RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell'8 novembre 2022 la Corte di appello di Palermo confermava quella del Tribunale di Agrigento di condanna dell'imputato N.F. alla pena di mesi 8 di reclusione per il delitto di tentata induzione indebita ex artt. 56 e 319 quater c.p. ("perché, in qualità di responsabile del settore infrastrutture stradali della Provincia di Agrigento, abusando dei poteri e delle qualità inerenti le procedure di controllo sui lotti di terreno di proprietà provinciale e di revoca delle autorizzazioni per l'apertura di passi carrabili, in particolare prospettando ai coniugi L.- L., titolari dell'autorizzazione per l'apertura di un passo carrabile rilasciata previo nulla osta dallo stesso N., che avrebbe attivato i poteri di controllo e revoca di detta autorizzazione se non avessero provveduto a ritirare l'istanza in autotutela per l'annullamento dell'asta pubblica inerente la vendita di un relitto stradale aggiudicata ai coniugi B.- R., poneva in essere atti diretti in modo non equivoco a costringere i coniugi L.- L. a ritirare l'istanza di autotutela, non riuscendo nell'intento per fatti estranei alla sua volontà"), così riqualificata l'originaria imputazione di concussione ex art. 317 c.p..
La Corte condivideva integralmente la ricostruzione probatoria della vicenda offerta dal primo giudice alla stregua delle acquisite deposizioni delle persone offese, costituitesi parti civili, considerate attendibili e riscontrate. In particolare, dal tenore della conversazione registrata fra presenti il 24 luglio 2014 da L.P. e da suo figlio M. presso gli uffici della Provincia agrigentina si desumeva chiaramente che, nel corso della stessa, N. indicava ai L. le possibili spiacevoli conseguenze, come la revoca dell'autorizzazione del 20 dicembre 2013 all'apertura del passo carrabile e la conseguente demolizione del cancello d'ingresso situati in realtà su una porzione di area demaniale, qualora i coniugi L.- L. non avessero ritirato in tempi brevi il ricorso in autotutela diretto alla revoca della vendita all'asta a favore dei confinanti R.- B. di un finitimo relitto stradale utile per il raggiungimento della necessaria cubatura, che era illegittima per il mancato rispetto dei termini di pubblicazione del bando (il ricorso in autotutela veniva in effetti accolto e la vendita annullata, secondo la testimonianza resa in prime cure dai funzionari provinciali G. e C.).
La Corte riteneva che la condotta di N. fosse diretta non a mediare gli interessi contrapposti delle parti - secondo la versione difensiva - ma a indurre i coniugi L.- L. a una indebita prestazione, consistita nella rinuncia al pur fondato ricorso in autotutela, tuttavia non per danneggiare ingiustamente i predetti L.- L., né per avvantaggiare i confinanti R.- B., aggiudicatari del finitimo relitto stradale, rispetto ai quali non era stata accertata alcuna pregressa conoscenza o cointeressenza di N., bensì al fine di evitare qualsiasi "putativa responsabilità patrimoniale per danno erariale connesso al proprio erroneo operato", consistito nell'assenso tecnico al passo carraio su una porzione di terreno in realtà di proprietà demaniale, come egli stesso aveva potuto verificare insieme al capo cantoniere Rotolo.
La cennata ricostruzione probatoria consentiva l'inquadramento dei fatti in termini di tentativo di induzione indebita ex artt. 56 e 319-quater c.p., introdotto dalla L. n. 190 del 2012, non portato a compimento per la resistenza opposta dai coniugi L.- L. alle pressioni dell'imputato.
La prescrizione del reato non risultava maturata in considerazione del periodo di sospensione dei relativi termini di 502 giorni, per effetto dei rinvii delle udienze su richiesta del difensore o per l'adesione dello stesso alla proclamata astensione.
2. Il difensore di N. ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello e ne ha chiesto l'annullamento, censurandone la violazione di legge e il vizio di logicità della motivazione, sotto il duplice profilo, per un verso, dell'assenza di prova di un qualsiasi collegamento o cointeressenza del funzionario rispetto ai contrapposti interessi dei proprietari confinanti L.- L. e R.- B., tale da giustificare la finalizzazione dell'asserito abuso induttivo ad avvantaggiare gli uni o danneggiare gli altri, piuttosto che a svolgere un'opportuna azione di mediazione fra gli stessi. Peraltro, l'ipotesi prospettata dalla Corte distrettuale, quanto all'oggetto dell'indebita utilità che si assume perseguita dall'agente, non avrebbe trovato riscontro in atti e sarebbe frutto di un palese travisamento delle prove.
In subordine, la difesa del ricorrente ha ribadito la tesi della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre premettere che la ricostruzione probatoria della vicenda è sostanzialmente incontroversa, emergendo dal diffuso e logico apparato argomentativo della decisione impugnata come la Corte distrettuale, nel confermare l'apprezzamento già espresso in punto di fatto dal primo giudice, abbia preso in esame e valutato le risultanze probatorie, dichiarative e documentali, nelle loro rispettive implicazioni.
Muovendo dalle coerenti, attendibili e riscontrate dichiarazioni delle persone offese, costituite parti civili, entrambi i giudici del merito hanno fatto leva, in particolare, sui contenuti della conversazione registrata fra presenti il 24 luglio 2014 da L.P. e da suo figlio M. presso gli uffici della Provincia di Agrigento. Dal tenore della conversazione, letta alla luce della acquisita documentazione relativa alla pratica amministrativa, si desume con chiarezza che, nel corso della stessa, il funzionario responsabile, N.F., indicava a P. e L.M. le possibili spiacevoli conseguenze, come la revoca dell'autorizzazione del 20 dicembre 2013 all'apertura del passo carrabile e la conseguente demolizione del cancello d'ingresso, che aveva verificato essere parzialmente situati su terreno demaniale, qualora i coniugi L.- L. non avessero ritirato in tempi brevi il ricorso in autotutela diretto alla revoca della vendita all'asta a favore dei confinanti R.- B. di un finitimo relitto stradale utile per il raggiungimento della necessaria cubatura, che era a sua volta illegittima per il mancato rispetto dei termini di pubblicazione del bando (in effetti, il ricorso in autotutela veniva poi accolto e la vendita annullata).
