penitenziaria e processuale e/o di definizione alternativa, si è connessa la volontà politico-legislativa di completare il percorso di riforma sui “tempo del processo” avviato con le disposizioni immediatamente precettive della legge n. 134 del 2021 (art. 2) - e, in particolare, con quelle che hanno introdotto l’improcedibilità dell’azione penale per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione 10 –, il tutto da realizzare in sintonia con l’avvio di un piano di transizione telematica del processo penale, attraverso significative innovazioni in tema di informatizzazione infrastrutturale e di digitalizzazione degli atti, in uno con l’implementazione della partecipazione a distanza ad alcuni atti del procedimento o all’udienza 11.

Si tratta di un provvedimento complesso particolarmente ampio ed articolato: consta di ben novantanove articoli che intervengono, a vario titolo, con tecnica novellistica di portata innovatrice calibrata sui singoli settori di intervento, riguardanti: - il sistema penale sostanziale (artt. 1-3), con modifiche circoscritte ai libri I, II e III del codice penale; - il sistema processuale (artt. 4-40), attraversando l’intero processo penale, nelle sue diverse fasi e variabili (dalle indagini preliminari, al dibattimento, ai riti alternativi, al processo in absentia, ai giudizi di impugnazione, fino all’esecuzione penale), nonché sul corredo delle disposizioni di attuazione e di coordinamento del codice di rito (art. 41), - il tessuto delle principali leggi complementari ai due codici, con particolare riferimento alla disciplina delle pene sostitutive delle pene detentive brevi e delle pene pecuniarie (titolo V).

Un titolo autonomo del decreto (titolo IV) è dedicato alla disciplina organica della giustizia riparativa (artt. 42-67) 12.

Un ulteriore titolo autonomo del decreto, l’ultimo (titolo VI), contiene disposizioni transitorie e finali riferite a taluni, limitati, settori d’intervento (in materia di regime di procedibilità, notificazioni al querelante, processo penale telematico, restituzione nel termine per le impugnazione, processo in assenza, sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte EDU, giustizia riparativa, videoregistrazioni, giudizi di impugnazione e pene detentive brevi: artt. 85-97).

Per la quasi totalità delle novellate fattispecie – sostanziali e, soprattutto, processuali – cui non si diriga la suddetta disciplina transitoria, invece, varranno i criteri generali in tema di successione di leggi nel tempo, dando luogo, nondimeno, a delicati problemi interpretativi di diritto intertemporale.

Nelle more della predisposizione, sempre ad opera di questo Ufficio, di una relazione sulla novità normativa recante l’analisi organica e sistematica dell’intero provvedimento, è opportuno procedere in via prioritaria, dato l’impatto che l’entrata in vigore della riforma – sebbene ora differita di sessanta giorni (art. 99-bis) – produrrà su tutti i procedimenti in fieri, alla disamina anzitutto delle disposizioni transitorie (artt. 85-97), anche al fine di predisporsi all’imminente fase, sicuramente molto impegnativa, di avvio dell’attuazione concreta del decreto e di gestione delle discendenti problematiche organizzativo-gestionali.

Per le medesime ragioni, negli stretti limiti temporali consentiti dalla presente analisi compiuta a primissima lettura – e fatto salvo ogni ulteriore approfondimento in sede di redigenda relazione organica sull’intero d.lgs. n. 150 – si accennerà altresì ai (talora davvero complessi) profili intertemporali connessi alle principali discipline non assistite da apposita disciplina transitoria, onde offrire all’interprete - una prima ricognizione sull’impatto delle compiute innovazioni sui fascicoli pendenti iscritti per reati commessi prima dell’entrata in vigore della riforma [ovvero fino al 29 dicembre 2022].

Pertanto, la presente relazione, muovendo dalla chiara distinzione dottrinaria tra diritto transitorio e diritto intertemporale 13, è suddivisa in due parti:

1) una prima dedicata alle disposizioni transitorie propriamente dette (artt. 85-97 d.lgs. n. 150), ossia a quelle regole materiali 14 che il legislatore delegato ha appositamente dettato – ma solo in alcuni ambiti – per “accompagnare” la transizione dal vecchio al nuovo regime di taluni specifici istituti;

2) una seconda dedicata ai profili di diritto intertemporale, qui affrontati in funzione sussidiaria quantomeno rispetto alle disposizioni (sostanziali e soprattutto processuali) di maggiore impatto o comunque che si profilano – a primissima lettura – particolarmente problematiche, allo scopo di guidare sin d’ora l’attività dell’interprete nella successione di leggi nel tempo in mancanza, allo stato, di espresse indicazioni legislative di “transizione”.

Si segnala, peraltro, che – con inconsueta prassi amministrativa – il ministero della giustizia ha già diramato tre circolari tematiche 15 (e si accinge a diramarle altre per ulteriori settori) volte ad «accompagnare gli uffici giudiziari nella fase, sicuramente molto impegnativa, di avvio dell’attuazione concreta della riforma», definite «una sorta di “manuale d’uso” delle novità della riforma», onde fornire «un primo orientamento rispetto alle discendenti problematiche di gestione», offrendo soluzioni non solo di tipo organizzativo ma anche ermeneutica 16.

In disparte ogni considerazione in ordine alla valenza di tali strumenti di prassi, nella presente disamina se ne darà comunque conto ai limitati fini delle questioni di diritto transitorio-intertemporale dappresso affrontate.


PARTE I: DISPOSIZIONI TRANSITORIE (TITOLO VI)

Le singole disposizioni transitorie contenute nel Titolo VI del d.lgs. n. 150 («Disposizioni transitorie, finali e abrogazioni»), disciplinano per lo più – assai circoscritte – situazioni giuridiche del passato o del presente, quindi definibili come regole transitorie materiali destinate a regolare i procedimenti penali pendenti al 30 dicembre 2022 (artt. 85, 86, 88, 89, 90, 91, 95, 96, comma 1); in altri casi, consistono in meri differimenti di efficacia di talune disposizioni processuali di nuovo conio, per mere esigenze organizzative-attuative (artt. 87, 94, comma 1) ovvero per evitare il conflitto tra norme processuali (art. 94, comma 2), con conseguente disposta ultrattività delle (pregresse) norme abrogate (art. 98) o via via modificate; in altri casi, infine, dettano disposizioni di coordinamento immediatamente operative valevoli nelle more dell’entrata in vigore “a regime” di singole discipline richiedenti future disposizioni attuative (artt. 92, 93, 96, comma 2).

Per le disposizioni propriamente definibili “transitorie” (artt. 85, 86, 88, 89, 90, 91, 95, 96), vale l’avvertenza generale che – trattandosi di norme ontologicamente provvisorie, ossia connotate per il carattere momentaneo del regolamento ivi apprestato – esse assumono tratti di inevitabile specialità ed eccezionalità, con conseguente divieto di analogia (art. 14 preleggi), essendo norme di stretta interpretazione 17.

Dal punto di vista della disciplina ivi apprestata, esse implicano, proprio in quanto norme di “transizione”, una deroga, nei limiti contenuti nelle stesse norme, al principio generale tempus regit actum 18, ordinario criterio regolatore della successione delle leggi processuali nel tempo 19.


2. Disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità (art. 85).

In aderenza agli obiettivi generali di deflazione processuale e sostanziale il legislatore della delega ha disposto, agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 150, l’ampliamento delle ipotesi di reati procedibili a querela ricompresi nel Libro II e III del codice penale 20.

Condizionando la repressione penale di un fatto, astrattamente offensivo, alla valutazione in concreto ed alla sovranità della persona offesa, tale opzione – già inaugurata con la legge 24 novembre 1981, n. 689 e proseguita, da ultimo, col d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 – denota l’importanza crescente della “funzione selettiva” della cd. “querela-selezione” (o “querela-opportunità”) 21, intesa come filtro processuale e, al contempo, come tecnica di depenalizzazione di fatto 22 in tutte quelle ipotesi in cui la depenalizzazione tout court appaia una scelta troppo radicale 23; in altri termini, la querela diventa lo strumento politico-criminale volto a contemperare sinergicamente la superfluità della pena in concreto, in coerenza con la sua natura di extrema ratio, con il contenimento del sovraccarico giudiziario 24.

Nel contesto degli interventi volti al contenimento dei flussi in entrata e alla decongestione dettati dalla legge delega n. 134 del 2021, il mutato regime di procedibilità infine attuato col d.lgs. n. 150 dovrebbe incentivare, altresì, le condotte riparatorie e risarcitorie, tali da determinare l’estinzione del reato prima della celebrazione del processo, attraverso la remissione della querela, ovvero durante lo stesso, mediante le nuove ipotesi di remissione tacita (si veda l’inedito comma terzo, n. 1, aggiunto all’art. 152 cod. pen. dall’art. 1, comma 1, lett. h, d.lgs. n. 150, con i correlati correttivi processuali) 25, ovvero integrando la causa di estinzione di cui all’art. 162-ter cod. pen. (applicabile per l’appunto alla sola categoria dei reati procedibili a querela) 26, con ciò rinnovandosi il crescente favor legislativo per le condotte “antagoniste all’offesa”, poste in essere dal reo, in funzione della riparazione e ricomposizione del conflitto generatosi col reato 27.

In questo contesto, gli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 150 apportano una serie di modifiche di favore alla parte speciale del codice penale (libri II e III), prevedendo un ulteriore ampliamento del perimetro dei reati in cui la disponibilità della risposta penale è rimessa alla volontà punitiva discrezionale della persona offesa, attraverso il mutato regime di procedibilità a querela per alcuni delitti contro la persona e contro il patrimonio nonché – autentica novità di “sistema” – per due contravvenzioni 28 che sono state selezionate, in base ai criteri di delega, tra quelle poste a tutela di beni personali e non collettivi (artt. 659 e 660 cod. pen.) 29.

Resta salva, nella gran parte delle ipotesi, la procedibilità officiosa nel caso in cui la persona offesa risulti incapace per età (giovane o avanzata) o per infermità (fisica o psichica). Tra i delitti contro il patrimonio trasformati a querela di parte, si annoverano ad esempio molte ipotesi aggravate del reato di furto, finora procedibili d’ufficio, tra le quali quelle circostanziate ex art. 61, n. 7, cod. pen. ovvero quelle ex art. 625, nn. 2 e 7, quest’ultimo limitatamente del fatto commesso su cose esposte alla pubblica fede, cod. pen. 30, ovvero ex art. 625, n. 2, cod. pen. (ipotesi molto frequente nella prassi).

Tra i delitti contro la persona, si annovera esemplificativamente il reato di lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590- bis, comma 1, cod. pen., nell’ipotesi-base non aggravata) 31 e quello di lesioni personali (art. 582 cod. pen.), che viene ora definitivamente “svincolato” dalla durata della malattia non superiore ai venti giorni (cd. lesioni lievissime), con conseguente introdotta procedibilità a querela anche delle cd. lesioni lievi (malattia compresa tra 21 e 40 giorni) 32.

Il nuovo regime di procedibilità a querela di applicherà a partire dall’entrata in vigore del decreto, ora fissata dall’art. 99-bis [quindi dal 30 dicembre 2022] ma trattandosi di modifica di favore, in quanto riguardante un istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell’an e del quomodo di applicazione del precetto (v., in tema di procedibilità d’ufficio per i reati sessuali, Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999-01 e Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Frualdo, Rv. 209188-01; in tema di procedibilità a querela introdotta per il reato di cui all’art. 642 cod. pen., Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, Calbrò, Rv. 241862-01), esso si applica retroattivamente ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen. (così Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, § 5) anche ai reati commessi fino al 29 dicembre 2022, senza che possa tuttavia valere la regola della cedevolezza del giudicato: non è infatti possibile assimilare il caso di specie né ad un’ipotesi di abrogatio criminis con sequenziale applicazione del disposto di cui all’art. 673 cod. proc. pen., non trattandosi di una modifica idonea ad incidere su un elemento costitutivo della fattispecie (così Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, Rv. 277925-01: fattispecie relativa al delitto di appropriazione indebita aggravato art. 61, comma primo, n. 11, cod. pen., divenuto procedibile a querela a seguito del d.lgs. n. 3 del 2018), né ad una pronuncia di incostituzionalità potenzialmente idonea a travolgere gli effetti anche delle sentenze divenute irrevocabili ed in astratto anche se più favorevoli.

L’art. 85 del d.lgs. n. 150 reca una disciplina transitoria in materia di modifica del regime di procedibilità dei delitti e delle contravvenzioni incise dalla riforma.

Si tratta di una disciplina che, regolando positivamente la retroattività di tale nuovo regime di favore (art. 2, comma 4, cod. pen.), ricalca pedissequamente quella approntata nell’ambito dei precedenti interventi sistematici operati, nella medesima direzione della “querela-selezione”, con gli artt. 12 d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 33, 19 della legge 25 giugno 1999 n. 205 e 99 della legge 24 novembre 1981 n. 689, per regolare le modalità con cui, in relazione ai reati per i quali è mutato regime di procedibilità, la persona offesa viene messa nelle condizioni di valutare l’opportunità di esercitare nei termini il diritto di formulare l’atto propulsivo.

Data l’identità di disciplina transitoria, l’elaborazione giurisprudenziale stratificatasi su tali identiche previsioni potrà senz’altro replicarsi ai fini dell’esegesi e dell’applicazione dell’art. 85 d.lgs. n. 150. Occorre anzitutto rimarcare la valenza innnovativa dell’art. 85. Invero, data la natura mista – processuale e sostanziale – della querela, che costituisce, nel contempo, condizione di procedibilità e di punibilità (così, ex plurimis, Sez. 3, n. 2733 del 08/07/1997, Frualdo, Rv. 209188-01 34; Sez. 6, n. 2506 del 13/11/2003, dep. 2004, Piccino; Sez. 2, n. 40399 del 24/09/2008, Calabrò, Rv. 241862-01; Sez. 5, n. 44390 del 08/06/2015, R., Rv. 265999), in difetto della disposizione transitoria qui in commento, l’azione penale relativa ai reati oggetto di intervento, commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 [fino al 29 dicembre 2022] sarebbe diventata ex abrupto improcedibile per mancanza di querela in applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole all’agente (art. 2, comma 4, cod. pen.), con conseguente obbligo di immediata declaratoria di non doversi procedere estinzione del reato.

Tuttavia – come chiarisce la Relazione illustrativa – «l’improcedibilità dell’azione penale, in questo caso, sarebbe stata legata ad un factum principis, del tutto estraneo alla sfera di volontà della persona offesa che, conseguentemente, avrebbe visto diminuire le proprie possibilità di tutela giudiziaria per fatto incolpevole.

Si tratta di un esito del tutto estraneo alle ragioni della persona offesa, il cui ruolo deve essere invece adeguatamente valorizzato e tutelato (secondo svariate linee normative, anche di carattere sovranazionale, affermatesi negli ultimi anni e secondo diversi principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega).

La necessità di scongiurare un risultato normativo nocivo per le ragioni della persona offesa dal reato per fatto “incolpevole” ha costituito, dunque, una ragionevole (art. 3 Cost.) giustificazione per introdurre una deroga al principio di retroattività della legge sopravvenuta più favorevole» 35, attuata in seno all’art. 85 del d.lgs. n. 150, come già avvenuto storicamente in occasione di analoghe modifiche legislative di ampliamento del “catalogo” di reati perseguibili a querela. L’art. 1, comma 3, della legge n. 134 del 2021 ha autorizzato il Governo ad adottare le «opportune disposizioni transitorie», senza esplicitare in modo più articolato i principi e criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il legislatore delegato nell’emanazione delle disposizioni transitorie.

A fronte di una pluralità di possibili opzioni, il legislatore della delega ha prediletto un modello ispirato proprio all’esperienza legislativa degli ultimi quarant’anni (artt. 99 della legge n. 689 del 1981, 19 della legge n. 205 del 1999 e 12 del d.lgs. n. 36 del 2018), onde «regolamentare in modo equilibrato i diritti delle persone offese da reato con gli auspicati effetti deflativi che si perseguono con la novella» 36.

Le disposizioni transitorie ex art. 85 d.lgs. n. 150 sono modellate su uno schema “bifasico” adattato alle tralatizie regole “lex interpellat pro iudice” (comma 1) e, rispettivamente, “iudex interpellat pro lege” (comma 2), secondo il quale:

a) nel caso di reati commessi anteriormente all’entrata in vigore del decreto [quindi fino al 29 dicembre 2022] divenuti frattanto perseguibili a querela, ove non sia stato ancora iscritto il procedimento penale, l’ordinario termine per proporre querela (trimestrale: art. 124 cod. pen. 37) decorre dall’entrata in vigore della riforma [ora dal 30 dicembre 2022] (artt. 85, comma 1, e 99-bis);

b) nel caso in cui alla data di entrata in vigore del decreto [ora dal 30 dicembre 2022] sia già incardinato il procedimento penale sulla base della pregressa perseguibilità officiosa, l’art. 85 onera l’autorità giudiziaria [id est: il pubblico ministero in fase di indagini preliminari, tramite segreteria; il giudice in fase dibattimentale, a mezzo cancelleria] del compito di informare la persona offesa – ricorrendo, se del caso, ad ogni utile ricerca anagrafica – della facoltà di esercitare il diritto di querela ed il termine per la sua proposizione decorre a partire dal giorno in cui la persona offesa è stata informata (art. 85, comma 2).

In questa seconda ipotesi, dunque, la scadenza del termine trimestrale per proporre querela, non è fissa come nella prima ma diviene “mobile”, in funzione delle variabili derivanti dai tempi di notifica ricettizia dell’informativa alla persona offesa. Se la querela non dovesse essere presentata entro tali termini, ovvero dovesse essere formalizzata espressa rinuncia dalla persona offesa (art. 339 cod. proc. pen.), andrà resa sentenza di non doversi procedere (in sede dibattimentale) ovvero pronunciata archiviazione (in fase di indagini preliminari) per improcedibilità.

L’odierna disciplina transitoria, attesa la medesimezza di contenuto rispetto alle pregresse analoghe discipline surrichiamate, va interpretata secondo i rilevanti principi già indicati dalla risalente Sez. U, n. 5540 del 17/04/1982, Corapi, Rv. 154076/77/78-01 (in relazione alla corrispondente norma dell’art. 99 della legge n. 689 del 1981 38), principi dai quali non vi è motivo di scostarsi, come di recente ribadito con riferimento all’identico art. 12 del d.lgs. n. 36 del 2016 da Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273552-01 39, § 3.1).

Nell’occasione il giudice nomofilattico ha affermato, tra l’altro, che l’art. 99 cit. [ora art. 85 d.lgs. n. 150] è da interpretare nel senso che per i reati commessi prima del giorno di entrata in vigore della legge sopravvenuta e divenuti perseguibili a querela, il termine di proponibilità della querela stessa decorre, ove il procedimento non sia pendente, da detto giorno allorché la persona offesa abbia avuto in precedenza notizia del fatto mentre, in caso di pendenza del procedimento, dal giorno in cui quella persona sia stata informata dall’autorità giudiziaria, ancorché abbia già avuto notizia del fatto costituente reato; e ciò perché «la circostanza che discrimina la previsione del comma 2 rispetto a quella del comma 1, è costituita dalla pendenza del procedimento e non dalla conoscenza del fatto costituente reato da parte della persona offesa».

Il correttivo del comma 2 dell’art. 99 [ora del comma 2 dell’art. 85 d.lgs. n. 150] alla regola posta nel comma 1 è da spiegare – secondo il giudice nomofilattico – «con l’intento di impedire che i procedimenti promossi per reati originariamente perseguibili di ufficio possano chiudersi con una sentenza di proscioglimento per mancanza di querela sulla base della fictio legis secondo cui lex interpellat pro iudice e non già dopo una formale informativa rivolta dal giudice alla persona offesa in ordine alla facoltà di esercizio della querela» (così Sez. U, n. 5540 del 17/04/1982, cit., Rv. 154076- 01; principio di diritto ripreso integralmente, con riferimento all’omologo art. 19 della legge n. 205 del 1999, da Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, cit.; conf. Sez. 5, n. 3780 del 6/07/2000, Giordo, Rv. 216730-01; conf. Sez. 4, n. 31472 del 04/07/2002, P.G. in proc. Stankovic, Rv. 222207-01).

