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Il registro cimiteriale come atto pubblico fidefacente con presunzione di verità assoluta

Falso ideologico, Falso materiale

Cassazione penale sez. V, 25/01/2023, n.7840

In tema di falso ideologico, costituisce atto pubblico di fede privilegiata quello emesso dal pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita dalla legge o da norme regolamentari, che conferisce all'atto una presunzione di verità assoluta, eliminabile solo con l'accoglimento della querela di falso o con sentenza penale. (Fattispecie relativa a registro cimiteriale, ritenuto atto pubblico fidefacente, in quanto al custode del cimitero, nell'esercizio della sua pubblica funzione, è demandata la documentazione delle molteplici vicende relative ai cadaveri ivi seppelliti, mediante annotazione dell'attività espletata nell'esercizio delle funzioni medesime o dei fatti caduti sotto la sua diretta percezione).

Il registro cimiteriale come atto pubblico fidefacente con presunzione di verità assoluta

Concorso materiale tra falsità materiale in atto pubblico e false dichiarazioni all'autorità giudiziaria

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata del 14.07.2021, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 12.02.2020 dal Tribunale della medesima città, per quanto qui di interesse, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di S.T. in ordine ai reati di cui ai capi A), B), C), I), H), J), K), L), M), R), W) e Z) perché estinti per prescrizione e ha rideterminato la pena per i restanti capi D), S) e V) in anni tre e mesi dieci di reclusione; ha confermato nel resto il provvedimento di primo grado. Segnatamente, S.T., in qualità di custode cimiteriale responsabile dei registri cimiteriali e delle operazioni di sepoltura dei defunti presso il Comune di Francavilla di Sicilia, in concorso con altri, è stato condannato per i reati di falso ideologico commesso da incaricato di pubblico servizio, violazione di sepolcro e soppressione di cadavere compiuto in luogo di sepoltura - di cui, rispettivamente, all'art. 493 c.p., art. 479 c.p., comma 2, art. 407 c.p. e art. 411 c.p., comma 2; contestati nei termini che seguono: per avere formato un registro cimiteriale atto avente natura fidefacente - falso, omettendo la registrazione dell'ingresso delle spoglie di T.G. all'interno del "cimitero nuovo" di (Omissis) (capo D) dell'imputazione; nonché per avere, nell'ottica della "compravendita" conclusa con M.V. di uno spazio ubicato all'interno del "cimitero monumentale" (reato di cui al capo R della rubrica, dichiarato prescritto), violato il luogo di sepoltura di persona ignota, deposta all'interno del predetto cimitero "monumentale" di (Omissis), e soppresso il relativo cadavere disperdendone i resti mortali originariamente presenti - e non più rinvenuti in occasione dell'estumulazione disposta dall'ente comunale in data 3.02.2016 - dando sede alla tumulazione nel medesimo sito dello stesso M. e a non autorizzati lavori di costruzione di una tomba in cemento grezzo, obliterando al contempo qualsivoglia riferimento esterno palese (sulla lapide o comunque in prossimità della tomba) alla originaria presenza delle spoglie dell'ignoto defunto (capi S) e V) dell'imputazione). 2. Avverso la predetta sentenza, propone ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, Avv. Freni Giambattista, articolando tre motivi. 2.1. Il primo motivo deduce violazione di legge penale e processuale, mancata assunzione di prova decisiva, nonché vizio di motivazione con riferimento agli artt. 603,190 c.p.p. e art. 234 c.p.p.; art. 6, par. 3 Cedu in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 129 c.p.p., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6. Premesso che la prova testimoniale a discarico, purché reclamata e necessaria per la decisione, è diritto innegabile anche nel giudizio di appello, si contesta la negazione da parte della Corte territoriale della rinnovazione del dibattimento, richiesta con coerenti ragioni e in relazione a specifici capitoli di prova dalla difesa, in quanto motivata, in maniera incongrua, in ragione dell'intervenuta prescrizione di gran parte dei reati contestati e perché ritenuta, per gli altri reati, "defatigatoria e inconcludente". A siffatta motivazione non è applicabile il principio di legittimità secondo cui il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale non è impugnabile quando la struttura argomentativa della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità. Si evidenzia ulteriore violazione del diritto di difesa nell'omessa acquisizione dei documenti allegati all'atto di appello dei quali la Corte, pur non pronunziando ordinanza di rinnovazione del dibattimento, avrebbe dovuto valutare l'idoneità a supportare le tesi difensive enunciate nei motivi di appello. 