RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 21/10/2020, la Corte d'appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del 07/11/2019 del G.u.p. del Tribunale di Lamezia Terme, emessa in esito a giudizio abbreviato, rideterminava la pena irrogata ad B.A., confermando, per il resto, la condanna dello stesso B. e di C.G. per i reati loro ascritti.
2. Avverso tale sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, C.G. e B.A., per il tramite dei propri difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. Il ricorso di C.G..
C.G. affida il proprio ricorso a quattro motivi.
2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza e/o l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, "già assente nel giudizio di primo grado e non opportunamente integrata dai giudici di appello", con riferimento agli art. 125 c.p.p., comma 3, Artt. 192,546 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e), e comma 3, nonché agli artt. 101, comma 2, e 111, comma 6, Cost., oltre all'"omessa pronuncia su specifiche censure riguardanti aspetti contraddittori ovvero mal valutati". Il ricorrente lamenta che "la motivazione, già carente e lacunosa nel primo grado di giudizio, non è stata opportunamente integrata nel giudizio di appello; vi è stata, poi, l'omessa piena valutazione delle censure sollevate con il gravame".
2.1.2. Il secondo motivo si riferisce specificamente alla condanna per il reato di tentato omicidio di cui al capo o) dell'imputazione, con il quale era stato contestato al C. il reato di cui agli artt. 61, n. 2), 110,56,575 e 576 c.p., perché, al fine di darsi alla fuga e assicurarsi l'impunità di una rapina, in concorso con B.A., sparava un colpo di pistola contro G.I.S. - che si era messo al suo inseguimento - colpendolo all'addome e determinandone l'immediato ricovero in ospedale con prognosi riservata, così compiendo atti idonei, diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte.
Con tale motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e) la mancanza o apparenza della motivazione della sentenza impugnata, e, in relazione alla all'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b), l'inosservanza e/o l'erronea applicazione dell'art. 530 c.p.p. e dell'art. 133 c.p..
Lamenta:
a) sotto un primo profilo, che, per il suddetto reato di cui al capo o) dell'imputazione, "l'odierno prevenuto doveva essere mandato assolto". A tale proposito, rappresenta che: a) la stessa Corte d'appello di Catanzaro afferma che "i filmati ripresi dalle video camere presenti sul posto document(a)no esclusivamente la rapina e la fuga dei due malviventi e non anche il momento dello sparo", sicché "(e') evidente che nel corso del giudizio abbreviato il Giudice di prime cure - ed anche i Giudici di appello - non ha valutato e/o esaminato le immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza"; b) sia nell'interrogatorio del 28 novembre 2018 sia nel corso del giudizio abbreviato, aveva reso ampie dichiarazioni, con le quali si era autoaccusato di numerosi dei reati a lui contestati, "ad eccezione di quello contestato nel capo o)", "il GUP evidenziava l'alta attendibilità delle dichiarazioni rese" e tale "attendibilità (...) è stata pure confermata dai Giudici di appello", sicché egli "non avrebbe avuto alcun motivo per non auto-accusarsi un ulteriore reato" e aveva "correttamente narrato quanto accaduto senza aver in nessun modo cercato di alleggerire la posizione in esame", avendo, in particolare, attendibilmente dichiarato (in sede di giudizio abbreviato) che egli, durante l'inseguimento da parte del G., si era limitato a mostrargli la pistola e che, la seconda volta, "lo sparo è partito da B."; c) "(d)alla perizia balistica nulla si ricava in ordine alla responsabilità dell'odierno prevenuto anche perché, come è emerso nel corso del presente procedimento, per i fatti verificatisi alla (OMISSIS) vennero utilizzate diverse armi"; d) "(u)n colpo d'arma da fuoco a distanza ravvicinata avrebbe provocato danni fisici ben più gravi; è evidente che chi ha in concreto sparato lo ha fatto da una posizione più distante"; e) "dall'ordinanza custodiale relativa a questo procedimento (...) è emerso quanto al capo o) (...) che non è stato l'odierno prevenuto a sparare un colpo di pistola contro G.I.S. bensì altro soggetto identificato e già condannato";
b) sotto un secondo profilo, che la Corte d'appello di Catanzaro "non ha neanche appieno valutato l'eventuale responsabilità del C. a titolo di concorso anomalo ex art. 116 c.p. (...) atteso che il reato commesso - come ben spiegato dal C. sia in sede di interrogatorio che di esame durante il giudizio abbreviato - e che si è realizzato è diverso da quello da lui ipotizzato e/o da lui voluto".
