RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata ordinanza, il Tribunale di Trento ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell'interesse di Pa.Dr. avverso l'ordinanza emessa dal G.i.p. del Trento, la quale aveva applicato al predetto la custodia cautelare in carcere in relazione ai delitti di cui agli artt. 74, nella veste di promotore, e 73 D.P.R. n. 309 del 1990, contestati, rispettivamente, ai capo D), D12), D18), D21) e D22).
2. Avverso l'indicata ordinanza, l'indagato, per il ministero del difensore di fiducia propone ricorso per Cassazione che, con unico, complesso motivo, deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. Dopo aver riportato l'atto di riesame e la motivazione del provvedimento impugnato (p. 3-28 del ricorso), rappresenta il difensore che il Tribunale non avrebbe motivato in relazione alle attualità delle esigenze cautelari, posto che il più recente dei reati fine risale ad oltre due anni dall'adozione della misura custodiale.
Il difensore critica la motivazione nella parte in cui ha ritenuto attuale e concreto il pericolo di recidivanza, osservando che il principio, indicato dal Tribunale, espresso da Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021 - secondo cui in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all'operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e cel medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l'associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell'ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. - si riferiva ad una vicenda in cui l'indagato, successivamente alla ritenuta risoluzione del vincolo associativo, aveva continuato nel traffico di sostanze stupefacenti, mentre, nel caso in esame, è pacifico che, dopo il 22 ottobre 2022, data di consumazione del reato fine di cui al capo D22), non vi è più traccia di un'ulteriore attività di spaccio.
Ad avviso del difensore, il Tribunale avrebbe errato nel fare applicazione del principio dinanzi indicato, arrivando a postulare che se, in costanza di un vincolo associativo, il singolo intraneo abbia dimostrato una certa professionalità nell'attività di spaccio, il decorso del tempo diventa del tutto irrilevante ai fini dell'accertamento relativo all'attualità delle esigenze cautelari. Argomenta il difensore che, in presenza del decorso di un considerevole lasso temporale tra i fatti e la cautelare, occorre, invece, considerare il contesto ambientale, la personalità e le condizioni di vita del soggetto successivamente alla commissione dell'ultima della condotte criminose.
Aggiunge il difensore che gli ulteriori elementi indicati da Tribunale per ritenere l'attualità delle esigenze cautelari non solo si risolvono in mere formule di stile, ma sono irrimediabilmente legati ora all'automatismo qui criticato, ora alla gravità del reato contesto; in ogni caso, detti elementi non sarebbero idonei a dimostrare che, successivamente all'ottobre 2021, si sarebbero presentate le occasioni in cui reiterare le condotte di spaccio, anche considerando che, in seguito, nulla è emerso a carico dell'indagato, il quale, peraltro, come documentato dalla difesa, ha svolto una attività lavorativa lecita.
Infine, la motivazione sarebbe apparente in relazione all'adeguatezza della misura di massimo rigore, non spiegando perché la misura degli arresti domiciliari, anche con particolari modalità di controllo ex art. 275-bis cod. proc. pen., non sia idonea a soddisfare le esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il ricorrente non contesta la sussistenza della gravità indiziaria, limitando le proprie censure alla sussistenza dell'attualità delle esigenze cautelari e all'adeguatezza della misura in atto.
Nondimeno, poiché le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente (cfr. ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07), dall'ordinanza impugnata emerge che durante l'attività di indagine, nei confronti del gruppo criminale capeggiato, secondo l'incolpazione provvisoria, dal ricorrente, furono effettuate una serie di sequestri rispettivamente in data:
- 15 giugno 2021 avente ad oggetto 840 gr. di cocaina e 59.500 euro in contanti, con arresto del sodale Ol.Zo.;
- 3 agosto 2021 avente ad oggetto 970 gr. di cocaina e 5.5.10 euro in contanti e materiale per il confezionamento dello stupefacente, con arresto del sodale El.Bu.;
- 13 ottobre 2012 relativo a 18,960 kg. di hashish, un bilancino di precisione, un'autovettura e arresto di Ar.Al.;
- 22 ottobre 2021 avente ad oggetto 4.327 gr. di cocaina, 623 gr. di hashish, 9.150 euro in contanti, materiale per il confezionamento della droga ed armi varia, con arresto di Po.Do. e di Ca.Pa.
È stato accertato, inoltre, che nel periodo ricompreso tra il 15 maggio 2021 e il 22 novembre 2022 la consorteria ha gestito oltre dodici kg. di cocaina e venti kg. di hashish.
Su queste basi, oltre che dalle risultanze delle intercettazioni telefoniche, il Tribunale cautelare ha evidenziato come il numero dei soggetti coinvolti, il rilevantissimo numero di cessioni attestate (plurime e quotidiane, riferite a un numero indeterminato di consumatori) dà conto del radicamento dell'associazione criminale, così come le quantità di sostanze stupefacenti trattate, la capacità di approvvigionamento anche dopo gli intervenuti sequestri, l'utilizzazione di condotte elusive dei controlli sono indicativi dell'elevata professionalità dell'organizzazione; allo stesso modo, i rilevanti ricavi mostrano l'ampiezza del grado criminale del sodalizio.
3. Ciò posto, va ricordato che, con riguardo al delitto di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 - titolo di reato per il quale è stata pure disposta la misura di massimo rigore nei confronti del ricorrente -, l'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così come modificato dall'art. 4 della legge 16 aprile 2015, n. 47, prevede una doppia presunzione cautelare, sia pure relativa, ad oggetto la sussistenza delle esigenze cautelari e l'adeguatezza della misura custodiale carceraria, presunzione che può essere vinta laddove vengano dedotti dall'indagato specifici elementi dai qual risulti o il venire meno delle esigenze cautelari, ovvero che dette esigenze possono essere soddisfatte con altre misure meno gravose.