Il giudice nomofilattico, al fine di evitare che l’adottata interpretazione [oggi riferibile all’art. 95] debba essere esasperata al punto di portarla a conseguenze aberranti sul piano dei principi ovvero comportanti, sul piano pratico, ingiustificati ritardi o paralisi procedimentali, ha altresì elencato i casi in cui l’avviso all’offeso non debba essere effettuato: quando il diritto di querela sia stato già formalmente esercitato; quando, al contrario, l’offeso abbia già formalmente rinunciato al diritto di querelarsi; quando sia già intervenuta una causa di estinzione del reato; quando la persona offesa non sia stata identificata ovvero risulti irreperibile (Sez. U, n. 5540 del 17/04/1982, cit., Rv. 154077/78-01; conf. Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, cit., § 3.2).

Nelle indicate situazioni dev’essere immediatamente dichiarata, ai sensi dell’art. 152 cod. pen., l’improcedibilità per mancanza o per remissione di querele.

Con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. n. 36 cit., si è altresì affermato nella giurisprudenza di legittimità – in via prevalente – che la disciplina transitoria prevista dall’omologo art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2018 [oggi, in termini identici, art. 85, comma 2, d.lgs. n. 150], la quale, in caso di procedimento pendente, prevede l’avviso alla persona offesa per l’eventuale esercizio del diritto di querela, trova applicazione anche in relazione alla persona offesa che in precedenza abbia manifestato la volontà di punizione oltre il termine di cui all’art. 124 cod. pen., atteso che la valutazione in ordine alla condizione di procedibilità è ancorata al momento dell’entrata in vigore del nuovo regime normativo, a nulla rilevando eventuali irregolarità della querela afferenti ad un momento procedimentale anteriore, in cui la querela stessa non era richiesta ai fini della procedibilità (Sez. 2, n. 25341 del 13/05/2021, Magnanelli, Rv. 281465-01; conf. Sez. 2, n. 11970 del 21/02/2020, Toma, n.m. sul punto; Sez. 2, n. 13775 del 30/01/2019, Greco, n.m. sul punto; Sez. U, n. 5540 del 17/04/1982, cit.; Sez. 4, n. 1141 del 29/10/1984, dep. 1985, Biondonno, Rv. 167675-01; contra, nel senso che non si applica alla persona offesa che abbia già manifestato la volontà di punizione, anche se in modo irrituale ed in violazione delle forme previste dalla legge, poiché, diversamente, l’avviso si risolverebbe in una rimessione in termini ovvero nel riconoscimento della possibilità di sanare i vizi dell’atto, v. Sez. 2, n. 12410 del 13/02/2020, De Giorgio, Rv. 279057-01; conf. Sez. 2, n. 8823 del 04/02/2021, Sanfilippo, Rv. 280764-01).

La disciplina transitoria ex art. 85 d.lgs. n. 150 deve ritenersi operativa anche in riferimento ai procedimenti pendenti in Cassazione (arg. Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, cit., § 3.1, con riferimento all’omologo art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2018, cit.).

Nel tempo necessario a dare attuazione alle disposizioni transitorie previste dall’art. 85 d.lgs. n. 150, il corso della prescrizione non resta sospeso (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, cit., § 9).


3. Disposizioni transitorie in materia di notificazioni al querelante (art. 86).

La disposizione transitoria di cui all’art. 86 del d.lgs. n. 150, in materia di notificazioni al querelante prevede una deroga al principio del tempus regit actum per l’art. 153-bis, comma 5, cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 10, lett. e, d.lgs. n. 150 del 2022), contemplante, a regime, una modalità di notificazione “semplificata” alla persona offesa che abbia proposto querela presso la segreteria del pubblico ministero procedente o la cancelleria del giudice procedente, quando mancano o sono insufficienti o inidonee la dichiarazione o l’elezione di domicilio, d’ora in poi richiesta in capo al querelante. La ratio (e la necessità) della disposizione transitoria de qua si spiega – secondo la Relazione illustrativa – in ragione del fatto che «la modalità di notificazione semplificata (con deposito dell’atto da notificare in cancelleria) è la conseguenza di un mancato assolvimento dell’obbligo legale di dichiarare ovvero eleggere domicilio d’ora in poi previsto a carico della parte offesaquerelante.

Tuttavia, non si può trascurare che tale obbligo legale non sussisteva, prima dell’entrata in vigore del decreto. Appare dunque logico che la modalità di notificazione “semplificata” – che è la conseguenza procedimentale di una mancata o inidonea dichiarazione di domicilio – possa determinarsi nei soli casi in cui l’obbligo legale di dichiarare o eleggere valido domicilio già esisteva»40.

Sulla base di queste premesse, l’art. 86 è limitato ai casi di mancata dichiarazione o elezione di domicilio o di assenza di difensore e prevede per le querele presentate prima dell’entrata in vigore del decreto [quindi fino al 20 dicembre 2022] che le notificazioni al querelante siano eseguite nelle forme ordinarie a norma degli art. 157, commi 1, 2, 3, 4 e 8, cod. proc. pen.

La disposizione transitoria de qua, essendo norma di stretta interpretazione (art. 14 prel.), non si applica per i casi di elezione di domicilio insufficiente o inidonea, ivi non contemplati, con conseguente “riviviscenza” per queste sole ipotesi della modalità di notificazione “semplificata” previste a regime dalla riforma mediante deposito dell’atto in cancelleria ai sensi del novello art. 153-bis, comma 5, cit.

Tale diversità di regime per situazioni apparentemente analoghe si spiega – secondo la Relazione illustrativa – in ragione del fatto che, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150, il querelante ben può conformare il proprio comportamento alle nuove previsioni ivi previste a suo carico, senza contare che l’elezione di domicilio insufficiente o inidonea è comunque frutto di un proprio contegno 41.


4. Disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico (art. 87).

In materia di processo penale telematico, ulteriore pilastro della riforma 42, in attuazione dei criteri di delega, l’art. 87 d.lgs. n. 150 appronta una normativa transitoria facente rinvio all’emananda normativa secondaria prevedendosi che:

1) con regolamento attuativo da adottarsi entro il 31 dicembre 2023 con decreto del ministro della giustizia saranno definite le regole tecniche riguardanti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni [esclusivamente] telematiche degli atti del procedimento penale, anche modificando, ove necessario, il regolamento di cui al d.m. giustizia n. 44 del 2011, in ogni caso, assicurando la conformità al principio di idoneità del mezzo e a quello della certezza del compimento dell’atto (art. 87, comma 1, d.lgs. cit.);

2) nel rispetto delle disposizioni del d.lgs. n. 150 del 2022 e dell’emanando regolamento di cui al comma 1, potranno essere adottate ulteriori regole tecniche con atto dirigenziale del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA) (art. 87, comma 2, d.lgs. cit.);

3) con decreto del ministro della giustizia da adottarsi entro il 31 dicembre 2023, sentiti il C.S.M. e il C.N.F., saranno individuati gli uffici giudiziari e le tipologie di atti per cui possano essere adottate anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione, nonché i termini di transizione al nuovo regime di deposito, comunicazione e notificazione esclusivamente telematici (art. 87, comma 3, d.lgs. cit.).

L’emanazione di tali regolamenti risulta essenziale per dettare le coordinate temporali di applicazione di gran parte delle modifiche apportate dalla novella sul processo penale telematico: è ad essi, infatti, che l’intervento guarda come “spartiacque” di operatività delle disposizioni ante e post riforma 43.

La disciplina transitoria in commento de qua pone poi un fondamentale distinguo tra le disposizioni normative di nuova introduzione e gli interventi modificativi di disposizioni vigenti, con l’espressa indicazione delle norme la cui operatività è necessariamente condizionata ai tempi ed ai contenuti degli emanandi regolamenti attuativi suindicati. Si prevede per un verso che, sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai succitati commi 1 e 3 dell’art. 87 (ovvero sino al diverso termine di transizione previsto dal primo regolamento), per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati, continueranno ad applicarsi nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 le disposizioni di cui agli artt. 110, 111, comma 1, 125, comma 5, 134, comma 2, 135, comma 2, 162, comma 1, 311, comma 3, 391-octies, comma 3, 419, comma 5, primo periodo, 461, comma 1, 462, comma 1, 582, comma 1, 585, comma 4, cod. proc. pen., nonché le disposizioni di cui l’art. 154, commi 2, 3 e 4 disp. att. cod. proc. pen. (art. 87, comma 4, d.lgs. cit.).

Per altro verso, e in stretta correlazione con ciò, si identifica nello stesso indicatore temporale il dies a quo a partire dal quale troveranno invece applicazione le disposizioni di cui agli artt. 111, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, 111-bis, 111-ter, 122, comma 2-bis, 172, commi 6-bis e 6- ter, 175-bis, 386, comma 1-ter, 483, comma 1-bis, 582, comma 1-bis, cod. proc. pen., così come introdotte o modificate dal d.lgs. n. 150): si applicheranno a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti attuativi di cui ai succitati commi 1 e 3 (ovvero a partire dal diverso termine previsto dal primo regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati) (art. 87, comma 5, prima parte, d.lgs. n. 150).

Si è altresì previsto che, fino alle stesse date, per la dichiarazione e l’elezione di domicilio del querelante prevista con modalità telematica dal comma 2 dell’art. 153-bis cod. proc. pen, di nuova introduzione, nonché le comunicazioni previste sempre con modalità telematiche dal comma 3 dello stesso articolo, non operi il richiamo all’art. 111-bis cod. proc. pen., con la conseguenza che sino a quel momento saranno operative le altre modalità “analogiche” previste in via alternativa dalla nuova disposizione (quindi mediante telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata dal notaio, o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ovvero con dichiarazione effettuata davanti al cancelliere del pubblico ministero o del giudice procedente) (art. 87, comma 5, seconda parte, d.lgs. n. 150). Da tutto ciò consegue, dunque, che le innovative disposizioni sulla formazione digitale degli atti (art. 110 cod. proc. pen.), sul deposito telematico (art. 111-bis cod. proc. pen.), sul fascicolo informatico (art. 111-ter cod. proc. pen.), sui malfunzionamenti dei sistemi informatici (art. 175- bis cod. proc. pen.) non saranno subito operative, ma potranno contare su un opportuno e imprescindibile arco temporale per essere pronte a entrare in vigore in un contesto idoneo ad accoglierle 44.

Si è infine stabilito che le disposizioni dell’art. 164 disp. att. cod. proc. pen. – norma abrogata dall’art. 98, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 – continueranno a trovare applicazione ultrattivamente sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 (ovvero sino al diverso termine previsto dal regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e le tipologie di atti in esso indicati).

Da ultimo, si è previsto che sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti attuativi di cui ai succitati commi 1 e 3 (ovvero fino al diverso termine previsto dal regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e le tipologie di atti in esso indicati), continueranno ad applicarsi le disposizioni “emergenziali” dell’art. 24, commi 1, 2 e 3, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Tale intervento risponde all’esigenza di evitare soluzioni di continuità nel procedimento di transizione digitale del processo penale già avviato con la normativa emergenziale anti-Covid.

Il (perdurante) rinvio a tali previsioni, pertanto, implica la persistenza dell’obbligo, in tale frangente temporale, di depositare memorie, documenti, richieste e istanze di cui all’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., o gli ulteriori atti individuati da decreti del ministro della giustizia, tramite l’apposito portale del processo penale telematico.

La disciplina transitoria è estesa anche agli atti del procedimento penale telematico militare, ma i regolamenti di cui ai succitati commi 1 e 3 saranno adottati, sempre entro il 31 dicembre 2023, con decreto del ministro della difesa, sentiti il C.M.M. e il Garante per la protezione dei dati personali (art. 87, comma 7, d.lgs. n. 150).

Trattandosi di disciplina transitoria calibrata su esigenze organizzative-attuative, si ritiene di non dover procedere oltre alla sua analisi nella presente sede.

Basti solo rilevare che essa risponde all’evidente necessità di garantire una necessaria transizione digitale in linea con i tempi inevitabilmente richiesti per consentire a tutti gli attori della giustizia di mettersi al passo con i profondi mutamenti normativi 45: l’imposizione di un adattamento immediato da parte degli uffici giudiziari a tutte le delineate novità avrebbe prodotto enormi difficoltà operative e organizzative, con il concreto pericolo di determinare, anziché un’accelerazione del processo penale, una paralisi delle attività in diverse realtà giudiziarie 46.

Basti pensare alla complessità della creazione di un fascicolo informatico comprensivo delle procedure di sottofascicolazione richieste dalle varie fasi processuali ovvero al fatto che la gestione, a regime, di tutti gli atti e documenti in formato digitale relativi alle indagini preliminari, richiederà inevitabilmente tempi lungi di attuazione, legati ad ogni fase di operatività del sistema [indagini preliminari – udienza preliminare – dibattimento], da associare con appositi provvedimenti del DGSIA che attestino la funzionalità del servizio, dovendosi altresì procedere all’eventuale migrazione dei documenti informatici già esistenti sulle piattaforme documentali in uso (ad esempio da ex TIAP, PDOC, DIGIT, file system ecc.); la milestone per ogni fase è la piena operatività e disponibilità del fascicolo informatico aggiornato per tutte le parti del processo.

A tali tempistiche il legislatore delegato ha, dunque, collegato le indicazioni temporali “certe” da utilizzare per il regime transitorio. Inoltre, per l’entrata a regime del nuovo processo penale telematico, sarà necessario operare una preliminare ricognizione di tutte le dotazioni HW disponibili, anche presso le aule di udienza, e provvedere alle relative installazioni in caso di carenze, al fine di rendere utilizzabile, comunque, il fascicolo informatico in ogni stato e grado del giudizio, seppure per singole fasi procedimentali.

Per tali ragioni, la realizzazione di tali presupposti e le relative scansioni temporali sono state rimesse, in coerenza con quanto previsto dalla legge delega, all’emananda normazione secondaria.

Si segnala che, in tema di deposito degli atti di impugnazione per effetto delle norme transitorie il nuovo art. 582 cod. proc. pen. sulle modalità di deposito telematico degli atti d’impugnazione è destinato ad entrare in vigore a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti attuativi, mentre gli artt. 582, comma 2, e 583 cod. proc. pen. saranno abrogati (art. 98) con efficacia immediata a far data dall’entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022].

Il che potrebbe determinare – al netto di eventuali interventi correttivi di tipo legislativo – modalità penalizzanti per l’imputato fino all’entrata a regime della disciplina relativa al processo telematico 47: a tali problematiche si potrebbe peraltro rimediare mediante la proroga in parte qua delle modalità già previste dalla disciplina emergenziale sotto il profilo della proponibilità via pec (art. 24 d.l. n. 137 del 2020).


5. Disposizioni transitorie in materia di assenza e di restituzione nel termine per proporre impugnazione in procedimenti per reati antecedenti al 1° gennaio 2020 (artt. 88 e 89).

In tema di procedibilità in assenza, l’odierna riforma ha introdotto, con la fitta serie di modifiche e aggiunte operate dall’art. 23 d.lgs. n. 150 al Titolo IX del Libro V del codice di rito, un meccanismo complessivamente ispirato all’effettiva conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, tale da non implicare più la sospensione del procedimento.

L’obiettivo perseguito è correggere alcune storture interne rispetto alle indicazioni in sede europea e perseguire esigenze di deflazione, a fronte dell’evidente antieconomicità derivante dal processare “imputati fantasma”, i quali non hanno avuto conoscenza della celebrazione del processo 48. Ai sensi del nuovo comma 2-bis dell’art. 420 cod. proc. pen., soltanto in caso di regolarità delle notificazioni, se l’imputato non è presente né è impedito ai sensi del novellato art. 420-ter cod. proc. pen., il giudice procede alla verifica dell’assenza ai sensi dell’art. 420-bis cit.: norma disciplinante le condizioni legittimanti la celebrazione del processo in absentia ora interamente innovata, con una doverosa espunzione, sulla falsariga delle indicazioni già impresse dalla giurisprudenza nomofilattica (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, P.G. c. Ismail Darwish, Rv. 279420-01 49), del profilo maggiormente critico dell’articolo, compendiato dai criteri presuntivi di conoscenza del processo. Ai fini della procedibilità in absentia, il nuovo comma 2-ter del cit. art. 420 chiarisce che si considera presente ed è rappresentato dal difensore non solo l’imputato che dopo essere comparso si allontana dall’aula di udienza o che, presente ad un’udienza, non compare alle successive, ma anche l’imputato che abbia richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale o che sia rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la scelta di un procedimento speciale.

Operate le verifiche prodromiche, il giudice procede in assenza qualora: - l’imputato sia stato citato a comparire con notificazione in mani proprie o con notificazione avvenuta nelle mani di una persona espressamente delegata dall’imputato al ritiro dell’atto; l’imputato abbia espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell’art. 420-ter, abbia rinunciato espressamente a farlo valere (art. 420-bis, comma 1, lett. a e b, cod. proc. pen.); - il giudice ritenga altrimenti provata – ipotesi di rilevante novità – l’effettiva conoscenza della pendenza del processo in capo all’imputato, sulla base di una serie di elementi rimessi alla sua prudente valutazione, avuto riguardo ad ogni altra circostanza rilevante unitamente a quelle indicate a titolo esemplificativo (modalità della notificazione, atti compiuti prima dell’udienza, nomina di un difensore di fiducia); - l’imputato si è volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo (categoria certamente comprensiva della latitanza, per la quale la delega espressamente ha previsto che si proceda sempre in assenza, oltre ai casi non tipizzati nella norma, rispetto ai quali si possa ritenere che la mancata conoscenza dipenda da un comportamento volontario) (art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen.).

Ricorrendo uno di questi casi, il giudice dichiara l’imputato assente, con la conseguenza che, salvo che la legge non disponga diversamente, sarà rappresentato dal difensore (art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen.). Fuori dai casi previsti nei commi da 1 a 3, prima di procedere ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. con l’inedito esito definitorio della sentenza di non doversi procedere per assenza “impediente” (v. postea), il giudice deve disporre il rinvio dell’udienza e la notificazione all’imputato personalmente, ad opera della polizia giudiziaria, dell’avviso di cui all’art. 419 cod. proc. pen., della richiesta di rinvio a giudizio e del verbale d’udienza (art. 420-bis, comma 5, cod. proc. pen.): tale procedura porterà o a rintracciare effettivamente l’imputato oppure ad acclarare una concreta impossibilità di rintracciarlo. Il giudice dispone sempre la revoca dell’ordinanza che ha dichiarato l’assenza, anche d’ufficio, se l’imputato sia comparso prima della decisione. In tale evenienza, l’imputato è restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali sia decaduto se fornisce la prova delle condizioni previste dalle lett. a), b) e c) dell’art. 420-bis, comma 6, cod. proc. pen. Conformemente alla legge di delega, nell’inedito art. 420-quater cod. proc. pen. è stato convogliato l’innovativo esito definitorio della sentenza di non doversi procedere per cd. assenza “impediente” qualora non siano soddisfatte le condizioni per procedere in assenza dell’imputato.

Si tratta di sentenza inappellabile per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, che definisce il procedimento, sicché il destinatario della stessa non è più imputato e il fascicolo va specificamente archiviato per un più agevole recupero in vista della (eventuale) prosecuzione del processo 50. Con la pronuncia della sentenza de qua si apre un periodo di ricerca del prosciolto 51, che è stato determinato, sulla base della legge delega, nella misura del doppio dei termini stabiliti dall’art. 157 cod. pen. ai fini della prescrizione, frattanto sospesa ai sensi del nuovo art. 159 cod. pen. Decorso tale periodo, la sentenza di non doversi procedere non può più essere revocata, ponendosi fine alle ricerche che, altrimenti, sarebbero infinite. Per questo motivo, si prevede che la sentenza debba dare indicazione della data di prescrizione di ciascun reato. Sulla base di questa innovativa soluzione, sono del tutto evidenti la portata deflattiva della manovra e la significativa incidenza sullo stesso disposition time 52, posto che tutti i casi di emissione della sentenza di non doversi procedere, invece di essere computati come pendenti, finiranno tra i procedimenti definiti; con ciò verrà progressivamente ridotto il numeratore e, al contempo, aumentato il denominatore del calcolo della durata ipotetica dei processi 53.

