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Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: condannato rappresentante farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero

Corruzione

Cassazione penale sez. VI, 15/09/2017, n.46492

Configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui all'art. 318 c.p.) lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittima la qualificazione ai sensi degli artt. 319 e 321 c.p. della condotta di un rappresentate farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero in cambio dell'impegno di quest'ultimo a prescrivere a tutti i pazienti un determinato farmaco antitumorale, rilevando che la relativa prescrizione doveva essere il frutto di un meditato apprezzamento del quadro clinico del paziente nonché di una valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla terapia farmacologica).

Corruzione sistematica: messa a libro paga del funzionario pubblico come corruzione impropria

Corruzione: lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi integra il reato di cui all'art. 318 c.p.

Corruzione propria: non è determinante che il fatto contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale

Corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio: condannato rappresentante farmaceutico che aveva corrisposto denaro ad un primario ospedaliero

Corruzione propria: sulla configurabilità del reato nei confronti di un parlamentare

Corruzione: non rileva il solo fatto che l'attività del pubblico ufficiale presenti margini più o meno ampi di discrezionalità

Corruzione in atti giudiziari: configurazione se il denaro è stato ricevuto per atto già compiuto

Corruzione: il compimento dell'atto da parte del pubblico ufficiale non fa parte della struttura del reato e non assume rilievo per la determinazione del momento consumativo

Corruzione propria: non occorre individuare esattamente l'atto contrario ai doveri d'ufficio

Corruzione: sulla applicabilità della confisca obbligatoria di cui all'art. 2641 c.c.

Corruzione propria: quando rileva lo stabile asservimento del pubblico ufficiale

Corruzione impropria: il nuovo art. 318 c.p. copre l'area della vendita della funzione in quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del suo mercimonio

