RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16/03/2023, la Corte d'appello di Caltanissetta confermava la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Gela che, in esito a giudizio abbreviato, aveva condannato Re.Ca. alla pena di cinque anni, otto mesi e venti giorni di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa per il reato di rapina ai danni delle farmaciste Ga.Mi. e Ro.Bu., aggravato, oltre che dall'essere stata la minaccia commessa con armi e da persona travisata, anche ai sensi dell'art. 61, primo comma, n. 11 - octies), cod. pen.
2. Avverso l'indicata sentenza del 16/03/2023 della Corte d'appello di Caltanissetta, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, Re.Ca., affidato a un unico motivo, con il quale lamenta, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 61, primo comma, n. 11 - octies), cod. pen., per avere la Corte d'appello di Caltanissetta ritenuto l'applicabilità della circostanza aggravante prevista da tale norma penale "indipendentemente dal fatto se il reato fosse legato all'attività svolta dalla parte offesa" e "per il solo fatto che si trattasse di medico, farmacista, veterinario, ecc.".
Il ricorrente afferma che, pena la configurazione di un illogico "privilegio" che si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., "(I)a tutela "rafforzata" dalla qualità di esercente una professione sanitaria va sempre e comunque rapportata all'attività del "sanitario", al quale non può attribuirsi una speciale tutela anche allorquando agisce (id est: subisce) come un comune cittadino o comunque qualora il fatto (nel caso di specie: la rapina) non abbia attinenza con l'attività sanitaria".
Ciò premesso, il ricorrente rappresenta di avere compiuto la rapina "non perché si trattava di farmacia, ma semplicemente per procurarsi dei soldi: non c'entrano né le cure, né i farmaci - e conseguentemente - neanche l'attività di farmacista".
Secondo il Re.Ca, l'applicazione dell'aggravante de quo a una tale fattispecie concreta si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto dare dell'art. 61, primo comma, n. 11 - octies), cod. pen. - contrariamente a quanto ha fatto -un'interpretazione conforme al suddetto principio di eguaglianza, escludendo che la stessa aggravante fosse applicabile alla fattispecie di causa.
Il ricorrente rammenta ancora che l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11-octies), cod. pen., fu introdotta (dall'art. 5 della legge 14 agosto 2020, n. 113) durante l'emergenza per la pandemia di Covid-19, in ragione dell'allarme sociale che era stato suscitato da alcuni episodi di cronaca che avevano visto medici e infermieri, specialmente dei pronto soccorso, vittime di aggressioni da parte dei pazienti o di loro familiari e che la relazione di accompagnamento al disegno di legge S-867 (poi divenuto legge n. 113 del 2020) aveva affermato che "i fattori di rischio responsabili di atti di violenza diretti contro gli esercenti le professioni sanitarie sono numerosi, ma l'elemento peculiare e ricorrente è rappresentato dal rapporto fortemente interattivo e personale che si instaura tra il paziente e il sanitario durante l'erogazione della prestazione sanitaria e che vede spesso coinvolti soggetti, quali il paziente stesso o i familiari, che si trovano in uno stato di vulnerabilità, frustrazione o perdita di controllo".
Ciò rammentato, il Re.Ca. afferma che "(n)ella rapina non c'è nessun "rapporto personale interattivo", né il rapinatore può qualificarsi "paziente", né infine la rapina può essere equiparata a una "prestazione".
Pertanto, il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, n. 11-octies), cod. pen., e, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, essendo la stessa questione rilevante e non manifestamente infondata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L'unico motivo non è fondato.
Dopo un lungo iter parlamentare (durato quasi due anni), la legge n. 113 del 2020 - intitolata "Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni" - ha introdotto nell'art. 61 cod. pen. una nuova circostanza aggravante comune, contemplata nel n. 11-octies) del primo comma del menzionato art. 61 cod. pen., la quale consiste nell'"avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività".
La nuova circostanza aggravante ha riguardo a tre categorie di persone: a) gli esercenti le professioni sanitarie; b) gli esercenti le professioni socio-sanitarie; c) chiunque svolga attività ausiliarie dì cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento delle dette professioni.
L'ambito di applicazione soggettiva della legge n. 113 del 2020 - e, quindi, anche dell'aggravante, da essa introdotta, di cui al n. 11-octies) del primo comma dell'art. 61 cod. pen. - è delineato dall'art. 1 della stessa legge n. 113 del 2020, il quale rinvia alle disposizioni della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (cosiddetta "Legge Lorenzin") per le definizioni di professioni sanitarie e socio-sanitarie. Per quanto qui interessa, ai sensi dell'art. 4 della richiamata legge n. 3 del 2018, svolgono una professione sanitaria anche coloro che appartengono all'Ordine dei farmacisti.