Proseguendo con l’analisi sommaria della disciplina, quando la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza di non doversi procedere viene rintracciata, la polizia giudiziaria le notifica la sentenza e le dà avviso della riapertura del processo, nonché della data dell’udienza, ai sensi dell’art. 420-sexies cod. proc. pen. Il giudice, a questo punto, con decreto, revoca la sentenza e, salvo che sia maturato il termine di prescrizione di cui all’art. 159, ultimo comma, cod. pen. per tutti i reati al medesimo ascritti, fa dare avviso al pubblico ministero, al difensore dell’imputato e alle altre parti della data dell’udienza, almeno venti giorni prima della stessa. Quanto alla modificata disciplina dell’assenza in appello, il novellato comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. dispone che nell’ipotesi dell’imputato rispetto al quale si sia proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore va depositato, a pena d’inammissibilità, uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Come è evidente, l’intento è quello di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, volendosi in tal modo evitare la pendenza di regiudicande nei confronti di imputati ignari del processo 54. La norma dà conto della differenziazione della disciplina dell’assenza in appello, riferibile ai seguenti casi: a) imputato appellante, non presente all’udienza di cui agli artt. 599 e 602 cod. proc. pen. (cfr. art. 598-ter, comma 1, cod. proc. pen.): verrà sempre giudicato in assenza, anche fuori dei casi di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen., giacché l’obbligo di depositare, con l’atto di appello, apposito mandato ad impugnare - conferito dopo la pronuncia della sentenza - è indicativo di per sé dell’effettiva conoscenza del processo e della sentenza impugnata, in capo all’imputato; b) imputato non appellante, non presente all’udienza di cui agli artt. 599 e 602 cod. proc. pen. (cfr. art. 598-ter, comma 2, cod. proc. pen.), sempre che risulti la regolarità delle notificazioni: la corte d’appello procede in assenza solo se sussistono le condizioni di cui all’articolo 420-bis, commi 1, 2 e 3, altrimenti dispone con ordinanza la sospensione del processo, ordinando le ricerche dell’imputato ai fini della notifica del decreto di citazione (esclusa dunque la disciplina di cui agli artt. 420-quater e ss., essendovi qui una sentenza di primo grado, che sarebbe revocata ove intervenisse una sentenza di non luogo a procedere).

Ancora, con riguardo, poi, alla disciplina dell’appello, l’odierna riforma incide su vari profili ricollegabili (anche) alla disciplina del processo in assenza: ancora una volta in chiara ottica deflattiva, sono ampliate le ipotesi di inammissibilità dell’atto di appello, a fronte di una riduzione del novero dei provvedimenti impugnabili. Limitando – allo stato – la disamina delle interpolazioni che rilevano ai fini dell’annessa disciplina propriamente transitoria, si segnalano le nuove ipotesi di inammissibilità dell’atto di appello enumerate nei tre nuovi commi nell’art. 581 cod. proc. pen., conseguenti: - alla mancanza di specificità dei motivi (art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen.); - al mancato deposito della dichiarazione di domicilio (art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen.); - al mancato deposito del mandato ad impugnare, in caso di appello proposto nell’interesse dell’imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza (art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen.). Soffermandoci, in particolare, sui casi previsti dai succitati commi 1-ter e 1-quater, essi riguardano, rispettivamente, l’imputato presente e l’imputato assente nel giudizio di primo grado 55.

Nella prima ipotesi, qualora l’imputato sia stato presente, il comma 1-ter richiede il deposito, insieme all’atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.

Dal tenore letterale della disposizione, sembrerebbe che tale obbligo incomba anche sull’imputato che abbia già eletto o dichiarato domicilio in una fase precedente, pena l’inammissibilità dell’appello. Nel caso di imputato assente in primo grado, invece, il comma 1-quater esige che l’appello presentato dal difensore debba essere accompagnato da specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, «contenente» altresì l’elezione di domicilio di cui al comma 1-ter cit. 56. La previsione è tassativa, sicché nel caso di appello depositato personalmente dall’imputato trova applicazione il solo comma 1-ter, col conseguente solo onere di indicare il domicilio eletto o dichiarato ai fini delle notifiche. La disposizione del comma 1-quater va poi letta congiuntamente col comma 1-bis dell’art. 585 cod. proc. pen., di nuova introduzione, che prevede l’allungamento di quindici giorni dei termini, previsti a pena di decadenza, per la proposizione dell’appello quando questo sia proposto dal difensore dell’imputato giudicato in assenza.

Le due norme, dunque, hanno il medesimo campo di applicazione e sono volte a garantire che l’appello proposto dall’imputato assente sia effettivamente motivato dal suo personale interesse al gravame, consentendo, al contempo, al difensore di godere di un congruo termine per prendere contatti con l’imputato e confrontarsi con il medesimo. In questo rinnovato quadro legislativo, chiudono il cerchio sulla riforma della disciplina in absentia le disposizioni di nuovo conio tarate sui rimedi in corso di processo.

Quanto all’appello, l’art. 43, comma 1, lett. l, d.lgs. n. 150) ha modificato l’art. 604 cod. pen. Da un lato, il comma 5-bis della disposizione è sostituito da una nuova disciplina deputata a trattare i casi in cui vi è la prova che nel giudizio di primo grado si è proceduto in assenza dell’imputato, in difetto delle condizioni ex art. 420-bis, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. In questa evenienza, la Corte di appello è tenuta a dichiarare la nullità della sentenza e a disporre la trasmissione degli atti al giudice che procedeva al momento in cui si è verificata la nullità.

Secondo la stessa impostazione di cui al nuovo art. 489 cod. proc. pen., la nullità si deve, però, considerare sanata, qualora non sia stata dedotta nell’atto di appello e, in ogni caso, non può essere rilevata o eccepita, laddove emerga che «l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo ed era nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata». Dall’altro lato, dopo il comma 5-bis sono aggiunti due inediti commi 5-ter e 5-quater, per effetto dei quali, salva la validità degli atti precedentemente compiuti, deve essere disposto l’annullamento della sentenza e la conseguente trasmissione degli atti al giudice della fase in cui la facoltà, rispetto a cui l’imputato è decaduto, può essere esercitata.

Il tutto, però, è subordinato alla prova da parte del medesimo dei consueti presupposti stabiliti nel nuovo impianto normativo, a cominciare dall’art. 420-bis, comma 6, lett. a) e b), cod. proc. pen.: egli, cioè, è tenuto a provare che, «per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell’assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento senza sua colpa».

In alternativa, deve dimostrare, limitatamente ai casi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 420-bis cod. proc. pen., «di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non essere potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto». In ogni caso secondo la disposizione di nuovo conio l’annullamento della sentenza e la regressione del procedimento sono esclusi, qualora il prevenuto formuli istanza di patteggiamento o di oblazione o chieda «esclusivamente la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale». Siffatta eccezione muove dall’idea – spiega la Relazione illustrativa 57 – che a queste ipotesi può provvedere direttamente la Corte di appello. Connessa a quest’ultimo intervento si pone, d’altra parte, la modifica dell’art. 603 cod. proc. pen., al cui interno è inserito un inedito comma 3-ter (aggiunto dall’art. 34, comma 1, lett. i, n. 2, del d.lgs. n. 150). In ragione di ciò, viene disposta un’ulteriore ipotesi di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nel caso in cui il prevenuto ne faccia richiesta ai sensi dell’art. 604, commi 5-ter e 5-quater, cod. proc. pen.

Peraltro, qualora si sia proceduto in assenza ex art. 420-bis, comma 3, cod. proc. pen., la rinnovazione viene subordinata al criterio maggiormente restrittivo di cui all’art. 190-bis cod. proc. pen.

Rispetto, invece, al giudizio in cassazione, l’art. 35, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 introduce una inedita lett. b-bis) nel comma 1 dell’art. 623 cod. proc. pen. Sulla scia del novellato art. 604 cod. proc. pen., il novum contempla l’annullamento della sentenza di condanna sia nei casi previsti dall’art. 604, comma 5-bis, sia in quelli di cui al comma 5-ter della stessa previsione, con conseguente trasmissione degli atti, nella prima ipotesi, al giudice del grado e della fase in cui si è verificata la nullità e, nella seconda ipotesi, a quello del grado e della fase in cui può essere esercitata la facoltà rispetto alla quale il prevenuto è decaduto.

Ciò, tuttavia, non opera, qualora emerga che l’imputato «era a conoscenza della pendenza del processo» e versava, altresì, «nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata».

In questo contesto così profondamento innovato, il legislatore delegato ha avvertito l’esigenza di un intervento ad hoc che disciplini in via transitoria l’entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di assenza (art. 89) e di restituzione nel termine per proporre impugnazione a favore dell’imputato giudicato in assenza (art. 88).

Ciò si è imposto in ragione del fatto – come spiega la Relazione illustrativa – che il principio tempus regit actum qui potrebbe non essere soddisfacente, data la difficoltà di individuare l’actum a fronte della sequenza processuale concatenata; inoltre, anche il tempus è di difficile individuazione quando è un’intera sequenza processuale concatenata ad essere disciplinata ex novo 58.

La disciplina transitoria approntata all’art. 89 del d.lgs. n. 150 dà puntuale attuazione al criterio di delega che ha imposto di avvisare il condannato, nel provvedimento di esecuzione, che, ove si sia proceduto in sua assenza, potrà attivare i rimedi previsti che sono, a seconda dei casi, la remissione nel termine per impugnare o la rescissione del giudicato. Su questa base, l’art. 89 del d.lgs. n. 150 distingue due ipotesi:

a) per i processi pendenti in cui, alla data di entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022], sia stata già pronunciata (in qualsiasi stato e grado) ordinanza con cui si è disposto procedersi in assenza dell’imputato, continuano ad applicarsi le disposizioni procedurali ante riforma (art. 89, comma 1);

b) in deroga a tale previsione, nei processi in cui alla data di entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022], nell’udienza preliminare o nel giudizio di primo grado, sia stata già disposta la sospensione del processo ai sensi dell’art. 420-quater, comma 2, cod. proc. pen. nella sua previgente formulazione e l’imputato non sia stato ancora rintracciato, il giudice provvede, invece, ai sensi del novello art. 420-quater cod. proc. pen., con conseguente emanazione della sentenza di non doversi procedere per assenza “impediente”. In questo caso, si applicano, altresì, gli artt. 420-quinquies e 420-sexies cod. proc. pen., introdotti dalla riforma (art. 89, comma 2, d.lgs. n. 150).

In sintesi, vale la regola che, se il giudice è già intervenuto sulla costituzione delle parti ed ha già pronunciato ordinanza con cui ha disposto procedersi in assenza dell’imputato, si dovrà procedere con la vecchia disciplina nei procedimenti in corso al 30 dicembre 2022, i quali proseguiranno con l’applicazione ultrattiva delle previgenti disposizioni del codice di rito e di quelle attuative in materia di assenza, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato. In via di eccezione, si applicano le nuove disposizioni, a partire dalla disciplina della sentenza di non luogo a procedere per assenza “impediente”, quando non sia stata già dichiarata l’assenza dell’imputato ma siano state già disposte le sue ricerche di cui al comma 2 dell’art. 420-quater cod. proc. pen. e l’imputato non sia stato ancora reperito: in tali processi, anziché disporsi nuove ricerche ai sensi dell’art. 420-quinquies nel testo previgente, il giudice provvederà ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen. come ora modificato, con applicazione delle norme conseguenti.

Immediatamente operative – alla data di entrata in vigore del decreto [ora al 30 dicembre 2022] – sono le previsioni di cui agli artt. 157-ter, comma 3, in tema di notifiche all’imputato non detenuto dell’atto di citazione a giudizio esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto, e di cui agli artt. 581, commi 1-ter e 1-quater, e 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., circa le nuove incombenze imposte per impugnare e i nuovi termini previsti in appello: dette norme si applicheranno però alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze di primo grado pronunciate in data successiva all’entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022]. In questi casi, si è altresì estesa l’applicazione delle disposizioni dell’art. 175, nuovo comma 2.1, cod. proc. pen. 59 – rientrante tra i rimedi post iudicatum60 – che hanno introdotto - a “compensazione” del maggior onere previsto per impugnare - il diritto ad un’impugnazione tardiva (art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150), mediante la riproposizione dell’istituto della restituzione nel termine, giustificata – chiarisce la Relazione illustrativa61 – alla luce di quanto contestualmente previsto nell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. Nei procedimenti che proseguono con il “vecchio rito” si continua ad applicare ultrattivamente anche la disposizione sostanziale di cui all’art. 159, comma 1, n. 3-bis), cod. pen. nel testo previgente anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1, lett. i), del d.lgs. n. 150 del 2020, in relazione all’effetto sospensivo della prescrizione durante il tempo per effettuare le ricerche dell’imputato (art. 89, comma 4, d.lgs. n. 150).

In modo connesso, il legislatore delegato si è fatto carico di disciplinare il regime transitorio di quei procedimenti che hanno ad oggetto reati commessi dopo il 18 ottobre 2021 [data di entrata in vigore della legge n. 134 del 2021, il cui art. 2, comma 1, ha modificato gli artt. 159 e 160 cod. pen. ed introdotto l’art. 161-bis cod. pen.] che, pur proseguendo con il “vecchio rito” prescrizionale, non godono del limite massimo alla sospensione della prescrizione previsto dal regime precedente ex art. 159 cod. pen., perché abrogato con la legge n. 134 del 2021.

Per questi casi, si fissa il limite massimo di durata della sospensione del corso della prescrizione oggi introdotto con l’inedito ultimo comma dell’art. 159 cod. pen. (art. 1, lett. i, n. 2, d.lgs. n. 150 del 2022), pari al doppio dei termini di prescrizione di cui all’art. 157 cod. pen. (art. 89, comma 5, d.lgs. n. 150).

Sempre con riferimento all’imputato giudicato in assenza, l’art. 88 del d.lgs. n. 150 apporta una disciplina transitoria recante alcune puntualizzazioni temporali rispetto alla normativa sulla prescrizione, rese necessarie dalle novità introdotte in argomento con riguardo ai procedimenti che hanno ad oggetto reati commessi prima del 1° gennaio 2020 [ovvero prima della legge n. 3 del 2019 sul cd. “blocco” della prescrizione, che qui decorre, quindi, anche in fase di impugnazione] rispetto ai quali sia disposta la restituzione nel termine prevista dal comma 2.1 dell’art. 175 cod. proc. pen. di nuova introduzione (tale ultima ipotesi prevede che l’imputato giudicato in assenza possa essere restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’art. 420- bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen. (v. supra), fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa).

In coerenza con le altre disposizioni restitutorie dell’art. 175 cod. proc. pen., l’art. 88 prevede, dunque, in via transitoria, che non si tenga conto, ai fini della prescrizione del reato, del tempo intercorso tra la scadenza dei termini per impugnare di cui all’art. 585 cod. proc. pen. e la notificazione alla parte dell’avviso di deposito dell’ordinanza che concede la restituzione.


6. Disposizioni transitorie in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 90).

L’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto – a vocazione riparativa – della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, conseguente all’estensione del catalogo dei reati a citazione diretta per effetto del nuovo comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen., come richiamato dall’art. 168-bis, comma 1, cod. pen. (a sua volta ora esteso col riferimento anche alla proposta del pubblico ministero: art. 1, comma 1, lett. m, d.lgs. n. 150), ha reso opportuna la previsione di una disciplina di diritto transitorio in subiecta materia62.

Il legislatore delegato ha inteso così evitare quanto accadde con l’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 che, introducendo per la prima volta nell’ordinamento l’istituto della messa alla prova, non dettò disposizioni intertemporali, con conseguente impossibilità di accedere a tale forma di definizione del processo per tutti i giudizi in cui – alla data di entrata in vigore della legge n. 67 cit. – vi fosse già stata la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Proprio la mancata previsione di una disciplina transitoria suscitò alcune incertezze applicative e talune oscillazioni giurisprudenziali63 che, oggi, con la disposizione approntata all’art. 90 qui in commento, si è inteso scongiurare, con una disciplina transitoria orientata a privilegiare la dimensione special-preventiva e il diritto al trattamento penale di favore, con effetti riduttivi sul numero dei giudizi di primo e secondo grado che debbono giungere ad una sentenza di merito64. La valorizzazione degli aspetti sostanziali dell’istituto del probation – ora allargato quoad poenam e reso accessibile anche su proposta del pubblico ministero65 – ha suggerito ai compilatori di modulare nel tempo gli effetti potenzialmente di favore insiti nella novella, anche alla luce del principio della retroattività della lex mitior in materia penale (artt. 3, 117, comma 1, Cost.; v. Corte cost. n. 63 del 2019, § 6; Corte cost., n. 238 del 2020, §§ 7-8; Corte cost., n. 393 del 2006).

È stata quindi congegnata una norma di diritto transitorio che consente anche per i procedimenti pendenti la sospensione del procedimento con la messa alla prova limitatamente ai reati ai quali l’applicazione dell’istituto è stata estesa per effetto del decreto. Sulla base di queste premesse, secondo l’art. 90 del d.lgs. 150: - la sospensione con messa alla prova dell’imputato relativamente ai reati di nuova introduzione di cui al novellato comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen. si applica anche ai procedimenti pendenti nel giudizio di primo grado e in grado di appello alla data di entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022] (artt. 90, comma 1, e 99-bis); - se alla data di entrata in vigore del decreto sono già decorsi i termini di cui all’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen. per formulare la richiesta [proponibile fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 cod. proc. pen., oppure, nel procedimento di citazione diretta a giudizio, fino alla conclusione dell’udienza predibattimentale prevista dal novello art. 554-bis cod. proc. pen.], l’imputato personalmente o a mezzo procuratore speciale può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con MAP, a pena di decadenza, entro la prima udienza successiva alla data del 30 dicembre 2022.

Se nei quarantacinque giorni successivi66 non è fissata udienza, la richiesta è depositata in cancelleria, entro il suddetto termine (art. 90, comma 2); - nel caso in cui sia stata disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova, non si applica l’art. 75, comma 3, cod. proc. pen. (art. 90, comma 3, d.lgs. cit.), sicché la parte civile – come peraltro si desume già dal sistema processuale – dovrà far valere le proprie ragioni in sede civile. Dalla disciplina transitoria, limitata ai procedimenti pendenti al 30 dicembre 2022 in primo e secondo grado, sono esclusi i processi pendenti in sede di legittimità 67.


7. Disposizioni transitorie in materia di rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo (art. 91).

In tema di rimedi per l’esecuzione della Corte EDU, l’indicazione contenuta nel criterio di delega di cui all’art. 1, comma 13, lett. o), della legge n. 134 del 2021 68 ha inteso superare l’assetto “binario” – da un lato, revisione europea e, dall’altro, incidente di esecuzione – fissato “in via pretoria” dalla Consulta (Corte cost. n. 113 del 2011 69) e dalla giurisprudenza di legittimità, a favore di un unico rimedio impugnatorio polivalente di natura straordinaria 70 che affidi sempre alla Corte di cassazione la valutazione del dictum europeo, con un vaglio preliminare sul vizio accertato dalla Corte di Strasburgo.

L’istituto deve dare esecuzione al triplice obbligo di neutralizzazione e rivalutazione della sentenza e di riapertura del procedimento derivante dalla sentenza europea di condanna alla restitutio in integrum, conservando però un ragionevole margine di apprezzamento a tutela del giudicato nazionale. Per questo, trattandosi di rimedio diverso, ha richiesto una disciplina autonoma e differente rispetto alla ordinaria revisione.

Sulla scorta di tali considerazioni, il legislatore delegato ha collocato il rimedio in un nuovo Titolo III-bis, rubricato «Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo», in seno all’inedito art. 628-bis cod. proc. pen. («Richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali»).

