RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 13/10/2022, la Corte d'appello di Catanzaro ha parzialmente riformato, quanto a P.A., la sentenza del Tribunale di Crotone che, in esito a giudizio abbreviato, riconosciuta la continuazione con altri delitti di rapina contestati agli imputati (di cui alla sentenza 106/2022 del Corte d'appello di Catanzaro), aveva condannato gli odierni ricorrenti ed altri imputati non ricorrenti alla pena ritenuta di giustizia per i delitti di cui all'art. 628 c.p., loro ascritti; ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado quanto a G.F..
In particolare i giudici di merito hanno ritenuto provato sulla base delle dichiarazioni della persone offese, dei tabulati telefonici e degli esiti di perquisizione, tanto le rapine poste in essere da P.A. in danno di N.D. e F.A. (capi 3 e 4), quanto la rapina consumata da G., in concorso con altri, in danno di M.F. (capo 1).
2.Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione i predetti imputati deducendo:
2.1. G.F.: violazione di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità per la partecipazione alla rapina in danno di M.F., deduce che il suo contributo avrebbe dovuto essere qualificato in termini di concorso anomalo ex 116 c.p., risultando provato che l'imputato voleva porre in essere un furto e non una rapina e comunque, in ogni caso, la Corte di merito avrebbe dovuto escludere la sussistenza della circostanza aggravante del travisamento e dell'uso dell'arma.
3. P.A., con il primo motivo si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche, illogicamente giustificato dalla mancata ristorazione delle vittime, invero non costituitesi parte civile, dalla presenza di precedenti penali ostativi, invero risalenti del tempo, senza considerare in termini favorevoli all'imputato il suo stato di tossicodipendenza assimilabile al vizio di mente.
3.1.Con il secondo motivo lamenta vizi di violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla circostanza aggravante della recidiva, a suo avviso incompatibile con l'istituto della continuazione.
3.2. Con il terzo motivo si duole dell'eccessività dell'aumento operato a titolo di continuazione ex art. 81 c.p., comma 4.
3.3. Con il quarto motivo lamenta una disparità di trattamento rispetto al coimputato V. cui sarebbe stato applicato un incremento, a titolo di continuazione per una rapina (anni 2), inferiore, in proporzione, a quello applicato nei suoi confronti pari ad anni 3 e mesi 3.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono entrambi inammissibili perché basati su motivi manifestamente infondati oltre che generici.
1.1.Partendo per brevità dal ricorso G., osserva il collegio che nessun vizio di motivazione o violazione di legge si ravvisa nella decisione impugnata che ha escluso, quanto alla rapina in danno di M.F., l'ipotesi del concorso anomalo ravvisando piuttosto un tipico caso di concorso pieno ex art. 110 c.p. avendo G., materialmente partecipato all'azione predatoria violenta (pag. 14 della sentenza), sia bloccando la via di fuga della vittima sia piegandosi su questa per frugargli nelle tasche mentre il correo la minacciava con il taglierino.
Emerge quindi dalla dinamica dei fatti come i due complici avessero previamente concertato l'azione criminosa il che esclude che possa ravvisarsi un concorso anomalo, poiché in tema di concorso di persone nel reato, una volta dimostrato, anche "per facta concludentia", l'intervenuto accordo fra più soggetti in ordine all'attuazione di una determinata azione criminosa, comprensiva anche dei suoi già preventivati, prevedibili sviluppi, la responsabilità di tutti i medesimi soggetti a titolo di concorso pieno anche per l'effettivo verificarsi di tali sviluppi, non può essere esclusa dalla circostanza che questi ultimi siano stati dovuti all'iniziativa assunta, nel corso dell'azione, da taluno soltanto dei compartecipi, sulla base di un apprezzamento della contingente situazione di fatto eventualmente non condiviso dagli altri, senza che, peraltro, tale mancata condivisione si sia in alcun modo, nel contesto, manifestata e sempre che, naturalmente, la situazione cui il summenzionato, soggettivo apprezzamento si riferisce rientri nel novero di quelle già astrattamente prefigurate, in sede di accordo criminoso, come suscettibili di dar luogo alla condotta produttrice dell'evento più grave poi, di fatto, realizzato (Sez. 1, n. 3384 del 28/02/1995, Rv. 200579; Sez. 1, n. 30262 del 16/05/2003 Rv. 225850).