Ciò precisato con riguardo all'ambito di applicazione soggettiva, la circostanza aggravante contempla poi due presupposti oggettivi di applicazione.
Essi sono costituiti: a) dal dover essere il reato un delitto (non, quindi, una contravvenzione) commesso con violenza o minaccia (come nel caso della rapina); b) dal dover essere il reato commesso ai danni di una delle suddette categorie "a causa o nell'esercizio" delle menzionate professioni (sanitarie o socio-sanitarie) o attività ausiliarie.
Ciò che interessa specificamente il motivo di ricorso è proprio tale necessario nesso funzionale tra il delitto commesso con violenza o minaccia e l'esercizio dell'attività professionale del sanitario.
A tale proposito, si deve ritenere che: a) la locuzione "a causa" della professione svolta si riferisca a quelle condotte delittuose minacciose o violente che aggrediscano la persona del sanitario in ragione dell' incarico da essa espletato (connessione finalistica); b) la locuzione "nell'esercizio" della professione si riferisca a quelle condotte delittuose minacciose o violente che aggrediscano la persona del sanitario contestualmente a tale esercizio (connessione occasionale, purché l'attività sia in corso).
La ratio della più energica tutela penale apprestata dall'aggravante si deve ritenere risiedere: a) nel primo caso, nello scopo di impedire vendette o, comunque, ingiuste reazioni minacciose o violente, cui possa avere dato luogo lo svolgimento dell'incarico svolto da sanitario; b) nel secondo caso, nello scopo di garantire la sicurezza dell'esercizio della funzione o del servizio sanitario nel momento in cui esso si trova in fase di svolgimento.
Questo secondo caso richiede dunque, alla luce della lettera e della ratio della norma, esclusivamente che l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata contestualmente all'esercizio in atto dell'attività professionale del sanitario, senza che sia necessario, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante, che la stessa aggressione sia determinata da motivi che attengono all'esercizio della suddetta attività o presupponga un rapporto paziente/sanitario.
Anche in questo secondo caso, la più energica tutela penale apprestata dall'aggravante non deriva unicamente e di per sé da una maggior tutela soggettiva di chi rivesta una determinata qualifica professionale ma dal collegamento della condotta di reato con l'esercizio in atto della correlativa attività professionale.
Il quale esercizio è tale, come è stato esattamente rilevato dalla Corte d'appello di Caltanissetta, da esporre particolarmente gli operatori sanitari ai rischi di aggressione che derivano dal fatto di essere gli stessi, a cagione della loro attività, in costante relazione con una pluralità indeterminata di persone, che si rapporta con loro senza alcun filtro, e con ridotte possibilità di limitare le occasioni di incontro con un pubblico indifferenziato e di apprestare delle difese dai rischi che derivano da tale situazione di particolare esposizione. Ciò è dimostrato, del resto, dai dati forniti dall'INAIL, disponibili sul sito istituzionale dell'Istituto, i quali fotografano come la percentuale di infortuni conseguenti ad aggressioni rispetto al totale degli infortuni sia, nel settore sanitario, decisamente superiore alla percentuale media degli altri settori (nel quinquennio 2015-2019, il 9% contro il 3%).
Da quanto si è esposto consegue: a) da un lato, che la Corte d'appello di Caltanissetta, col ritenere la sussistenza della circostanza aggravante de quo per avere il Re.Ca. commesso la rapina ai danni delle due farmaciste Ga.Mi. e Ro.Bu. mentre esse, in orario di apertura della farmacia, stavano esercitando la loro professione sanitaria, non è incorsa nella denunciata erronea applicazione dell'art. 61, primo comma, n. 11-octies), cod. pen.; b) dall'altro lato, la manifesta infondatezza della sollevata eccezione di legittimità costituzionale, atteso che la "maggiorata" tutela che è prevista, anche nel caso in cui l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata "nell'esercizio" delle professioni sanitarie -nei termini indicati di un'aggressione che sia realizzata contestualmente all'esercizio dell'attività professionale del sanitario - non costituisce un ingiustificato "privilegio" accordato per il solo fatto di rivestire la qualifica professionale di sanitario ma trova una sua ragionevole giustificazione nel collegamento della condotta delittuosa con l'esercizio delle professioni sanitarie e nelle peculiari evidenziate esigenze di tutela dello stesso esercizio.
2. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 21 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2024