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Rapina: rispondono di porto illegale di armi anche coloro che abbiano partecipato in qualità di basisti

Rapina

Cassazione penale sez. II, 05/10/2023, n.45319

È configurabile il reato di porto illegale di armi per tutti i soggetti che abbiano partecipato ad una rapina a mano armata, sia in qualità di autori materiali del delitto che in caso di prestazione della necessaria assistenza come “basisti”, dato che l’ideazione del progetto criminoso deve ritenersi comprensiva anche del momento rappresentativo dell’impiego delle armi e, di conseguenza, del porto abusivo delle stesse finalizzato alla realizzazione della violenza o minaccia, che sono elementi costitutivi del reato di cui all’art. 628, comma 3, c.p.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 28/9/2022 la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza emessa in data 9/3/2021 dal Tribunale di Varese in forza della quale i predetti ricorrenti ed altri imputati non ricorrenti sono stati condannati, rispettivamente, E.M. per le rapine aggravate di cui ai capi A (assorbito in tale capo il reato di cui al capo B), K ed M, alla pena di anni 5 mesi 8 di reclusione ed Euro 1.700,00 di multa e B.S., (detto Cristian) per i reati di rapina aggravata, lesioni personali, detenzione abusiva di armi e proiettili e ricettazione (capi A (assorbito in questo il delitto di cui al capo B), G (escluso il delitto di cui all'art. 605 c.p.), H, N, O, P, Q, R, alla pena di anni 6, mesi 2 di reclusione ed Euro 1.500 di multa. I giudici di appello hanno ritenuto provata, con riferimento al reato di rapina di cui al capo A), commessa l'8/9/2022, il concorso dei ricorrenti, in ragione del contributo tutt'altro che marginale apportato alla consumazione del reato avendo essi svolto ruolo di " palo" e cioè di controllo delle strade di accesso alla zona ove si consumava la rapina, al fine di garantire ai correi la fuga. A riprova dell'apporto attivo degli odierni ricorrenti, i giudici di merito hanno richiamato intercettazioni ambientali dalle quali emergeva che essi avevano preso parte alla spartizione del bottino, oltre ad avere svolto, il giorno prima della rapina, un sopralluogo della zona. A proposito della rapina di cui al capo G) e delle lesioni di cui al capo H), contestate a B.S. (detto Cristian), la Corte d'appello ha ritenuto provato che l'imputato avesse concorso nel reato oltre che per avere partecipato alla spartizione del bottino anche per avere effettuato un sopralluogo presso l'esercizio commerciale della persona offesa, B.D.. La Corte di merito ha altresì ritenuto provati, sulla base di intercettazioni, i diversi reati in materia di armi contestati al ricorrente B. e il delitto di ricettazione di cui al capo di cui al capo R), ed ha escluso che il contributo dei due correi potesse essere qualificato ai sensi dell'art. 114 c.p., ricorrendo la circostanza aggravante di cui all'art. 112 c.p. 2. Contro la suddetta sentenza propongono, con un unico atto, ricorso per cassazione gli imputati deducendo, B.S., con riferimento al capo A): 2.1. mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Assume il ricorrente che la Corte di merito, chiamata a rispondere sulla specifica censura proposta con l'atto di appello circa il fatto che gli non avrebbe potuto effettuare il sopralluogo presso la sala slot machine di (Omissis), il giorno precedente la rapina, perché si trovava in (Omissis), non avrebbe motivato; 2.2. Con riferimento ai capi G) e K), la sentenza impugnata non avrebbe indicato le intercettazioni dalle quali ha ricavato che i correi avessero fornito un contributo concreto e tangibile alla consumazione delle rapine e non avrebbe risposto al rilevo difensivo con il quale si contestava che B., avesse effettuato il sopralluogo ed avrebbe omesso di motivare sulla responsabilità per il delitto di cui al capo H). 3. Con il secondo motivo entrambi i ricorrenti lamentano il difetto di motivazione deducendo: E.M., l'omessa motivazione relativamente al capo A) che a dire della difesa sarebbe erroneamente formulata attraverso il richiamo ad una parte della sentenza, invero mancante; mentre B.M. si duole della omessa risposta al motivo di appello con cui si contestava il concorso nei reati. 4. Con il terzo motivo E.M. lamenta l'omessa motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per le rapine poste in essere nella zona dell'alto (Omissis). 5. Con il quarto ed ultimo motivo, ci si duole dell'omessa risposta alla censura difensiva avanzata in appello, con il quale si contestava la affermazione di responsabilità per i reati in materia di armi, siccome desunta dalla consumazione delle rapine. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.I ricorsi sono inammissibili perché basati su motivi aspecifici che si limitano ad una pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, proprio perché omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. Deve altresì preliminarmente precisarsi che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all'esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa. Ne' la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l'argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all'esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214). In tema di sindacato del vizio di motivazione non è certo compito del giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito né quello di "rileggere" gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l'obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento, la decisione non è censurabile in sede di legittimità. 