Le scelte caratterizzanti la nuova previsione possono essere così sintetizzati, per quel che qui direttamente rileva sotto il profilo dell’annessa disciplina transitoria. Legittimato al rimedio è esclusivamente il ricorrente in sede europea (condannato e persona sottoposta a misura di sicurezza), con conseguente esclusione dei “parenti” ossia dei terzi non impugnanti [i cdd. “fratelli minori” o “cugini”] che avrebbero potuto vantare la medesima violazione. Per quanto concerne le decisioni della Corte EDU che legittimano l’attivazione della revisione europea, al comma 1, si fa riferimento non solo alle sentenze che accertino una violazione della Convenzione EDU o dei Protocolli addizionali alla Convenzione, ma anche alle ipotesi in cui sia disposta la cancellazione del ricorso dal ruolo ai sensi dell’art. 37 della Convenzione in conseguenza del riconoscimento della violazione da parte dello Stato (art. 628-bis, comma 1, cod. proc. pen.). Quanto ai profili procedurali della richiesta, stabilendosi che, a pena di inammissibilità, debba contenere «l’indicazione specifica delle ragioni che la giustificano», deve essere presentata personalmente dall’interessato o, in caso di morte, da un suo congiunto, a mezzo di difensore munito di procura speciale; deve essere formulata con ricorso depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza o il decreto penale di condanna nelle forme previste dall’art. 582 cod. proc. pen., entro novanta giorni dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione della Corte europea che ha accertato la violazione o dalla data in cui è stata emessa la decisione che ha disposto la cancellazione del ricorso dal ruolo. Alla richiesta vanno allegati la sentenza o il decreto penale di condanna, la decisione emessa dalla Corte europea e gli eventuali ulteriori atti e documenti che la giustificano (commi 2 e 3). La modalità di trattazione della revisione europea è camerale, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen. Se ne ricorrono i presupposti, la Corte di cassazione dispone la sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza ai sensi dell’art. 635 cod. proc. pen. (comma 4). Circa la competenza della Corte di cassazione, la norma di nuovo conio non precisa che il procedimento debba essere assegnato a una sezione penale diversa da quella che ha eventualmente definito i ricorsi interni, nel rilievo che – come spiega la Relazione illustrativa – trattasi di riparto interno alla Corte che, in quanto tale, potrà essere disciplinato in sede tabellare 71. Superato il vaglio di ammissibilità, l’oggetto della valutazione rimessa alla Cassazione riguarda l’individuazione della «incidenza effettiva» che la violazione convenzionale ha prodotto sulla condanna, cui segue la scelta in ordine allo strumento più adatto per rimuovere gli effetti pregiudizievoli. Il tipizzato criterio di incidenza è finalizzato evidentemente a riconoscere alla Corte un margine di apprezzamento rispetto alle indicazioni di Strasburgo: nel convertire il vincolo internazionale in un dictum che porta a superare il giudicato interno, il legislatore delegato ha previsto un sindacato autonomo da parte della Cassazione 72.

Una volta ritenuto sussistente un vizio rilevante, ossia dotato di efficacia causale, si tratteggiano le alternative decisorie (ispirate al canone di economia processuale): a) se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o comunque risulta superfluo il rinvio, la Corte assume i provvedimenti idonei a rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione, disponendo, ove occorra, la revoca della sentenza o del decreto penale di condanna;

b) solo se la Corte non è in grado di provvedere direttamente, la Corte trasmette gli atti al giudice dell’esecuzione o, secondo le evidenze, dispone la riapertura del processo nel grado e nella fase in cui si procedeva al momento in cui si è verificata la violazione e stabilisce se e in quale parte conservano efficacia gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi (comma 5).

Relativamente alle conseguenze della riapertura del processo, quanto alla prescrizione, la pronuncia di riapertura del processo viene sostanzialmente assimilata all’annullamento agli effetti di cui all’art. 161-bis cod. pen., essendosi previsto che la prescrizione riprenda a decorrere - a far tempo dalla pronuncia della Corte - quando la riapertura del processo venga disposta davanti al giudice di primo grado (comma 6). Ancor più evidente il meccanismo di assimilazione ai fini dell’improcedibilità: in tal caso, infatti, per l’ipotesi di riapertura del processo innanzi alla Corte di appello, si è dettata una disposizione perfettamente corrispondente a quella prevista dall’art. 344-bis, comma 8, cod. proc. pen., con la sola differenza che il termine di durata massima del processo decorre dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 128 cod. proc. pen. (comma 7).

In attuazione del criterio di delega - facente riferimento alla necessità di regolamentare i rapporti del rimedio in esame con la rescissione del giudicato - si prevede all’ultimo comma l’applicabilità del rimedio de quo anche quando la violazione accertata dalla Corte EDU ha disposto la rinnovazione del processo, ossia quando ha accertato la violazione del diritto dell’imputato di partecipare personalmente al processo. In tal caso, per la verità, non sembra esservi spazio per un’autonoma valutazione da parte della Corte dell’incidenza causale dell’assenza involontaria 73.

Ulteriore conseguenza della riapertura del processo è la “riassunzione” della qualità di imputato, che viene contestualmente disciplinata con l’apposita modifica all’art. 60, comma 3, cod. proc. pen. per effetto dell’art. 5, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150 del 2022. A questa disciplina rimediale valevole a regime [quindi rispetto alle decisioni della Corte EDU divenute definitive sotto la vigenza del decreto, quindi a partire dal 30 dicembre 2022], il legislatore delegato ha affiancato una disciplina transitoria, valevole invece per le decisioni divenute definitive in data anteriore all’entrata in vigore del decreto [quindi fino al 29 dicembre 2022].

L’art. 91 del d.lgs. n. 150 regola i profili di diritto transitorio, stabilendo che: - nelle ipotesi in cui, in epoca anteriore all’entrata in vigore del decreto [fino al 29 dicembre 2022], sia divenuta definitiva la decisione con cui la Corte europea ha accertato la violazione, ovvero la Corte EDU abbia disposto la cancellazione dal ruolo del ricorso a seguito del riconoscimento unilaterale della violazione da parte dello Stato, il termine di novanta giorni per la proposizione del nuovo rimedio decorre dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto [quindi dal 31 dicembre 2022]; - per i reati commessi in data anteriore al 1° gennaio 2020 [ovvero prima della legge n. 3 del 2019, che ha introdotto il cd. “blocco” della prescrizione al momento della pronuncia della sentenza di primo grado], la prescrizione riprende il suo corso in ogni caso in cui la Corte di cassazione disponga la riapertura del processo, e non solo allorquando quest’ultima venga disposta innanzi al giudice di primo grado.


8. Disposizioni transitorie in materia di giustizia riparativa (artt. 92 e 93).

In tema di giustizia riparativa, che ha rappresentato uno dei tre “pilastri” della riforma (Titolo IV) e costituente l’aspetto più innovativo 74, il legislatore ha annesso una disciplina transitoria valevole nelle more della costruzione dell’intera struttura organizzativa e professionale destinata a fare da supposto a queste attività tese a superare il contrasto tra il soggetto indicato come autore dell’offesa e la vittima del reato, con il coinvolgimento anche della comunità. L’opera dei mediatori, tesa a comportamenti ovvero ad attività materiali, è finalizzata a regime a ricucire i rapporti personali cercando di “cicatrizzare” le ferite che il reato ha determinato 75. La disciplina transitoria di cui agli artt. 92 e 93 del d.lgs. n. 150 del 2022 è ispirata dalla necessità di salvaguardare il patrimonio di esperienze e servizi qualificati esistenti in diversi luoghi del territorio nazionale, già operativi e conformi agli standard europei e internazionali, e dunque allineati in larga parte alle disposizioni del decreto 76.

L’art. 92 è dedicato alla ricognizione sui servizi di giustizia riparativa esistenti: si prevede che entro il termine di sei mesi dall’entrata in vigore del decreto [quindi entro il 30 giugno 2023] la Conferenza locale per la giustizia riparativa, di livello distrettuale, provveda alla ricognizione dei servizi di giustizia riparativa in materia penale erogati da soggetti pubblici o privati specializzati convenzionati con il Ministero della giustizia ovvero che operano in virtù di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari o altri soggetti pubblici.

Oltre alla predetta cornice pubblica-istituzionale, l’art. 92 prescrive, a garanzia dell’accertamento della qualità dei servizi esistenti, una valutazione del profilo dei mediatori e dell’esperienza maturata da ciascun servizio almeno nell’ultimo quinquennio, nonché la verifica della coerenza delle prestazioni erogate con le disposizioni dettate dagli artt. 42, 64 e 93 del d.lgs. n. 150. Anche tali valutazione e verifica sono affidate alla Conferenza locale.

Così, nel primo semestre successivo all’entrata in vigore della disciplina organica, gli enti locali individuati ai sensi dell’art. 63 potranno attingere a un bacino di esperienze di comprovata qualità. L’art. 93 è dedicato all’inserimento nell’elenco dei mediatori di cui all’art. 60 del d.lgs. n. 150 dei soggetti che, alla data di entrata in vigore del decreto [ora 30 dicembre 2022], sono in possesso di determinati requisiti.


9. Disposizioni transitorie in materia di videoregistrazioni dell’esame di testimoni, parti e periti (art. 94, comma 1).

Il legislatore delegante, con le lett. a) e b) del comma 8 dell’art. 1 della legge n. 134 del 2021, ha inteso rivisitare il sistema di documentazione degli atti processuali, tenendo conto, per un verso, delle risorse tecniche ormai disponibili per una riproduzione non solo cartacea del relativo andamento e, per l’altro verso, degli sviluppi della giurisprudenza e della stessa legislazione circa il minimo valore euristico esigibile per la valutazione di determinate prove (a partire da quelle dichiarative).

Ciò – si badi – non soltanto per ragioni di speditezza, quanto per assicurare una rappresentazione più accurata dell’atto di quel che avviene con la scrittura, con il duplice obiettivo: per un verso, quello di garantire il controllo sul rispetto dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nell’atto (soprattutto laddove si tratti di atti compiuti durante le indagini e di interrogatori fuori udienza); per altro, quello di consentire di ri-ascoltare o di rivedere proprio quell’atto processuale in tutti i casi nei quali non sia possibile una ripetizione (ciò che rileva sia per gli atti di indagine, sia per gli atti istruttori compiuti in incidente probatorio o in dibattimento)77.

In questa cornice, in sede attuativa, il legislatore delegato ha predisposto un articolato intervento scandito in base alla funzione ed alle caratteristiche dei diversi adempimenti: massimo livello per le prove dichiarative e per gli interrogatori tenuti fuori udienza (quindi senza compresenza delle parti in contraddittorio), con conseguente ricorso alla videoregistrazione, fatta salva la possibilità di eccettuare situazioni di indisponibilità dei mezzi necessari; livello intermedio per le sommarie informazioni, mediante audioregistrazione, con possibilità di eccettuare determinate contingenze, pur con la previsione che non debba necessariamente trascriversi il discorso registrato.

Per quel che qui rileva ai limitati fini dell’analisi dell’approntato regime transitorio, giova segnalare che è stata anzitutto adeguata la previsione generale sulla documentazione degli atti (art. 134 cod. proc. pen.), includendo la registrazione audio e la registrazione video come forme ordinarie di documentazione, al fianco di quelle già previste: - nel nuovo comma 1, si compie un mero richiamo alle norme speciali che, per singoli atti, prevedono nel seguito del codice il ricorso alle registrazioni, norme che costituiranno specifica attuazione del precetto generale; - nel nuovo comma 3, si autorizza il magistrato all’uso dei mezzi in questione per qualunque atto, in aggiunta alla verbalizzazione parziale (secondo quanto già attualmente disposto) o come integrazione della stessa verbalizzazione completa, quando quest’ultima sembri comunque insufficiente, per le caratteristiche del caso concreto, rispetto allo scopo di fedele rappresentazione dell’atto. In secondo luogo, è stato aggiornato l’art. 501 cod. proc. pen. («Verbale di assunzione dei mezzi di prova»), qualificata «norma centrale del sistema»78, nel cui ambito si è prevista, al nuovo comma 2-bis (aggiunto dall’art. 32, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 150), la necessità della registrazione audiovisiva, in aggiunta alla modalità ordinaria di documentazione, per tutti gli atti processuali destinati a raccogliere le dichiarazioni di persone che devono riferire sui fatti: testimoni, parti private, persone indicate nell’art. 210 cod. proc. pen., nonché periti e consulenti tecnici, nonché per gli atti di ricognizione e di confronto.

Tale modalità è altresì prevista a regime, sia per l’assunzione della prova dichiarativa in incidente probatorio (art. 401, comma 5) che per l’integrazione probatoria nell’ambito del giudizio abbreviato (art. 441, comma 6, cod. proc. pen.). Ai sensi del comma 3-bis, anch’esso di nuova introduzione, la trascrizione della riproduzione audiovisiva è disposta solo se è richiesta dalle parti.

Considerato l’impatto della nuova disposizione, per concedere all’amministrazione i tempi necessari ad organizzare i servizi di registrazione audiovisiva e la conservazione dei supporti informatici, con la norma transitoria di differimento dell’efficacia di cui all’art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 150, si dispone che le odierne modifiche apportate all’art. 501 cod. proc. pen. avranno applicazione a decorrere da un anno dall’entrata in vigore del decreto stesso [quindi, ora, dal 30 dicembre 2023]. Pertanto, sino a tale data, troveranno applicazione ultrattiva le disposizioni del (pre)vigente art. 501 cod. proc. pen., con conseguente verbalizzazione riassuntiva e stenotipia.

Nel frattempo, dall’entrata a regime della nuova disciplina in tema di videoregistrazioni, si potrebbe creare un problema di applicabilità dell’art. 495, comma 4-bis, cod. proc. pen., destinato a escludere la riassunzione delle prove dichiarative in caso di cambiamento del giudice, solo laddove vi sia una documentazione audiovisiva: norma che peraltro - secondo i primi commentatori - dovrebbe far superare l’orientamento espresso sancito da Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, Bajrami, Rv. 27675401-02 79.

Sarebbe auspicabile, dunque, che nei contratti d’appalto stipulati per la documentazione delle attività dibattimentali si inserisca subito anche la riproduzione audiovisiva.


10. Disposizioni transitorie in materia di giudizi di impugnazione (art. 94, comma 2).

In materia di giudizi di impugnazione, in attuazione dei criteri di delega di cui all’art. 1, comma 13, lett. g) ed h), della legge n. 134 del 2021, improntati al risparmio di risorse giudiziarie e all’abbattimento dei tempi del processo mediante l’adozione del rito camerale “non partecipato”, l’art. 34, comma 1, lett. c), e), f) e g), del d.lgs. n. 150 introduce una serie coordinata di modifiche processuali che incidono sulle forme di trattazione del giudizio di appello e sul concordato dei motivi di appello. Analogamente dispone il successivo art. 35, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 con riferimento alla trattazione cartolare nel giudizio di legittimità80. Quanto, anzitutto, al rito camerale “non partecipato” in appello, il novello art. 598-bis cod. proc. pen., prevede a regime [dal 1° gennaio 2023 ex art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150: v. postea] la celebrazione dell’appello in camera di consiglio, con contraddittorio eventualmente scritto secondo la seguente cadenza temporale calcolata “a ritroso” dall’udienza con questa rigida scansione: - entro quindici giorni, per le richieste del procuratore generale e per le memorie e richieste scritte delle altre parti, nonché per i motivi nuovi e la richiesta di concordato; - entro cinque giorni prima, per le memorie di replica, termini il cui tassativo rispetto garantisce un funzionamento efficiente del nuovo rito cartolare. Il termine di quindici giorni prima dell’udienza costituisce uno snodo processuale fondamentale, anche in considerazione della coeva previsione innovativa che, entro il medesimo termine, esige la presentazione della richiesta di concordato a pena d’inammissibilità (art. 599- bis, comma 1, cod. proc. pen.).

L’altro snodo processuale è costituito dal termine di quindici giorni dalla ricezione del decreto di citazione in giudizio, entro il quale deve essere presentata, a pena d’inammissibilità, la richiesta di partecipazione all’udienza dell’appellante o, comunque, dell’imputato o del suo difensore (art. 598-bis, comma 2, cod. proc. pen.). Tale regime è coerente con l’impostazione sistematica del codice che colloca le scelte sul rito “a valle” degli atti propulsivi del procedimento. Resta invece affidata alle “prassi virtuose” l’eventuale soluzione di far precedere la citazione in giudizio da un “interpello”, ove ritenuto utile ai fini di una più ordinata calendarizzazione delle udienze81. Considerata la dialettica anticipata e scritta imposta dal rito “non partecipato” in appello, vengono ampliati a quaranta giorni [in luogo dei venti giorni finora previsti] i termini dilatori concessi per comparire e per la notifica dell’avviso d’udienza ai difensori, ai sensi dei novellati commi 3 e 5 dell’art. 601 cod. proc. pen. Lo svolgimento dell’udienza partecipata rimane residuale e subordinato: - alla richiesta dell’appellante, dell’imputato o del suo difensore, presentata entro quindici giorni prima dalla notifica del decreto di citazione o dell’avviso della data fissata per il giudizio d’appello. La richiesta, quindi, può sempre essere presentata dall’imputato o dal difensore, mentre può essere presentata dal pubblico ministero e dalla parte civile solo ove essi abbiano fatto appello (art. 598-bis, comma 2, cod. proc. pen.); - alla decisione d’ufficio della Corte d’appello di procedere con udienza partecipata «per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame” (comma 3, ipotesi facoltativa) o per la necessità di rinnovare l’istruttoria ex art. 603, comma 5, cod. proc. pen. (comma 4, ipotesi obbligatoria); - alla presentazione di una richiesta di concordato sui motivi d’appello che la Corte abbia ritenuto di non poter accogliere (art. 599-bis, comma 3, cod. proc. pen.); resta fermo, peraltro, il potere di riproporre in udienza la richiesta di concordato (art. 599, comma 2, cod. proc. pen.), con una scelta – spiega la Relazione illustrativa – finalizzata a incentivare la definizione anticipata del giudizio di appello, obiettivo cui è pure finalizzata la concomitante abrogazione dei limiti al concordato già previsti dall’art. 599-bis, comma 2, cod. proc. pen.82. La scelta dell’oralità implica la trattazione del giudizio di secondo grado in pubblica udienza, secondo la disciplina del dibattimento di appello di cui al novellato art. 602, comma 1, cod. proc. pen., oppure in camera di consiglio con l’intervento delle parti, secondo la disciplina generale di cui all’art. 127 cod. proc. pen., già finora applicata alle decisioni camerali in virtù dell’art. 599 cod. proc. pen. Come nel previgente sistema, la corte provvede in pubblica udienza, tranne nei casi previsti dall’art. 599 cod. proc. pen. [quando l’appello ha uno degli oggetti ivi indicati o quando specifiche disposizioni di legge rinviano alle forme dell’art. 127 cod. proc. pen., come nel caso dell’appello avverso la sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen. e del nuovo art. 554-quater cod. proc. pen.]. Quanto al rito camerale “non partecipato” in cassazione, il riscritto art. 611 cod. proc. pen. («Procedimento in camera di consiglio»), in linea con l’analogo intervento apportato nella disciplina del giudizio di appello, prevede a regime [ovvero dal 1° gennaio 2023 ex art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150: v. postea] la trattazione dei ricorsi di legittimità in camera di consiglio, con contraddittorio “cartolare”, già sperimentato col cd. “rito Covid” e ritenuto adeguato ad assicurare la dialettica delle parti in ragione della natura tecnica del rito di legittimità83. La Suprema corte giudica quindi sui motivi senza la partecipazione del procuratore generale e dei difensori secondo la seguente cadenza temporale “a ritroso”: - termine fino a quindici giorni prima dell’udienza, per la presentazione delle richieste del procuratore generale, dei motivi nuovi e delle memorie di tutte le parti; - termine fino a cinque giorni prima dell’udienza, per le eventuali memorie di replica (comma 1). Nei procedimenti per i quali è prevista l’udienza pubblica, e in quelli per i quali è prevista la trattazione nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., le parti possono in ogni caso ottenere la trattazione orale a richiesta, in alternativa alla trattazione scritta che diviene il rito “ordinario” davanti alla Corte di cassazione (comma 1-bis)84: ciò in particolare può avvenire nei procedimenti in cui la Corte sia chiamata a decidere i ricorsi contro sentenze pronunciate nel dibattimento o ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen. Le parti hanno, invece, la possibilità di chiedere la trattazione in camera di consiglio con la loro presenza per la decisione dei ricorsi da trattare nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., nonché su quelli avverso sentenze pronunciate all’esito di udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti (a norma del nuovo art. 598-bis cod. proc. pen.), salvo che l’appello abbia avuto esclusivamente a oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze (art. 69 cod. pen.), o l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis cod. pen.), di pene sostitutive, della sospensione condizionale della pena (art. 163 cod. pen.) o della non menzione della condanna nel certificato del casellario (art. 175 cod. pen.). La disciplina processuale dell’istanza de qua viene poi stabilita dal comma 1-ter della rinnovata versione dell’art. 611, il quale prevede che essa vada presentata, a pena di decadenza, nel termine di dieci giorni dalla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza. Da tutto ciò consegue che a regime andranno, invece, necessariamente trattati con procedimento in camera di consiglio senza l’intervento delle parti, sia i casi previsti da particolari disposizioni di legge quali quelli di cui agli artt. 428 e 612 cod. proc. pen., sia tutti i ricorsi avverso provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta salva, ovviamente, l’eccezione delle sentenze di giudizio abbreviato85. Sono poi dettate le scansioni successive alla richiesta di partecipazione all’udienza del procuratore generale e dei difensori delle parti ed è altresì disciplinata la possibilità che la Corte stessa disponga d’ufficio l’udienza “partecipata” (sia pubblica che in camera di consiglio), quando lo consiglino la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame: potestà che, in stretta aderenza al criterio di delega («prevedere che, negli stessi casi, la Corte di cassazione possa disporre, anche in assenza di una richiesta di parte, la trattazione con discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata») la Cassazione potrà esercitare nei soli casi in cui è consentita analoga facoltà alle parti (commi 1-ter e 1-quater). Ferma restando la distinzione fra trattazione scritta e orale di cui sopra, si prevedono termini ridotti, sia per la presentazione dell’eventuale richiesta di intervento in udienza, che per il deposito di memorie e repliche, fissando anche un termine minimo di comparizione di venti giorni più ampio rispetto a quello previsto in generale dall’art. 127 cod. proc. pen. (comma 2- quinquies)86. Infine, a tutela del contraddittorio (artt. 111, comma 2, Cost. e 6 CEDU), si prevede che se la Corte ritenga di dare al fatto una definizione giuridica diversa, deve disporre con ordinanza il rinvio per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, indicando la ragione del rinvio e dandone comunicazione alle parti con l’avviso di fissazione della nuova udienza (comma 1-sexies). Si tratta di una previsione aderente alla giurisprudenza CEDU (a partire dalla nota sentenza Drassich c. Italia dell’11/12/2007) e del consolidato orientamento di legittimità che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, esclude la compressione o la limitazione del diritto al contraddittorio quando la diversa qualificazione giuridica del fatto non avvenga a sorpresa e l’imputato e il suo difensore siano stati posti in condizione di interloquire sulla questione (cfr. Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Ciontoli, Rv. 281817-03; Sez. 2, n. 31935 del 22/06/2021, Cera, Rv. 281676-01). Tanto premesso in punto di nuova disciplina a regime dei giudizi di appello e in cassazione, all’art. 94, comma 2, del d.lgs. n. 150 è contenuta una disposizione transitoria che differisce l’efficacia delle norme de quibus al venir meno dell’omologa disciplina emergenziale introdotta dalla normativa per il contenimento della pandemia da Covid-19, attualmente in vigore ed efficace fino al 31 dicembre 2022, in forza dell’art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228 (cd. decreto “milleproroghe”, di proroga sino al 31 dicembre 2022 del termine di applicazione dell’art. 23, commi 2, 4, 8, periodi primo, secondo, terzo, quarto e quinto, e 9, dell’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4, e 7, e dell’art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 - cd. decreto “Ristori”, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176)87.