2.2. Il secondo motivo deduce violazione di legge penale e processuale, nonché vizio di motivazione in relazione all'art. 111 Cost., comma 6; art. 125 c.p.p., comma 3, art. 605 c.p.p., art. 530 c.p.p., commi 1 e 2; e all'art. 40 c.p., comma 2, art. 493 c.p., art. 479 c.p., comma 2 e art. 411 c.p., comma 2, con riferimento ai reati contestati ai capi D), S) e V), rispettivamente accertati tra il mese di novembre 2012 e i primi mesi del 2013; in epoca successiva e prossima al 2.10.2013. Si eccepisce l'irragionevolezza e la contraddittorietà della motivazione laddove la Corte di appello: conferma, per i reati ancora esistenti contestati nella forma del concorso omissivo senza al contempo affermare la responsabilità del coimputato D.S., dal quale il ricorrente era gerarchicamente dipendente e subordinato per le attività cimiteriali, ivi compresa la tenuta dei registri; nonché laddove la Corte conferma, altresì, la contestazione per il capo D) della rubrica, dell'aggravante di cui all'art. 479 c.p., comma 2, in relazione ad una realtà giuridica inesistente che ha consentito di rideterminare la pena base in tre anni di reclusione (come indicato alle pag. 3 e 33 della pronuncia impugnata). Si procede dunque ad analizzare i singoli capi ancora in contestazione. Quanto ai capo D), si osserva che il Pubblico ministero aveva richiesto pronuncia di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, richiesta disattesa in entrambi i gradi di giudizio. Sul punto si rimarca che la formazione di registro cimiteriale, come correttamente ritenuto dal p.m., non è atto avente natura fidefacente: invero, pur non potendo prescindere dalla insussistenza di condotte riconducibili al ricorrente, per le opere che hanno interessato la tomba di T.G., non è giuridicamente corretto ritenere che l'annotazione interna nel registro cimiteriale possa costituire atto fidefacente e, pertanto, la Corte territoriale, confondendo il ruolo del ricorrente di semplice custode, gli attribuisce mansione estranea alla sua funzione. In relazione al capo S), per il quale parimenti il p.m. aveva sollecitato pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto, ad avviso della difesa, considerata la qualità di custode ricoperta da Scurto, il controllo inerente alla regolarità della concessione e dell'autorizzazione di natura edilizia non competeva al ricorrente. In relazione al reato presupposto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (secondo la precedente formulazione dell'art. 319 c.p.), contestato al ricorrente al capo R), per la cessione di uno spazio di terreno all'interno del cimitero monumentale di (Omissis) a M.V., in previsione di una sua futura sepoltura, si osserva che non è stata provata la corresponsione di Euro quattromila per l'illegittimo conferimento dei predetto spazio nel suddetto cimitero monumentale operata dal M. nei confronti dello S.. Sul punto si elenca una serie di elementi rilevanti tratti dalle testimonianze raccolte all'udienza del 8.03.2018, ignorati dalla Corte territoriale: in particolare, C.C., testimone de relato ha affermato di aver appreso dal marito ( M.) della dazione di denaro a un custode, ma senza indicare alcun nominativo; e I.A. ha riferito di aver dialogato con il tecnico D., il quale gli aveva segnalato il luogo in cui poteva essere tumulato il M.. Il teste, inoltre, ha precisato che i lavori nel loculo erano stati eseguiti dalla ditta edile di R.C. e rammentava la presenza del ricorrente nel cimitero, evidentemente in qualità di custode, affermando però, su esplicita domanda a riguardo, che egli "non faceva niente". Alla luce di tali risultanze si ritiene che la motivazione resa è contraddittoria laddove la Corte di appello afferma che il ricorrente, pur non avendo interagito con l'imprenditore edile R. (ignorando che non ha operato l'imprenditore edile S.G., fratello dell'imputato), risponde del reato, nonostante sia accertato giudizialmente che gli ordini erano stati impartiti dal coimputato D.S.. Pertanto, ai fini della consistenza del reato contestato al capo S), a nulla può valere che la Corte abbia dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo R) della rubrica, per il quale avrebbe dovuto pronunciarsi sentenza di assoluzione ai sensi dell'art. 129 c.p.p., comma 2. Quanto al capo V) - connesso ai reati contestati alle lettere U) e Z), nel quale il