2. Muovendo da tali premesse rileva il collegio che le censure proposte, attraverso la quali, solo formalmente, si deduce la carenza o illogicità della motivazione, attengono a profili di mero fatto compiutamente esaminati dalla sentenza impugnata e risultano prive di fondamento alcuno. Nel caso di specie la Corte di appello - tenendo doverosamente ed accuratamente conto di tutti gli elementi emersi nel corso del processo tutti interpretati conformemente alla lettura offertane dai giudici di primo grado - ha spiegato, con iter argomentativo esaustivo, logico, correttamente sviluppato e saldamente ancorato all'esame delle singole emergenze processuali tale da resistere alla generiche censure di parte ricorrente, le ragioni per le quali doveva ritenersi comprovato il ruolo di concorrenti nella rapina di cui al capo A) dei due imputati, indicando i plurimi e gravi elementi logico-fattuali che deponevano per la sussistenza di un pieno concorso, con gli altri soggetti (autori materiali della rapina (pag. 3 della sentenza impugnata), a nulla rilevando il dato che B., il (Omissis), posto che egli aveva fatto rientro a (Omissis), il giorno stesso e quindi aveva potuto eseguire il sopralluogo nella zona della rapina, come risultava dalle intercettazione ambientale del (Omissis) che il giudice di primo grado ha significativamente riprodotto (cfr. pag. 19 e sgg. della sentenza di primo grado). 3. Quanto poi alla censura di omessa motivazione circa l'apporto causale dei due imputati alla consumazione della rapina (motivo n. 2), l'argomentazione del giudice di appello secondo cui esso poteva essere desunto dal fatto che i due imputati, come emerso dalle intercettazioni ambientali, avevano partecipato alla spartizione del bottino, contrariamente a quanto assume la difesa, non appare né carente né illogica, né contraddittoria, anzi appare al contrario non logico, non logico, nella situazione rappresentata dalle intercettazioni in carcere, sostenere l'estraneità dei due ricorrenti alla consumazione del reato posto che la spartizione del bottino presuppone lo svolgimento un ruolo concreto e tangibile nell'esecuzione della rapina. A ciò si aggiunga che il ricorrente E., nel censurare la sentenza per omessa la motivazione in merito all'affermazione di responsabilità per il capo A), richiama una parte della sentenza nella quale la Corte si limita riassumere sinteticamente motivi di appello, mentre la parte motiva appare completa ed esaustiva (pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata). 4. Generico e comunque manifestamente infondato è il motivo n. 2 con il quale alla lett. B), si contesta la carenza di motivazione relativamente all'affermazione di responsabilità di B., per i capi G) e H). I giudici di merito (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata e pagg. 23 e segg. della sentenza del Tribunale), valorizzano le intercettazioni (testualmente riprodotte nella sentenza di primo grado) così delineando il ruolo di ideatore (e concorrente nel reato) di B., il quale aveva effettuato un sopralluogo nell'esercizio commerciale della persona offesa, oltre ad avere partecipato alla spartizione del bottino. 5. Le considerazioni che precedono consentono di ritenere superato anche il terzo motivo di ricorso: rileva il Collegio che la Corte d'appello, a pag. 2, ha richiamato intercettazioni telefoniche, il monitoraggio tramite GPS e le dichiarazioni P.D. dalle quali emergeva inequivoca la partecipazione del ricorrente nella rapina di cui al capo K); quanto alla rapina di cui al capo M), il giudice di appello ha richiamato materiale intercettivo (che il giudice di primo grado ha integralmente riprodotto: cfr. pag. 37) e rispetto al quale il ricorrente nell'atto di appello ha proposto una censura del tutto generica:dopo avere ritenuto che non era possibile configurare un concorso in ordine al reato di rapina, si è limitato, infatti, ad osservare che il colloquio tra B.S. e B. non poteva essere considerato dimostrativo del concorso di E.. 6. Quanto infine ai reati in materia di armi ed alla ricettazione (capi N,O,P, Q, R) va in via generale osservato che, per tutte le ipotesi di rapina a mano armata, tutti i compartecipi, e cioè sia gli autori materiali che coloro i quali abbiano prestato la necessaria assistenza (cosiddetti basisti), rispondono anche del reato di porto illegale di armi, atteso che l'ideazione dell'impresa criminosa comprende anche il momento rappresentativo dell'impiego delle armi e, quindi, del porto abusivo delle stesse per realizzare la necessaria minaccia o violenza, essenziali a tale tipo di reato (Sez. 2, n. 49389 del 04/12/2012, Rv. 253915). Quanto alla asserita carenza di motivazione la Corte d'appello lungi dall'operare uno sterile richiamo alla sentenza di primo grado ha, con motivazione puntuale e giuridicamente corretta, evidenziato gli elementi di prova (intercettazioni e perquisizioni) dai quale desumere con certezza la detenzione delle armi in capo all'imputato a prescindere dal fatto che queste fossero state rinvenute presso un terzo ovvero che fossero state rinvenute ad un mese di distanza dalla intercettazioni che ne disvelavano il possesso. La difesa su questo punto propone, in realtà, un motivo generico che non si confronta minimamente le argomentazioni spese dal giudice di merito (pag. 4) il quale ha ben individuato gli elementi che consentivano di ricondurre con certezza la disponibilità di dette armi all'imputato (dich. G.), tenuto conto anche della particolare "audacia" dimostrata dai membri della famiglia B., nell'occultamento 7. Per le considerazioni esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in tremila Euro. P.Q.M. dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2023. Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2023
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