Fino al 31 dicembre 2022, pertanto, continua ad applicarsi l’inedito88 procedimento camerale “non partecipato” previsto per i giudizi di appello (art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020), salvo che le parti avanzino richiesta di trattazione orale o l’imputato manifesti la volontà di comparire entro il termine di quindici giorni liberi prima dell’udienza, e per quelli dinanzi alla Corte di cassazione (art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, ove si richiamano gli artt. 127 e 614 cod. proc. pen., con conseguente applicabilità tanto ai procedimenti in camera di consiglio quanto a quelli che si celebrino in pubblica udienza), fatta salva la facoltà al procuratore generale e alle altre parti di formulare richiesta di trattazione orale, da presentare in cancelleria, a mezzo posta elettronica certificata, entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza (nel senso dell’irretrattabilità della richiesta di trattazione orale, poiché, in caso contrario, non sarebbe possibile rispettare i termini previsti dall’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, per la forma di trattazione alternativa, caratterizzata dall’instaurazione di un contraddittorio meramente cartolare, con necessità di differire ulteriormente la trattazione, incidendo sulla durata del procedimento in pregiudizio del bene tutelato dall’art. 111, comma secondo, Cost., v. Sez. 2, n. 42410 del 17/06/2021, Basile, Rv. 282207-01). Dal 1° gennaio 2023 si applicheranno a regime le disposizioni degli artt. 34, comma 1, lett. c), e), f) e g), nn. 2), 3) 4), e h), 35, comma 1, lett. a), e 41, comma 1, lett. ee), del d.lgs. n. 150 del 2022, introduttive o modificative, rispettivamente, degli artt. 598-bis, 599, 599-bis, 601, 602, comma 1, 611 cod. proc. pen. e 167-bis disp. att. cod. proc. pen.89.

A fronte dell’approntato regime transitorio, due paiono gli aspetti problematici da segnalare relativamente ai giudizi d’impugnazione “in corso”, in appello e in cassazione, alla data di entrata in vigore della riforma; problemi che – va specificato – non sono affatto superati dall’operato differimento, ex art. 99-bis d.lgs. n. 150 dell’entrata in vigore al 30 dicembre 2022 dell’intero provvedimento poiché, comunque, fino al 31 dicembre 2022 sarebbe valsa comunque la disciplina emergenziale in forza proprio dell’art. 94, comma 2, d.lgs. n. 150. Relativamente agli appelli già proposti alla data del 30 dicembre 2022 ma rispetto ai quali non sia stata fissata la data per la trattazione, ricadente quindi dopo il 1° gennaio 2023, si pone la questione se operi il termine minimo per la comparizione di venti giorni previsto dal vecchio art. 601, comma 3, cod. proc. pen. nel testo ante riforma, o se debba già trovare applicazione il nuovo termine di quaranta giorni previsto dal riscritto art. 601 cod. proc. pen. post riforma.

A sostegno dell’immediata applicazione della nuova disciplina anche agli appelli già proposti sembrerebbe militare l’argomento a contrario rispetto alla disciplina transitoria posta dall’art. 89, comma 3, d.lgs. n. 150 in materia di assenza (v. retro § 5): tale norma, infatti, prevede espressamente l’applicazione della nuova disciplina ai soli appelli proposti avverso sentenze emesse dopo l’entrata in vigore della riforma, consentendo quindi di sostenere che, per gli altri istituti, il legislatore abbia optato per l’immediata applicazione. In senso diverso si pone tuttavia il criterio già fornito dalle Sezioni Unite per le modifiche alla disciplina del giudizio di appello: ossia la data dell’atto impugnato (Sez. U, n. 27614 del 29/03/2007, P.C. in Lista, Rv. 236536/37-0190; conf. Sez. 1, n. 2133 del 19/12/2007, Di Pasquale e altro, Rv. 238640-01; Sez. 1, n. 40251 del 2/10/2007, P.G. in proc. Scuto, Rv. 238051-01; Sez. 1, n. 53011 del 27/11/2014, Ministero della giustizia, Rv. 262352-01; Sez. 1, n. 5697 del 12/12/2014, dep. 2015, Ministero della giustizia, Rv. 262355-01; Sez. 1, n. 18789 del 06/02/2015, Tenti, Rv. 263507-01; Sez. 5, n. 10142 del 17/01/2018, P.C. in proc. C., Rv. 272670-01; Sez. 6, n. 19117 del 23/02/2018, Tardiota, Rv. 273441-01; Sez. 6, n. 40146 del 21/03/2018, Pinti, Rv. 273843-01; Sez. 1, n. 27004 del 29/04/2021, P.M. c. Pimpinella, Rv. 281615-01; diff. Sez. 5, n. 15666 del 16/04/2021, Duric, Rv. 2808091-01, secondo cui in tema di rescissione del giudicato, ai fini dell’individuazione della norma applicabile, in assenza di disposizioni transitorie, si deve fare riferimento non al momento della pronuncia della sentenza passata in giudicato bensì a quello nel quale il condannato in “assenza” è venuto a conoscenza del provvedimento e può esercitare il diritto di impugnazione straordinaria; nello stesso senso, Sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, Seban, Rv. 282528-0191). Il nuovo termine, così ragionando, dovrebbe perciò trovare applicazione per i giudizi aventi ad oggetto appelli avverso sentenze emesse a partire dal 1° gennaio 2023, mentre per gli appelli precedentemente proposti dovrebbe continuare ad operare il previgente termine di venti giorni. Ciò ritarderebbe di qualche tempo l’entrata a regime della riforma, ma avrebbe il pregio di consentire anche una migliore organizzazione del lavoro, consentendo una razionale fissazione delle decisioni e delle udienze nei primi mesi di entrata in vigore della stessa, al fine di evitare “buchi” nella fissazione delle udienze dovuti all’aumentato termine di comparizione. Per quanto riguarda i giudizi di cassazione, si segnala la sfasatura dei termini “a ritroso” previsti a regime dal novellato art. 611 cod. proc. pen. (dieci giorni a decorrere dalla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza) per richiedere la trattazione orale rispetto a quelli previsti dalla legislazione emergenziale tuttora vigente ed efficace fino al 31 dicembre prossimo (venticinque giorni liberi prima dell’udienza). Ne consegue, a livello intertemporale, l’insorgenza dell’analogo dubbio in ordine alla disciplina da applicare rispetto ai processi di legittimità in via di fissazione da parte presidenti di sezione di qui fino al 31 dicembre 2022, quindi in costanza di regime emergenziale, ma la cui celebrazione è prevista in epoca successiva al 1° gennaio 2023, ossia dopo la conclusione dell’attuale regime, quando ormai sarà entrata a regime la riforma.

Tale sfasatura impone pertanto, in assenza di norme transitorie sul punto, la necessità di individuare, nel “passaggio” tra vecchia e nuova normativa, il criterio di coordinamento tra le stesse.

Versandosi in ipotesi di fattispecie complessa, nella quale il primo actus del giudizio di legittimità, rispetto al quale si rapportano anche le modalità di trattazione, è individuabile nella proposizione del ricorso per cassazione, al cui deposito consegue la fissazione, con decreto presidenziale, della data di udienza, dovrebbe plausibilmente ritenersi che, sempre all’insegna dei criteri in passato forniti dalle Sezioni Unite e già richiamati sopra, sia proprio la data di deposito del ricorso a fungere da “spartiacque” tra l’applicazione della vecchia e della nuova disciplina, nel senso che, in base al principio tempus regit actum, dovrebbero valere le modalità vigenti alla data di detto deposito. Si tratterebbe, inoltre, di un parametro obiettivo ed affidabile che ridurrebbe al minimo possibili profili di discrezionalità applicativa invece discendenti da altri criteri che “guardino”, alternativamente, alla data di adozione del decreto di fissazione dell’udienza ovvero alla data di celebrazione di quest’ultima.

Quanto alla posticipazione, di alcuni mesi, in fatto, dell’entrata a regime della riforma che seguirebbe all’impiego del criterio indicato, attesi i tempi mediamente intercorrenti tra adozione del decreto di fissazione e data dell’udienza, la stessa sarebbe la conseguenza – inevitabile – derivante proprio da detto intervallo temporale discendente dall’elevatissimo numero di ricorsi notoriamente affluenti in Corte.


11. Disposizioni transitorie in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi (art. 95) e di esecuzione e conversione delle pene pecuniarie (art. 97).

Uno dei tre pilastri su cui poggia l’odierna riforma - come anticipato - è dato dalle modifiche al regime sanzionatorio, rivisitato attraverso il riassetto del comparto delle pene sostitutive e coevi interventi volti a «restituire effettività» (art. 1, comma 16, legge n. 134 del 2021) alla pena pecuniaria92, quale tipologia di pena principale (art. 17 cod. pen.), previa riforma del correlato procedimento di esecuzione e di conversione in caso di insolvibilità del condannato.

A livello strutturale, il dato fondamentale – contenuto nell’inedito art. 20-bis cod. pen. (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 150) – è costituito dalla previsione delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi: semilibertà sostitutiva, detenzione domiciliare sostitutiva, lavoro di pubblica utilità sostitutiva e pena pecuniaria sostitutiva. La nuova panoplia sanzionatoria segue una dosimetria legalmente prestabilita: - la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni (art. 20-bis, comma secondo, cod. pen.); - il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni (art. 20-bis, comma terzo, cod. pen.); - la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno (art. 20-bis, comma quarto, cod. pen.).

Si tratta, a ben vedere, di alternative sanzionatorie presenti da tempo nella legislazione penale complementare (legge 24 novembre 1981, n. 689 – Capo III) ma ora “promosse”, sia nel titolo che nella collocazione: non più «sanzioni» sostitutive, termine generico, idoneo a sottolineare un ruolo ancillare, ma «pene» vere e proprie, come tali chiamate ad occupare uno scranno nell’empireo stesso del codice penale che ne proclama una dignità di appartenenza93. Le rinominate «pene» mantengono, quanto a rapporto con la pena sostituita, una dimensione funzionale di accessorietà: quando si tratta di sanzioni restrittive della libertà personale, la mancata esecuzione della pena sostitutiva o la violazione delle prescrizioni comporta, in ultima istanza, il recupero in toto o in parte della pena detentiva originaria.

L’ambito applicativo delle pene sostitutive delle pene detentive brevi – esteso, come visto, a quattro anni di pena detentiva applicabile – si interseca non già con quello della sospensione condizionale della pena94 quanto con l’istituto processuale della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., con tendenziale prevalenza in sede applicativa delle nuove pene sostitutive. L’art. 95 del d.lgs. n. 150 reca la disciplina transitoria in materia di pene sostitutive introdotta a fronte di un intervento di riforma giudicato «di portata ampia e sistematica»95. Tale regime di transizione tiene conto della natura pacificamente sostanziale delle odierne modifiche normative riguardanti il sistema sanzionatorio, con conseguente loro assoggettamento al principio di irretroattività in malam partem (art. 25, comma secondo, Cost.) e di retroattività in bonam partem (art. 2, comma quarto, cod. pen.). Le disposizioni che elevano il limite della pena detentiva sostituibile sono pacificamente più favorevoli al reo e devono essere applicabili retroattivamente, salvo il limite del giudicato (art. 2, comma quarto, cod. pen.). In primo luogo, in via transitoria si prevede espressamente, a tal proposito, che le norme previste dal Capo III della legge n. 689 del 1981 (come modificate dall’art. 71 del d.lgs. n. 150), se più favorevoli all’agente, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello alla data di entrata in vigore del decreto [ora al 30 dicembre 2022]. Quanto al giudizio di legittimità, il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge n. 689 del 1981 al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen. entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza. Nel giudizio di esecuzione si applicano, in quanto compatibili, le norme del Capo III della legge n. 689 del 1981 e del codice di procedura penale relative alle pene sostitutive. In caso di annullamento con rinvio provvede il giudice del rinvio (art. 95, comma 1, d.lgs. n. 150). Come spiega la Relazione illustrativa, l’applicabilità delle nuove pene sostitutive nei giudizi di impugnazione «può apparire distonica; è tuttavia imposta dal rispetto del principio di retroattività della lex mitior – una diversa scelta si esporrebbe al rischio di una dichiarazione di illegittimità costituzionale – e, comunque, promette possibili effetti deflattivi (ad es., nel contesto del cd. patteggiamento in appello)»96. In secondo luogo, la disciplina transitoria, in attuazione dell’art. 1, comma 17, lett. a), della legge n. 134 del 2021, si fa carico degli effetti conseguenti all’abolizione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata di cui agli artt. 53, 55 e 56 della legge n. 689 del 1981, nel testo previgente fino all’entrata in vigore del decreto [ovvero fino al 29 dicembre 2022]. In assenza di questa previsione transitoria, fermo il limite del giudicato (art. 2, comma quarto, cod. pen.), l’abolizione delle predette sanzioni sostitutive avrebbe comportato la cessazione dell’esecuzione di quanti vi fossero stati sottoposti al momento dell’entrata in vigore dell’odierna riforma [ovvero al 30 dicembre 2022]97. Tale esito sarebbe stato tuttavia irragionevole poiché – come spiega la Relazione illustrativa – «tali pene sostitutive vengono abolite per introdurne di nuove, al loro posto. Non è venuto in alcun modo meno il disvalore penale del fatto per il quale è in esecuzione la pena […] né la valutazione sulla meritevolezza e il bisogno di punire il fatto, con una pena sostitutiva della pena detentiva. La ragione dell’abolizione è da rinvenirsi solo nel rinnovamento della tipologia delle pene sostitutive. Si è perciò ritenuto di introdurre una deroga al principio di retroattività della lex mitior98 – abolitrice delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata – stabilendo che alle medesime sanzioni sostitutive, già disposte al momento dell’entrata in vigore del presente decreto, continuino ad applicarsi le norme previgenti. Si è peraltro previsto che, tuttavia, i condannati alla semidetenzione possono chiedere al magistrato di sorveglianza la conversione nella pena sostitutiva della semilibertà, che presenta contenuti analoghi (e più favorevoli, quanto, ad esempio, al numero minimo di giorni da trascorrere in istituto) (art. 95, comma 2, d.lgs. cit.). In terzo luogo, si consente l’immediata applicazione della nuova pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, senza attendere l’adozione del decreto attuativo di cui all’art. 56-bis della legge n. 689 del 1981. L’art. 95, comma 3 prevede espressamente che sino all’entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale, si applicano, in quanto compatibili, i decreti del ministro della giustizia del 26 marzo 2001 (recante le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità come pena principale irrogabile dal giudice di pace) e del 8 giugno 2015 n. 88 (recante le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità quale contenuto obbligatorio della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato). Infine, l’art. 97 del d.lgs. n. 150 provvede alla disciplina transitoria delle modifiche apportate in materia di esecuzione e conversione della pena pecuniaria non eseguita. Si stabilisce anzitutto che le disposizioni in materia di conversione delle pene pecuniarie, previste dall’art. 71 del d.lgs. n. 150 e dal Capo V della legge n. 689 del 1981, come a sua volta modificato dal d.lgs. n. 150, si applicano, salvo che risultino in concreto più favorevoli al condannato, ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore (art. 97, comma 1, d.lgs. n. 150).

Questa prima disposizione ribadisce un principio generale: riguarda, infatti, modifiche di norme aventi natura sostanziale, perché relative al trattamento sanzionatorio penale, soggette pertanto al divieto di applicazione retroattiva (art. 25, comma secondo, Cost.) se e in quanto peggiorative.

È questo generalmente il caso, atteso che nel nuovo sistema delineato dalla riforma si prevede, da un lato, la conversione anche in caso di mancato pagamento colpevole, e non solo per insolvibilità, e che, dall’altro lato, le pene da conversione sono generalmente più afflittive della libertà controllata e del lavoro sostitutivo. Di qui la scelta di rendere normalmente applicabili le nuove disposizioni in relazione ai fatti commessi solo a decorrere dal 30 dicembre 2022; «scelta che è altresì funzionale – si chiarisce nella Relazione illustrativa – alle esigenze organizzative dell’autorità giudiziaria e, in particolare, della magistratura di sorveglianza, che vedrà aumentare il proprio carico di lavoro»99.

