RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino con sentenza del 23 novembre 2022 (motivazione depositata il successivo 30 novembre), in parziale riforma di quella di primo grado emessa dal Gip del Tribunale di Vercelli, ha dichiarato non doversi procedere in riferimento alle condotte di peculato - contestate al Capo B) commesse tra il giugno 2009 e il giugno 2010 perché estinte per prescrizione, rideterminando la pena inflitta all'imputato in complessivi anni due e mesi dieci di reclusione, con le conseguenti statuizioni a favore della parte civile.
2. Gli addebiti contestati all'imputato concernono, oltre a condotte appropriative poste in essere nella qualità di tutore della cugina F.G., gravemente malata e ricoverata presso una struttura sanitaria (peculato capo B), l'omissione di atti di ufficio, aggravata dal nesso teleologico rispetto al delitto di peculato, poiché, nella qualità suindicata, avendo già in passato omesso di redigere svariati rendiconti nonché di esporre le ragioni di tale omissione, a seguito della rimozione dal predetto incarico disposta con decreto del giudice tutelare del 27 settembre 2018, ometteva di depositare il rendiconto finale entro il prescritto termine di due mesi (capo A).
3. Avverso la indicata sentenza di appello l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha presentato ricorso nel quale si deducono i seguenti motivi:
a) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di omissione di atti di ufficio aggravato. Si eccepisce che difetta la precisa determinazione del fatto di reato contestato, avendo il giudice tutelare rilevato che il F., non aveva mai presentato rendiconti, mentre la imputazione fa riferimento alla "omessa redazione di svariati rendiconti"; tale imprecisione, si sostiene, ridonda nella genericità della imputazione - non essendo individuati quali rendiconti sono stati omessi e quando questi dovevano essere prodotti - a tacere che tali omissioni "potrebbero essere state tollerate dai giudici tutelari" che solo dopo molti anni hanno proceduto alla revoca dell'incarico; si contesta poi la ritenuta configurabilità della circostanza aggravante, rilevando che in realtà è stata proprio l'omessa redazione dei rendiconti a far sorgere sospetti in ordine alla regolarità della tutela e quindi tale condotta "più che favorire l'occultamento dell'ipotetico e successivo reato ne ha agevolato l'individuazione"; b) violazione di legge e vizio di motivazione - sempre in riferimento alla fattispecie di cui all'art. 328 c.p. - in relazione alla ritenuta configurabilità in capo all'imputato della qualità di pubblico ufficiale, da limitarsi - in riferimento allo svolgimento della tutela - alla sola potestà certificatoria nell'attività di redazione dei rendiconti, non avendo redatto rendiconti, egli non aveva la necessaria qualifica pubblicistica; c) vizio di motivazione in riferimento alla condanna per le condotte di peculato, condanna fondata - in modo apodittico e illogico - su indizi non concludenti (in particolare, le "sensazioni" rappresentate dal nuovo tutore nominato dopo la revoca dell'imputato) e comunque inidonei a dimostrare l'effettiva appropriazione da parte del F., delle somme di denaro che, invece, sono state sempre impiegate in favore della congiunta gravemente disabile e ricoverata in struttura assistenziale; si evidenzia che il complesso della somma contestata come utilizzata per fini privati (26.000 Euro) divisa per il lungo tempo nel quale si è esercitata la tutela, determina la mancata giustificazione di poco più di 108 Euro al mese, che trova adeguata motivazione in una serie di spese a favore della interdetta, mentre il mancato adempimento delle rette presso l'istituto di ricovero non può integrare la condotta appropriativa del peculato essendo invece conseguenza dell'atteggiamento dell'imputato che, preoccupato per le ritenute insufficienze nella cura della cugina, ha, errando, ritenuto di potere "far pressione" sull'amministrazione evitando di versare quanto dovuto; al più, gli si può quindi contestare una leggerezza nella gestione delle somme ma non anche condotte appropriative penalmente rilevanti; d) mancata concessione delle attenuanti generiche, negate nonostante l'incensuratezza e le concrete modalità dei fatti, e censura in merito alla non riqualificazione del capo B) in appropriazione indebita (per difetto della qualifica pubblicistica).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto tutti i motivi nello stesso dedotti sono manifestamente infondati.
1.1. Va evidenziato che nel caso di specie si è di fronte alla c.d. "doppia conforme" situazione che ricorre quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
1.2. Va ancora rilevato che questa Sezione ha avuto modo di precisare che nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv. 281935).
1.3. Infine, è opportuno ribadire che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 - dep. 2021, F., Rv. 280601).
2. I Giudici di merito, con motivazione certamente non illogica, hanno chiarito come l'imputato si sia appropriato, nel corso degli anni, di rilevanti somme di denaro di proprietà della cugina, gravemente malata e ricoverata presso la struttura sanitaria (Omissis), della quale era stato nominato tutore.
