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Omissione di Atti d'Ufficio: Meccanismi Sostitutivi Azionabili dall'Interessato - Art. 328 c.p.

Omissione di Atti d'Ufficio: Meccanismi Sostitutivi Azionabili dall'Interessato - Art. 328 c.p.

Cassazione penale sez. VI, 07/11/2023, n.7668

In tema di omissione di atti d'ufficio, non escludono la configurabilità del reato di cui all'art. 328, comma 2, c.p. eventuali meccanismi sostitutivi attivabili dall'interessato a fronte della omissione del pubblico agente, quali la richiesta della nomina di un commissario ad acta e il formarsi del silenzio-inadempimento ex art. 31 d.lg. 2 luglio 2010, n. 104, che consente, in caso di attività vincolata, di promuovere un'azione per accertare l'obbligo di provvedere, in quanto ciò che rileva è solo l'inerzia della pubblica amministrazione nel compiere l'atto richiesto o nell'esporre le ragioni del ritardo.

Norme di riferimento

Art. 216 legge fallimentare -Bancarotta Fraudolenta

È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che:

1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;

2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.

Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la pronuncia in epigrafe indicata, la Corte di appello di L'Aquila, in riforma della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di L'Aquila in data 29 giugno 2021, ha assolto Di.Ci. e Di.Pi. dal reato di cui all'art. 328, comma 2, cod. pen. per non avere commesso il fatto. In primo grado i predetti - rispettivamente sindaco e responsabile del settore edilizia e dell'ufficio tecnico del comune di R pro tempore - avevano riportato condanna per non avere dato risposta all'istanza di variante al piano di fabbricazione, avanzata dalla società CO.EDI.R. Srl nell'anno 2001, reiterata il 23 novembre 2011 e, da ultimo, oggetto della diffida formale inoltrata il 24 aprile 2015, notificata al sindaco in data 11 maggio 2015. Gli imputati erano stati inoltre condannati al risarcimento del danno nei confronti di CO.EDI.R. Srl, costituita parte civile, quantificato equitativamente in euro cinquemila, nonché alla refusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla stessa parte civile. All'esito del giudizio di appello, la Corte territoriale ha ritenuto che la variante al programma di fabbricazione - l'atto richiesto dalla società CO.EDI.R. Srl - non competesse al sindaco e tantomeno al funzionario comunale investito della direzione dell'ufficio tecnico il quale ultimo avrebbe potuto essere investito della sola attività istruttoria e di supporto tecnico per l'adozione del provvedimento finale. 2. Nel proposto riscorso per cassazione, la parte civile, rappresentata dal proprio difensore, deduce un unico motivo a contenuto complesso, di violazione di norme di legge, carenza e illogicità della motivazione, qui di seguito sintetizzato nei limiti necessari ai fini della motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. Lamenta il ricorrente che, con riferimento alla posizione di Di.Ci., la Corte territoriale non si sia misurata con il disposto dell'art. 39, comma 3, T.U. Enti Locali, in forza del quale, nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti (tale è R) in mancanza di una esplicita norma statutaria che disponga diversamente, il sindaco riveste anche la funzione di presidente del consiglio comunale, sicché la diffida a provvedere sarebbe stata correttamente inviata allo stesso, in quanto investito della rappresentanza legale dell'organo consiliare, competente a deliberare la variante al programma di fabbricazione. Il dirigente dell'ufficio tecnico sarebbe invece competente, ai sensi dell'art. 11 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, al rilascio del permesso di costruire cui la richiesta di variante al programma di fabbricazione avanzata dalla società era preordinata. Più in dettaglio, nella qualità di responsabile del procedimento amministrativo, Di.Pi. avrebbe dovuto: - ai sensi dell'art. 6, legge 7 agosto 1990, n. 241, adottare il titolo abilitativo finale ovvero trasmettere gli atti all'organo competente; - ai sensi dell'art. 10-bis, stessa legge, comunicare i motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza e comunque i motivi del ritardo. 3. Il Procuratore Generale ha depositato memoria scritta in cui deduce, in termini adesivi alla prospettazione della società ricorrente, che, tanto in relazione alla posizione del sindaco, quanto con riferimento a quella del dirigente dell'ufficio tecnico, la sentenza impugnata non si sia adeguatamente rapportata alle norme extra - penali integrative del precetto, di guisa che la pronuncia assolutoria si fonda su un apparato motivazionale contraddittorio e carente. 