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con l'ordinanza, indicata in epigrafe, il Tribunale di Napoli confermava, quale giudice del riesame, il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che aveva applicato a A.M. la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 110,319 e 321 c.p.. Secondo quanto illustrato dai Giudici del Riesame, la vicenda riguardante l'indagato si iscriveva in una più ampia indagine che aveva portato ad evidenziare una serie di illeciti penali commessi da F.I., in qualità dl direttore della struttura di chirurgia oncologica addominale dell'Istituto Nazionale dei Tumori "Fondazione G. Pascale" di Napoli: tra le provvisorie imputazioni era stato addebitato all'Izzo anche di essersi fatto promettere e poi dare la somma di 10.000 Euro dall' A., informatore farmaceutico della ditta (OMISSIS) produttrice del farmaco antitumorale (OMISSIS), per compiere un atto contrario ai doveri del suo ufficio e segnatamente per implementare artatamente gli ordini del suddetto farmaco nel 2015 (capo K). Il Tribunale, nel richiamare il compendio indiziario esposto nell'ordinanza genetica, poneva in risalto in particolare la conversazione captata intervenuta tra l' A. e l' I., nella quale il primo aveva convinto il medico ad implementare dietro compenso la prescrizione del farmaco in questione, ricevendo immediata assicurazione da quest'ultimo che "tutti quelli che arrivano nuovi devono fare il (OMISSIS)"; nella stessa conversazione, l' A. aveva promesso con preoccupante semplicità la somma di danaro, somma che l' I. aveva detto di mettere da parte, essendo certo di meritarsela; nelle successive captazioni l' I. aveva riferito all' A. dei "progressi" in tal senso, con compiacimento di quest'ultimo. Inoltre, in una conversazione del 25 gennaio 2016, l' A., nel comunicare all' I. di aver visto alcuni ordini di (OMISSIS), lo aveva sollecitato affinchè il loro accordo proseguisse. Le indagini condotte avevano dimostrato che per l'anno 2015 le prescrizioni del farmaco in questione erano più che raddoppiate. 2. Secondo il Tribunale, alla luce delle suddette evidenze, doveva ritenersi grave il compendio indiziario, neppure scalfito dalla produzione difensiva, tesa a dimostrare l'ortodossia della prescrizione raddoppiata, allo scopo di far sussumere la condotta nell'ipotesi di corruzione ex art. 318 c.p.. A fronte di un così chiaro comportamento dell' I. volto ad aumentare il fabbisogno del farmaco, per il Tribunale, era irrilevante parlare di posologia, dovendosi ritenere contraria ai doveri di ufficio la prescrizione di medicinali per finalità speculative, indipendentemente dagli esiti per avventura non dannosi per la salute del paziente o per l'Amministrazione sanitaria. Quanto alle esigenze cautelari, la spregiudicatezza dimostrata dall'indagato consentiva di ritenere attuale e concreto il pericolo di recidiva, non eliso dall'interruzione del rapporto lavorativo con l' I. e dalla sospensione cautelativa dal servizio, ben potendo l'indagato allacciare rapporti con altri numerosi professionisti e avendo comunque la sospensione effetto temporaneo. Pericolo nella specie tutelabile, secondo i Giudici del riesame, solo con la misura domiciliare, che veniva ad impedire la libera circolazione dell'indagato. 3. Avverso la suddetta ordinanza ricorre, a mezzo dei suoi difensori, A.M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. 3.1. Vizio di motivazione per la mancata risposta alle decisive censure difensive, contenute nella richiesta di riesame, con particolare riferimento al decreto del Commissario ad acta della regione Campania n. 114 del 2013 e al ruolo concretamente rivestito dall'indagato nella erogazione della liberalità. L'ordinanza impugnata non avrebbe fornito risposta alla previsione contenuta nel suddetto decreto che prevedeva per l'anno 2015 la liceità della prescrizione del raddoppio di confezioni del (OMISSIS) da parte delle farmacie ospedaliere (rientrante nei farmaci di classe H soggetti a monitoraggio). Tale provvedimento veniva a spiegare il senso della conversazione captata: il ricorrente intendeva legittimamente soltanto lamentarsi del mancato adeguamento della struttura ospedaliera alla normativa regionale (che veniva a consentire che la seconda confezione prescritta fosse erogata dalla farmacia prescelta dal paziente, anzichè come previsto da quella ospedaliera), senza peraltro arrecare alcun danno per la spesa sanitaria pubblica o vantaggio per la (OMISSIS). L'ipotizzato accordo pertanto non era contrario alla legge e su tale questione decisiva il Tribunale avrebbe omessa di pronunciarsi, viepiù in mancanza di un qualsiasi accertamento sulla coincidenza del