1.2.Correttamente, poi, sono state ritenute sussistenti le circostanze aggravanti dell'uso dell'arma (il taglierino) posto che ai sensi della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 devono considerarsi armi, sia pure improprie, tutti quegli strumenti, ancorché non da punta o da taglio, che in particolari circostanze di tempo e di luogo possono essere utilizzati per l'offesa alla persona, anche il cosiddetto "taglierino", quando sia utilizzato al fine di minaccia in un contesto aggressivo, e, quindi, senza giustificato motivo, diventa uno strumento atto ad offendere (Sez. 6, n. 41358 del 29/09/2010, Rv. 248748) e del travisamento dato dall'utilizzo della mascherina chirurgica che, come già affermato da questa Corte, integra l'aggravante contestata non rilevando, in contrario, che l'uso della stessa sia prescritto dalla normativa di contrasto alla pandemia da Covid-19, atteso che la parziale copertura del volto mediante la mascherina è funzionale al compimento dell'azione delittuosa, rendendo difficoltoso il riconoscimento del responsabile (Sez. 2, n. 1712 del 03/11/2021, Rv. 282517).
2.Quanto al ricorso di P.A., incentrato esclusivamente sul trattamento sanzionatorio, deve rilevarsi in via generale che la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche costituiscono l'esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale non è tenuto in particolare a motivare sul punto ove, in sede di conclusioni, non sia stata formulata specifica istanza con l'indicazione delle ragioni atte a giustificarne il riconoscimento (Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Rv. 276044). E nel caso di specie il giudice di appello nonostante la genericità della richiesta difensiva di applicazione delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., ha puntualmente motivato evidenziando l'insussistenza di elementi positivi in favore dell'imputato (pag.12), mentre con riguardo alla eccepita incompatibilità dell'istituto della continuazione con la ritenuta recidiva oltre a ribadirsi in via generale che secondo quanto pacificamente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, non esiste incompatibilità fra i due istituti, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l'aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione, che può essere riconosciuta anche fra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato (Sez. 4,n. 21043 del 22/03/2018, Rv. 272745; Sez. 3,n. 54182 del 12/09/2018, Rv. 275296ez. 2 -, Sentenza n. 35730 del 02/07/2020 Ud. (dep. 14/12/2020) Rv. 280310) rileva il collegio che detta doglianza non era stata avanzata in appello con la conseguenza che il motivo oggi proposto non è scrutinabile. A ciò si aggiunga che la Corte d'appello nello stabilire l'entità della pena base e gli aumenti per la continuazione si è conformata ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di concorso tra circostanza aggravanti ad effetto speciale utilizzando il criterio di calcolo di cui all'art. 63 c.p., comma 4, secondo cui, in caso di concorso tra circostanze ad effetto speciale, non si applica il cumulo materiale, ma la pena per la circostanza più grave aumentata fino ad un terzo (Sez. 2, n. 27098 del 03/05/2023,Rv. 284797).
3.Nella specie il giudice di appello è partito da una pena base inferiore rispetto a quella indicata dal primo giudice (anni 6 di reclusione anziché anni 7), ha effettuato l'aumento (ad anni 8) ex art. 63 c.p., comma 4, procedendo poi all'ulteriore aumento, non inferiore ad un terzo, per la continuazione (anni 3 e mesi 8), in ossequio al criterio di cui all'art. 81, comma 4, c.p., avendo riguardo alla pena inflitta per il reato più grave, comprensiva dell'aumento per la recidiva (Sez. 2, n. 18092 del 12/04/2016, Lovreglio, Rv. 266850; Sez. 1, n. 5478 del 13/01/2010, Motta, Rv. 246116; Sez. F, n. 37482 del 04/09/2008, Rocco, Rv. 241809).
La censura difensiva con la quale si contesta la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione aumento ex art. 81 c.p., comma 4, è quindi destituita di fondamento trovando l'aumento di pena per la continuazione l'unico limite di cui all'art. 81 c.p., comma 3, che impone un aumento di pena non superiore alla pena che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti e cioè in virtù del cumulo materiale delle pene.
Questa Corte, infatti, ha di recente affermato che tema di reato continuato, l'aumento minimo di un terzo della pena stabilita per il reato più grave, da operarsi ex art. 81 c.p., comma 4, nel caso di recidiva reiterata, incontra il limite previsto dal comma 3 dello stesso articolo con riferimento alla pena che il giudice avrebbe determinato, in concreto, mediante il cumulo materiale e non a quella massima edittale prevista dalla legge. (Sez. 2, n. 27098 del 03/05/2023, Rv. 284797)
4. Inammissibile, in radice, il quarto motivo con il quale il ricorrente deduce l'illegittimità della sentenza per la disparità di trattamento rispetto al coimputato V., trattandosi di motivo non proposto in appello (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Rv. 269745).
All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2023