4. Con memoria redatta dal difensore, gli imputati hanno chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso, evidenziando quanto di seguito indicato. Non è contestato che gli imputati abbiano assunto, rispettivamente, la carica di sindaco e l'incarico di responsabile del servizio tecnico nell'aprile 2013, sicché essi non possono essere chiamati a rispondere delle inadempienze verificatesi prima del loro insediamento. In ogni caso, essi non possono essere ritenuti responsabili per il silenzio serbato rispetto al succitato atto di diffida, perché i comuni sono tenuti ad esaminare le proposte di intervento edilizio (di tipo "diretto", e cioè da attuare mediante SCIA, CILA o rilascio di permesso a costruire, oppure, come nella fattispecie, di tipo "preventivo", e cioè da eseguire mediante piani attuativi previamente approvati) solo nel caso in cui esse siano conformi allo strumento urbanistico vigente. Nella fattispecie al vaglio è indiscusso che l'intervento preventivo proposto non fosse conforme al vigente programma di fabbricazione in quanto: - l'area di proprietà della società non ricade interamente all'interno della zona urbanistica di tipo C7, ma si estende anche alla zona urbanistica di tipo B3, per la quale non è prevista l'edificazione mediante interventi di tipo preventivo, bensì unicamente mediante interventi di tipo diretto; -l'intervento lottizzatorio nel comparto C7 avrebbe dovuto coinvolgere tutte le aree in esso comprese e non solo quelle di proprietà della società odierna ricorrente; - secondo il progetto presentato, tali aree rimarrebbero intercluse e comunque a distanza non regolamentare dal rio Gamberale. Non sussisteva, dunque, alcun obbligo per il Consiglio comunale di provvedere su una proposta di lottizzazione non conforme al programma di fabbricazione e per la cui attuazione sarebbe necessario attuare un procedimento di variante che è connotato da discrezionalità tecnica. Sotto altro profilo, assume la difesa degli imputati che il reato di cui all'art. 328 cod. pen. non sia configurabile, in considerazione della disciplina in materia di lottizzazioni, consentendo l'art. 23 della legge urbanistica regionale Abruzzo n. 18 del 1983 l'intervento sostitutivo della provincia, e potendo la parte attivarsi per l'accertamento del silenzio inadempimento ai sensi dell'art. 31 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Evidenzia ancora la difesa degli imputati che possono dar luogo alla tutela di cui all'art. 328, comma 2, cod. pen. in favore del privato, il quale intenda ottenere un risultato utile in relazione al rapporto amministrativo con la pubblica amministrazione, solo quelle richieste che mirano ad ottenere un atto dovuto dai pubblici poteri, sicché rimangono al di fuori della tutela legale le richieste palesemente pretestuose ed irragionevoli, con cui si solleciti un'attività superflua e non doverosa (Sez. 6, n. 79 del 19/10/2011). Difetterebbe, infine, in capo agli imputati il dolo generico, ossia la consapevolezza dell'obbligo di compiere l'atto dell'ufficio o servizio, nonché la volizione dell'inadempimento e della mancata risposta. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei confronti del solo imputato Di.Ci., per le ragioni che di seguito si espongono. 2. Va premesso che si procede ai soli fini dell'azione civile, non essendo stata impugnata la pronuncia assolutoria resa nei confronti dei ricorrenti. Alla fattispecie in esame non si applica tuttavia - ratione temporis - l'art. 573, comma 1 - bis, cod. proc. pen., introdotto dall' art. 33, comma 1, lett. a), n. 2 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in forza del quale, quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d'appello e la Corte di cassazione, se l'impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile. Le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 - 01), dirimendo il contrasto manifestatosi nella giurisprudenza di legittimità, hanno difatti stabilito che l'art. 573, comma 1 - bis, cit. trova applicazione con riguardo alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta -come nel caso al vaglio - in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della citata disposizione all'esito delle disposte proroghe. 3. Ciò posto, deve precisarsi che - come correttamente posto in evidenza dalla difesa degli imputati - sebbene la contestazione faccia riferimento a richieste di adempimento e a solleciti anche molto risalenti nel tempo, l'unico atto in relazione al quale potrebbe configurarsi una responsabilità degli imputati per la loro inazione, avuto riguardo all'epoca in cui hanno assunto le rispettive cariche (2013), è la diffida del 2015, a firma del legale della società CO.EDI.R. Srl, con la quale si chiedeva di fornire una risposta alla proposta lottizzazione, sicché va temporalmente circoscritta entro questi limiti la condotta da valutare. 