Al riguardo, la sentenza impugnata (pagg. 6 e 7) evidenzia che le condotte appropriative sono venute alla luce a seguito di una lettera, inviata dal Presidente di detto Istituto al Giudice tutelare di (Omissis), nella quale si rilevava che la paziente aveva accumulato un ingente debito (di oltre 62.000 Euro) per rette che il tutore non aveva pagato. I fatti, peraltro, sono sostanzialmente ammessi dall'imputato, atteso che la sentenza impugnata rileva come costui, in sede di spontanee dichiarazioni, non negò il fatto ma sostenne che "aveva cessato di pagare per rirtorsione nei confronti dell'Istituto, che non avrebbe riscontrato alcune richieste" e al nuovo tutore "disse che non aveva pagato le rette perché la cugina non riceveva cure adeguate"; giustificazione che - non implausibilmente - viene liquidata dalla Corte territoriale come "di scarsissima attitudine difensiva". Inoltre, la mancata resa dei conti, compreso quello finale prescritto al momento del subentro del nuovo tutore nominato dal Giudice tutelare, viene in modo congruo spiegato dalla sentenza impugnata come finalizzato a "non svelare l'allegra gestione dei denari della tutelata, allegra gestione che affiorò non appena la tutela passò nelle mani dell'avv. Bazzano Mattia, che dichiarò di avere riscontrato prelievi di denaro e pagamenti effettuati con carte di credito e bancomat del tutto ingiustificati" (relativi a rifornimenti di carburante, pasti in ristorante, abbigliamento), oltre a ulteriori condotte appropriative, relative a bonifico condominiale per l'abitazione dell'imputato e all'estinzione, senza alcuna autorizzazione, di un conto titoli intestato alla interdetta.
3. Rileva poi il Collegio che è pacifico che il tutore dell'incapace riveste la qualifica di pubblico ufficiale e la condotta di appropriazione di somme delle quali venga in possesso per ragione del suo ufficio integra quindi il reato di peculato e non quello di appropriazione indebita (Sez. 6, n. 23353 del 04/02/2014, Mameli, Rv. 259910 - 01).
4. Ugualmente manifestamente infondato è il motivo del ricorso con il quale si contesta la configurabilità nella specie del delitto di cui all'art. 328 c.p. L'obbligo di rendiconto trova espressa previsione nella legge, come chiarito dalla Cassazione civile che ha precisato come "l'art. 385 c.c., a carico del tutore il quale cessi comunque dalle sue funzioni, detta un obbligo generale di rendiconto che trova la propria ragione nell'esigenza che i soggetti interessati svolgano il pieno controllo sull'attività espletata e che siano accertate le posizioni debitorie o creditorie del tutore nei confronti dello stesso amministrato": Cass.civ. Sez. 1, n. 9781 del 16/09/1995, Rv. 494039 - 01). D'altro canto la qualifica pubblicistica connessa alla funzione di tutore, ovviamente, non viene meno - come preteso dal ricorrente - nel caso in cui il tutore, violando i propri doveri, ometta di redigere e presentare i rendiconti dovuti. Infine, non assume rilievo alcuno la dedotta "imprecisione" del capo di imputazione, in relazione al quale il ricorrente eccepisce la mancata specificazione dei rendiconti omessi, atteso che, comunque, la contestazione fa riferimento anche all'omesso deposito del "rendiconto finale di cui all'art. 385 c.c. entro il termine di due mesi", risultando in tal modo chiaramente indicato il fatto contestato.
4.1. Per quanto poi riguarda l'elemento psicologico del reato in esame, è pacifico che "ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328 c.p. è sufficiente il dolo generico, in quanto l'avverbio "indebitamente", inserito nel testo della disposizione, qualificando l'omissione di atti di ufficio come reato ad antigiuridicità cosiddetta espressa o speciale, connota l'elemento soggettivo, non nel senso di comportare l'esigenza di un dolo specifico, ma per sottolineare la necessità della consapevolezza di agire in violazione dei doveri imposti" (Sez. 6, n. 33565 del 15/06/2021, Esposito, Rv. 281846 - 01).
5. Manifestamente infondato è infine il motivo con il quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto, la sentenza impugnata ha escluso l'esistenza dei presupposti per detto riconoscimento "poiché il fatto è gravissimo, come tutti i fatti che sono compiuti in danno di soggetti che non si possono difendere e fu commesso per sola bramosia di denaro. Non solo, l'imputato ha dimostrata iattanza nelle sue giustificazioni, fino al punto da adombrare responsabilità altrui (da parte dei vertici della casa di riposo o di operatori a vario titolo del Tribunale di Vercelli)". Motivazione congrua e pertanto non sindacabile in sede di legittimità .
6. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non rinvenendosi elementi dai quali evincere una sua assenza di colpa nella proposizione del ricorso, della somma, ritenuta congrua, di tremila Euro a favore della Cassa delle Ammende.
L'imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, liquidate come da dispositivo.
Infine, in ragione dei fatti contestati, si deve disporre nel caso di diffusione della presente sentenza l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti private a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla Parte civile F.G., che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2023