Pubblico Ministero sollecitava l'assorbimento di quello di cui al capo U) relativo al delitto di vilipendio di cadavere di cui all'art. 410 c.p. - la difesa assume che siano state ignorate dalla Corte territoriale le argomentazioni enunciate in appello. Si osserva nuovamente che i lavori edili per la modifica del loculo sono stati eseguiti dall'imprenditore R.C., anch'egli escusso in qualità di testimone nell'udienza del 8.03.2018, che ha dichiarato che all'interno del loculo non ha rinvenuto le spoglie di persona ignota. Tale testimonianza consente di escludere la responsabilità del ricorrente per la logica ragione che qualora egli fosse stato interessato all'operazione illecita, si sarebbe rivolto per le opere edili al fratello S.G.. Inoltre, a sostegno, si rileva che il tema del processo e le prove acquisite non legittimano la penale responsabilità del ricorrente per le operazioni che hanno interessato persona ignota, dato che nessuno ha potuto dolersi di fatti penalmente rilevanti che possono aver provocato la profanazione di loculi e violazione di luoghi di sepoltura di persona non identificata. Si osserva che S. non ha comunque partecipato alle operazioni edili descritte. Pertanto, la Corte territoriale non poteva prescindere dall'orientamento di legittimità (Sez. 3, n. 690/1971). Si eccepisce infine l'illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui i fatti sono stati sostanzialmente modificati (in violazione dell'art. 521 c.p.p.) e si è affermato che il ricorrente agiva da solo, contrariamente al ruolo attribuitogli inizialmente di subordinato a D.S., figura apicale dell'ufficio; elemento cui consegue che l'assoluzione del D. doveva riverberare effetti nei confronti della posizione processuale del ricorrente posta l'inscindibilità dei rispettivi ruoli. 2.3. Il terzo motivo deduce violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione all'art. 479 c.p., comma 2, artt. 62-bis, 132 e 133 c.p. per avere, la Corte territoriale, determinato la pena base in anni tre di reclusione, pena che non risulta comminata nella contestata ipotesi di cui all'art. 479 c.p., comma 2; non esiste infatti il citato art. 479 c.p., comma 2 indicato nel capo di imputazione ed apprezzato nelle sentenze di cognizione. Si osserva l'irragionevolezza del trattamento sanzionatorio, avuto anche riguardo al beneficio della sospensione condizionale della pena concesso solo al coimputato S.G., pur essendo la sua condotta collegata a quella del fratello S.T., per il quale la Corte ha ignorato la richiesta presentata dalla difesa ai sensi dell'art. 114 c.p.. Si eccepisce sul punto la violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, per la carente motivazione della sentenza resa nella parte in cui la Corte territoriale stigmatizza astrattamente il comportamento processuale del ricorrente ignorando due documentate circostanze, quali: l'intervenuto annullamento con rinvio da parte di questa Corte dell'ordinanza del Tribunale del riesame inerente alla sospensione del ricorrente dal servizio presso il Comune di Francavilla di Sicilia; e la richiesta di trasferimento presentata dal ricorrente appena avuto contezza del procedimento penale a proprio carico finalizzata a non intralciare le indagini inerenti al proprio ruolo di custode del cimitero e di tenuta dei registri cimiteriali. Si contesta, pertanto, il mancato apprezzamento della condotta descritta ai fini della mitigazione della pena ai sensi dell'art. 62-bis c.p., posto che, sul punto, la motivazione è assente avendo, la Corte territoriale, circoscritto la propria motivazione ai fini della determinazione della pena all'applicazione dell'art. 133 c.p.. 3. Il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, senza l'intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto: il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è nel suo complesso infondato; in particolare, come si dirà nel prosieguo, infondato è il motivo sull'aggravante della natura fidefacente della falsità, laddove gli altri motivi si appalesano invece manifestamente infondati; con la conseguenza che non è rilevabile la prescrizione per i reati di cui ai capi S e V (cfr. Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Rv. 216239 - 01, nonché, più specificamente sul punto, Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016 Ud. (dep. 14/02/2017), Rv. 268966 - 01, secondo cui in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello). 