raddoppio delle prescrizioni del (OMISSIS) registrate nel 2015 con l'aumento effettivo dei pazienti presi in cura dalla divisione oncologica in questione. Per contro, risulterebbe dimostrato dalla difesa che le richieste provenienti dall' I. del suddetto farmaco non furono artificiose e furono accolte da parte dell'Aifa le somministrazioni inserite nelle scheda del Piano terapeutico per ogni singolo paziente, soggette ad un costante monitoraggio. La ordinanza non si confronterebbe inoltre con quanto esposto nella memoria circa le modalità di erogazione della liberalità da parte della (OMISSIS): questa era stata effettuata a favore degli "(OMISSIS)" e non dell' I., sulla base di una decisione dell'apposito comitato della (OMISSIS). Queste circostanze portavano a ridimensionare il ruolo del ricorrente nella suddetta erogazione, limitandolo a quello di mero proponente (non vincolante) ai suoi superiori degli enti a scopo di lucro a cui erogare le liberalità, che non poteva essere al corrente delle indebite modalità con cui l' I. amministrasse le risorse della associazione di cui era segretario. Sul punto, l'ordinanza non solo non avrebbe risposto alle censure difensive, ma avrebbe anche travisato il fatto, assumendo che quanto elargito all' I. corrispondesse al 30% del premio di produzione erogato dalla casa farmaceutica al ricorrente. 3.2. Vizio di motivazione e violazione della legge penale in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti. Erroneamente e non rispondendo alle censure difensive, il Tribunale avrebbe qualificato il fatto nel reato di corruzione propria: nel caso in esame non si sarebbe in presenza della vendita della discrezionalità accordata dalla legge al p.u., posto che la prescrizione del farmaco in questione non costituiva una scelta discrezionale, trattandosi dell'unico medicinale per la terapia dell'epatocarcinoma. La rigorosa procedura di somministrazione, monitoraggio terapeutico e gestione del rimborso non consentiva infatti di procedere a dosaggi superiori a quelli consentiti ovvero di somministrare il farmaco a pazienti che non fossero effettivamente bisognosi del trattamento. 3.3. Vizio di motivazione e violazione della legge in relazione all'art. 274 c.p.p.. L'ordinanza in modo apodittico avrebbe ravvisato il pericolo di recidiva sulla spregiudicatezza dimostrata dal ricorrente, benchè si trattasse di un unico isolato episodio e fosse stato sin da subito interrotto ogni contatto tra questi e l' I. e la sua struttura. Quanto all'attualità delle esigenze cautelari non si sarebbe tenuto conto della datazione dei fatti (febbraio 2015). L'ordinanza non avrebbe motivato affatto sulla possibilità di adottare altre misure meno afflittive (ad esempio, interdittive) per scongiurare il suddetto pericolo. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati. 2. Il primo motivo non può essere accolto. Il giudice del riesame, in base all'art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c-bis), - applicabile al giudice che emette l'ordinanza sia al tribunale della libertà che rigetta la richiesta di riesame (Sez. 1, n. 4777 del 15/11/2011, dep. 2012, Borgnis, Rv. 251848) - deve, anche con motivazione sintetica, fornire esporre i motivi per i quali ha ritenuto non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, allorchè tali elementi siano stati prospettati dinanzi a quest'ultimo (tra tante, Sez. 6, n. 31362 del 08/07/2015, Carbonari, Rv. 264938). Nel caso in esame, tale obbligo motivazionale risulta essere stato assolto dal Tribunale, in quanto tutte le questioni e produzioni, versate nella memoria difensiva depositata in sede di riesame, di cui il ricorrente lamenta il mancato esame, risultano assorbite, in quanto non rilevanti, dalle ragioni che hanno portato alla conferma del provvedimento cautelare. In particolare, quanto al primo punto affrontato dal ricorso, le deduzioni difensive erano invero finalizzate, come ha ben evidenziato l'ordinanza impugnata, a dimostrare la legittimità del "raddoppio" della prescrizione del farmaco ad opera dell' I. e quindi ad affrontare un tema che risultava tuttavia irrilevante rispetto alla provvisoria contestazione, il cui nucleo centrale era costituito non tanto dal quantum della prescrizione (numero di confezioni da erogare al paziente per la cura), quanto piuttosto dall'an della prescrizione stessa, come si avrà modo di chiarire in seguito. Sono inoltre da ritenersi precluse in questa sede le alternative ricostruzioni prospettate dal ricorrente, quanto al "senso" delle conversazioni captate: costituisce infatti questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (tra tante, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389). Vizi, questi