4. Un primo profilo su cui è fondata la pronuncia assolutoria, censurato in ricorso, attiene alla competenza dell'atto da adottare, essendosi ritenuto nella sentenza impugnata che non rientrasse tra i poteri funzionali del sindaco l'adozione di una variante al programma di fabbricazione vigente, il quale costituiva in R, comune privo di piano regolatore, lo strumento urbanistico di riferimento. Al riguardo deve osservarsi che, in applicazione di un consolidato indirizzo interpretativo, la competenza del soggetto richiesto dell'atto costituisce presupposto imprescindibile perché si configuri la fattispecie omissiva contemplata dall'art. 328, comma 2, cod. pen. La struttura della norma è chiaramente evocativa di un simile requisito, laddove individua l'oggetto dell'omissione in un atto del suo ufficio, riferito, appunto, al pubblico agente. Nel caso che occupa, anzitutto va osservato che la diffida indirizzata al Sindaco era diretta ad ottenere almeno un riscontro formale alle richieste avanzate nell'interesse della parte civile. A fronte di un tale atto, rappresentativo dell'interesse del privato all'ottenimento di una pronuncia esplicita - secondo quanto osservato dalla stessa Corte di appello - avrebbe dovuto essere adottato un provvedimento che fosse quanto meno ricognitivo delle ragioni ostative a tale adozione o esplicativo del ritardo, posto che la richiesta, per le modalità con cui era stata avanzata, non presentava alcun margine di pretestuosità o irragionevolezza. La circostanza che non si trattasse di un atto dovuto, ma rimesso alla discrezionalità tecnica dell'ente, non esimeva il pubblico agente destinatario della richiesta dal rispondere. 5. Sotto altro profilo, anche la questione della pretesa incompetenza del sindaco non è correttamente impostata. La società ricorrente aveva proposto l'approvazione di un piano di lottizzazione in variante al detto programma, al fine di realizzare un intervento edilizio sui terreni di sua proprietà ed il provvedimento rientrava nelle competenze del consiglio comunale. La Corte di appello non si è tuttavia confrontata con il disposto dell'art. 39 TUEL cit., per cui il sindaco, in un comune con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, qual era ed è R, ha la presidenza del consiglio comunale - salvo differente previsione statutaria, che nella specie non è mai stata allegata - e a lui competono poteri di convocazione e direzione dei lavori e delle attività del consiglio. Il dato che la variante non fosse conforme al programma di fabbricazione, non giustifica la sottrazione della pratica alla valutazione dell'organo preposto, che il sindaco avrebbe dovuto almeno convocare per investirlo della richiesta. 6. In senso contrario a tale ricostruzione non può assumere rilevanza la previsione dei meccanismi surrogatori indicati dalla difesa degli imputati, né che la proposta di lottizzazione avrebbe potuto trovare accoglimento all'esito dell'iter previsto dalla legge urbanistica regionale Abruzzo n. 18 del 1983, eventualmente previo intervento surrogatorio della provincia. A nulla rileva, in particolare, che l'art. 23 della indicata legge, in materia di procedimento di formazione dei piani di lottizzazione di iniziativa privata, regolato dagli artt. 20 e 21 della medesima legge, prevedesse che, decorsi centoventi giorni dalla presentazione degli atti, senza che il comune avesse assunto provvedimenti deliberativi, i richiedenti potessero inoltrare al comune un atto stragiudiziale di diffida, trasmettendone copia alla provincia, la quale, decorso l'ulteriore periodo di trenta giorni senza che il consiglio comunale aveva titolo a provvedere in via sostitutiva, nei sessanta giorni successivi, a mezzo di apposito commissario ad acta, all'uopo designato dal Presidente. Né può rilevare la previsione di meccanismi di silenzio inadempimento ai sensi dell'art. 31 D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 in forza dei quali avrebbe potuto essere proposta dall'interessato specifica azione diretta ad accertare l'obbligo dell'amministrazione di provvedere. Deve ritenersi, al riguardo, che non elidano la responsabilità penale del pubblico ufficiale per il contegno omissivo, la previsione, sul versante amministrativo, di una fattispecie di silenzio inadempimento e neppure la previsione di poteri sostitutivi alla scadenza di un termine dato, in quanto ciò che rileva, ai fini dell'integrazione del reato, è l'inerzia della Pubblica Amministrazione. Questa Corte ha già avuto modo di osservare, al riguardo, che la possibilità di esperire i rimedi giurisdizionali avverso il silenzio inadempimento, da un lato, e la tutela penale apprestata dall'art. 328 cod. pen., dall'altro, si collocano su piani diversi, in quanto la formazione del c.d. silenzio - inadempimento, pur essendo suscettibile di impugnativa, non esclude la rilevanza penale dell'omissione. Ciò perché, con la formazione del silenzio inadempimento, non sono certamente soddisfatte le esigenze di tutela nei confronti della pubblica amministrazione e non si ottiene alcun provvedimento negativo, permanendo il contegno omissivo che integra l'elemento preso in esame dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 6, n. 17536 del 29/03/2018, Ricceri, Rv. 272891 - 01). A ben vedere, proprio la previsione di meccanismi surrogatori, oltre a confermare la doverosità dell'adozione di un provvedimento espresso, porta ad escludere che la richiesta del privato sia stata formulata, come invece dedotto dalla difesa degli imputati, in termini tali da potere essere ritenuta pretestuosa o non ragionevole dal pubblico agente. 