Si è poi chiarito che la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall'art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, Andreano, Rv. 282865).
4. Si è precisato, inoltre, che, in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all'art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ai fini della prova contraria della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari assume rilevanza il fattore temporale, ove esso sia di notevole consistenza; solo in tal caso, è necessario che l'ordinanza cautelare motivi in ordine alla rilevanza del tempo trascorso, indicando specifici elementi di fatto idonei a dimostrare l'attualità delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 53028 del 06/11/2017, Battaglia, Rv. 271576); con l'ulteriore importante specificazione che la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all'operatività della stessa, né alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l'associazione di appartenenza (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, p.m. in c. Amato, Rv. 281293; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, Fusco, Rv. 280243; Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, Musumeci, Rv. 273435).
Si tratta di elementi che - caratterizzando proprio il grado di professionalità e di inserimento nei circuiti criminali - implicano una valutazione dei caratteri del fenomeno accertato rilevante ai fini della prognosi sulla possibilità di commissione di illeciti ulteriori.
Ne consegue che la prognosi di pericolosità non si rapporta solo alla operatività della medesima associazione, né alla data ultima dei reati fine della associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzavano l'associazione di appartenenza.
Si conferma, dunque, la necessità di una valutazione complessiva, che tenga conto dell'eventuale continuità tra reato associativo e reati - fine, nell'ambito della quale il tempo trascorso è solo di uno degli elementi rilevanti, con la conseguenza che la semplice rescissione del vincolo associativo non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione posta dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
5. Utili indicazioni in tal senso, del resto, si desumono dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2011, la quale dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
In particolare, come si legge nella motivazione (par. 4 del "Considerato in diritto", in fine), "proprio per l'eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi nettamente differenti quanto a contesto, modalità lesive del bene protetto e intensità del legame tra gli associati, non è dunque possibile enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le 'connotazioni criminologiche del fenomeno, secondo la quale la custodia carceraria sarebbe l'unico strumento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari".
Da tale passaggio argomentativo si coglie come i parametri rilevanti, in positivo e in negativo, siano proprio l'operatività e il contesto di azione, le modalità lesive del bene protetto, intensità del legame fra gli associati; elementi che, alla stregua del principio dinanzi indicato, vanno congiuntamente valutati in un con il tempo trascorso.
6. Orbene, nel caso di specie l'unico elemento addotto dal ricorrente per superare l'indicate presunzione è l'asserito tempo trascorso dalla commissione dei fatti, rispetto all'esecuzione della misura, ciò che imporrebbe una più penetrante verifica della sussistenza dell'attualità delle esigenze cautelari.
Si tratta di un'argomentazione non persuasiva per la dirimente ragione che, nel caso di specie, non solo la contestazione del delitto associativo è perdurante (essendo riportata, in calce al capo A, la seguente dicitura : "operatività monitorata dal mese di marzo 2021-attività tuttora in atto"), - ma nemmeno è dato rilevare una "notevole consistenza" del fattore temporale, posto che l'ultimo dei reati fine dell'associazione contestato al ricorrente è stato commesso il 22 ottobre 2021, mentre la misura cautelare - come si apprende dall'ordinanza impugnata - è stata disposta con ordinanza depositata in cancelleria il 10 luglio 2023 ed eseguita l'11 ottobre 2023.
Di conseguenza, posto che tra l'ultimo dei fatti contestati e l'emissione della misura sono trascorsi meno di un anno e nove mesi - tempo del tutto fisiologico, con riguardo ad indagini complesse, per vagliare il materiale investigativo da parte degli inquirenti, per predisporre la domanda cautelare da parte del pubblico ministero e per le autonome valutazioni da parte del g.i.p. - la presunzione di cui all'art. 275 cod. proc. pen. mantiene la sua operatività, senza che il giudice debba indicare elementi di fatto idonei a dimostrare l'attualità delle esigenze cautelari.
7. In ogni caso, in applicazione di principi dinanzi indicati, il Tribunale ha indicato una serie di elementi che depongono per la persistente attualità del pericolo di recidivanza rettamente inteso, che come affermato dalla giurisprudenza prevalente, non è equiparabile all'imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un'analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (tra le più recenti, cfr. Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, Magliulo, Rv. 282769; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Barletta, Rv. 280566).
Invero, il Tribunale ha desunto l'attualità del pericolo di recidivanza valorizzando le quantità di droga trattate, il numero rilevantissimo di contatti e consumatori, gli ingenti ricavi: elementi ritenuti indicativi, in maniera non certo implausibile sul piano logico, del livello di inserimento del ricorrente nell'ambiente del narcotraffico, e, quindi, del pericolo di recidivanza, tanto più che il Pa.Dr. - secondo la prospettazione della pubblica accusa - era al vertice del sodalizio, e, quindi, evidentemente era il soggetto maggiormente inserito nel circuito criminale.
Tali profili risultano valutati sulla base di criteri logici lineari e massime di esperienza condivise tanto da determinare un apparato motivazionale logico, lineare, specifico, congruo e come tale esente da vizi sindacabili in questa sede.
Ne consegue che, sia in relazione alla sussistenza delle esigenze, sia in relazione ai profili di scelta della misura, non siano emersi in atti, nemmeno a seguito delle contestazioni difensive, elementi idonei a superare le presunzioni codicistiche conseguenti alla dimostrata esistenza di gravi indizi.
8. Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso il 22 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria l'8 marzo 2024.