ultimi, del tutto assenti nel caso di specie. Invero, era stata la stessa difesa nella memoria deposita in sede di riesame (pag. 17) ad evidenziare che all'Ospedale Pascale vi erano molti più pazienti eleggibili per il (OMISSIS) ( I. aveva dichiarato nell'interrogatorio di garanzia che gli "eleggibili" alla terapia erano circa 200 e che le prescrizioni erano state tuttavia basse) e che l' A. voleva soltanto "sollecitare il dott. I. ad una maggiore attenzione" all'ampio numero di pazienti affluiti al Pascale aventi diritto al trattamento, ma che di fatto non ne beneficavano. Quanto infine al secondo punto dedotto nel medesimo motivo di ricorso (ruolo del ricorrente nella elargizione della liberalità da parte della (OMISSIS) all' I.), è sufficiente rilevare che la tesi difensiva esposta nella memoria (volta a sminuire il ruolo dell'indagato nella promessa della somma di danaro e giustificare la promessa stessa come propulsiva ad una captatio benevolentiae nei riguardi dell' I.) risultava aver perso di decisiva consistenza, alla luce della ricostruzione accolta dal Tribunale ed in particolare del contenuto eloquente delle conversazioni captate, dalle quali erano emersi i precisi termini dell'accordo corruttivo. Nè può ravvisarsi alcun travisamento della prova, rilevante ai fini dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in ordine all'oggetto della elargizione: invero, la denominazione della liberalità - essa sia il "budget di area" (come espressamente la chiama l'indagato nelle captazioni) o il "premio di produzione" (come indicato nell'ordinanza impugnata) - non viene certo a disarticolare il ragionamento giustificativo della decisione assunta, quanto alla gravità del quadro indiziario in ordine alla fattispecie corruttiva. 3. Neppure è fondato il secondo motivo con cui si contesta la qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 319 c.p.. Va ribadito il principio secondo cui configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio - e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 c.p. - lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali, che si traduca in atti, che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformino all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali (da ultimo, Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, dep. 2017, Bonanno, Rv. 269347). Come ha condivisibilmente affermato questa Corte nel citato arresto, un siffatto esercizio di pubblici poteri determina con immediatezza un pregiudizio per l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione, perchè implica l'impiego di strumenti e funzioni pubblicistiche al di fuori dei presupposti per i quali i medesimi sono stati prefigurati, e, quindi, si traduce in un "attuale" ed ingiustificato trattamento di privilegio in favore del beneficiario dell'azione indebitamente orientata. Il comportamento abdicativo del pubblico ufficiale di fronte al dovere di una corretta comparazione degli interessi rilevanti integra invero già di per sè "l'omettere" di cui all'art. 319 c.p., e quindi anche quando l'esito raggiunto risulti coincidere ex post con l'interesse pubblico. Orbene, esattamente l'ordinanza impugnata ha sussunto la condotta ascritta al ricorrente nel paradigma della fattispecie di corruzione propria. Il provvisorio addebito mosso all'intraneo I., come chiarito dal Tribunale, era consistito nell'essersi impegnato a dettare sistematicamente la terapia farmacologica (OMISSIS) ai nuovi pazienti ("tutti i nuovi pazienti che arrivano devono fare (OMISSIS)") solo perchè mosso da finalità speculative, laddove invece la prescrizione del farmaco doveva essere il frutto di un meditato apprezzamento da parte del medico del quadro clinico del paziente, nonchè di un'attenta valutazione comparativa tra i benefici perseguiti ed i rischi connessi alla particolare utilizzazione del farmaco che era possibile prevedere sulla base della situazione clinica del paziente medesimo. Pertanto, non fanno velo alla conclusione ora esposta le deduzioni difensive sulla "doverosa" somministrazione del dosaggio del farmaco ai pazienti in cura presso il reparto, per quanto già detto nel paragrafo che precede; come anche quelle che vorrebbero sostenere un automatismo nella prescrizione del farmaco, posto che così opinando si verrebbe a configurare una inammissibile abdicazione da parte del medico delle sue funzioni (cfr. Sez. 6, n. 13315 del 08/02/2011, Fabi, in motivazione). 4. Parzialmente fondato è invece l'ultimo motivo, relativo al quadro cautelare. 