7. Sotto altro profilo, non è neppure fondato il rilievo difensivo sulla mancanza di dolo. Non è controverso che al sindaco sia stata inviata una diffida formale ad adempiere, inequivocamente diretta a costituire in mora il destinatario, con cui era rappresentata l'attività da compiere con caratteri di cogenza. La presenza di tale richiesta rende infondate le deduzioni sulla mancanza del dolo, con riguardo alla persona del sindaco che l'ha ricevuta, essendo certamente integrate la consapevolezza e la volontà dell'inerzia. Il protrarsi dell'inadempimento per un tempo irragionevole dimostra anzi, ed inequivocamente, che l'atto richiesto è stato ostinatamente rifiutato, senza alcuna plausibile giustificazione. 8. Dunque, in relazione a colui che ricopriva la carica di sindaco, la sentenza impugnata non si confronta con le norme extra-penali integrative del precetto che regolano la procedura amministrativa, determinandosi una inosservanza delle norme. Così pure, sussiste il lamentato vizio di motivazione, posto che, dopo avere rilevato che il sindaco aveva l'obbligo di rispondere, non potendo certamente "cestinare" il formale sollecito ad adempiere, la Corte territoriale ha motivato il proscioglimento sulla assenza di una specifica competenza a provvedere in capo al soggetto. 9. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto a Di.Pi., direttore, ai tempi, dell'ufficio tecnico comunale. Lo stesso non risulta essere destinatario della diffida del 2015, che non gli è stata notificata, e tale profilo risulterebbe per sé dirimente. Tale atto è necessario ai fini della integrazione della fattispecie, in quanto l'urgenza può ritenersi sostanziale (ed implicita) solo in relazione a taluni beni ed interessi pubblici, individuati al comma 1, dell'art. 328 cod. pen. che non vengono qui in rilievo. Sotto altro profilo, deve osservarsi che l'adozione di un atto amministrativo a contenuto complesso, quale quello richiesto, esigeva un'articolata istruttoria. Nell'interesse della società ricorrente, si è posto in evidenza che, a norma del combinato disposto degli artt. 5 e 7 legge 7 agosto 1990, n. 241, viene considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all'unità organizzativa, almeno fino al momento in cui lo stesso non assegni ad altri tale ruolo, e tra i suoi compiti rientra anche quello di adottare - ma solo ove ne abbia la competenza - il provvedimento finale, ovvero di trasmettere gli atti all'organo competente per l'adozione. Inoltre, si è evidenziato che, secondo quanto dispone l'art. 10-bis della citata legge n.241, il funzionario investito della responsabilità del servizio è tenuto a comunicare i motivi del diniego o del ritardo, anche prima dell'adozione di un provvedimento negativo, così da dare avvio ad una fisiologica dialettica endoprocedimentale. Si tratta di rilievi non conferenti. A parte il fatto che l'imputazione è stata elevata, con riferimento alla sua persona, in relazione alla sola qualità di responsabile del settore urbanistico -senza ulteriori specificazioni in merito al contegno omissivo allo stesso imputabile in concreto - correttamente si è posto in evidenza, nella sentenza impugnata, che la norma incriminatrice di cui all'art. 328 cod. pen. è posta a presidio del buon andamento della pubblica amministrazione nella fase della realizzazione dei suoi compiti istituzionali, in rapporto alla soddisfazione dell'interesse qualificato di un soggetto privato, di tal che, quel che assume rilevanza è il contegno del soggetto competente ad adottare l'atto e non anche quello dei soggetti che intervengono nell'iter procedimentale. Va al riguardo condiviso l'orientamento per cui, nell'ipotesi di procedimento amministrativo che coinvolga più uffici appartenenti alla medesima amministrazione, le attività interne - la cui omissione dovrebbe trovare rimedio nella previsione di attività sostitutive di altri soggetti ed eventualmente una sanzione nel promovimento del giudizio disciplinare - non sono penalmente rilevanti, ricadendo nella fattispecie della norma penale soltanto gli atti esterni costituiti dal provvedimento finale o quelli che, precedendo il provvedimento finale, si presentino come atti necessari, dotati di autonoma rilevanza (Sez. 6, n. 9426 del 17/06/1999, Zunino, Rv. 214126 - 01). Il ricorso va dunque rigettato, con riferimento a Di.Pi.. 11. Si impone, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla posizione dell'imputato Di.Ci., con rinvio, ai sensi dell'art. 622 cod. pen, al Giudice civile competente per valore in grado di appello il quale terrà conto dei principi innanzi indicati. A tale Giudice è altresì demandata la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili nei confronti di Di.Ci. con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese del presente giudizio. Rigetta il ricorso nei confronti di Di.Pi. e compensa le spese della azione civile nei suoi confronti. Così deciso in Roma il 7 novembre 2023. Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
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