1.1. La genericità del primo motivo si associa alla sua manifesta infondatezza, posto che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, la rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell'istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820), laddove l'iter argomentativo della sentenza impugnata dimostra l'insussistenza di tale ipotesi. Quanto poi alla doglianza relativa all'acquisizione documentale è solo il caso di osservare che nel giudizio di appello l'acquisizione di una prova documentale, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti, laddove nel caso di specie il ricorrente si limita a lamentare genericamente la mancata acquisizione dei documenti e il mancato vaglio circa la loro idoneità a supportare la tesi difensiva. 1.2.1. Il secondo motivo nella parte in cui assume che l'assoluzione del coimputato D., dal quale il ricorrente era gerarchicamente dipendente e subordinato per le attività cimiteriali, ivi compresa la tenuta dei registri, avrebbe dovuto comportare anche il proscioglimento del ricorrente in quanto i reati sono stati contestati nella forma del concorso omissivo, è anch'esso oltre che generico, manifestamente infondato. Esso nel limitarsi a ritenere sufficiente l'intervenuta assoluzione del coimputato, innanzitutto non si confronta con la complessiva ricostruzione della vicenda contenuta nelle conformi pronunce di merito che hanno ben individuato la condotta assegnata a S., che all'evidenza non è affatto indissolubilmente collegata con quella del coimputato; in ogni caso la doglianza non considera che ciò che residua è la condotta positiva posta in essere dal ricorrente e che è essa a rilevare - di per sé - ai fini dell'integrazione di ciascuno dei reati in questione, laddove quella ascritta a D. si sarebbe risolta, secondo la stessa contestazione, in un mero contegno omissivo contestato sub specie del concorso non necessario (non risulta, in particolare, alla stregua della ricostruzione del fatto come puntualizzata dal giudice di merito, affermata alcuna interdipendenza tra le due condotte, anzi essa è esclusa dalla Corte di appello che nell'assolvere D. ha ritenuto nondimeno di confermare la responsabilità di S.T.). Ed invero, con la trasformazione del custode in servizio di custodia, il responsabile della custodia è il Sindaco, che delega un dirigente che a sua volta può operare tramite personale comunale operativo o esternalizzare il servizio salvo supervisionarne il funzionamento. 2.1.2. Infondata è la contestazione della sussistenza dell'aggravante della natura fidefacente del registro cimiteriale, sollevata sempre col secondo motivo in scrutinio. Essa fa leva, da un lato, sulla natura di tale registro che nella prospettazione difensiva è un mero registro interno, dall'altro, sulle competenze del ricorrente che quale mero custode non avrebbe quindi avuto funzioni ulteriori rispetto a quelle meramente materiali. Quanto alla natura pubblicistica del registro cimiteriale si è già espressa questa corte affermando il principio - qui pienamente condiviso - secondo cui "Il regolamento di polizia mortuaria, approvato con R.D. 21 dicembre 1942, n. 1880, stabilisce che ogni cimitero deve avere almeno un custode. Compiti primari di questo ultimo sono: la ricezione dei cadaveri, accompagnati dalla necessaria documentazione; la determinazione del loro seppellimento, secondo il duplice sistema della inumazione e della tumulazione; la disciplina della esumazione e delle estumulazioni in base ai criteri regolamentari vigenti; e - infine - la documentazione in registri a duplice esemplare (da compiersi personalmente) di ogni operazione relativa ai cadaveri accolti nel cimitero. Per ciò che attiene a questa ultima mansione, la legge precisa che il custode debba dare atto, nel doppio registro, oltre che delle generalità esatte della persona, cui appartenne in vita il cadavere, di ogni altra circostanza (locale e temporale), idonea a documentare il lungo e spesso complicato iter, cui la spoglia umana sia stata in concreto assoggettata. Date le specifiche modalità della regolamentazione, risulta chiaro che il legislatore ha inteso attribuire al custode funzioni di carattere pubblicistico (custodia del cimitero, comunale o consorziale), in esse compresa quella di documentare personalmente il movimento dei cadaveri nell'ambito del cimitero, nonche le molteplici vicende subite da ciascuno dei medesimi, per disposizione e per diretta sorveglianza del funzionario a ciò preposto. L'atto pubblico - previsto dal regolamento - è destinato a rispecchiare, per certificazioni dirette del pubblico ufficiale investito del compito, anche ciò che è stato da lui fatto, onde va attribuita al documento in questione la natura di atto pubblico