2.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la mancanza e/o l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, "già assente nel giudizio di primo grado e non opportunamente integrata dai giudici di appello", con riferimento agli art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 192,546 c.p.p., comma 1, lett. d) ed e), e comma 3, nonché agli artt. 101, comma 2, e 111, comma 6, Cost., nonché, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'inosservanza e/o l'erronea applicazione degli artt. 62-bis, 133 e 416-bis.1 c.p..
Lamenta:
a) sotto un primo profilo, che le riconosciute circostanze attenuanti generiche siano state reputate solo equivalenti e non prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, prevalenza che, invece, avrebbe dovuto essere ritenuta in considerazione della condotta del C. susseguente al reato, atteso che egli aveva "offerto un elevato contributo collaborativo nei fatti per cui è processo consentendo di far emergere (oltre alle proprie responsabilità) anche le responsabilità altrui, offrendo utili elementi di grande pregio investigativo e su fatti sconosciuti ed ignorati dagli organi inquirenti" e "(h)a dimostrato seria resipiscenza nonché il coraggio di separarsi dai fatti delittuosi commessi consegnandone il racconto alla autorità giudiziaria e senza nascondere alcun particolare a propria conoscenza";
b) sotto un secondo profilo, la mancata concessione della diminuente prevista dall'art. 416-bis.1 (comma 3) c.p., "attesa la prestata collaborazione e la commissione dei reati de quibus in un preciso contesto criminale ed associativo delineato dal dichiarante anche nell'ambito di ulteriori dichiarazioni rese all'Ufficio di Procura ed ancora coperte da segreto istruttorio e valutati anche i precedenti penali del coimputato B.".
2.1.4. Con il quarto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio, il ricorrente lamenta:
a) sotto un primo profilo, in relazione alla lett. e) del comma 1 dell'art. 606 c.p.p., la mancanza o l'apparenza della motivazione della sentenza impugnata e, in relazione alla lett. b) del comma 1 dell'art. 606 c.p.p., l'inosservanza e/o l'erronea applicazione dell'art. 133 c.p. Lamenta, in particolare, il vizio della motivazione della sentenza impugnata in ordine al trattamento sanzionatorio e l'eccessività della pena irrogata nonché che la Corte d'appello di Catanzaro avrebbe errato nel ritenere che la pena minima per il tentato omicidio era quella di anni dodici di reclusione prevista dall'art. 56, comma 2, (secondo periodo), c.p., laddove, poiché il giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante prevista dal combinato disposto degli artt. 576 (comma 1, n. 1) e 61, n. 2), c.p., si era concluso nel senso dell'equivalenza, la pena base per il tentato omicidio doveva essere determinata con riferimento all'omicidio consumato semplice;
b) sotto un secondo profilo, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., vizio di motivazione e violazione dell'art. 81 c.p., per avere la Corte d'appello di Catanzaro "immotivatamente" negato la continuazione tra i reati per i quali stava procedendo e quelli oggetto della prodotta sentenza irrevocabile della stessa Corte d'appello di Catanzaro n. 2879/19, nonostante la presenza degli "indici esteriori" della continuazione, tra i quali la "contiguità temporale".
2.2. Il ricorso di B.A..
B.A. affida il proprio ricorso a due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, deduce l'erronea applicazione degli L. n. 895 del 2 ottobre 1967, artt. 2 e 4, per avere la Corte d'appello di Catanzaro ritenuto il concorso tra il reato di illegale detenzione dell'arma utilizzata per commettere la rapina contestata al capo a) dell'imputazione e il reato di porto illegale della stessa arma (reati contestati al capo "b" dell'imputazione), atteso che "(s)ono proprio le dichiarazioni del C. che dimostrano la contemporaneità delle condotte in quanto il porto è iniziato contestualmente alla detenzione dell'arma stessa".
2.2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'erronea applicazione dell'art. 61, n. 2), c.p., per non avere la Corte d'appello di Catanzaro escluso l'aggravante prevista da tale articolo, contestata in relazione ai reati di detenzione e porto illegali di armi di cui al capo b) dell'imputazione, nonostante la stessa aggravante dovesse essere assorbita nel reato di rapina aggravata dall'uso di armi contestato al capo a) dell'imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di C.G..
