RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 18 ottobre 2016 il Tribunale del Riesame di Ancona ha rigettato la richiesta di appello proposto dalla società Archimede 96 s.r.l. avverso l'ordinanza del Giudice delle Indagini Preliminari di Ancona del 15.9.2016 con cui è stata rigettata l'istanza di dissequestro e restituzione all'avente diritto dell'immobile sito in (OMISSIS) di proprietà della Archimede 96 s.r.l., ovvero in subordine della quota dei beni sequestrati alla sig.ra M.A.M. eccedente l'illecito profitto asseritamente conseguito da B.M. dai reati a quest'ultimo ascritti.
Il sequestro preventivo dell'immobile era stato disposto nell'ambito di una complessa indagine che vede coinvolto B.M., indagato per il reato di cui all'art. 2635 c.c., comma 1, 3 e 4, in quanto, quale Direttore Generale della società Banca Marche s.p.a., a seguito della dazione di denaro o altra utilità da parte di un cliente dell'Istituto, tal Casale Vittorio, induceva gli organi della Banca delle Marche a concedere in breve tempo linee di credito a società facenti capo a detto cliente in mancanza delle condizioni richieste con suo profitto e danno dell'istituto. Il G.I.P., con decreto del 27.10.2015, aveva riconosciuto il fumus dei reati contestati al B., disponendo il sequestro dell'immobile sopra indicato, riconducibile al B., quale strumento del reato sub capo a), come tale soggetto a confisca obbligatoria ex art. 2641 c.c. (e ciò in quanto il bene immobile in oggetto era stato acquistato con mutuo proprio allo scopo di farne oggetto di un contratto di locazione stipulato con una società riconducibile al Casale Vittorio, che prevedeva la corresponsione di canoni di locazione di importo superiore ai ratei mensili di mutuo versati, consistendo proprio in tale differenza il contestato prezzo del reato ex art. 2635 c.c., quantificato in Euro 308.233,00).
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore ha proposto ricorso per cassazione l'Archiemede 96 s.r.l. affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 325 c.p.p. in relazione all'art. 2641 c.c., per essere caduto il sequestro su un bene che non può essere definito in senso tecnico strumento del reato o bene utilizzato per commetterlo, coincidendo la nozione giuridica di strumento con quella entità ontologicamente e necessariamente funzionale ad un fatto illecito. Ne consegue che restano estranei quei mezzi aventi una destinazione intrinseca diversa dalla commissione del reato e impiegati solo occasionalmente per la realizzazione di un illecito.
L'immobile sequestrato non può nemmeno essere ritenuto come bene destinato a commettere il reato, non essendo indispensabile nel caso concreto per la sua commissione.
La ricorrente esclude che il cespite sequestrato possa essere ricondotto alla nozione di strumento del reato o di bene utilizzato per la sua commissione in quanto, nell'impostazione accusatoria, il mezzo direttamente impiegato per l'attività corruttiva, l'utilità posta alla base del pactum sceleris, non era l'immobile in sè e per sè considerato, bensì i canoni di locazione maggiorati rispetto ai ratei di mutuo corrisposti da C.V., controparte del contestato accordo corruttivo con il B..
Essendo venuto meno il rapporto di locazione con C.V., così come i connessi canoni di natura asseritamente corruttiva, l'immobile costituiva nuovamente un bene finalizzato ad un impiego diverso da quello illecito ed intrinsecamente legittimo, rimanendo quindi estraneo alla nozione giuridica di strumento del reato o bene utilizzato per la commissione dell'illecito.
Ciò posto, il mantenimento del sequestro sull'appartamento non svolge più la funzione di assicurare alla giustizia lo strumento o i beni utilizzati per la commissione del reato bensì quello di ablarne il profitto, sub specie di confisca per equivalente.
Tuttavia, in tale caso, ove fosse mantenuto il sequestro dell'immobile, il valore dei beni sequestrati supererebbe abbondantemente il ritorno economico presuntivamente correlato agli illeciti ascritti a B.M..
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 325 c.p.p. in relazione all'art. 125 c.p.p.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale non ha considerato che l'immobile non era stato mai utilizzato per commettere il reato, come evincibile dalla consulenza tecnica allegata al ricorso.
Espone di aver già dedotto nei motivi d'appello che l'appartamento non era mai stato utilizzato a fini illeciti atteso che il canone di locazione corrisposto per un periodo limitato, depurato degli oneri fiscali e dei costi afferenti le spese correnti per la gestione dell'immobile, non aveva mai coperto i ratei di mutuo, essendo inferiore agli stessi.
I canoni di locazione non avevano quindi "remunerato" il B. assicurandogli, oltre al pagamento del mutuo, un utile aggiuntivo.
Si duole che l'ordinanza impugnata non abbia considerato e confutato tale aspetto, ribadendo che nell'atto di appello non si voleva confutare il fumus commissi delicti ma il difetto di strumentalità del bene per commettere il reato.