In secondo luogo, si precisa, espressamente, che ai reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto continuano ad applicarsi le disposizioni in materia di conversione ed esecuzione delle pene pecuniarie previste Capo V della legge n. 689 del 1981, dall’art. 660 cod. proc. pen. e da ogni altra disposizione di legge, vigenti prima dell’entrata in vigore del decreto (art. 97, comma 2, d.lgs. n. 150). L’abolizione della libertà controllata e del lavoro sostitutivo – il cui posto è preso da nuove pene da conversione – avrebbe infatti potuto far sorgere il dubbio sulla sorte dell’esecuzione delle pene stesse.

L’ultrattività della disciplina abrogata o sostituita – chiariscono i compilatori – «è coerente con la scelta di escludere l’applicazione retroattiva dello ius novum e non viola il principio di retroattività della legge più favorevole: la riforma è infatti ispirata espressamente a obiettivi di maggiore effettività della pena pecuniaria, ragion per cui sarebbe irragionevole caducare tutte le pene da conversione in esecuzione o interrompere i procedimenti volti alla conversione delle pene pecuniarie non pagate, ovvero al loro recupero mediante l’iscrizione a ruolo. È infatti parimenti prevista l’ultrattività delle disposizioni del testo unico delle spese di giustizia abrogate o modificate dal presente decreto»100. Infine, la norma transitoria stabilisce che le disposizioni del testo unico in materia di giustizia di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, abrogate o modificate dal d.lgs. n. 150 (v. art. 98), continuano ad applicarsi ultrattivamente in relazione alle pene pecuniarie irrogate per reati commessi prima della sua entrata in vigore.

Analoga previsione di ultrattività riguarda l’art. 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che regola l’operato di Equitalia Giustizia in materia di gestione del credito derivante dalle pene pecuniarie (art. 97, comma 3, d.lgs. n. 150). Dall’insieme di queste norme di diritto transitorio, si evince, pertanto, che la riforma dell’esecuzione e della conversione delle pene pecuniarie entrerà in vigore gradualmente, dando tempo sia all’autorità giudiziaria, sia alle competenti amministrazioni, di organizzarsi al riguardo.


12. Disposizioni transitorie in materia di estinzione delle contravvenzioni alimentari (art. 96).

L’art. 70 del d.lgs. n. 150 estende all’intero comparto delle contravvenzioni in materia di igiene, produzione e vendita di alimenti e bevande di cui alla legge 30 aprile 1962, n. 283 la procedura (e la correlata causa) estintiva per adempimento di prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza (v. nuovi artt. 12-ter ss. aggiunti alla legge n. 283 del 1962). L’intervento, attuativo dell’art. 1, comma 23, della legge n. 134 del 2021, ripropone – con qualche adattamento – (solamente) in subiecta materia (e non anche alle contravvenzioni urbanistiche, paesaggistiche o in materia di beni culturali, che sono state escluse dal legislatore delegato) il meccanismo procedural-estintivo inaugurato in materia di sicurezza, igiene e salute sul lavoro (artt. 19 ss. del d.lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 e 301 del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81) e poi esteso nel 2015 alla materia delle contravvenzioni ambientali (art. 318-bis/318-octies del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).

Dell’elaborazione giurisprudenziale maturata in questi settori potrà giovarsi l’interprete in questo settore, tuttavia connotato da tratti di marcata specificità. La sfera di applicabilità della procedura e della connessa causa estintiva è qui delimitata con riguardo alle «contravvenzioni che hanno cagionato un danno o un pericolo suscettibile di elisione mediante condotte ripristinatorie o risarcitorie» (art. 12-ter, comma 1, legge n. 283 cit.). In disparte ogni considerazione in ordine all’incerta individuazione delle contravvenzioni alimentari “ripristinabili” cui, in concreto, sarà applicabile la nuova procedura estintiva – trattandosi, per lo più di reati di pericolo astratto101, con effetti permanenti, difficilmente regolarizzabili o suscettibili di elisione – ed alle conseguenti difformità applicative che si registreranno nella futura prassi operativa delle diverse Procure, ai limitati fini che qui ci occupano basti rammentare la scansione procedurale della disciplina di nuovo conio applicata alla fase delle indagini preliminari: - accertamento del fatto-reato (artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962) costitutivo del potere/dovere di impartire una prescrizione; - adozione della prescrizione da parte dell’organo accertatore, con indicazione dell’oggetto dell’obbligazione e fissazione di un termine per la regolarizzazione non eccedente il periodo di tempo strettamente necessario non superiore a sei mesi; - contestuale comunicazione al pubblico ministero del fatto-reato e della prescrizione con obbligo di immediata iscrizione della notitia criminis e contestuale sospensione del procedimento penale fino alla comunicazione di uno degli esiti di cui appresso; - verifica, alla scadenza del termine, del corretto e tempestivo adempimento dell’obbligo (e, dunque, dell’eliminazione della violazione; - in caso positivo, ammissione del contravventore al pagamento in sede amministrativa; pagamento tempestivo dell’oblazione; comunicazione al pubblico ministero dell’avvenuto pagamento (o, in alternativa, del mancato pagamento, o richiesta di prestazione di lavoro di pubblica utilità); - in caso negativo, comunicazione al pubblico ministero dell’inadempimento della prescrizione. Rispetto alle affini procedure estintive in materia lavoristica ed ambientale, sono qui previsti termini più ridotti, in funzione acceleratoria della procedura, e importi più bassi da pagare, in funzione incentivante: per la verifica dell’adempimento delle prescrizioni, il termine (anziché sessanta) è di trenta giorni (art. 12-quater, comma 1, legge n. 283 cit.), con contestuale dimezzamento del termine (in luogo di centoventi qui di sessanta giorni ex art. 12-quater, comma 3, legge cit.) per la comunicazione al pubblico ministero dell’adempimento delle prescrizioni e del pagamento della somma di denaro, individuata nella frazione del massimo dell’ammenda da pagare pari (anziché a un quarto) ad un sesto (ossia 7.746 euro: art. 12- quater, comma 2); analoga riduzione nella tempistica è prevista per la comunicazione dell’inadempimento del trasgressore, da effettuarsi entro e non oltre (non già novanta ma) sessanta giorni (art. 12-quater, comma 4, legge cit.). Rispetto al modello di disciplina già sperimentato in materia di sicurezza sul lavoro e di ambiente, rappresenta invece un’autentica novità la previsione della possibilità di prestare lavoro di pubblica utilità, in alternativa al pagamento della somma di denaro. Nell’attuare la pertinente direttiva di delega (art. 1, comma 23, lett. a, della legge n. 134 del 2021), il legislatore ha limitato l’accesso a tale opzione alla sola ipotesi in cui il pagamento della somma di denaro risulti impossibile in ragione delle condizioni economiche e patrimoniali del contravventore, comunque autocertificabili dallo stesso (art. 12-quinquies legge cit.). In questa parte la disciplina riprende, con adattamenti, quella del lavoro di pubblica utilità da conversione della pena pecuniaria e quale pena sostitutiva della pena detentiva, nonché quale pena principale per i reati di competenza del giudice di pace, con una peculiarità: si configura un’inedita ipotesi in cui il lavoro di pubblica utilità viene disposto senza l’intervento del giudice, essendosi attribuito un ruolo esclusivo al magistrato del pubblico ministero, in funzione della «speditezza della procedura»102, cui è demandata la decisione sull’ammissione al lavoro dell’istante e sulla determinazione della durata e dei modi (art. 12-quinquies, comma 3, legge cit.). Il criterio di ragguaglio tra la somma di denaro da pagare in via amministrativa e il lavoro di pubblica utilità è lo stesso, onde evitare disparità trattamentali, impiegato per la conversione della pena pecuniaria in lavoro di pubblica utilità, in caso di insolvibilità del condannato (art. 103, comma 2, della legge n. 689 del 1981, come modificato dall’art. 71, comma 1, lett. ee, del d.lgs. n. 150): si tratta della somma di 250 euro, corrispondente a quella di cui all’art. 135 cod. pen.103. Tanto sommariamente premesso, l’art. 96 del d.lgs. n. 150 introduce la disciplina transitoria relativa alla nuova causa estintiva in disamina, caratterizzata dalla compenetrazione di aspetti di diritto processuale con aspetti di diritto sostanziale. In primo luogo, si esclude che il nuovo meccanismo estintivo previsto in materia di contravvenzioni alimentari trovi applicazione nei procedimenti che, alla data di entrata in vigore del decreto [quindi ora 30 dicembre 2022], non si trovino più nella fase delle indagini preliminari perché già esercitata l’azione penale (art. 96, comma 1, d.lgs. n. 150). Tale norma transitoria - ribadendo una scelta fatta, a suo tempo, in materia di sicurezza sul lavoro, con l’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 758 del 1994 e poi riproposta, in materia di contravvenzioni ambientali, con l’art. 318-octies del d.lgs. n. 152 del 2006 – è coerente con la natura stessa della procedura estintiva, concepita e strutturata per operare solo nella fase delle indagini preliminari, nella quale deve dispiegare i propri effetti deflattivi, ai quali è connesso il trattamento di favore accordato dall’ordinamento e che si conclude con la richiesta di archiviazione del pubblico ministero e la successiva declaratoria di estinzione del reato da parte del giudice per le indagini preliminari. Dunque, l’operata deroga al principio di retroattività della lex mitior, che indubbiamente riguarda le cause di estinzione del reato come quella in esame, è ragionevole e compatibile con l’art. 3 Cost., essendo la causa estintiva costruita, appunto, per operare solo nella fase delle indagini preliminari (in tal senso v. Corte costituzionale n. 238 del 2020, che, proprio in ragione di analoghe considerazioni, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-octies d.lgs. n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Cost.; cfr, altresì Corte cost. n. 460 del 1999, n. 415 e n. 121 del 1998, con riferimento all’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 758 del 1994104). Diversamente, nei procedimenti penali che, alla data del 30 dicembre 2022, si troveranno nella fase delle indagini preliminari, senza che sia stata ancora esercitata l’azione penale, potrà trovare applicazione la nuova disciplina estintiva e il pubblico ministero titolare del fascicolo iscritto per contravvenzioni alimentari potrà investire l’organo accertatore/di vigilanza per le determinazioni inerenti alla prescrizione, attivando così la procedura in vista dell’estinzione del reato nelle forme del novello art. 12-sexies della legge n. 283 («Notizie di reato non pervenute all’organo accertatore»). Viene, infine, prevista una disposizione transitoria in materia di lavoro di pubblica utilità, funzionale all’immediata applicazione della nuova disciplina.

Si prevede infatti che, nelle more dell’adozione del decreto di cui agli artt. 12-quinquies, comma 4 della legge n. 283 del 1962, si applichino, in quanto compatibili, i decreti del ministro della giustizia 26 marzo 2001 e 8 giugno 2015 n. 88 adottati, rispettivamente, per il lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e quale contenuto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato (art. 96, comma 2, d.lgs. n. 150). Il richiamo di tali decreti ministeriali è rilevante anche ai fini dell’individuazione degli enti convenzionati presso i quali l’attività deve essere svolta.


 
1

In dottrina, per una prima disamina degli aspetti processuali della riforma, v. G. CANZIO, Il modello “Cartabia”: una riforma di sistema tra rito e organizzazione, in Guida al diritto, 2022, n. 42, pagg. 8 ss.; A. GAITO-R. LANDI, “L’altare e le (forse inevitabili) vittime”. Osservazioni sul processo penale à la Cartabia, in Archivio penale online, 2022, n. 2; M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto. guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, in Sistema penale, 28 ottobre 2022; sugli aspetti anche agli aspetti sostanziali, v. T. PADOVANI, Riforma Cartabia, intervento sulle pene destinato a ottenere risultati modesti, in Guida al diritto, 2022, n. 41, pagg. 8 ss.; G. SPANGHER, La riforma del processo penale in Gazzetta, ne Il Quotidiano Giuridico, 18 ottobre 2022.

2

Il giorno stesso della sua pubblicazione (art. 9), avvenuta nella Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 255, del 31 ottobre 2022.

3

Auspica che non siano proposti in sede di conversione «emendamenti mirati a stravolgere l’impianto della complessa e organica riforma della giustizia penale, vanificandone i non pochi percorsi virtuosi», G. CANZIO, op. cit., pag. 8.

4

G.L. GATTA, Rinvio della riforma Cartabia: una scelta discutibile e di dubbia legittimità costituzionale. E l'Europa?, in Sistema penale, 31 ottobre 2022, ad avviso del quale «la soluzione adottata dal Governo – il differimento dell’entrata in vigore dell’intera riforma, e non solo di alcune sue parti – va ben oltre l’ascolto della voce dei magistrati, che corrono ora il rischio, nello scenario peggiore, di essere additati come responsabili del rinvio in blocco e persino delle sorti future della riforma e del PNRR». Sotto il profilo squisitamente giuridico l’A. anzitutto dubita, chiamando in causa i costituzionalisti, che il Governo possa «adottare disposizioni integrative o correttive ricorrendo alla decretazione d’urgenza, senza seguire la procedura indicata dal Parlamento con la legge delega» [v. art. 1, comma 4, della legge. n. 134 del 2021, NdA], «tanto più che, differendo l’entrata in vigore del decreto legislativo (peraltro a una data successiva alla scadenza della delega legislativa), il Governo sposta in avanti il dies a quo del termine biennale della delega legislativa di cui al cit. art. 1, comma 4, legge n. 134 del 2021 per l’adozione di disposizioni integrative o correttive». In rilevata «assenza di un fatto nuovo, giuridicamente apprezzabile, che comporti esigenze organizzative nuove rispetto a quelle già valutate dal [precedente] Governo con l’adozione del decreto legislativo, che è stato accompagnato, come di rito, da una relazione tecnica di analisi dell’impatto della regolazione (A.I.R.) approvata dal Consiglio dei Ministri», non sussisterebbero straordinarie ragioni di necessità ed urgenza per la decretazione d’urgenza, «tanto che non sono richiamate nelle premesse del decreto-legge». Un ulteriore profilo di dubbia legittimità costituzionale riguarda – secondo G.L. GATTA, ibidem, «il differimento dell’entrata in vigore (anche) delle disposizioni più favorevoli all’indagato/imputato o al condannato, disseminate nella parte della riforma relativa al sistema sanzionatorio…Si pensi a disposizioni di indubbia natura sostanziale quali quelle relative alla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto e alle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi. Il termine di vacatio legis ha notoriamente la funzione di rendere conoscibile il testo normativo prima della sua entrata in vigore. Nel caso di specie, non essendo diversamente stabilito, il termine è di quindici giorni (art. 73 Cost.) e si sarebbe compiuto domani [il 1° novembre 2022, NdA]. Si pensi al caso di chi, da domani, avrebbe potuto beneficiare dell’applicazione di una norma più favorevole introdotta dalla riforma e che il giudice è inibito ad applicare fino al 30 dicembre. Poniamo, ad esempio, il caso di chi si sarebbe giovato dei più ampi confini applicativi dell’art. 131 bis c.p. o di una pena sostitutiva della reclusione o dell’arresto inflitta in misura superiore ai due anni e, pertanto, oggi non sostituibile né sospendibile condizionalmente. La legittimità costituzionale di una norma, come quella odierna, che impedisce l’applicazione di norme penali favorevoli al reo deve essere valutata al metro del principio di uguaglianza/ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Non si tratta qui di derogare all’applicazione retroattiva della lex mitior, che ancora non è entrata in vigore e non può quindi avere un effetto retroattivo inibito. Si tratta di valutare se sia ragionevole inibire l’applicazione della lex mitior in materia penale, che ha uno statuto costituzionale e convenzionale particolarmente garantito. Il diritto all’applicazione della lex mitior – approvata dal (precedente) Parlamento e attuata dal (precedente) Governo – è sacrificato da un provvedimento del nuovo Governo (e, eventualmente, del nuovo Parlamento) che ne differisce l’entrata in vigore poche ore prima. Sarebbe stato allora necessario uno stringente scrutinio in termini di ragionevolezza, del quale il decreto-legge avrebbe dovuto farsi carico. Quale non meglio precisata esigenza organizzativa può ragionevolmente giustificare la mancata applicazione della lex mitior, in un bilanciamento di interessi contrapposti che coinvolge anche la libertà personale? Sembrano dunque prospettabili questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 Cost., 7 CEDU e 49 CDFUE». Di qui la prospettata tesi - in alternativa alla questione di legittimità costituzionale – «di una soluzione interpretativa che porti a ritenere applicabili, anche nel periodo di prolungata vacatio legis, le leggi penali sostanziali più favorevoli previste dal d.lgs. n. 150 del 2022». Detta soluzione – secondo l’A. – troverebbe l’avallo in quella giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto applicabile in giudizio lo ius novum più favorevole al reo già durante il periodo di vacatio legis (Sez. 1, n. 39977 del 14/5/2019, Addis, Rv. 276949- 014, in tema di nuovi limiti scriminanti ex artt. 52 e 55 cod. pen. introdotti dall’art. 1 l. n. 36 del 2019; Sez. 1, n. 53602 del 18/5/2017, Caré e altro, Rv. 271639-01, in tema di depenalizzazione del reato di ingiuria ex art. 1, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 7 del 2016). Contra, nel senso della piena legittimità della norma di differimento recata dall’art. 6 del d.l. n. 162 del 2022, v. G. DI MARZIO, Il primo decreto-legge del nuovo Governo: le misure in tema di ergastolo ostativo, le misure destinate a fronteggiare i rave party e lo slittamento dell’entrata in vigore della riforma del codice di procedura penale, in ForoNews- Il Foro italiano, 1° novembre 2022, ad avviso del quale, impregiudicate le valutazioni di carattere politico sul contenuto della riforma e sulle possibili modifiche che potrebbero essere realizzate, «il potere di dettare disposizioni integrative e correttive, ai sensi dell’art. 1, comma 4, legge 27 settembre 2021 n. 134, entro due anni dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi adottati, con la medesima procedura e nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge n. 134 del 2021, non paralizza i concorrenti poteri normativi del governo previsti dall’art. 77 Cost., ove ne ricorrano i presupposti. E, in questa prospettiva, l’esigenza di evitare sovrapposizioni di normative, con l’inevitabile incertezza che ne sarebbe conseguita, come pure quella di approntare misure organizzative destinate a coordinare l’esigenza di ragionevole durata del processo con quella di efficienza dello stesso, non possono dirsi estranee all’ambito dei casi straordinari di necessità e urgenza previsti dalla Carta fondamentale. Che poi l’esigenza di modificazione della disciplina debba discendere da fatti nuovi necessariamente distinti dalla diversa valutazione politica della nuova maggioranza rispetto alla più opportuna regolamentazione del processo penale è un dato aprioristico non sorretto da un fondamento giustificativo. La scelta della legge n. 134 del 2021 di prevedere un procedimento correttivo e integrativo amplia le possibilità di intervento del governo, rendendo non necessaria una ulteriore copertura del parlamento, ma non esclude, all’evidenza, che il governo possa, con l’avallo successivo del parlamento, intervenire, senza dovere necessariamente rispettare i principi e i criteri direttivi della precedente legge delega. Ciò che nessun dubita potrebbe fare all’indomani del termine di due anni previsto dall’art. 1, comma 4, legge n. 134 del 2021 e che il più ampio armamentario assicurato da quest’ultima previsione non impedisce di fare prima». Si esclude altresì - secondo la traiettoria interpretativa suggerita da G.L. GATTA, Rinvio della riforma Cartabia, cit. - la praticabilità di una soluzione interpretativa che porti a ritenere applicabili, anche nel periodo di vacatio legis, le leggi penali sostanziali più favorevoli previste dal d.lgs. n. 150 del 2022», come già accaduto di recente a proposito del d.l. 24 marzo 2021 n. 42 che paralizzò gli effetti della prevista abrogazione della legge n. 30 aprile 1962 n. 283, che sarebbero stati provocati, a partire dal 26 marzo 2021, dall’entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2021 n. 27. Secondo G. DI MARZIO, ibidem, «la soluzione di attribuire rilievo a norme mai entrate in vigore, rispetto al fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo» deve ritenersi invece non condivisibile non trovando «reale fondamento nella giurisprudenza di legittimità»; essa costituisce, invero, una «forzatura delle regole che disciplinano l’efficacia delle norme legislative – e sullo stesso affidamento che i consociati possono fare sulla vigenza delle stesse – non ha alcun senso quando, per effetto di un contrarius actus intervenuto in data antecedente all’entrata in vigore di una legge (o di un atto avente forza di legge), si sia proceduto all’abrogazione dello stesso o sia previsto il differimento dell’entrata in vigore delle norme più favorevoli (ciò che non paralizza il potere di abrogarle). Non ha senso rispetto alla rilevanza penale delle condotte serbate nel periodo di vacatio, dal momento che esse, alla stregua della legge vigente, sono penalmente illecite, sicché non si capisce che affidamento dei consociati si dovrebbe tutelare; non ha senso, rispetto ai processi in corso, per l’elementare ragione che una legge non entrata in vigore non realizza affatto un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo. Allo stesso modo in cui non si realizza – quanto alla sorte dei processi aventi ad oggetto condotte poste in essere al fuori della vigenza del decreto-legge - siffatto fenomeno nel caso di decreti legge non convertiti: Corte cost. 22 febbraio 1985, n. 51, con nota di G. FIANDACA, in Foro it., 1985, I, col. 963; secondo una traiettoria recepita, quanto alla revoca della sentenza di condanna da Cass. 19 novembre 1997, Groenen, id., Rep. 1998, voce Esecuzione penale, n. 46, proprio sulla scia di Corte cost. 51 del 1985)». Su questi temi si rinvia alla relazione su novità normativa di questo Ufficio n. 16/2021 “Misure urgenti sulla disciplina sanzionatoria in materia di sicurezza alimentare (d.l. n. 42 del 2021): il ripristino delle contravvenzioni igienico-sanitarie e le prime ricadute operative del d.lgs. n. 27 del 2021 in tema di controlli ufficiali sugli alimenti”, § 4, dedicato all’inedito tema dello ius novum intermedio avente contenuto di favore (abrogazione) intervenuto nel periodo di vacatio legis. Sia consentito il rinvio, altresì, ad A. NATALINI, Abrogata l’abrogazione delle contravvenzioni igienico-sanitarie, in Foro italiano, 2021, V, coll. 150 ss., ove si afferma la tesi della decisività della mancata formale entrata in vigore della lex intermedia di favore ai fini della sua invocabilità rispetto ai fatti concomitanti e pregressi e quello correlato - che pure sembra dirimente - della sua tempestiva ed espressa smentita ad opera di un contrarius actus; inoltre si invoca il noto principio giurisprudenziale secondo il quale, in caso di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire, non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, determinandosi, in caso di dubbio, un obbligo di astensione dall'intervento.