1.1. Il primo motivo è totalmente generico.
Infatti, nel denunciare la mancanza o insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente ha completamente omesso di specificare sia a quali capi o punti di tale sentenza si riferisca la propria doglianza, sia in cosa consisterebbero le denunciate mancanza o insufficienza motivazionali, sia quali fossero le censure, avanzate con l'atto di appello, che la Corte d'appello di Catanzaro avrebbe omesso di valutare.
1.2. Il secondo motivo è reiterativo.
Come risulta dalla lettura dell'atto di appello del C., con il motivo di ricorso, lo stesso C. reitera censure già dedotte con il predetto atto di appello, in particolare, con il secondo motivo di appello (pagg. 3-5), senza adeguatamente confrontarsi con le argomentazioni della sentenza della Corte d'appello di Catanzaro la quale, in realtà, ha dato atto dei motivi di appello del C. e li ha compiutamente esaminati, disattendendoli e ricostruendo il fatto con una motivazione priva di incoerenze o illogicità.
La Corte d'appello ha innanzitutto valorizzato le dichiarazioni della persona offesa G.I.S., il quale aveva riferito che a sparargli era stato il più alto dei due rapinatori da lui inseguiti, cioè il C., dopo che egli era riuscito a bloccarlo; C. che era stato anche riconosciuto dal G. in sede di individuazione fotografica. Tale elemento delle dichiarazioni della persona offesa è stato del tutto trascurato dal motivo di ricorso che, pertanto, dimostra di non confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni della sentenza impugnata.
La Corte d'appello di Catanzaro evidenziava come la versione del C. (secondo cui "lo sparo è partito da B.") risultasse perciò del tutto smentita dalle predette dichiarazioni della persona offesa e come la versione di quest'ultima fosse, altresì, coerente con il tentativo del C. di sotrsi alla presa del G., che era riuscito a bloccarlo, e di fare desistere lo stesso G. dall'inseguimento.
La Corte d'appello di Catanzaro evidenziava ancora come la ricostruzione secondo cui il tentato omicidio del G. era stato materialmente commesso dal C. trovava ulteriore riscontro nella coincidenza (comprovata dalla perizia balistica) dell'arma che aveva ferito il G. con quella che era stata utilizzata dal C. durante la rapina commessa in Gizzeria il 23 dicembre 2015 di cui al capo e) dell'imputazione, rapina nel corso della quale il C. aveva esploso un colpo. Da ciò, contrariamente a quanto sostenuto nel motivo, la coerenza e logicità della ritenuta significatività delle risultanze della perizia balistica.
La ricostruzione secondo cui il tentato omicidio del G. era stato materialmente commesso dal C. era in linea, peraltro, con la ricostruzione del fatto operata dalla sentenza di condanna nei confronti del complice B.A., ritenuto responsabile a titolo di concorso morale nel tentato omicidio, ruolo che già gli era stato attribuito in sede cautelare; con ciò trovando smentita anche quanto anapoditticamente affermato in senso contrario dal ricorrente.
La Corte d'appello di Catanzaro ha infine escluso che le lesioni riportate dal G. (indicate, nel capo "o" dell'imputazione, come "ferita d'arma da fuoco addome inferiore con perforazione ansa ileale, emoperitoneo, lesione muscolo retto dell'addome sx, lesioni ali del retto sx") potessero ritenersi incompatibili con uno sparo a breve distanza, risultando meramente congetturale la tesi dell'appellante secondo cui un tale sparo avrebbe dovuto cagionare conseguenze più gravi.
Tale motivazione risulta, oltre che, evidentemente, non mancante né apparente, avere valutato tutte le emergenze processuali e argomentato, sulla base delle stesse, senza contraddizioni né illogicità, l'affermazione della responsabilità del C. quale materiale esecutore del tentato omicidio di G.I.S..
Data tale conclusione, priva di incoerenze o illogicità, la Corte d'appello di Catanzaro ha quindi conseguentemente correttamente escluso che il C. potesse rispondere a titolo di concorso "anomalo" nel tentato omicidio, osservando - sempre correttamente - come, in ogni caso, anche a volere, in ipotesi, accogliere la versione dei fatti del C., secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (Sez. 1, n. 12750 del 27/02/2019, Tarantino, Rv. 276175-01), egli si sarebbe dovuto comunque ritenere responsabile a titolo di concorso ordinario.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
1.3.1. Quanto al suo primo profilo, con il quale il ricorrente lamenta che le riconosciute circostanze attenuanti generiche non siano state reputate prevalenti rispetto alle contestate aggravanti, si deve rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931-01; successivamente, Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450-01).