fidefaciente" (Sez. 3, n. 403 del 03/02/1964 Ud. (dep. 10/03/1964), Rv. 099082 01, fattispecie di falsificazione dei registri del cimitero da parte del custode). La circostanza che il regolamento di polizia mortuaria citato nella pronuncia di questa Corte sia stato successivamente abrogato, non toglie attualità al principio in essa affermato, teste' indicato, dal momento che costituiscono un dato normativo generalizzato (D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e succ. mod.), e di fatto, che: tutti i cimiteri devono assicurare un servizio di custodia; il responsabile del servizio di custodia (così ridefinita la tradizionale figura del custode del cimitero), per ogni cadavere ricevuto, ritira e conserva presso di sé la documentazione che lo accompagna; inoltre, iscrive giornalmente sopra apposito registro vidimato dai sindaco in doppio esemplare: a) le inumazioni che vengono eseguite, precisando il nome, cognome, età, luogo e data di nascita del defunto, secondo quanto risulta dalla documentazione allegata, l'anno, il giorno e l'ora dell'inumazione; b) le generalità delle persone i cui cadaveri vengono tumulati - cremati - con l'indicazione del sito dove sono stati deposti; c) qualsiasi variazione avvenuta in seguito ad esumazione, estumulazione, cremazione, trasporto di cadaveri o di ceneri. I registri debbono, peraltro, in genere, essere presentati ad ogni richiesta degli organi di controllo (tra i quali figura innanzitutto il Sindaco). Un esemplare dei registri deve essere consegnato, ad ogni fine anno, all'archivio comunale, rimanendo altro presso il servizio di custodia. La manutenzione, l'ordine e la vigilanza dei cimiteri spettano infatti al Sindaco, che li esercita avvalendosi di idonee figure professionali, tra le quali il custode del cimitero. Tutti i cimiteri devono infatti assicurare un servizio di custodia, e il responsabile di tale servizio, per ogni cadavere ricevuto, deve provvedere a una serie di adempimenti tra i quali - come sopra detto - figurano le annotazioni in apposito registro (solitamente vidimato dal sindaco in doppio esemplare). In altri termini i compiti del custode del cimitero rientrano nell'ambito delle attività inerenti ai servizi cimiteriali di pertinenza della pubblica amministrazione, che sono regolate da norme di diritto pubblico (R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 337, e s.s.; D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e succ. mod.), sicché è nell'esercizio di tale pubblica funzione che il custode del cimitero provvede alla tenuta del registro delle operazioni relative ai cadaveri ovvero alle relative annotazioni afferenti tutto ciò che riguarda le salme e la loro sistemazione e movimentazione nell'area cimiteriale, con la conseguenza che allorquando egli annota in esso - come nel caso di specie - l'attività espletata nell'esercizio delle sue funzioni ovvero fatti caduti sotto la sua diretta percezione - quale può essere certamente l'ingresso del cadavere nel cimitero - pone in essere un'annotazione avente fede privilegiata. Ed invero, in tema di reato di falso ideologico in atto pubblico, affinché sia configurabile la circostanza aggravante prevista dall'art. 476 c.p., comma 2, sono documenti dotati di fede privilegiata quelli emessi dal pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari, anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale l'atto assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l'accoglimento della querela di falso o con sentenza penale; e nel caso di specie siffatta potestà documentatrice, per tutto quanto sopra evidenziato in ordine alla peculiarità e rilevanza delle attività che ricadono nella sfera di competenza del custode cimiteriale e alla necessità della loro annotazione in un pubblico registro avente le caratteristiche suindicate, deve ritenersi al medesimo attribuita dal sistema. Con la conseguenza che ove l'annotazione nel registro, avente ad oggetto un fatto avvenuto in sua presenza o da lui compiuto, sia - come nel caso di specie falsa, è integrata l'aggravante del falso in atto fidefacente. 