5

Cfr. Relazione illustrativa al decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162.

6

Cfr. Relazione illustrativa al decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162.

7

Come evidenzia M. DONINI, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Politica del diritto, 2021, n. 4, pag. 596, proprio “l’intreccio tra diritto sostanziale e processorimane il tratto più evidente della riforma, [che] è ‘penale-processuale insieme’”; nello stesso senso F. PALAZZO, Prima lettura della riforma penale: aspetti sostanziali, ibidem, 630 ss.

8

Sulla logica del “fare presto” che informa l’intera nuova disciplina in nome dell’efficientismo nell’attività giudiziaria, che però non consentirebbe di mettere a fuoco e comprendere i valori ideali sottesi alla manovra riformatrice, v. A. SCELLA, La Riforma Cartabia del processo penale: spinte efficientiste e questioni irrisolte, in Diritto penale e processo, 2022, pag. 1134; sul “paradigma efficientistico” cfr. altresì A. GAITO-R. LANDI, “L’altare e le (forse inevitabili) vittime”. Osservazioni sul processo penale à la Cartabia, cit., pagg. 3 ss., secondo cui, in assenza di un’esplicita dichiarazione di intenti ad hoc e stante l’uso ormai inflazionato del sintagma, ad opera dei formanti normativo, giurisprudenziale ed accademico, sembra doversene mutuare la definizione enciclopedica, in base alla quale l’efficienza consiste nella «capacità di rendimento e rispondenza ai proprî fini»; dalla definizione medesima emerge, dunque, «una dimensione teleologica e relazionale intrinseca, tale per cui l’intellegibilità dell’essenza della caratteristica è possibile solo se essa è rapportata alle ragioni ultime verso le quali tende l’“oggetto” da caratterizzare» (ibidem, pag. 4).

9

Cfr. Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, Premessa, pag. 182, pubblicata nel Supplemento straordinario n. 5 alla Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 245 del 19 ottobre 2022, d’ora in poi, indicata, breviter “Relazione illustrativa”. Sui concreti e ineludibili obiettivi del P.N.R.R., concordati dal Governo con la Commissione Europea, che prospettano la riduzione dei tempi del processo entro i prossimi cinque anni, pari, nei tre gradi di giudizio, al25%nel settore penale e al 40% in quello civile, in dottrina, con riferimento alla legge delega n. 134 del 2021, cfr. G.L. GATTA, Riforma della giustizia penale: contesto, obbiettivi e linee di fondo della “Legge Cartabia”, in Sistema penale, 15 ottobre 2021.

10

Sulla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 334-bis cod. proc. pen., nella parte in cui limita l’applicazione della causa di improcedibilità dell’azione penale ai soli reati commessi dal 1° gennaio 2020, v. Sez. 5, n. 334 del 05/11/2021, dep. 2022, Pizzorulli, Rv. 282419-01, secondo cui la norma ha natura processuale, come tale non suscettibile di applicazione retroattiva, e risponde a criteri di ragionevolezza, per la finalità compensativa e riequilibratrice rispetto alla disciplina introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in tema di sospensione del termine di prescrizione nel giudizio di appello, che prevede la medesima limitazione temporale applicativa.

11

Cfr. Relazione illustrativa, loc. cit.

12

Ritenuta una dei “fiori all’occhiello” dell’intero progetto riformatore, a prima lettura, da v. M. GIALUZ, op. cit., pag. 12 ss., cui si rinvia per una disamina a prima lettura (ibidem, pagg. 12 ss.).

13

Nella dottrina processualistica, sulle differenze e sui rapporti tra diritto transitorio e diritto intertemporale v., ex plurimis, M. MONTAGNA, Tempo (successione di leggi nel) (dir. proc. pen.), in Digesto delle discipline penalistiche, Agg., Torino, 2008, pag. 342 ss.; F.R. DINACCI, op. ult. cit., pag. 225 ss.; M. GIULIANI, L’applicazione della legge, Rimini, 1983, pagg. 77 s.; ID., Le disposizioni sulla legge in generale: gli articoli da 1 a 15, in Trattato Rescigno, vol. I, Torino, 1982, pagg. 232 ss.; G.U. RESCIGNO, Disposizione: IV) disposizioni transitorie, in Enciclopedia del diritto, Vol. XIII, Milano, 1964, pagg. 219 ss. Sulla tematica della disciplina transitoria, da sempre trascurata dagli studiosi, v. già G. CONSO, Il problema delle norme transitorie, in Giustizia penale, 1989, III, pag. 129 ss.; più diffusamente, O. MAZZA, La norma processuale penale nel tempo, in Trattato di procedura penale, Milano, 1999, pagg. 91 ss.

14

Diversamente la disposizione intertemporale assume il valore di norma strumentale volta a rendere vigente una delle discipline in successione tra loro: così G.U. RESCIGNO, op. cit., pag. 228. Secondo F.R. DINACCI, La disciplina transitoria, in A. SCALFATI (a cura di), Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio (legge 20 febbraio 2006, n. 26 “legge Pecorella”, Milano, 2006, pag., 226, la particolare natura materiale del diritto transitorio e la sua netta differenziazione rispetto al diritto intertemporale permettono di escludere con certezza che dalle norme in questione sia possibile trarre indicazioni utili nel tentativo di ricostruire le regole generali ed i principi a cui l’interprete deve far ricorso quando la successione di norme penali non sia stata regolata dal legislatore attraverso norme singolari intertemporali.

15

Cfr. Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 20 ottobre 2022, “L’udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta”; Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 21 ottobre 2022, “Processo in assenza”; Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 26 ottobre 2022, “Indagini preliminari”.

16

Cfr. Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 20 ottobre 2022, cit., Premessa, § 1.0; Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 21 ottobre 2022, cit., Premessa, § 1.0; Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 26 ottobre 2022, cit., Premessa, § 1.0.

17

Come bene spiega G.U. RESCIGNO, op. ult. cit., pag. 230, le disposizioni transitorie sono insuscettibili di interpretazione analogica anche perché, in loro mancanza, non si verifica comunque una “lacuna del diritto”, ma «sovvengono le norme e i principi di diritto intertemporale e, attraverso questi, o la vecchia o la nuova norma: perciò nessuna situazione giuridica nel momento della successione fra norme rimane priva di regole ma o resta regolata dalla vecchia norma o viene sottoposta alla nuova». Nello stesso senso O. MAZZA, Una deludente pronuncia sul tempus regit actum (nota a Corte cost. ord. n. 560 del 2000), in Cassazione penale, 2001, pag. 1135, nt. 5.

18

F.R. DINACCI, op. ult. cit., pag. 227 nt. 11.

19

Come osserva acutamente G. LOZZI, Riflessioni sul nuovo processo penale, cit., pagg. 73 s., per applicare esattamente il principio tempus regit actum occorre tener presente che il tempo di applicazione della legge processuale penale non è il tempo della commissione del reato bensì il «tempo del processo».

20

A prima lettura, sia consentito il rinvio ad A. NATALINI, Ampliato il catalogo dei reati perseguibili a querela di parte, in Guida al diritto, 2022, n. 44, in corso di pubblicazione. In senso critico, T. PADOVANI, op. cit., pag. 11, secondo il quale, per quanto concerne l’incremento della perseguibilità a querela, «i pro e i contro si ripropongono immutati a ogni successiva dilatazione. Da un lato, si favorisce (mediante la remissione) una composizione del conflitto in termini riparatori, più utile e significativa dell’inflizione di una pena “nominale”. Dall’altro, si rischia di ostacolare la persecuzione di un reato scaturito da un conflitto interpersonale, la cui stessa persistenza può impedire la proposizione della querela. Il delitto di violenza privata, ad esempio, diviene, salvo qualche eccezione, perseguibile a querela. Poiché la condotta è costituita da una violenza o da una minaccia a fare, omettere o tollerare, non è difficile ipotizzare che il reo, se prima minacciava per passare ad es. indisturbato sul terreno altrui, perpetui e rinforzi la minaccia per dissuadere dalla presentazione della querela. La via mediana tra la rigidità della persecuzione, nonostante il disinteresse effettivo dell’offeso, e la flessibilità ambigua della scelta, interamente a lui rimessa, sta evidentemente altrove: nella discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale».

21

F. GIUNTA, Querela-selezione e condotte riparatorie. Verso un cambio di passo della deflazione in concreto?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, pagg. 473 ss.; ID., Interessi privati e deflazione penale nell’uso della querela, Milano, 1993, pagg. 38, 60 e 185 ss.

22

Correlata al mancato esercizio della querela da parte delle vittime quiescenti o alla eventuale remissione della querela stessa per il sopravvenire di una composizione monetaria, secondo la sequenza querela-remissione-accettazione: così E. ANDOLINA, Gli strumenti di deflazione endo-processuale: prospettive applicative della riforma Cartabia, in Diritto penale e processo, 2022, pag. 1373.

23

Sicché appare opportuno gestire, tramite la querela appunto, eventuali ipotesi bagatellari in concreto: così F. GIUNTA, Interessi privati e deflazione penale nell’uso della querela, loc. ult. cit.; cfr. altresì C. IASEVOLI, La procedibilità a querela: verso la dimensione liquida del diritto postmoderno?, in Legislazione penale, 7 dicembre 2017.

24

F. GIUNTA, Querela-selezione, loc. cit.; E. ANDOLINA, loc. ult. cit.

25

A prima lettura cfr. A. NATALINI, Remissione tacita di querela se la persona offesa non compare, in Guida al diritto, 2022, n. 44, in corso di pubblicazione.

26

Secondo E. ANDOLINA, Gli strumenti di deflazione, cit., pag. 1374, uno dei profili di maggiore criticità dell’odierna riforma risiede nell’ambito di applicazione dell’istituto della cd. riparazione estintiva ex art. 163-ter cod. pen., da riformare o da eliminare, in quanto limitato alla sola categoria dei reati procedibili a querela, che viene ora a coincidere con quello proprio della “querela-selezione”, sovrapponendosi ad esso. Infatti, «fintantoché l’istituto in esame coprirà lo stesso àmbito di criminalità su cui incide il meccanismo della querela-remissione-accettazione, buona parte delle sue potenzialità deflative risulterà compromessa; con il rischio di incentivare, a scapito dell’obiettivo di decongestione processuale, la persona offesa alla presentazione della querela (o alla mancata remissione della stessa) in funzione di una riparazione integrale del danno» (ibidem).

27

In argomento, G.P. DEMURO, L’estinzione del reato mediante riparazione: tra aporie concettuali applicative, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, pag. 43; con riferimento alla legge n. 134 del 2021, E. ADOLINA, op. ult. cit., pag. 1372.

28

A tal fine assume rilievo la coeva modifica, di parte generale, operata dall’art. 1, comma 1, lett. h), n. 1, d.lgs. n. 150 in seno all’art. 152, comma primo, cod. pen., ove la previgente parola «delitti» è stata sostituita con la parola «reati», così da rendere permanentemente operante l’istituto della remissione di querela anche con riferimento alle contravvenzioni, fino ad oggi procedibili esclusivamente d’ufficio. Sul punto, volendo, A. NATALINI, Remissione tacita di querela se la persona offesa non compare, loc. cit.

29

Come spiega nella Relazione illustrativa, cit., pag. 496, l’espressione adottata dalla legge delega – «reati contro la persona e contro il patrimonio», e non già «delitti» (art. 1, comma 15, lett. b, legge n. 134 del 2021) – ha consentito, in sede attuativa, di modificare il regime di procedibilità non solo con riferimento ai reati dei titoli XII e XIII del Libro II del codice penale ma anche alle contravvenzioni del Libro III. D’altro canto, la procedibilità officiosa delle contravvenzioni – si legge nella Relazione – è pur sempre frutto di una scelta del legislatore ordinario che, come tale, può subire eccezioni, non essendo imposta da principi costituzionali o di sistema, di talché si è ritenuto che non vi fosse alcuna ragione per escludere la perseguibilità a querela quando una contravvenzione tutela interessi individuali e concreti, come quelli che fanno capo alla persona, aprendo così il sistema alla possibilità di condotte risarcitorie e riparatorie, con effetti deflattivi sul carico giudiziario in caso di remissione della querela o di applicazione dell’istituto di cui all’art. 162-ter cod. pen. (che non si riferisce ai delitti ma ai reati in genere). Peraltro, la disciplina sostanziale e processuale della querela è già compatibile con la neo-introdotta procedibilità a querela delle contravvenzioni (ad esempio, l’art. 120, comma 1, cod. pen., pone il diritto di querela in capo ad ogni persona offesa da un reato).

30

La procedibilità d’ufficio nel furto – finora prevista in tutti i casi in cui ricorresse una o più delle circostanze speciali di cui all’art. 625 cod. pen. – resta “confinata” alle ipotesi del fatto commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici o sottoposte a sequestro o pignoramento o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza (art. 625, n. 7, cod. pen.) ovvero su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizio di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o privati in regime concessorio (art. 625, n. 7-bis, cod. pen.). In tema di furti minori, la modifica operata all’articolo 626 cod. pen. è invece circoscritta alla rubrica ed è di mero coordinamento, consequenziale al novellato art. 624 cod. pen.

31

È stato così recepito il monito del giudice costituzionale che, di recente, aveva sollecitato il legislatore ad una “complessiva rimeditazione sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis” cod. pen. (così Corte costituzionale n. 248 del 2020). Come spiega la Relazione illustrativa, cit., pag. 486, l’introduzione della procedibilità a querela per questo reato «rappresenta un fondamentale filtro in grado di portare il giudice penale a confrontarsi con quelle rare ipotesi (ad es., lesioni di particolare gravità, risarcimento non riconosciuto) in cui è realmente richiesto il suo intervento».

32

Restano procedibili d’ufficio le lesioni gravi (comprensive dell’ipotesi in cui la malattia abbia durata superiore a 40 giorni) e le lesioni gravissime (art. 583 cod. pen.); resta salva, altresì, la perseguibilità officiosa in tutte le altre fattispecie aggravate finora già previste (artt. 61, n. 11-octies e 585 cod. pen.), ad eccezione di quelle indicate nell’art. 577, comma 1, n. 1, e comma 2, cod. pen.) ovvero – ipotesi di nuovo conio – l’ipotesi del fatto lesivo commesso contro persona incapace, per età o infermità.

33

«Art. 12 (Disposizioni transitorie in materia di perseguibilità a querela). - 1. Per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. 2. Se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata».

34

Secondo cui «il problema dell’applicabilità dell’art. 2 cod. pen., in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilità a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale. Infatti, il principio dell’applicazione della norma più favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto».

35

Relazione illustrativa, cit., pag. 506 (enfasi e sottolineature aggiunte).

36

Relazione illustrativa, loc. ult. cit. (sottolineatura aggiunta).

37

Quello annuale di cui all’art. 609-septies, comma secondo, cod. pen. non viene qui in rilievo, in quanto i reati sessuali non sono incisi dall’odierna riforma; per le stesse ragioni non viene in rilievo neppure quello semestrale di cui agli artt. 612-bis, comma quarto, e 612-ter, comma quinto e nono, cod. pen.

38

Norma che, a sua volta, trova il suo precedente storico nell’art. 36 del r.d. 28 maggio 1931, n. 601 (disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale del 1930), secondo il quale il termine di tre mesi stabilito dall’art. 124 cod. pen. per presentare la querela decorre dal giorno di attuazione del codice stesso, quando la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato prima di tale giorno; altrimenti, decorre dal giorno della notizia del fatto. Tale norma, non prevedeva alcun avviso per la persona, non distingueva tra pendenti e non pendenti, ed era incentrata esclusivamente sulla anteriorità o meno, rispetto alla data di attuazione del codice penale, dell’acquisizione da parte della persona offesa della notizia del fatto costituente reato, commesso prima.

39

Su cui vedi relazione di questo Ufficio n. 45/2018, relativa alla risoluzione delle seguenti questioni: se, in presenza di un ricorso inammissibile, debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto dall’art. 12, comma 2, d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 per l’eventuale esercizio del diritto di querela. Se durante i novanta giorni decorrenti dall’avviso dato alla persona offesa, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. cit., operi la sospensione del termine di prescrizione. La sentenza è stata così massimata da questo Ufficio: «In tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto dall'art. 12, comma 2, del predetto decreto per l'eventuale esercizio del diritto di querela» (Rv. 273551-01); «In tema di prescrizione, in relazione ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, durante il tempo necessario all'espletamento della procedura di informativa alla persona offesa della facoltà di proporre querela, prevista dalla disciplina transitoria di cui all'art. 12, comma 2, del predetto decreto, non opera la sospensione del corso della prescrizione del reato, non potendo gravare sull'imputato l'impiego di un termine per consentire alla persona offesa di esprimersi, con la possibilità di far proseguire il processo pendente» (Rv. 273552-01).

40

Relazione illustrativa, cit., pag. 507.

41

Ancora Relazione illustrativa, loc. ult. cit.

42

Così, a prima lettura, v. M. GIALUZ, Per un processo penale più efficiente e giusto, cit., pag. 3 ss.

43

M. GIALUZ, op. cit., pag. 11.

44

In termini, M. GIALUZ, op. loc. cit.

45

M. GIALUZ, op. cit., pag. 11.

46

Ancora, M. GIALUZ, op. cit., pagg. 11 s.

47

M. GIALUZ, op. cit., pag. 72.

48

In termini, M. GIALUZ, op. cit., pag. 29.

49

Su cui v. relazione di questo Ufficio n. 27/2019 e relativa integrazione.