Si deve altresì ricordare che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell'art. 133 c.p. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Manzari, Rv. 260415-01; in senso analogo, Sez. 1, n. 17494 del 18/12/2019, dep. 2020, Defilippi, Rv. 279181-02, relativa a un'ipotesi in cui il giudice di appello aveva confermato il giudizio di equivalenza fra le circostanze operato dal giudice di primo grado).
Nel caso di specie, la Corte d'appello di Catanzaro ha giustificato la propria scelta nel senso dell'equivalenza delle concesse circostanze attenuanti generiche rispetto alla ritenute aggravanti, motivandola con specifico riferimento agli elementi segnalati nell'atto di appello, in particolare, alla segnalata condotta collaborativa susseguente ai reati, argomentando che "il contegno processuale collaborativo del C., (e') intervenuto solo quando il quadro indiziario a suo carico era già compiutamente cristallizzato e (e') da ritenersi comunque parziale, tenuto conto che lo stesso ha tentato di alleggerire la propria posizione negando gli atti di violenza contro la persona, comunque accertati aliunde - non solo lo sparo all'indirizzo di G. ma anche l'aggressione perpetrata in occasione della già citata rapina di cui al capo E) della rubrica".
In tale modo, la Corte d'appello mostra di avere considerato ed esaminato gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., in particolare, quelli, relativi alla condotta susseguente al reato, segnalati nell'atto di appello, pervenendo alla conclusione, priva di incoerenze o illogicità, che la soluzione dell'equivalenza era la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena da irrogare nel caso concreto.
1.3.2. Quanto al secondo profilo del motivo, con il quale il ricorrente lamenta la mancata concessione della diminuente prevista dall'art. 461-bis.1 c.p., si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, ai fini dell'applicabilità della speciale attenuante della dissociazione, di cui al D.L. n. 152 del 13 maggio 1991, art. 8, comma 1, conv. con modif. dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (attenuante ora prevista dall'art. 416-bis.1, comma 3, c.p.), è necessario che il soggetto che ne benefici sia ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa ovvero di un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, ai sensi dell'art. 7 del medesimo D.L. n. 152 del 1991 (ora art. 461-bis.1, comma 1, c.p.) (Sez. 6, n. 31874 del 09/05/2017, Ferrante, Rv. 270589-01).
Ai fini dell'applicabilità della stessa attenuante, per coloro che si dissociano dalle organizzazioni di tipo mafioso adoperandosi per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, non è richiesta la formale contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, ma occorre che dagli atti del processo emergano elementi certi e univoci idonei a comprovare che il reato contestato risulti "in fatto" commesso dall'imputato avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero per agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso (Sez. 2, n. 12330 del 05/12/2018, Rubino, Rv. 276324-01).
Nel caso di specie, a fronte della motivazione della Corte d'appello di Catanzaro secondo cui "dal compendio investigativo non emerge alcun elemento idoneo a correlare i fatti in contestazione al locale contesto mafioso", il motivo di ricorso adduce "la commissione dei reati de quibus in un preciso contesto criminale ed associativo delineato dal dichiarante anche nell'ambito di ulteriori dichiarazioni rese all'Ufficio di Procura ed ancora coperte da segreto istruttorio e valutati anche i precedenti penali del coimputato B.".
Tale motivo, tuttavia, risulta del tutto generico, atteso che: il ricorrente ha omesso di specificare il contenuto delle proprie dichiarazioni, presenti agli atti del processo (non potendosi, evidentemente, considerare supposte dichiarazioni, asseritamente "rese all'Ufficio di Procura ed ancora coperte da segreto istruttorio", non presenti agli atti del processo e delle quali non è fornito alcun riscontro), dalle quali risulterebbero i presupposti per l'applicazione dell'invocata attenuante; "i precedenti penali del coimputato B." - anch'essi, peraltro, non specificati - non potrebbero astrattamente di per sé fondare un positivo accertamento che gli specifici reati contestati al C. sono stati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. o per agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso.
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, oltre che in parte non consentito.