4.1. La valutazione in ordine alle esigenze cautelari non risulta affetta dai vizi dedotti, in quanto sostenuta da una motivazione corretta giuridicamente e priva di illogicità manifeste. L'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), nel testo introdotto dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l'imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale. Come chiarito dalle Sezioni Unite, si tratta di attributi distinti, legati l'uno (la concretezza) alla capacità a delinquere del reo, l'altro (l'attualità) alla presenza di occasioni prossime al reato, la cui sussistenza deve essere autonomamente e separatamente valutata, anche se desumibile dai medesimi indici rivelatori (specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità dell'indagato o imputato) (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, in motivazione). Nel caso in esame, l'ordinanza impugnata ha a tal fine valorizzato la personalità pregiudicata dimostrata dal prevenuto nella realizzazione della condotta provvisoriamente addebitata, indice non solo della concretezza del pericolo di recidiva, ma anche al contempo della attualità di quest'ultimo, avendo dato prova il ricorrente di piegare il proprio lavoro agli interessi personali. Quanto alla datazione dei fatti, è sufficiente rilevare che l'ordinanza impugnata ha evidenziato come l'accordo illecito tra i due indagati continuasse ad operare ancora nel gennaio 2016, quindi in un'epoca non certo risalente rispetto la data di emissione della misura cautelare, ovvero tale da escludere la continuità del periculim libertatis nella sua dimensione temporale, da apprezzarsi sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato (Sez. 5, n. 12618 del 18/01/2017, Cavaliere, Rv. 269533). 4.2. Appare fondato invece il rilievo avanzato dal ricorrente in ordine alla valutazione dell'adeguatezza della misura cautelare scelta. Di recente, le sopra citate Sezioni Unite hanno ricordato ancora una volta le peculiarità del sistema cautelare accolto dal codice di procedura penale, improntato dai principi costituzionali di riferimento e nel quale deve trovare applicazione il principio del "minore sacrificio necessario" alla libertà personale. Il modello della "pluralità graduata", che ne costituisce l'attuazione, prevede invero da un lato una gamma di misure, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall'altro, criteri per scelte "individualizzanti" del trattamento cautelare, coerenti e adeguate alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti. Ne discende che, a norma dell'art. 275 c.p.p., comma 1, ai fini della motivazione del provvedimento cautelare, il giudice deve indicare gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la misura scelta come quella più adeguata alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare al caso concreto. Nell'ambito delle misure coercitive, quando nella scelta della misura si passa dall'area non custodiale a quella custodiale, l'onere motivazionale del giudice deve essere più rigoroso dovendosi, senza ricorrere a formule di stile ed evitando qualsiasi generalizzazione, spiegare la ragione per la quale le misure custodiali siano le uniche idonee (oppure quelle non custodiali siano inidonee) per la salvaguardia del bisogno cautelare. Nel caso in esame, il Tribunale, nel motivare la scelta della misura adottata degli arresti domiciliari, si è limitato laconicamente ad affermare che la stessa risultava l'unica misura atta ad inibire la recidiva, impedendo la libera circolazione dell'indagato. Il giudice del riesame si è quindi sottratto, con una motivazione carente, ai doveri sopra richiamati che imponevano una verifica individualizzata dell'idoneità della misura applicata, risultando del tutto inesplorata la possibilità del ricorso a misure più gradate (ad esempio di tipo interdittivo) per impedire quei contatti professionali da parte dell'indagato che potevano costituire, secondo l'ordinanza impugnata, l'occasione prossima per delinquere. 5. Conclusivamente, sulla base di quanto premesso, le carenze motivazionali riscontrate in ordine alla scelta della misura cautelare impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata limitatamente a tale punto e il rinvio degli atti allo stesso Tribunale di Napoli per nuovo esame - in detti limiti - del proposto riesame alla luce degli illustrati principi di diritto e in coerenza agli esposti rilievi. Per il resto il ricorso va rigettato. PQM P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla adeguatezza della misura cautelare applicata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli, Sezione per il riesame delle misure coercitive. Così deciso in Roma, il 15 settembre 2017. Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2017
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