2.3. Con memoria depositata in data 10.5.2017 la ricorrente ha replicato alle argomentazioni contenuta nella requisitoria del P.G. riportandosi a quanto già dedotto nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è fondato e va rigettato.
La ricorrente lamenta che il bene immobile in sequestro non può essere definito in senso tecnico strumento del reato o bene utilizzato per commetterlo, coincidendo la nozione giuridica di strumento con quella entità ontologicamente e necessariamente funzionale ad un fatto illecito, restando estranei quei mezzi aventi una destinazione intrinseca diversa dalla commissione del reato e impiegati solo occasionalmente per la realizzazione di un illecito.
Peraltro, ad avviso della ricorrente, essendo, nel caso di specie, venuto pacificamente meno il contratto di locazione sull'immobile in oggetto, che avrebbe costituito, secondo l'ipotesi accusatoria, il mezzo attraverso il quale era stata consentita all'indagato B. l'acquisizione del vantaggio patrimoniale costituente il prezzo del reato di corruzione privata a norma dell'art. 2635 c.p.p., non sussisteva più alcuna plausibile ragione per il mantenimento del sequestro di cui al presente procedimento.
Questo Collegio non condivide tale impostazione giuridica, aderendo, invece, a quella dell'ordinanza impugnata.
Deve ritenersi, infatti, che la qualificazione ad un bene della natura di strumento utilizzato per commettere il reato, a norma dell'art. 2641 c.c., debba essere attribuita con riferimento al momento storico del perfezionamento dell'accordo criminoso, a norma dell'art. 2635 c.c. (verificando che tale caratteristica venga mantenuta nel momento successivo dell'esecuzione dell'accordo), quale mezzo concretamente utilizzato dalle parti per far conseguire all'amministratore di società l'utilità illecita, indipendentemente dal fatto che il bene in sequestro - nel caso di specie complesso immobiliare - non sia ontologicamente e strutturalmente funzionale alla commissione del reato.
Ne consegue che, una volta commesso il reato, lo stesso bene mantiene la caratteristica di strumento utilizzato per commettere il reato, come tale soggetto alla confisca ex art. 2641 c.c., anche ove non abbia successivamente conservato una destinazione illecita.
Il sequestro strumentale alla confisca previsto dall'art. 321 c.p.p., comma 2, - categoria cui appartiene quello disposto in previsione della confisca di cui all'art. 2641 c.c. - costituisce, infatti, figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal comma 1 dello stesso articolo, per la cui legittimità non occorre necessariamente la presenza dei requisiti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo "tipico", essendo sufficiente il presupposto della confiscabilità, con la conseguenza che compito del giudice è quello di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, e ciò tanto nell'ipotesi facoltativa che in quella obbligatoria, (Sez. 3, n. 47684 del 17/09/2014, Rv. 26124201).
Ne consegue che un tale tipo di sequestro richiede soltanto l'esistenza del nesso strumentale tra la "res" e la perpetrazione del reato - non richiesto, invece, nel sequestro per equivalente ex art. 2641 c.c., comma 2 - ma non presuppone alcuna concreta prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità della cosa, la quale, proprio perchè confiscabile, è di per sè oggettivamente pericolosa (vedi sez 2 n. 31229 n. 2014, Rv. 260367).
Nel caso di specie, essendo l'immobile per cui è procedimento, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, stato concretamente utilizzato per far conseguire all'indagato l'utilità illecita, ciò è sufficiente per il mantenimento del sequestro, dovendosi, come detto, nel sequestro strumentale alla confisca dal requisito prescindere dal periculum in mora, e quindi dal rapporto di stabile asservimento della res alla commissione del reato.
2. Il secondo motivo è infondato e va quindi rigettato.
Si condivide la prospettiva dell'ordinanza impugnata secondo cui la ricorrente, nel sostenere per la prima volta innanzi al Tribunale del Riesame che il canone di locazione al netto degli oneri sarebbe stato inferiore alle rate di mutuo pagate dal B., abbia surrettiziamente contestato il fumus commissi delicti, pur non essendo tale questione stata sottoposta al Giudice delle Indagini Preliminari cui era stata presentata l'istanza di restituzione del bene.
In proposito, questa Corte ha anche recentemente affermato che l'appello cautelare disciplinato dall'art. 310 c.p.p. è governato dal principio devolutivo, per cui se l'indagato ha fondato la propria richiesta di revoca o sostituzione della misura solo sulla dedotta cessazione o sull'affievolimento delle esigenze cautelari e il primo giudice ha deciso sulla base di tale unico motivo, si stabilisce una litispendenza oggettiva delimitata tra il chiesto e il pronunciato, che circoscrive anche l'ambito del sindacato del giudizio di impugnazione. (Sez. 6, n. 19008 del 21/04/2016, Rv. 267209).
Il rigetto dei primi due motivi comporta altresì il rigetto dei motivi aggiunti, che si fondano sulle medesime argomentazioni giuridiche, nonchè la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017