1.4.1. Quanto al suo primo profilo, si deve anzitutto ritenere che la Corte d'appello di Catanzaro non ha errato nell'individuare la pena minima per il reato di tentato omicidio.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha da tempo chiarito (Sez. 1, n. 1450 del 24/11/1986, Ricca, Rv. 175052-01) che, per effetto dell'estensione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee anche all'ipotesi in cui sia stabilita una pena di specie diversa o una pena determinata in modo indipendente da quella prevista per la fattispecie semplice, anche nel caso in cui la pena prevista per il reato consumato aggravato sia di specie diversa, o sia determinata in modo autonomo rispetto a quella stabilita per la fattispecie semplice, e nel corrispondente reato tentato concorrano, con una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale, una o più circostanze attenuanti il giudice è tenuto a compiere il giudizio di comparazione tra tutte le circostanze concorrenti, con la conseguenza che la pena per il reato tentato può essere determinata, in conformità ai criteri fissati dal comma 2 dell'art. 56 c.p., con riferimento alla pena prevista per il reato consumato aggravato soltanto se il detto giudizio si concluda nel senso della prevalenza delle circostanze aggravanti su quelle attenuanti, mentre, nelle altre ipotesi, la pena deve essere determinata, in conformità agli stessi criteri, con riferimento alla pena prevista per il reato consumato semplice, sulla quale, ove sia ritenuta la prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti, vanno applicate altresì le corrispondenti riduzioni (il principio è stato affermato con riguardo a una fattispecie concernente il delitto di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dalla futilità dei motivi con il riconoscimento della sussistenza delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle circostanze aggravanti contestate. Il giudice del merito aveva ritenuto che il minimo legale della pena per tale reato fosse di anni 8 di reclusione, partendo dalla pena di dodici anni quale minimo, ex art. 56 c.p., per il tentato omicidio pluriaggravato, dato che per il reato consumato è prevista la pena dell'ergastolo, e operando la riduzione di un terzo per le circostanze attenuanti generiche. La Cassazione ha chiarito che il minimo legale per tale reato è di anni 7 di reclusione, dovendo partirsi, in conseguenza del giudizio di equivalenza tra le circostanze di segno opposto, da 21 anni, quale minimo della pena per il delitto di omicidio volontario semplice, e dovendo operarsi, ex art. 56, la diminuzione massima dei due terzi di tale pena).
Il principio è stato affermato anche da Sez. 1, n. 41481 del 21/10/2005, Picone, Rv. 232412-01, la quale ha ribadito che, "ai fini della determinazione della pena, dovrà - in conformità ai criteri di cui all'art. 56 c.p. - farsi riferimento alla pena prevista per il reato consumato aggravato soltanto se il giudizio di comparazione si sia concluso nel senso della prevalenza delle circostanze aggravanti su quelle attenuanti, mentre nelle altre ipotesi la pena dovrà, di contro, essere determinata con riferimento alla pena prevista per il reato consumato semplice e sulla quale, ove ritenuta la prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti, vanno applicate le corrispondenti riduzioni". Questa sentenza ha chiarito che ciò deriva dal procedimento di determinazione della pena, il quale impone prima di effettuare il giudizio di comparazione e poi, se tale giudizio si conclude nel senso dell'equivalenza, di non tener conto alcuno delle circostanze del reato ovvero, se il detto giudizio si conclude nel senso della prevalenza delle une sulle altre, di tenere conto esclusivamente di quelle ritenute prevalenti, infine di individuare la pena sulla base di quanto ha ancora rilievo. Con la conseguenza che, nel caso della non operatività - come nella specie - di circostanze aggravanti impositive della pena dell'ergastolo viene meno, all'evidenza, il presupposto di cui al secondo periodo del comma 2 dell'art. 56 c.p. (successivamente, v. anche: Sez. 1, n. 35617 del 24/01/2019, Di Vilio, Rv. 276807-01)
Ribaditi tali principi, è agevole rilevare che la Corte d'appello di Catanzaro li ha rispettati. Infatti - concluso nel senso dell'equivalenza il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante, per la quale la legge stabilisce la pena di specie diversa dell'ergastolo, di avere commesso il tentato omicidio al fine di darsi alla fuga e assicurarsi l'impunità di una rapina - la Corte d'appello di Catanzaro ha assunto come minimo legale per il suddetto reato di tentato omicidio quello pari ad anni 7 di reclusione ("la pena base di anni nove di reclusione, determinata in misura non di molto superiore al minimo edittale (anni sette di reclusione, considerata l'equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p.)") (corsivo aggiunto), ottenuti, evidentemente, applicando la diminuzione massima di due terzi alla pena minima di ventuno anni prevista per il delitto di omicidio volontario semplice.