50

Per gli adempimenti organizzativi conseguenti alla sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen., vedi Ministero della giustizia - Dipartimento per gli affari di giustizia, circolare 21 ottobre 2022, cit., § 2.0, ove si invitano gli uffici di cancelleria dei Tribunali a valutare l’opportunità «di curare una sezione “dedicata” per la conservazione di questa tipologia di provvedimenti», sottolineandosi l’importanza «da riconnettere agli avvisi contenuti nella sentenza de qua» che «induce a rappresentare l’opportunità di elaborare modelli di sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo, già completi di tutti gli elementi tipizzati nella norma di riferimento, alla luce della complessità ed entità dei relativi contenuti e della natura degli adempimenti connessi».

51

Si segnala, inoltre, l’intervenuta modifica dell’art. 143-bis disp. att. cod. proc. pen., per il cui effetto il giudice che emette sentenza di non doversi procedere ne dispone la trasmissione alla locale sezione di polizia giudiziaria, ai fini dell’inserimento nel Centro elaborazione dati ai fini del rintraccio.

52

Ricavabile dividendo il numero di cause pendenti a fine anno per il numero di quelle esaurite e moltiplicando la cifra così ottenuta per 365.

53

M. GIALUZ, op. cit., pag. 32.

54

M. GIALUZ, op. cit., pag. 72, il quale rammenta che si tratta di un’iniziativa che ha trovato critiche sia in dottrina, sia nell’avvocatura, fondate sul rilievo per cui la nuova norma, costituendo un serio ostacolo ai poteri della difesa, rischierebbe di aumentare il rischio di errori giudiziari.

55

A prima lettura v., per brevi riferimenti, F.A. MAISANO, Prime note critiche sull’appello inammissibile nella “riforma Cartabia”, in Giurisprudenza penale web, 2022, n. 10, pag. 5.

56

Secondo A. MAISANO, loc. ult. cit., è facile immaginare che molti difensori, anche d’ufficio, di persone condannate a seguito di processi in assenza lascino prevalere le ragioni formali e, dopo aver attivato una procedura di comunicazione (magari a mezzo raccomandata) all’ultimo domicilio noto dell’assente, scelgano, se non ci sarà risposta, di non impugnare la sentenza di condanna. Secondo l’A. – che non condivide tale scelta e dubita della legittimità costituzionale del novellato art. 581 cod. proc. pen., per sospetta violazione dei principi convenzionali (art. 14, n. 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici) – il difensore dell’assente (specie quanto essa non sia stata il frutto di una strategia tecnica) deve far prevalere comunque il diritto all’impugnazione, magari proponendo, nell’atto di gravame, l’invito alla proposizione dell’incidente di costituzionalità.

57

Relazione illustrativa, cit., pag. 291.

58

Relazione illustrativa, cit., pag. 295.

59

Più precisamente, viene inserito un nuovo comma 2.1 e ritoccato il comma 2-bis (art. 11, comma 1, lett. b, d.lgs. n. 150): in ragione di tali modifiche, si stabilisce che il prevenuto giudicato in assenza è restituito, su sua istanza, nel termine per presentare impugnazione, a meno che non vi abbia volontariamente rinunciato, «se, nei casi previsti dall’articolo 420-bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa». La richiesta deve essere presentata entro trenta giorni dalla conoscenza effettiva del provvedimento.

60

Così M. GIALUZ, op. cit., pag. 35, secondo il quale, tuttavia, le odierne interpolazioni all’art. 175 cod. proc. pen. (nuovo comma 2,1 e modifiche al comma 2-bis) fanno rivivere un’impostazione che trovava spazio nella cornice dell’abolito istituto della contumacia, con una formulazione «che annida reali possibilità di imbattersi nuovamente nelle censure della Corte europea» (enfasi aggiunta). L’altro rimedio post iudicatum è offerto dal nuovo art. 629-bis cod. proc. pen.

61

Relazione illustrativa, cit., pagg. 290 s.

62

Sulle criticità irrisolte e sulle prospettive innovative della messa alla prova, alla luce dei criteri direttivi previsti dalla legge delega n. 134 del 2021, v. E. ANDOLINA, Gli strumenti di deflazione endo-processuale, cit., pagg. 1376 ss.

63

La questione giunse fino all’esame della Corte costituzionale che però escluse che il difetto di un regime transitorio violasse il principio di ragionevolezza o quello di tendenziale retroattività della norma penale di favore (con evocazione degli artt. 3 e 117 Cost., in relazione all’art. 7 CEDU). In quell’occasione la Consulta osservò che l’istituto della messa alla prova «ha effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova» (così Corte costituzionale, sentenza n. 240 del 2015).

64

Cfr. Relazione illustrativa, cit., pagg. 481 ss.

65

In forza delle congiunte modifiche operate agli artt. 168-bis, comma 1, cod. pen. e 464-bis cod. proc. pen., ove si prevede che se il pubblico ministero formula la proposta di messa alla prova in udienza, l’imputato può richiedere un termine per presentare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova; inoltre è stato introdotto un inedito art. 464-ter.1 cod. proc. pen., recante la scansione procedimentale della sospensione del procedimento con messa alla prova su proposta del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, formulabile in sede di avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen.

66

Si tratta di un termine «ragionevolmente breve» così quantificato dai compilatori in ragione delle esigenze «di stabilizzazione del sistema giudiziario (anche nella prospettiva di garantire una consapevole gestione dei ruoli di udienza da parte degli uffici giudiziari)»: v. Relazione illustrativa, cit., pag. 483.

67

Relativamente ad essi – si spiega nella Relazione illustrativa, cit., pag. 483 - «l’effetto deflativo sarebbe pressoché nullo (e, anzi, l’introduzione di una disposizione transitoria che preveda l’applicazione retroattiva della novella non potrebbe che determinare l’effetto – antieconomico – della regressione del procedimento alla fase di merito). Meno pressanti sarebbero anche – per i giudizi pendenti in sede di legittimità – gli elementi relativi alla necessità di anticipare l’applicazione di trattamenti volti alla risocializzazione. Ciò sul presupposto che – allorché il giudizio è giunto in sede di legittimità – di norma molto tempo è trascorso dalla commissione del fatto di reato e, conseguentemente, parlare di un’anticipazione dell’azione risocializzante avrebbe un senso piuttosto incongruo, potendo tale attività risocializzante essere proficuamente esperita in sede esecutiva. Infatti, l’azione risocializzante potrà comunque trovare il suo spazio di esercizio in sede di esecuzione penale (che segue il giudizio di legittimità), soprattutto laddove il condannato chieda di accedere a misure alternative alla detenzione, ivi compreso l’affidamento in prova al servizio sociale. Al riguardo, è da notare – sotto il profilo del beneficio atteso dall’interessato – che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale ha effetti estintivi che – sebbene non coincidenti con quelli dell’esito positivo della MAP – sono comunque largamente coerenti alle istanze di risocializzazione».

68

A sua volta ispirato dalla Commissione Lattanzi che aveva inteso prevedere una forma di recepimento della raccomandazione R(2000)2 del 19 gennaio 2000, con la quale il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva sollecitato gli Stati membri a prevedere la celebrazione di un nuovo giudizio ogni qual volta la violazione di una norma processuale appaia talmente grave da aver condizionato l’esito del processo.

69

Commentata da G. CANZIO, Giudicato “europeo” e giudicato penale italiano: la svolta della corte costituzionale, in AIC, 2011, n. 11, .

70

G. MUNIZ, op. cit., pag. 85.

71

Relazione illustrativa, cit., pag. 343.

72

G. MUNIZ, op. cit., pag. 84, secondo il quale giustamente, tale vaglio è stato affidato alla Corte suprema e non alle corti d’appello.

73

In termini, condivisibilmente, G. MUNIZ, op. cit., pag. 85.

74

Così T. PADOVANI, op. cit., pag. 9, secondo il quale, tuttavia, il raggio d’azione dell’istituzione è necessariamente condizionato dalla presenza di una vittima-persona fisica secondo la definizione dell’art. 42, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 150, sicché restano “fuori gioco” i reati in cui un tale soggetto non sia identificabile in punto di diritto o non sia presente in fatto. La partecipazione alla procedura è aperta, ovviamente, anche ai soggetti che non abbiano ancora subito alcuna condanna (art. 42, comma 1, lett. c, d.lgs. cit.): dovrà verosimilmente trattarsi di rei confessi o di soggetti disponibili a essere ritenuti colpevoli. Infatti, per quanto le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel caso del programma siano inutilizzabili in sede contenziosa e in fase esecutiva (art. 51), e il mediatore sia vincolato al segreto (art. 52), lo svolgimento del programma è a conoscenza dell’autorità giudiziaria, che dei suoi esiti deve essere informata (art 57). Il fallimento dell’iniziativa non produce «effetti sfavorevoli» nei confronti della «persona indicata come autore dell’offesa» (art. 58, comma 2); ma certo indurrà fatalmente l’idea che la «persona indicata» sia quella giusta. «È evidente – secondo l’A. – come la platea dei potenziali fruitori sia destinata a risultare modesta. Non meno modesta appare, in prospettiva, l’attrattività che il programma potrà esercitare. Il suo esito positivo può infatti tradursi al massimo in una circostanza attenuante (secondo il novellato art. 62, n. 6, cod. pen.) o in una semplice valutazione positiva nella determinazione della pena ex art. 133 cod. pen. (art. 58, comma 1)» (ibidem, pag. 12).

75

Così G. SPANGHER, La riforma del processo penale in Gazzetta, loc. op. cit.

76

Secondo la definizione espressamente formulata (art. 42, comma 1 lett. a, d.lgs. n. 150 del 2022), la giustizia riparativa consiste in «ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti da reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore». L’«esito riparativo» è a sua volta (lett. e) identificato in «qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire le relazioni tra i partecipanti». Come osserva a prima lettura T. PADOVANI, op. cit., pag. 12, nonostante il nome («giustizia»), non si tratta di un’istituzione alternativa rispetto alla giustizia “ordinaria”, ma di una struttura complementare, di operatività ed efficacia meramente eventuali.

77

Così M. GIALUZ, op. cit., pag. 23, con riferimento alle nuove forme di documentazione degli atti tra riproduzione audiovisiva e fonografica previste dal d.lgs. n. 150.

78

Relazione illustrativa, cit., pag. 222.

79

In termini M. GIALUZ, op. cit., pag. 25.

80

Per una rapida analisi a prima lettura del tema delle impugnazioni, v. R. BRICCHETTI, Prime riflessioni sulla riforma: disposizioni generali sulle impugnazioni, ne Il Penalista, 26 ottobre 2022.

81

Relazione illustrativa, cit., pag. 335.

82

Relazione illustrativa, loc. ult. cit.

83

In termini M. GIALUZ, op. cit., pag. 82.

84

La delega, al riguardo, ha mandato al delegato di «prevedere che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga con contraddittorio scritto senza l’intervento dei difensori, salva, nei casi non contemplati dall’articolo 611 del codice di procedura penale, la richiesta delle parti di discussione orale in pubblica udienza o in camera di consiglio partecipata [...]» (art. 1, comma 13, lett. m, legge n. 134 del 2021). Il legislatore delegante, quindi, ha consentito una deroga al rito cartolare per i soli «casi non contemplati dall’articolo 611 del codice di procedura penale»; esclude, di conseguenza, la possibilità di udienza “partecipata” nei casi per i quali l’art. 611 cod. proc. pen. già oggi prevede il procedimento in camera di consiglio senza l’intervento delle parti (casi particolarmente previsti dalla legge, quali quelli di cui agli artt. 428 e 612 cod. proc. pen. e tutti i ricorsi contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell'art. 442 c.p.p.). Per tale motivo – spiega la Relazione illustrativa, cit., pag. 338 – «si è limitata la potestà delle parti (di tutte le parti, come da espressa previsione della legge delega) di attivare il rito “orale” nei soli procedimenti per la decisione su ricorsi contro le sentenze pronunciate nel dibattimento o ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen., nonché in quelli da trattare con le forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen., prevedendo che in tali casi il procuratore generale e i difensori possano chiedere la trattazione in pubblica udienza (nel caso di ricorsi contro le sentenze pronunciate nel dibattimento o ai sensi dell’art. 442 cod. proc. pen.) o in camera di consiglio con la loro partecipazione (nel caso di ricorsi da trattare nelle forme previste dall’art. 127 cod. proc. pen.). Per ragioni di coerenza logica e sistematica e per non disincentivare il ricorso al rito cartolare in appello, si è prevista che la stessa facoltà sia concessa alle parti a fronte di ricorsi avverso sentenze pronunciate all’esito di udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, a norma del nuovo art. 598-bis cod. proc. pen., quando si tratti di ricorsi per i quali, in caso di udienza “partecipata” in appello, si sarebbe dovuto procedere con udienza pubblica (con esclusione, quindi, dei ricorsi avverso sentenze di appello aventi esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario: tutti casi per cui la vigente disciplina prevede il rito camerale in appello)».

85

M. MUNIZ, op. cit., pag. 82.

86

Nel giudizio dinanzi alla Suprema Corte, infatti, il rito camerale assume necessariamente cadenze diverse rispetto a quelle previste dall’art. 127 cod. proc. pen., non potendosi comprimere eccessivamente i termini spettanti alle parti per esercitare il contraddittorio scritto.

87

Con tale norma di proroga, l’applicazione della speciale disciplina penal-processuale per il contenimento della pandemia da Covid-19, già introdotta con precedenti atti di decretazione d’urgenza, è stata “svincolata” dallo stato di emergenza – cessato il 31 marzo 2022 – ed è stata protratta fino al 31 dicembre 2022. Diversamente, le disposizioni processuali pandemiche in materia di giustizia amministrativa, contabile e tributaria sono definitivamente scadute il 31 marzo 2022, termine finale dello stato di emergenza. Sottolinea, in senso critico, questa “asimmetria” A. GIAGNONI, Decreto “milleproroghe”: la disciplina emergenziale del processo penale è estesa fino al 31 dicembre 2022, in del 19 gennaio 2022.

88

Secondo L. MARAFIOTI, Il processo penale di fronte all’emergenza pandemica, in DisCrimen, 26 aprile 2021, n. 10, le disposizioni processuali pandemiche hanno dato vita ad un procedimento camerale per l’appunto inedito che rischia di incrinare ulteriormente il principio di oralità-immediatezza.

89

Con tale disposizione attuativa di nuovo conio, conseguente alla nuova disciplina delle udienze nel giudizio di appello, si prevede che avviso del provvedimento emesso dalla corte di appello in seguito alla camera di consiglio di cui all’art. 598-bis cod. proc. pen. sia comunicato a cura della cancelleria al procuratore generale e ai difensori delle altre parti: si tratta di mera comunicazione “di cortesia”, senza alcun valore costitutivo della conoscenza del provvedimento, che resta connessa al deposito del provvedimento in udienza. A tale riguardo, è espressamente previsto, nel nuovo art. 598-bis cod. proc. pen., che il deposito della sentenza equivale alla lettura in udienza ai fini di cui all’art. 545 cod. proc. pen., con disposizione che consente anche di individuare inequivocabilmente il dies a quo per il computo dei termini per impugnare, ai sensi dell’art. 585, comma 2, cod. proc. pen.

90

Su cui vedi relazione di questo Ufficio n. 3/2007.

91

Su cui vedi relazione di contrasto di questo Ufficio n. 21/2022 ed ivi per ulteriori richiami.

92

È stato così recepito il monito della Corte costituzionale che ha auspicato di recente «un complessivo intervento... volto a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione», delineando l’esigenza di una profonda riforma, tanto sul piano sostanziale quanto sul versante esecutivo di tale tipologia di sanzione penale (Corte cost. n. 15 del 2020; in precedenza cfr. altresì Corte cost. n. 279 del 2019 e Corte cost. n. 108 del 1987); monito infine rinnovato da ultimo, con un espresso riferimento alla legge delega n. 134 del 2021: «resta ferma, più in generale, la stringente opportunità – più volte segnalata da questa Corte – che il legislatore intervenga, nell’attuazione della delega stessa ovvero mediante interventi normativi ad hoc, a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale» (Corte cost. n. 28 del 2022).

93

Così T. PADOVANI, op. cit., pag. 9, secondo il quale il riassetto del comparto delle “pene” sostitutive, resta tuttavia confinato entro limiti funzionali modesti, per cui modesta sarà la sua incidenza sull’inflazione carceraria (ibidem, pag. 11).

94

Per due ragioni, una sistematica ed una disciplina: sia perché l’art. 163 cod. pen. resta limitato alle condanne fino a due anni, sia perché la riforma pone un rapporto di reciproca esclusione tra il beneficio della condizionale e l’applicazione delle pene sostitutive (v. art. 61-bis della legge n. 689 del 1981, attuativo della direttiva di delega ex art. 1, comma 17, lett. h, della legge n. 134 del 2021).

95

Relazione illustrativa, cit., pag. 428.

96

Relazione illustrativa, cit., pag. 429.

97

Va comunque segnalato il limitato impatto della disposizione transitoria, considerato che il 15 maggio 2022 si trovavano in esecuzione della semidetenzione solo 5 persone, mentre solo 98 erano sottoposte alla libertà controllata. Cfr. Relazione illustrativa, loc. ult. cit.

98

Si tratta di una deroga sorretta da ragionevoli motivi e, pertanto, ammessa al metro del principio costituzionale di retroattività della legge penale: così Relazione illustrativa, cit., pag. 429.

99

Relazione illustrativa, cit., pag. 467.

100

Relazione illustrativa, loc. ult. cit.

101

Ad esempio, se si sanziona, con larga anticipazione rispetto al bene protetto la condotta di detenzione o vendita di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione ex artt. 5, lett. b), e 6 della legge n. 283 del 1962, in che modo è rimediabile – ossia ripristinabile – il prodotto ormai degenerato a livello organolettico? Riadattare le modalità di detenzione comporta l’eliminazione del rischio per ipotesi che possano ripetersi, ma rimane la condizione di pericolosità del prodotto, tanto per eventuali pregiudizi a distanza derivanti dalla precedente assunzione, quanto per l’incertezza che discende dall’immissione in commercio a cui sia esposto anche un singolo consumatore.

102

Relazione illustrativa, cit., pag. 525.

103

Tale criterio è assai favorevole al contravventore, che, ad esempio, potrà ottenere l’estinzione della contravvenzione di cui all’art. 6, comma 3, secondo periodo, della legge n. 283 del 1962, punita nel massimo con l’ammenda di 46.481 euro, anziché pagando 7.746 euro (pari a un sesto del massimo di quell’ammenda), prestando 31 giorni di lavoro di pubblica utilità, pari a 62 ore. Si conferma infatti la regola generale, prevista per il lavoro di pubblica utilità quale pena del giudice di pace e quale pena sostitutiva della pena detentiva, secondo cui un giorno di lavoro di pubblica utilità equivale a due ore di lavoro.

104

Con riferimento all’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 758 del 1994, la Corte costituzionale (ord. n. 460 del 1999, n. 415 e n. 121 del 1998) ha affermato che “è assolutamente pacifico che la nuova disciplina dell’estinzione del reato, contenuta nel capo II del d.lgs. n. 758 del 1994, è costruita in guisa tale da operare solo all’interno della fase delle indagini preliminari, essendo finalizzata – in caso di adempimento alla prescrizione impartita dall’organo di vigilanza e di pagamento in via amministrativa di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa – alla richiesta di archiviazione per estinzione del reato da parte del pubblico ministero (artt. 21-24) e, quindi, ad evitare l’esercizio dell’azione penale”. D’altra parte, la mancata applicazione retroattiva della nuova disciplina in tema di estinzione delle contravvenzioni “ai procedimenti in relazione ai quali sia già stata esercitata l’azione penale alla data di entrata in vigore della disposizione stessa è pienamente ragionevole, non potendosi ipotizzare – senza smentire le ragioni di speditezza processuale alle quali anche è ispirata la norma – una regressione del processo alla fase delle indagini preliminari al solo fine di attivare il meccanismo premiale suddetto con l’indicazione, ora per allora, di prescrizioni ad opera dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria. Del resto, il contravventore che comunque abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato può avere comunque accesso all’oblazione prevista dall’art. 162-bis c.p.”.


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