1.2.3. Il motivo, poi, nella parte in cui - in relazione al capo S) - contesta che non fosse ascrivibile a S. il controllo inerente alla regolarità della concessione e dell'autorizzazione di natura edilizia, non considera che trattasi di aspetto che non costituisce il fulcro dell'imputazione che ha ad oggetto la violazione di luogo di sepoltura; parimenti ultroneo è quanto si contesta in relazione al reato di corruzione indicato quale reato presupposto di quello di violazione di sepolcro, tenuto anche conto che la doglianza è svolta in termini di assoluta genericità, facendo peraltro riferimento alla somma oggetto di contestazione di Euro 4000, laddove il giudice di merito indica il versamento della somma di Euro 2000 quale riscontro della ricostruzione accusatoria. Null'altro potrebbero infine aggiungere gli ulteriori elementi indicati, che sarebbero stati ignorati dalla Corte territoriale, trattandosi anche in tal caso di aspetti non decisivi, e neppure in tali termini prospettati dallo stesso ricorso che si limita ad una mera elencazione di essi senza specificarne la pregnanza ai fini della decisione; laddove peraltro lo stesso ricorrente afferma che il teste I.A. avrebbe rammentato la presenza del ricorrente nel cimitero, sia pure asserendo che "non faceva niente". Quanto alla circostanza che i lavori sarebbero stati eseguiti nel caso di specie dall'imprenditore edile R. e non dal fratello del ricorrente, S.G., la Corte di appello ha già spiegato come essa non assuma alcuna valenza in ottica difensiva, apparendo tale circostanza neutra, non ravvisandosi ragioni per le quali S. dovesse coinvolgere in ogni sua pratica illecita il Germano (suscitando magari - aggiunge la Corte territoriale - le gelosie e le ire di altri soggetti operanti nel settore che avrebbero potuto rilevare rivelarsi pericolosi testimoni di alcune pratiche illecite); senza considerare che non è emerso con chiarezza - precisa altresì la sentenza impugnata - se l'incarico a R. sia stato conferito da S. o piuttosto da I.. Sicché il ricorso in parte qua è generico, non mostrando di confrontarsi in alcun modo con tali argomenti. 1.2.4. Quanto al capo V), la difesa assume che siano state ignorate dalla Corte territoriale le argomentazioni enunciate in appello, reiterando in buona sostanza la questione teste' esaminata al punto che precede che fa leva sul fatto che qualora il ricorrente fosse stato interessato all'operazione illecita, si sarebbe rivolto per le opere edili al fratello S.G., rispetto alla quale come detto la sentenza impugnata aveva già fornito adeguata risposta. Di tutta evidenza è infine l'irrilevanza, ai fini dell'integrazione del reato, della circostanza che si sia trattato di persona ignota, rispetto alla quale nessuno avrebbe potuto dolersi di fatti di profanazione di loculi e violazione di luoghi di sepoltura. 3. Il terzo motivo è affetto da evidente genericità, appuntandosi sul trattamento sanzionatorio mediante la prospettazione di circostanze - quali l'intervenuto annullamento con rinvio da parte di questa Corte dell'ordinanza del Tribunale del riesame inerente alla sospensione del ricorrente dal servizio presso il Comune di Francavilla di Sicilia, la richiesta di trasferimento presentata dal ricorrente appena avuto contezza del procedimento penale a proprio carico finalizzata a non intralciare le indagini inerenti al proprio ruolo di custode del cimitero e di tenuta dei registri cimiteriali - evidentemente ritenute giustamente - irrilevanti ai fini della definizione della pena a fronte della gravità e pluralità delle condotte poste in essere dall'imputato (impostazione peraltro escludente la ricorrenza dell'ipotesi della minima partecipazione di cui all'art. 114 c.p., solo genericamente avallata in ricorso a fronte del ruolo ben delineato dai giudici di merito in capo al ricorrente). Più precisamente, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, posto che la Corte territoriale, nel rendere la motivazione con la quale ha escluso la meritevolezza da parte del ricorrente di un trattamento sanzionatorio più mite, si è attenuta alla linea ermeneutica unanimemente condivisa secondo la quale, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all'art. 62-bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cottiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 1, n. 3772 del 11/01/1994, Spallina, Rv. 196880), ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto alla stregua della gravità delle condotte e della personalità palesata attraverso di esse dall'imputato (la Corte di appello ha in particolare evidenziato che per il diniego "milita l'estrema gravità dei reati commessi, sintomatica di una personalità incline alle pratiche illecite e agli intrallazzi, priva di qualsiasi sentimento di pietà verso i defunti e i loro eredi; che ha sfruttato la sua qualità di custode per commettere plurimi reati finalizzati a percepire profitti illeciti"). 4. Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2023. Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2023
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