Quanto alla pena irrogata, va ricordato che la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell'affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01).
Nel caso di specie, la Corte d'appello di Catanzaro ha determinato la pena base per il reato di tentato omicidio in anni 9 di reclusione, cioè in una misura di poco superiore al minimo edittale di sette anni di reclusione, e ha adeguatamente assolto il proprio obbligo di motivazione, chiarendo che detta misura di nove anni di reclusione si giustificava in quanto "proporzionata alle modalità dell'azione (sparo a breve distanza), le cui conseguenze letali sono state scongiurate solo grazie all'immediato intervento dei sanitari".
La stessa Corte d'appello ha altresì adeguatamente motivato l'aumento di pena di un terzo della pena base per la continuazione, dando atto che tale aumento era "riferito a ben sette rapine a mano armata e ai reati ad esse correlati, tra cui il sequestro di persona di cui al capo F)".
1.4.2. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve rilevare l'inammissibilità del corrispondente motivo di appello per difetto di specificità, rilevabile - ancorché la Corte territoriale non l'abbia erroneamente qualificato come aspecifico - anche in Cassazione, ai sensi del comma 4 dell'art. 591 c.p.p. (Sez. 3, n. 38683 del 26/04/2017, Criscuolo, Rv. 270799-01; Sez. 2, n. 36111 del 09/06/2017, P., Rv. 271193-01).
Infatti, nell'atto di appello (pag. 8), il ricorrente si era limitato a dedurre, del tutto genericamente, che "(v)i era un unico disegno criminoso protratto nel tempo", "(v)i è contiguità temporale", "sono da ritenere tutti sussistenti nel caso de quo" gli "indici esteriori" della continuazione, senza neppure accennare a quali fossero tali invocati "indici esteriori", non essendo sufficiente, per il riconoscimento della continuazione, il mero elemento - anch'esso, comunque, indicato in modo del tutto generico - della "contiguità temporale".
Dalla rilevata inammissibilità del motivo di appello consegue l'inammissibilità del corrispondente motivo del ricorso per cassazione.
2. Il ricorso di B.A..
2.1. Il primo motivo è generico, oltre che manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, in tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell'arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l'arma non sia stata in precedenza detenuta (Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, Amato, Rv. 281668-01; Sez. 6, n. 46778 del 09/07/2015, Coscione, Rv. 265489-01; Sez. 1, n. 18410 del 09/04/2013, Vestita, Rv. 255687-01). Le prime due sentenze citate hanno chiarito che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell'imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto a effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto. La terza sentenza ha altresì precisato che non sussiste un onere probatorio a carico dell'imputato, bensì un onere di allegazione, nel senso che, in mancanza di specifica deduzione della concreta contemporaneità delle due condotte, il giudice non è tenuto a effettuare verifiche e può attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione sul porto.
Nel caso di specie, il B. ha allegato che "(s)ono proprio le dichiarazioni del C. che dimostrano la contemporaneità delle condotte in quanto il porto è iniziato contestualmente alla detenzione dell'arma stessa".
Tale allegazione e', tuttavia, del tutto generica e priva di autosufficienza, atteso che il ricorrente ha del tutto omesso di individuare le dichiarazioni del C. alle quali fa riferimento, indicando in che occasione e in che data le stesse sarebbero state rese, come pure di specificare il contenuto delle stesse dichiarazioni, allegandole al ricorso.
2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Infatti, come è stato più volte chiarito dalla Corte di cassazione, la circostanza aggravante speciale dell'uso dell'arma nel delitto di rapina non assorbe la circostanza aggravante comune del nesso teleologico in relazione ai reati connessi di detenzione o di porto illegale di armi, perché essa non implica che l'arma impiegata sia detenuta o portata illegalmente (Sez. 2, n. 33435 del 21/07/2015, Costanzo, Rv. 264157; Sez. 2, n. 44906 del 30/10/2008, Chite', Rv. 242220-01; Sez. 2, n. 5393 del 08/06/1990, dep. 1991, Giuffrida, Rv. 187584-01).
5. Alla stregua di quanto esposto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616, comma 1, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 04 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2022