2. In linea di diritto, dalla cennata ricostruzione probatoria emerge peraltro, ad avviso del Collegio, l'assenza di una prova certa in ordine al più rilevante degli elementi costitutivi del delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, previsto dall'art. 319-quater c.p., secondo il quale "... il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito...". In esso la condotta si configura come esortazione, persuasione, suggestione, inganno, impliciti messaggi, pressione morale, con più tenue valore condizionante, rispetto all'abuso costrittivo, della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, talora finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva non tanto di evitare un male quanto di conseguire un tornaconto personale (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470; Sez. 6, n. 32594 del 14/05/2015, Nigro, Rv. 264424; Sez. 6, n. 50065 del 22/09/2015, De Napoli, Rv. 265750; Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277; v. anche Sez. 6, n. 33843 del 19/06/2008, Rv. 240795). Il che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico nello schema descrittivo della fattispecie.
Sicché, esso prescinde dalla legittimità o meno dell'attività compiuta, in quanto il requisito oggettivo del reato è integrato attraverso un atto realizzato per conseguire fini illeciti, in violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione.
3. Orbene, non vi è dubbio che l'imputato, responsabile del settore infrastrutture stradali della Provincia di Agrigento, abbia esercitato in maniera scorretta le attribuzioni del suo ufficio, distorcendone le finalità e gli obiettivi di intervento nelle procedure di controllo sui lotti di terreno di proprietà provinciale e di eventuale revoca delle autorizzazioni erroneamente concesse per l'apertura di passi carrabili.
Trattasi di condotta - quella descritta nell'imputazione e probatoriamente accertata - frutto di un uso distorto del potere. Ma questo, pur costituendo un dato sintomatico dell'abuso della funzione da parte dell'agente, dev'essere tuttavia caratterizzato, secondo la previsione della norma incriminatrice, dalla correlata induzione di taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o "altra utilità", in considerazione di una qualche contropartita che la vittima avrebbe potuto trarre a sua volta dalla eventuale disponibilità offerta. Espressione, questa, che ricomprende qualsiasi bene che costituisca per la persona un vantaggio, non necessariamente economico, ma comunque giuridicamente apprezzabile. Esso può consistere in un dare o facere, di natura patrimoniale o non, purché rilevante e non coincidente con il vantaggio di natura istituzionale, che giovi esclusivamente alla pubblica amministrazione e persegua i fini di questa, poiché in tal caso non si determina la lesione dell'oggetto giuridico del reato, costituito dal buon andamento della stessa amministrazione (Sez. 6, n. 45135 del 25/09/2001, Riccardi, Rv. 220386; Sez. 6, n. 31978 del 27/03/2003, Molisso, Rv. 226219; Sez. 2, n. 45970 del 11/10/2013, Plotino, Rv. 257754; Sez. 6, n. 32237 del 13/03/2014, Novi, Rv. 260427).
4. Ciò posto, rileva il Collegio che, nel caso in esame, in entrambe le sentenze dei giudici di merito non risulta definito con chiarezza, né con assunti convergenti tali da consentirne la reciproca integrazione, il requisito determinante della indebita dazione o promessa di "altra utilità".
Sicché, sul punto, la sentenza impugnata (come quella di prime cure) appare affetta da un palese vizio motivazionale.
La decisione del primo giudice non optava per una soluzione univoca della questione, lasciando aperte una pluralità di ipotesi alternative: favorire la posizione dei coniugi B.- R., rispetto ai quali non era stata peraltro accertata alcuna pregressa conoscenza o cointeressenza di N.; danneggiare immotivatamente quella dei coniugi L.- L.; tenere fermi gli effetti della gara indetta dall'amministrazione per la vendita di una porzione di terreno demaniale nonostante la presenza di un palese vizio di legittimità.
La Corte di appello, viceversa, ha concentrato l'attenzione su un unico profilo di carattere strettamente personale per l'agente, costruendolo nei seguenti termini: "fugare qualsivoglia putativa responsabilità patrimoniale per danno erariale connesso al proprio erroneo operato... di modo che il relitto stradale venisse definitivamente aggiudicato ai vicini, rimuovendo l'ostacolo della distanza con la proprietà pubblica".
Trattasi, all'evidenza, di soluzioni incerte e contraddittorie, per taluni versi addirittura apodittiche e prive di adeguato apparato argomentativo. E ciò senza che fossero prese in considerazione e dialetticamente confutate dai giudici di merito le ulteriori ipotesi pure astrattamente configurabili: né quella del potenziale inquadramento della vicenda nel meno grave delitto di violenza privata ex art. 610 c.p., con riferimento alla finalizzazione della induzione a un generico fare o omettere qualcosa; né quella radicalmente antagonista prospettata dalla difesa, secondo cui N. avrebbe inteso svolgere esclusivamente una neutrale opera mediatrice fra le parti contrapposte, titolari entrambe di situazioni giuridiche illegittimamente acquisite su porzioni di area demaniale, non mirando affatto al perseguimento di alcuna indebita utilità per sé o per altri.
5. S'impone pertanto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto, con specifico riguardo al determinante elemento costitutivo della illecita funzionalizzazione dell'operazione induttiva alla indebita dazione o promessa di "altra utilità".
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023